. Al primo posto mettete la confessione e poi chiedete una direzione spirituale, se lo ritenete necessario. La realtà dei miei peccati deve venire come prima cosa. Per la maggior parte di noi vi è il pericolo di dimenticare di essere peccatori e che come peccatori dobbiamo andare alla confessione. Dobbiamo sentire il bisogno che il sangue prezioso di Cristo lavi i nostri peccati. Dobbiamo andare davanti a Dio e dirgli che siamo addolorati per tutto quello che abbiamo commesso, che può avergli recato offesa. (Beata Madre Teresa di Calcutta)
 
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ANGELI E DEMONI

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2015 13:40
18/02/2015 13:38

LA TESTIMONIANZA PERSONALE DI GESÙ

Anche le principali guarigioni di ossessi furono da Cristo compiute in momenti che risultano decisivi nei rac­conti del suo ministero. I suoi esorcismi ponevano e orien­tavano il problema della sua missione e della sua persona, come provano a sufficienza le reazioni che suscitarono. Senza mettere mai Satana al centro del suo Vangelo, Gesù ne parlò tuttavia in momenti evidentemente cruciali e con dichiarazioni importanti. Prima di tutto diede inizio al suo ministero pubblico accettando di essere tentato dal diavo­lo nel deserto: il racconto di Marco, proprio a motivo della sua sobrietà, è decisivo quanto quello di Matteo e di Luca. Contro questo avversario egli mise in guardia nel discorso sulla montagna, e nella preghiera che insegnò ai suoi, il "Padre Nostro", come ammettono oggi molti ese­geti, appoggiati sulla testimonianza di parecchie liturgie. Nelle parabole, Gesù attribuì a Satana gli ostacoli incon­trati dalla sua predicazione, come nel caso della zizzania nel campo del padre di famiglia. A Simon Pietro egli annunziò che "la potenza degli inferi" avrebbe tentato di prevalere sulla Chiesa", che Satana lo avrebbe passato al vaglio insieme con gli altri apostoli. Al momento di lasciare il cenacolo, Cristo dichiarò imminente la venuta del "principe di questo mondo". Nel Getsemani, quando i soldati gli misero addosso le mani per arrestarlo, affermò ch'era giunta l'ora della "potenza delle tenebre": ciò nonostante, egli sapeva e aveva dichiarato nel cenacolo che "il principe di questo mondo era ormai condannato". Questi fatti e queste dichiarazioni - bene inquadrati, ripetuti e concordanti - non sono casuali e non è possibile trattarli come dati favolistici da smitizzare. Altrimenti, bisogne­rebbe ammettere che in quelle ore critiche la coscienza di Gesù, di cui è attestata la lucidità e la padronanza di sé davanti ai giudici, era in preda a fantasmi illusori, e che la sua parola era priva di ogni fermezza; ciò che contraste­rebbe con l'impressione dei primi ascoltatori e dei lettori dei vangeli. Si impone perciò la conclusione: Satana, che Gesù aveva affrontato con i suoi esorcismi, che aveva incontrato nel deserto e nella passione, non può essere il semplice prodotto della facoltà umana di favoleggiare e di personificare le idee, oppure un relitto aberrante di un lin­guaggio culturale primitivo.

 

GLI SCRITTI PAOLINI

È vero che san Paolo, riassumendo a larghe linee nella lettera ai Romani la situazione dell'umanità prima di Cristo, personifica il peccato e la morte, di cui mostra la temibile potenza; ma si tratta, nel complesso della sua dot­trina, di un momento, che non è l'effetto di una risorsa puramente letteraria, ma della sua acuta coscienza del­l'importanza della croce di Gesù e della necessità dell'op­zione di fede che egli richiede. D'altra parte, Paolo non identifica il peccato con Satana; nel peccato, infatti, egli vede prima di tutto ciò che esso è essenzialmente, un atto personale degli uomini, e anche lo stato di colpevolezza e di accecamento nel quale Satana effettivamente cerca di gettarli e mantenerli. In tal modo, Paolo distingue bene Satana dal peccato. L'apostolo, il quale davanti alla "legge del peccato che sente nelle sue membra" confessa anzitut­to la sua impotenza senza la grazia", è quello stesso che, con estrema decisione, invita a resistere a Satana  a non farsi dominare da lui, a non dargli occasione o vantaggio` e a schiacciarlo sotto i piedi. Perché Satana è per lui una entità personale, "il dio di questo mondo", un avversario furbo, distinto sia da noi che dal peccato, che egli sugge­risce. Come nel Vangelo, l'apostolo lo vede all'opera nella storia del mondo, in quello che egli chiama "il mistero del­1'iniquità": nella incredulità che si rifiuta di riconoscere il Signore Gesù e anche nell'aberrazione della idolatrià, nella seduzione che minaccia la fedeltà della Chiesa a Cristo suo Sposo", infine nel traviamento escatologico che conduce al culto dell'uomo messo al posto di Dio`. Certamente, Satana induce al peccato, ma si distingue dal male che egli fa commettere.

 

L'APOCALISSE E IL VANGELO DI SAN GIOVANNI

L'Apocalisse è soprattutto il grandioso affresco in cui risplende la potenza di Cristo risorto nei testimoni del suo Vangelo: essa proclama il trionfo dell'Agnello immolato; ma ci si ingannerebbe completamente sulla natura di que­sta vittoria se non vi si vedesse il termine di una lunga lotta in cui intervengono, mediante le potenze umane che si oppongono al Signore Gesù, Satana e i suoi angeli, distinti gli uni dagli altri, come pure i loro agenti storici. È infatti l'Apocalisse che, sottolineando 1'enimma dei diversi nomi e simboli di Satana nella Sacra Scrittura, ne smaschera definitivamente l'identità". La sua azione si svolge in tutti i secoli della storia umana sotto gli occhi di Dio.

