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Scritti dei Papi sull'adorazione

Ultimo Aggiornamento: 08/02/2015 18:42
08/02/2015 18:42

Gregorio VII

 

Gregorio VII, durante il suo papato, svolse un’opera rivolta al risanamento  del comportamento del clero, alla riorganizzazione del mondo ecclesiastico in un sistema monarchico di governo e è ricordato per aver sottoscritto una formula raffinata e meditata per cui “il pane e il vino sono trasformati sostanzialmente nel vero e proprio e vivificante corpo e sangue di Gesù Cristo” (Registro di Gregorio VII, VI 17 a Nr. 1).

Con la Riforma Gregoriana, conosciuta anche come Riforma della Chiesa, Gregorio VII  avversò la simonia, i patrimoni ecclesiastici, il matrimonio e il concubinato dei preti,  così diffusi che le austere arringhe dei religiosi più intransigenti trovarono ampi consensi fra gli strati popolari. Il movimento della riforma mirò alla moralizzazione del clero, a togliere all'impero il diritto di nominare i vertici della gerarchia ecclesiastica e alla trasformazione del papato in una monarchia, tale da permettere una più agevole riorganizzazione della chiesa. Le proteste e i fermenti di rinnovamento arrivarono soprattutto dai monaci che appoggiarono il papato nella Riforma; in Italia si schierarono contro il clero corrotto Romualdo di Ravenna, fondatore dell'eremo di Camaldoli, e Giovanni Gualberto, fondatore dei vallombrosani. 

Nei manuali di storia medievale, la riforma gregoriana viene vista in maniera positiva, poiché con essa - si dice - Gregorio VII seppe "por fine" all'anarchia ecclesiastica dei due secoli precedenti.

Gregorio VII e la transustanziazione: per quanto concerne l’Eucaristia la cultura dell’età patristica non aveva elaborato una dottrina definitiva. Si erano delineati due orientamenti. Il primo, che aveva come capofila Ambrogio di Milano, sottolineava maggiormente la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, mentre il secondo orientamento, che faceva capo a sant’Agostino, poneva in evidenza la forza dinamicosimbolica del sacramento che inserisce i fedeli in Cristo e nel corpo mistico della Chiesa. La prima concezione rischiava di cadere nel realismo esagerato. La seconda concezione aveva il torto di scostarsi dal senso realistico dell’espressione usata da Cristo: Hoc est corpus meum che non si può interpretare in senso simbolico (est non equivale significat). Berengario di Tours, impiegando termini filosofici non ancora sufficientemente sviluppati, per evitare il realismo esagerato cadde nel simbolismo. Il papa Leone IX fece condannare da due sinodi la tesi di Berengario, ma la discussione ebbe il merito di avviare a soluzione la definizione di Eucaristia sia sotto il profilo filosofico, sia sotto il profilo teologico, scartando le soluzioni per eccesso (affermare che nell’Eucaristia c’è il corpo e il sangue di Cristo nel senso inteso dagli ascoltatori di Cristo a Cafarnao che ebbero il timore di dover diventare antropofagi), e per difetto (affermare che la presenza del corpo e del sangue nell’Eucaristia è semplicemente metaforica). Berengario, nel 1079, sottoscrisse una formula raffinata che S. Gregorio VII, gli impose, avendo egli osato negare la transustanziazione eucaristica e prestò giuramento nei seguenti termini: “Intimamente credo e apertamente confesso che il pane e il vino posti sull’altare, per il mistero dell’orazione sacra e per le parole del Redentore, si convertono sostanzialmente nella vera e propria vivificante Carne e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo”  

Da Lettera Enciclica Di Sua Santità papa Paolo VI - Mysterium Fidei sulla Dottrina e Il Culto della Santissima. Eucaristia (3 settembre 1965)

... È più utile richiamare la fermezza della fede con cui la Chiesa, con unanime concordia, resistette a Berengario, il quale, cedendo alle difficoltà suggerite dalla ragione umana, osò per il primo negare la conversione Eucaristica; la Chiesa gli minacciò ripetutamente la condanna se non si ritrattasse. Perciò Gregorio VII, Nostro Predecessore, gli impose di prestare il giuramento in questi termini: « Intimamente credo e apertamente confesso che il pane e il vino posti sull'altare, per il mistero della orazione sacra e le parole del nostro Redentore, si convertono sostanzialmente nella vera e propria e vivificante carne e sangue di Nostro Signore Gesù Cristo; e che dopo la consacrazione c'è il vero corpo di Cristo, che è nato dalla Vergine e per la salvezza del mondo fu offerto e sospeso sulla croce e ora siede alla destra del Padre; e c'è anche il vero sangue di Cristo, che uscì dal suo fianco, non soltanto come segno e virtù del sacramento, ma anche nella proprietà della natura e nella realtà della sostanza ».

Transustanziazione

La parola è stata coniata dalla teologia medievale (la prima documentazione ufficiale si ha nel Concilio lateranense IV, del 1215, nella professione di fede contro gli Albigesi) la quale esprime in maniera chiarissima il dogma circa la presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia. Secondo detto dogma Gesù è presente nell'Eucaristia per transustanziazione, cioè per cambiamento dell'intera sostanza del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue. Il cambiamento avviene in virtù delle parole della consacrazione in quanto Gesù nell'ultima cena non disse: "qui è il mio corpo" ovvero "in questo pane, con questo pane, sotto questo pane è il mio corpo" ma: "questo (che io vi mostro) è il mio corpo": parole che mentre proclamano la presenza reale, la producono. Ne segue che, dopo la consacrazione, nulla resta della sostanza del pane e del vino ma soltanto le loro apparenze o specie (accidenti) e che Gesù Cristo continua ad esser presente sotto le medesime fino a che quelle sussistono.

Il primo che abbia trattato del modo della presenza reale di Cristo nel Sacramento dell'Eucaristia è Pascasio Radberto nel trattato De Corpore et Sanguine Domini (844) in cui afferma esplicitamente l'identità del corpo storico di Cristo e di quello eucaristico, concezione criticata da Ratramno come troppo realistica. Ma colui che sollevò nel Medioevo la più grande controversia eucaristica fu Berengario il quale, oltre a negare la dottrina realistica di Pascasio, negò anche il concetto di transustanziazione, ritenendo impossibile la percezione degli accidenti separatamente dalla sostanza. La controversia teologica che ne seguì valse a porre sempre meglio in chiaro il dogma della presenza reale e a foggiar la parola che ne esprime a perfezione il concetto. San Tommaso nella Summa Theologica precisa, con la chiarezza di concetti che gli è propria, tutta la dottrina eucaristica; e il concilio di Trento (1545), contro le interpretazioni simbolistiche dei riformatori, fissò nella sessione XIII (Decreto sull'Eucaristia) il dogma della transustanziazione.



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