Non sorprende perciò che, nel Vangelo di san Giovanni, Gesù parli del diavolo e che lo qualifichi "principe di questo mondo". Certamente, la sua azione sull'uomo è interiore; ma è impossibile vedere nella sua figura soltanto una personificazione del peccato e della ten­tazione. Gesù riconosce che peccare significa essere "schiavo", ma non identifica per questo con Satana né questa schiavitù né il peccato, che in essa si manifesta. Il diavolo esercita sui peccatori solo una influenza morale, nella misura in cui ciascuno acconsente alla sua ispirazione»: liberamente essi ne eseguono i "desideri" e fanno 'la sua opera' . Soltanto in questo senso e in questa misura Satana è il loro "padre", perché tra lui e la coscienza della persona umana resta sempre la distanza spirituale che separa la "menzogna" diabolica dal consenso che ad essa si può dare o negare, allo stesso modo che tra Cristo e noi, esiste sempre la distanza tra la "verità" che egli rivela e propone, e la fede con la quale viene accolta.

Per questo motivo i Padri della Chiesa, convinti dalla Sacra Scrittura che Satana e i demòni sono gli avversari della Redenzione, non hanno mancato di ricordare ai fedeli la loro esistenza e la loro azione.

 

LA DOTTRINA GENERALE DEI PADRI

Fin dal II secolo della nostra èra Melitone di Sardi aveva scritto un'opera "Sul demonio" e sarebbe difficile citare un solo Padre che su questo argomento abbia taciu­to. Ovviamente, i più attenti a mettere in luce l'azione del diavolo furono quelli che illustrarono il disegno divino nella storia, specialmente sant'Ireneo e Tertulliano, i quali affrontarono successivamente il dualismo gnostico e Marcione; poi la volta di Vittorino di Pettau, e finalmente di sant'Agostino. Sant'Ireneo insegnò che il diavolo è un "angelo apostata"; che Cristo, ricapitolando in se stesso la guerra di questo nemico contro di voi, dovette affron­tarlo agli inizi del suo ministero. Con maggiore ampiez­za e vigore sant'Agostino lo mostrò all'opera nella lotta delle "due città", che hanno origine in cielo, quando le prime creature di Dio, gli angeli, si dichiararono fedeli o infedeli al loro Signore"; nella società dei peccatori egli vide un "corpo" mistico del diavolo", di cui parlerà più tardi, nei Moralia in Job, anche san Gregorio Magno".

Evidentemente, la maggioranza dei Padri, abbando­nando con Origene l'idea di un peccato carnale degli angeli decaduti, videro nel loro orgoglio - cioè nel deside­rio di innalzarsi al disopra della loro condizione, di afferma­re la loro indipendenza, di farsi credere Dio - il principio della loro caduta; ma, accanto a quest'orgoglio, molti sot­tolinearono anche la loro cattiveria nei confronti dell'uo­mo. Per sant'Ireneo, l'apostasia del diavolo sarebbe cominciata quando egli ebbe gelosia della creazione del­l'uomo e cercò di farlo ribellare al suo autore. Secondo Tertulliano, Satana, per contrastare il piano del Signore, avrebbe plagiato nei misteri pagani i sacramenti istituiti da Cristo`. L'insegnamento patristico echeggiò dunque in maniera sostanzialmente fedele la dottrina e gli orienta­menti del Nuovo Testamento.

 

IL CONCILIO LATERANENSE IV (1215) E IL SUO ENUNCIATO DEMONOLOGICO

È vero che in venti secoli di storia il Magistero consa­crò alla demonologia soltanto poche dichiarazioni pro­priamente dommatiche. La ragione è che l'occasione si presentò raramente, a due riprese soltanto, la più impor­tante delle quali si situa all'inizio del XIII secolo, quando si manifestò una reviviscenza del dualismo manicheo e priscillianista con l'apparizione dei Catari o Albigesi; ma l'enunciato dommatico di allora, formulato in un quadro dottrinale familiare, corrisponde molto da vicino alla nostra sensibilità, perché è coinvolta la visione dell'uni­verso e la sua creazione da parte di Dio: Noi crediamo fermamente e professiamo con sempli­cità... un principio unico dell'universo, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e corporee: con la sua onnipotenza all'inizio del tempo egli creò insieme dal nulla l'una e l'altra creatura, la spirituale e la corporea, cioè gli angeli e il mondo, poi la crea­tura umana, che appartiene in qualche modo all'una e all'altra, composta di spirito e di corpo. Perché il diavolo e gli altri demòni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma son diventati cattivi da se stessi, per propria iniziativa; quanto all'uomo, egli ha peccato per istigazione del diavolo.

L'essenziale di questa esposizione è sobrio. Sul diavolo e i demòni il concilio si limita ad affermare che, creature dell'unico Dio, essi non sono sostanzialmente cattivi ma lo divennero per il loro libero arbitrio. Non vengono pre­cisati né il loro numero né la loro colpa, né l'estensione del loro potere: queste questioni, estranee allora al problema dommatico, furono lasciate alle discussioni scolastiche. Ma l'affermazione del concilio, per quanto sia succinta, resta di capitale importanza perché è emanazione del più grande concilio del secolo XIII ed è messa in evidenza nella sua professione di fede, che, preceduta storicamente di poco da quelle imposte ai Catari e ai Valdesi, si colle­gava con le condanne pronunziate contro il Priscillianismo di parecchi secoli prima". Questa profes­sione di fede merita dunque di essere considerata con attenzione. Essa adotta la abituale struttura dei Simboli dommatici e trova facilmente posto nella loro serie, a parti­re dal concilio di Nicea. Secondo il testo citato, si riassume dal nostro punto di vista in due temi connessi ed egualmen­te importanti per la fede: l'enunciato relativo al diavolo, sul quale dovremo fermarci in particolare, segue infatti una dichiarazione sul Dio creatore di tutte le cose "visibili e invisibili", cioè degli esseri corporei e angelici.

Il primo tema del Concilio: Dio creatore degli esseri "visibili e invisibili"

Questa affermazione sul Creatore e la formula che la esprime hanno una importanza particolare per il nostro argomento, perché antiche al punto d'affondare le loro radici nella dottrina di san Paolo. L'Apostolo infatti, glorificando il Cristo risorto, aveva affermato che egli esercita il dominio su tutti gli esseri "nei cieli, sulla terra e negli inferi", "nel mondo presente e in quello futuro" poi, affermandone la preesistenza, insegnò che "egli aveva creato tutto nei cieli e sulla terra, gli esseri visibili e quelli invisibili". Questa dottrina della creazione ebbe ben presto la sua importanza per la fede cristiana, perché la Gnosi e il Marcionismo tentarono per molto tempo, prima del Manicheismo e del Priscillianismo, di farla vacillare. I primi simboli di fede specificarono regolar­mente che "gli esseri visibili e invisibili" sono tutti creati da Dio. Questa dottrina, affermata dal concilio Niceno­Costantinopolitano", poi da quello di Toledo", si leggeva nelle professioni di fede di cui le grandi Chiese si servivano nella celebrazione del Battesimo`; entrò anche nella gran­de preghiera eucaristica di san Giacomo a Gerusalemme', di san Basilio in Asia Minore e ad Alessandria` e di altre Chiese d'Oriente`. Presso i Padri greci, essa appare fin da sant'Ireneo` e nella Expositio fidei di sant'Atanasios. In Occidente, la ritroviamo in Gregorio di Elvira`, sant'Agostino", san Fulgenzio", ecc.

Al tempo in cui i Catari d'Occidente, come i Bogomili nell'Europa orientale, restaurarono il dualismo manicheo, la professione di fede del IV concilio Lateranense non poteva far di meglio che riprendere questa dichiarazione e la sua formula, fin da allora di importanza definitiva. Ripetute, infatti, ben presto dalle professioni di fede del II concilio di Lione, di Firenze e di Trento, riapparvero infine nella Costituzione Dei Filius del I concilio Vaticano, nei termini stessi del IV concilio Lateranense del 1215. Si tratta dunque di un'affermazione primordiale e costante della fede, che il concilio Lateranense provvi­denzialmente sottolineò per collegarvi il suo enunciato relativo a Satana e ai demòni. In questo modo, indicò che il loro caso, già importante in se stesso, s'inseriva nel con­testo più generale della dottrina sulla creazione universale e della fede agli esseri angelici.

Il secondo tema del concilio: il diavolo Il testo

Per ciò che riguarda questo enunciato demonologico, esso è lungi dal presentarsi come una novità aggiunta per la circostanza, alla stregua di una conseguenza dottrinale o di una deduzione teologica; al contrario, appare come un punto fermo acquisito da lungo tempo. Ne è già indice la formulazione del testo. Infatti, dopo aver affermata la creazione universale, il documento non passa al diavolo e ai demòni come a un conclusione logicamente dedotta: non scrive "Per conseguenza, Satana e i demòni sono stati creati e fatti naturalmente buoni......" come sarebbe stato necessario se la dichiarazione fosse stata nuova e dedotta dalla precedente; al contrario, presenta il caso di Satana come una prova dell'affermazione precedente, come un argomento contro il dualismo. Scrive effettivamente: "Perché Satana e i demòni sono stati creati naturalmente buoni...". In breve, l'enunciato che li concerne si presen­ta come una affermazione indiscussa della coscienza cri­stiana: è, questo, un punto rilevante del documento, e non poteva essere altrimenti se si vuol tenere conto delle cir­costanze storiche.

La preparazione: le formulazioni positive e negative (IV-V sec.)

Di fatto, fin dal IV secolo la Chiesa aveva preso posi­zione contro la tesi manichea dei due principi coeterni e opposti`; sia in Oriente che in Occidente, insegnava fer­mamente che Satana e i demòni sono stati creati e fatti naturalmente buoni. "Devi credere, dichiarava san Gregorio di Nazianzo al neofita, che non esiste una essen­za del male, né un regno (del male), privo di principio o sussistenza per se stesso o creato da Dio".

Il diavolo era considerato creatura di Dio, all'origine buona e luminosa, che disgraziatamente non aveva perse­verato nella verità nella quale era stata stabilita (Gv 8,44), ma si era ribellata al Signore'6. Il male dunque non era nella sua natura, ma in un atto libero e contingente della sua volontà`. Affermazioni del genere - che si leggono equivalentemente in san Basilio", san Gregorio di Nazianzo69~ san Giovanni Crisostomo'°, Didimo di Alessandria" in Oriente; in Tertulliano'2, Eusebio di Vercelli`, sant'Ambrogio' e sant'Agostino` in Occidente - potevano assumere eventualmente una forma dommatica ferma. Essi si incontrano anche sotto forma di condanna dottrinale oppure di professione di fede.

Il De Trinitate, attribuito ad Eusebio di Vercelli l'espri­meva in termini di anatemi successivi: Se qualcuno professa che nella natura in cui è stato fatto l'angelo apostata non è opera di Dio, ma che egli esiste da se stesso, giungendo fino ad attribuir­gli di trovare in se stesso il proprio principio, sia anatema.

Se qualcuno professa che l'angelo apostata è stato fatto da Dio con una natura cattiva, e non dice che egli ha concepito il male da se stesso, per suo proprio volere, sia anatema.

Se qualcuno professa che l'angelo di Satana ha fatto il mondo - lungi da noi questa credenza! - e non avrà dichiarato che ogni peccato è invenzione sua, sia anatema.

Tale redazione in forma di anatemi non era allora un caso unico: la si trova nel Commonitorium, attribuito a sant'Agostino e scritto in vista dell'abiura dei Manichei. Questa istruzione, infatti, votava all'anatema "colui, il quale crede che ci sono due nature, che hanno origine da due principi diversi, l'una buona, che è Dio, l'altra catti­va, non creata da Lui".

Questo insegnamento veniva tuttavia espresso più volentieri sotto la forma diretta e positiva di un'afferma­zione da credere. Sant'Agostino, all'inizio del suo De Genesi ad litteram, così diceva: L'insegnamento cattolico ordina di credere che la Trinità è un solo Dio, il quale ha fatto e creato tutti gli esseri che esistono, in quanto esistono; di modo che ogni creatura, sia intellettuale che corporea, o per dirla in breve secondo i termini delle divine Scritture, sia invisibile che visibile, non appartiene alla natura divina, ma è stata fatta dal nulla da Dio.

In Spagna, il primo concilio di Toledo professava ugualmente che Dio è il creatore di "tutti (gli esseri) visi­bili e invisibili" e che al di fuori di lui "non esiste natura divina, angelo, spirito o potenza alcuna che possa essere ritenuta Dio".

Così, fin dal IV secolo, l'espressione della fede cristiana - insegnata e vissuta - presentava su questo punto le due formulazioni dommatiche, positiva e negativa, che ritro­veremo otto secoli dopo al tempo d'Innocenzo III e del IV concilio Lateranense.

San Leone Magno

Nel frattempo, queste espressioni dommatiche non caddero in disuso. Infatti, nel V secolo, la lettera del papa san Leone Magno a Turibio vescovo di Astorga - la cui autenticità non può più essere messa in dubbio - parlava con lo stesso tono e la medesima chiarezza. Fra gli errori priscillianisti da lui condannati si incontrano infatti i seguenti: L'annotazione sesta" segnala che essi pretendono che il diavolo non sia mai stato buono e che la sua natura non è opera di Dio, ma che egli è uscito dal caos e dalle tenebre, perché di fatto non ha un autore del suo essere, ma è egli stesso il principio e la sostanza di ogni male, mentre la vera fede, la fede cattolica, professa che la sostanza di tutte le creature, sia spirituali che corporee, è buona, e che il male non è una natura, dal momento che Dio, creatore dell'uni­verso, ha fatto soltanto ciò ch'è buono. Perciò lo stes­so diavolo sarebbe buono se fosse rimasto nello stato in cui era stato fatto. Purtroppo, poiché egli ha fatto cattivo uso della sua naturale eccellenza e non è rimasto nella verità (Gv 8,44), non si è (senza dubbio)

trasformato in una sostanza contraria, ma si è separato dal sommo bene, al quale avrebbe dovuto aderire ...81 Questa affermazione dottrinale (a cominciare dalle parole "la vera fede, la fede cattolica*professa..." fino alla fine) fu ritenuta così importante da venir ripresa negli stes­si termini tra le aggiunte fatte nel VI secolo al "Libro dei dommi ecclesiastici", attribuito a Gennadio di Marsiglia`. Infine, la stessa dottrina sarà sostenuta con tono magiste­riale nella "Regola di fede a Pietro", opera di san Fulgenzio, dove si troverà affermata la necessità di "rite­nere principalmente", di "ritenere fermamente", che tutto ciò che non è Dio è creatura di Dio, e questo è il caso di tutti gli esseri "visibili e invisibili": "che una parte degli angeli si sono sviati e allontanati volontariamente dal loro Creatore", e "che il male non è una natura"". Non sor­prende dunque che in tale contesto storico gli "Statuta Ecclesiae antiqua"aa - abbiano introdotto tra le interroga­zioni destinate all'esame della fede cattolica dei candidati all'episcopato la seguente domanda: "se il diavolo è catti­vo per condizione o se è diventato tale per libero arbi­trio", formula che si ritroverà nelle professioni di fede imposte da Innocenzo III ai Valdesi.

Il primo concilio di Braga (VI secolo)

La dottrina era dunque comune e ferma. I numerosi documenti che la esprimono, e di cui abbiamo indicato i principali, costituiscono lo sfondo dottrinale sul quale spicca il primo concilio di Braga nella metà del VI secolo. Su questo sfondo, il c. 7 di questo sinodo non appare come testo isolato, ma come sintesi dell'insegnamento del IV e V secolo in questa materia e specialmente della dottrina del papa san Leone Magno: Se qualcunó pretende che il diavolo non è stato prima un angelo (buono) fatto da Dio e che la sua natura non è stata opera di Dio, ma pretende che egli è usci­to dal caos e dalle tenebre e che non c'è alcun autore del suo essere, ma è egli stesso il principio e la sostanza del male, come dicono Mani e Priscilliano, sia anatema".

L'avvento dei Catari (XII e XIII secolo)

Fanno anche parte, da lungo tempo, della fede esplici­ta della Chiesa la condizione di creatura e l'atto libero con il quale il diavolo si è pervertito. Al IV concilio Lateranense era sufficiente introdurre queste affermazioni nel suo Simbolo senza bisogno di documentarla, perché si trattava di credenze chiaramente professate. Questa inser­zione, che da un punto di vista dommatico era possibile anche prima, allora era diventata necessaria, perché l'ere­sia dei Catari aveva adottato alcuni antichi errori mani­chei. Tra il XII e il XIII secolo molte professioni di fede avevano dovuto affrettarsi a riaffermare che Dio è creato­re degli "esseri visibili e invisibili", che è l'autore dei due Testamenti, e specificare che il diavolo non era cattivo per natura ma in seguito a una scelta`. Le antiche posizioni dualistiche, inquadrate in vasti movimenti dottrinali e spi­rituali, costituivano allora, nella Francia meridionale e nell'Italia settentrionale, un reale danno per la fede. In Francia, Ermengaudo di Béziers aveva dovuto scrivere un trattato contro gli eretici, "i quali dicono e credono che il mondo presente e tutti gli esseri visibili non sono stati creati da Dio, ma dal diavolo" e che esistevano un Dio buono e onnipotente e un Dio cattivo, cioè il diavolo". Nell'Italia settentrionale un ex-cataro convertito, Bonacursus, aveva anche gridato all'allarme e precisato le diverse scuole della setta". Poco dopo il suo intervento, la "Summa contra haereticos" per molto tempo attribuita a Prepositino di Cremona, nota meglio per il nostro proble­ma, l'impatto dell'eresia dualista, sull'insegnamento di quell'epoca, quando comincia così la trattazione sui Catari: Il Dio onnipotente ha creato soltanto gli (esseri) invi­sibili e incorporei. Quanto al diavolo, che questo ere­tico chiama il dio delle tenebre, egli ha creato gli (esseri) visibili e corporei. Dopo aver detto ciò, l'ere­tico aggiunge che ci sono due princìpi delle cose: il principio del bene, cioè Dio onnipotente, e il princi­pio del male, cioè il diavolo: aggiunge anche che esi­stono due nature: una buona, degli (esseri) incorpo­rei, creata dal Dio onnipotente; l'altra cattiva, (quel­la) degli (esseri) corporei, creata dal diavolo. L'eretico che così si esprime si chiamava in antico Manicheo, oggi Cataro`.

Malgrado la sua brevità, questo riassunto è significati­vo per la sua densità. Oggi possiamo completarlo riferen­doci al "Libro dei due princìpi", scritto da un teologo cata­ro poco dopo il IV concilio Lateranense9'. Addentrandosi nei particolari dell'argomentazione e basandosi sulla Sacra Scrittura, questa piccola somma di militanti della setta pretendeva di confutare la dottrina dell'unico Creatore e di fondare su testi biblici l'esistenza dei due opposti princìpi". Accanto al Dio buono, diceva, "dobbia­mo necessariamente riconoscere l'esistenza di un altro principio, quello del male, che agisce perniciosamente contro il vero Dio e contro la sua creatura".

Valore della decisione del IV concilio Lateranense All'inizio del XIII secolo queste dichiarazioni, lungi dall'essere soltanto teorie di intellettuali esperti, corri­spondevano a un complesso di credenze erronee, vissute e diffuse da una folla di conventicole ramificate, organizzate e attive. La Chiesa aveva il dovere di intervenire, ripetendo energicamente le affermazioni dottrinali dei secoli prece­denti, e ciò fece papa Innocenzo III, introducendo i due enunciati dommatici segnalati prima nella confessione di fede del IV concilio ecumenico del Laterano. Questa, letta ufficialmente ai vescovi, fu da essi approvata: interrogati ad alta voce: "Credete queste (verità) punto per punto?", essi risposero con unanime acclamazione: "Le crediamo". Nel suo complesso, dunque, il documento conciliare è un documento di fede e, a motivo della sua natura e forma, che sono quelle di un Simbolo, ciascun punto principale di esso ha egualmente valore dommatico.

Si cadrebbe in manifesto errore se si pretendesse che ogni paragrafo di un Simbolo di fede debba contenere una sola affermazione dommatica: ciò significherebbe applicare alla sua interpretazione una ermeneutica valida, per esem­pio, nel caso di un decreto del concilio di Trento, nel quale ogni capitolo insegna di solito un solo tema dommatico;

necessità di prepararsi alla giustificazione`, verità della presenza reale di Cristo nella Eucaristia%, ecc. Il primo paragrafo del Lateranense IV invece, condensa in un numero di righe uguali a quelle del capitolo del Tridentino sul "dono della perseveranza" una quantità di afferma­zioni di fede, in gran parte già definite, sull'unità di Dio, la trinità e l'eguaglianza delle Persone, la semplicità della loro natura, le "processioni" del Figlio e dello Spirito Santo. Lo stesso accade per la creazione, specialmente per i due passaggi concernenti il complesso degli esseri spiri­tuali e corporei creati da Dio come anche per la creazione del diavolo e per il suo peccato. Si trattava, come abbiamo stabilito, di altrettanti punti, che dal IV al V secolo appar­tenevano all'insegnamento della Chiesa; inserendoli nel proprio Simbolo, il concilio non fece altro che consacrare la loro appartenenza alla regola universale della fede.

Anche l'esistenza della realtà demoniaca e l'afferma­zione della sua potenza si basano non soltanto su questi documenti più specifici, ma trovano un'altra espressione, più generale e meno rigida, negli enunciati conciliari, ogni volta che essi descrivono la condizione dell'uomo senza Cristo.

 

L'INSEGNAMENTO COMUNE DEI PAPI E DEI CONCILI

Nella metà del V secolo, alla vigilia del concilio di Calcedonia, il "Tomo" del papa san Leone Magno a Flaviano precisò uno dei fini della economia della salvezza evocando la vittoria sulla morte e sul diavolo che secondo la lettera agli Ebrei ne detiene 1'impero98. Più tardi, quando il concilio di Firenze parlò della Redenzione, la presentò biblicamente come una liberazione dal dominio del diavolo. Il concilio di Trento, riassumendo la dottrina di san Paolo, dichiara che l'uomo peccatore "è sotto la potenza del dia­volo e della morte"; salvandoci, Dio "ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, nel quale abbiamo la redenzione, la remis­sione dei peccati"`. Commettere il peccato dopo il Battesimo è "abbandonarsi in potere del demonio". Questa è infatti la fede primitiva e universale della Chiesa, attestata fin dai primi secoli nella liturgia della iniziazione cristiana, quando i catecumeni, sul punto di essere battez­zati, rinunciavano a Satana, professavano la loro fede nella Santissima Trinità e aderivano a Cristo loro Salvatore".

È per questo che il II concilio Vaticano, che si è inte­ressato più del presente della Chiesa che della dottrina della creazione, non ha mancato di mettere in guardia con­tro l'attività di Satana e dei demòni. Di nuovo, come nei concili di Firenze e di Trento, esso ha richiamato con l'Apostolo che Cristo ci "libera dal potere delle tenebre"' e, riassumendo la Sacra Scrittura alla maniera di san Paolo e dell'Apocalisse, la Costituzione "Gaudium et spes" ha detto che la nostra storia, la storia universale, "è una dura lotta contro le potenze delle tenebre, lotta cominciata fin dall'origine del mondo e che durerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno". Altrove, il Vaticano II rinnova gli ammonimenti dell'epistola agli Efesini ad "indossare l'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo". Perché, come la stessa Costituzione ricorda ai laici, "noi dobbiamo lottare contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male"'. Non sorprende infine constatare che lo stesso concilio, volendo presentare la Chiesa come il regno di Dio che ha già avuto inizio, invoca i miracoli di Gesù e a questo scopo fa precisamente appello ai suoi esorcismi`. È in questa occasione, effettivamente, che fu pronunziata da Gesù la famosa dichiarazione: "profecto pervenit in vos regnum dei"'.

 

L'ARGOMENTO LITURGICO

Quanto alla liturgia, che già occasionalmente abbiamo invocato, essa contribuisce con una particolare testimo­nianza, perché è l'espressione concreta della fede vissuta; ma non dobbiamo domandarle di rispondere alla nostra curiosità sulla natura dei demòni, le loro categorie e i loro nomi. La liturgia si accontenta di insistere, secondo il suo compito, sulla loro esistenza e la minaccia che essi costi­tuiscono per i cristiani; fondata sull'insegnamento del Nuovo Testamento, la liturgia lo echeggia direttamente, ricordando che la vita dei battezzati è un combattimento condotto, con la grazia di Cristo e la forza del uso Spirito, contro il mondo, la carne e gli esseri demoniaci".

Il significato dei nuovi Rituali

Oggi tuttavia questo argomento liturgico dev'essere utilizzato con circospezione. Da una parte, i rituali e i sacramenti orientali, con i loro successivi arricchimenti e con una complessa demonologia, rischiano di sviarci; dal­l'altra, i documenti liturgici latini, spesso rimaneggiati nel corso della storia, invitano, proprio a motivo di questi mutamenti, a conclusioni ugualmente prudenti. Il nostro antico rituale della penitenza pubblica esprimeva con forza l'azione del demonio sui peccatori: purtroppo, que­sti testi, sopravvissuti fino ai nostri giorni nel Pontificale romano"', da molto tempo non sono più nella pratica.

Prima del 1972 si potevano anche citare le preghiere della raccomandazione dell'anima, che evocavano l'orrore del­l'inferno e gli ultimi assalti del demonio"'; ma questi testi significativi sono adesso scomparsi. Soprattutto ai nostri giorni, il caratteristico ministero dell'esorcista, senza essere stato radicalmente abolito, è ridotto a un servizio eventuale, e sussisterà di fatto solo su domanda dei vescovi`, senza che alcun rito sia previsto per il suo conferimento. Un provvedimento del genere non significa, evidentemente, che il sacerdote non ha più il potere di esorcizzare, né che egli non deve più esercitarlo; tuttavia ciò obbliga a consta­tare che la Chiesa, non facendo più di questo ministero una funzione specifica, non riconosce più agli esorcismi l'im­portanza che avevano nei primi secoli. Questa evoluzione merita senz'altro di essere presa in considerazione.

Non dobbiamo tuttavia concludere a una recessione o a una revisione della fede nel campo liturgico. Il Messale romano del 1970 traduce sempre la convinzione della Chiesa a proposito degli interventi demoniaci. Oggi, come prima, la liturgia della prima domenica di Quaresima ricorda ai fedeli come il Signore Gesù ha vinto il tentatore: i tre racconti sinottici della sua prova sono riservati ai tre cicli A, B, C, delle letture quaresimali. Il protovangelo, con il suo annuncio della vittoria della discendenza della donna su quella del serpente (Gen 3,15) si legge nella X domenica dell'anno B e nel sabato della V settimana. La festa della Assunzione e il comune della Madonna fanno leggere Ap 12,1-6, cioè la minaccia del Dragone contro la Donna che partorisce. Mc 3,20-35, che riferisce la discus­sione di Gesù e dei Farisei su Beelzebul, fa parte delle lettu­re della X domenica dell'anno B, già segnalata. La parabola del grano e della zizzania (Mt 13,23-43) appare nella domenica XV dell'anno A e la sua spiegazione (Mt 13,36-46) si legge nel martedì della XIII settimana. L'annuncio della sconfitta del principe di questo mondo (Gv 12,20­33) è letto nella domenica V di Quaresima dell'anno B e Gv 14,30 ricorre nella settimana. Tra i testi apostolici, Ef 2,1-10 è assegnato al lunedì della XXIX settimana; Ef 6,10-20, al comune dei santi e delle sante e al giovedì della XIII settimana. 1Gv 3,7-10 si legge il 4 gennaio, e la festa di san Marco propone la prima lettera di san Pietro, che mostra il diavolo circuire la sua preda per divorarla. Queste citazioni che dovrebbero moltiplicarsi per essere complete, attestano che i più importanti testi biblici sul diavolo fanno sempre parte della lettura ufficiale della Chiesa.

È vero che il rituale della iniziazione cristiana degli adulti è stato in questo punto modificato e non interpella più il diavolo con apostrofi imperative; ma allo stesso scopo, si rivolge a Dio sotto forma di preghiera`, con un tono meno spettacolare, ma altrettanto espressivo ed effi­cace. È dunque falso pretendere che gli esorcismi siano stati eliminati dal nuovo rituale del Battesimo. L'errore è così manifesto, che il nuovo rituale del catecumenato ha istituito, prima degli esorcismi abituali detti "maggiori", esorcismi "minori", disposti per tutta l'estensione del catecumenato e sconosciuti in passato.

Gli esorcismi, dunque, restano. Oggi come ieri essi chiedono la vittoria su "Satana", "il diavolo", "il principe di questo mondo" e "il potere delle tenebre"; e i tre "scru­tini" abituali, nei quali, come prima, gli esorcismi trovano posto, hanno lo stesso scopo negativo e positivo di prima:

"liberare dal peccato e dal diavolo" e nello stesso tempo "fortificare in Cristo". La celebrazione del Battesimo dei bambini conserva anche, checché se ne dica, un esor­cismo"', ciò non significa che la Chiesa consideri questi bambini come altrettanti posseduti da Satana; ma essa crede che hanno bisogno anch'essi di tutti gli effetti della Redenzione di Cristo. Prima del Battesimo, infatti, ogni, uomo, bambino e adulto, porta il segno del peccato e del­l'azione di Satana.

Quanto alla liturgia della Penitenza privata, essa parla oggi del diavolo meno di prima; ma le celebrazioni peni­tenziali comunitarie hanno restaurato un'antica orazione, che ricorda l'influenza di Satana sui peccatori"'. Nel rituale dei malati - come abbiamo già notato - la preghiera della raccomandazione dell'anima non sottolinea più la presenza inquietante di Satana; ma nel corso del rito del­l'unzione il celebrante prega affinché l'infermo "sia libe­rato dal peccato e da ogni tentazione"`. L'olio santo è considerato come una "protezione" del corpo, dell'anima e dello spirito` e la orazione "Commendo te", senza menzionare l'inferno e il demonio, evoca tuttavia indiret­tamente la loro esistenza e la loro azione quando doman­da a Cristo di salvare il morente e di metterlo nel numero delle "sue" pecore e dei "suoi" eletti: questo linguaggio vuole evidentemente evitare un trauma al malato e alla sua famiglia, ma non viene meno alla fede nel mistero del male.

 

IN BREVE

In breve, in ciò che concerne la demonologia, la posi­zione della Chiesa è chiara e ferma. È vero che nel corso dei secoli l'esistenza di Satana e dei demòni non è stata mai fatta oggetto di una affermazione esplicita del suo magistero. La ragione è che la questione non fu mai posta in questi termini: gli eretici e i fedeli, ugualmente fondan­dosi sulla Sacra Scrittura, erano d'accordo nel riconosce­re la loro esistenza e i loro principali misfatti. Per questo, oggi, quando è messa in dubbio la realtà demoniaca, è necessario riferirsi - come abbiamo poco fa ricordato - alla fede costante e universale della Chiesa e alla sua fonte maggiore: l'insegnamento di Cristo. È nella dottrina del Vangelo, infatti, e nel cuore della fede vissuta che l'esi­stenza del mondo demoniaco si rivela come un dato dom­matico. Il disagio contemporaneo che abbiamo denunziato al principio, non mette dunque in questione un elemento secondario del pensiero cristiano, ma ne va di mezzo la fede costante della Chiesa, il suo modo di concepire la redenzione e, al punto di partenza, la coscienza stessa di Gesù. Perciò, parlando recentemente di questa "terribile realtà, misteriosa e paurosa" del Male, Sua Santità Paolo VI poteva affermare con autorità: "Esce dal quadro del­l'insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, con ogni creatura, origine da Dio, oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale o fantastica delle cause igno­te dei nostri malanni"`. Né gli esegeti né i teologi dovrebbero trascurare questo avvertimento.

Ripetiamo perciò che, sottolineando ancora oggi l'esi­stenza della realtà demoniaca, la Chiesa non intende né riportarci indietro, alle speculazioni dualistiche e mani­chee d'altri tempi, né proporre un surrogato accettabile dalla ragione. Essa vuole soltanto restar fedele al Vangelo e alle sue esigenze. È chiaro che essa non ha mai permes­so all'uomo di scaricarsi contro una tale scappatoia, quan­do si manifestava, dicendo con san Giovanni Crisostomo: "Non è il diavolo, ma l'incuria propria degli uomini, che causa tutte le loro cadute e tutti i malanni di cui essi si lamentano.

A questo titolo, l'insegnamento cristiano, con la sua vigorosa difesa della libertà e della grandezza dell'uomo e nel mettere in piena luce l'onnipotenza e la bontà del Creatore, non manifesta cedimenti. Esso ha condannato nel passato e condannerà sempre l'eccessiva faciloneria nell'addurre a pretesto una sollecitazione demoniaca; ha proscritto la superstizione come la magia; ha rifiutato ogni capitolazione dottrinale di fronte al fatalismo e ogni rinun­zia alla libertà di fronte allo sforzo. Ancor più, quando si parla di un possibile intervento diabolico, la Chiesa fa sempre posto, come per il miracolo, alla esigenza critica. In tale materia essa esige riserva e prudenza. È facile infatti cader vittime dell'immaginazione, lasciarsi sviare da racconti inesatti, maldestramente trasmessi o abusiva­mente interpretati. In questi come in altri casi, è necessa­rio esercitare il discernimento e lasciare spazio alla ricerca e ai suoi risultati.

Ciò nonostante, fedele all'esempio di Cristo, la Chiesa ritiene che l'ammonizione dell'apostolo san Pietro alla "sobrietà" e alla vigilanza sia sempre attuale". Nei nostri giorni, certo, conviene difendersi da una "ebbrezza" nuova. Ma il sapere e la potenza tecnica possono anche inebriare. L'uomo è fiero, oggi, delle sue scoperte, e spes­so giustamente. Ma nel nostro caso è sicuro che le sue analisi abbiano chiarito tutti i fenomeni caratteristici e rivelatori della presenza del demonio? Non esiste su que­sto punto più nulla di problematico? L'analisi ermeneuti­ca e lo studio dei Padri avrebbero appianato le insidie di tutti i testi? Nulla è meno sicuro. Certo, in altri tempi, ci fu qualche ingenuità nel temere di incontrare qualche demonio all'incrocio dei nostri pensieri. Ma non ce ne sarebbe altrettanta oggi nel postulare che i nostri metodi diranno presto l'ultima parola sulla profondità delle coscienze, dove interferiscono i rapporti misteriosi del­l'anima e del corpo, del soprannaturale, del pretematurale e dell'umano, della ragione e della rivelazione? Perché queste questioni sono sempre state considerate ampie e complesse. Quanto ai nostri metodi odierni, essi, come quelli degli antichi, hanno limiti che non possono varcare. La modestia, che è anche una qualità dell'intelligenza, deve conservare i suoi diritti e mantenerci nella verità. Perché questa virtù - pur tenendo conto dell'avvenire - permette fin d'ora al cristiano di fare posto all'apporto della rivelazione, in breve: alla fede.

È alla fede, in realtà, che ci riconduce l'apostolo san Pietro quando ci invita a resistere al demonio "saldi nella fede". La fede ci insegna, infatti, che la realtà del Male "è un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore; e sa anche darci fiducia, facendoci sapere che la potena di Satana non può varcare le frontiere impostegli da Dio; ci assicura egualmente che, se il diavolo è in grado di tenta­re, non può strappare il nostro consenso. Soprattutto la fede apre il cuore alla preghiera, nella quale trova la sua vittoria e il suo coronamento, ottenendoci di trionfare sul male grazie alla potenza di Dio.

Resta per certo che la realtà demoniaca, attestata con­cretamente da quello che chiamiamo il mistero del Male, rimane ancora oggi un enigma che avvolge la vita cristia­na. Noi non sappiamo molto meglio degli apostoli perché il Signore lo permette, né come lo fa servire ai suoi dise­gni, ma potrebbe accadere che, nella nostra civiltà inva­ghita di orizzontalismo secolare, le esplosioni inattese di questo mistero offrano un senso meno refrattario alla com­prensione. Esse obbligano l'uomo a guardare più lontano, più in alto, al di là delle immediate evidenze; attraverso la minaccia e la prepotenza del male, che impediscono il nostro cammino, ci permettono di discernere l'esistenza di un al di là da decifrare, e di volgerci allora verso Cristo per ascoltare da lui la Buona Novella della salvezza offerta come grazia.


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