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Scritti dei Papi sull'adorazione

Ultimo Aggiornamento: 08/02/2015 18:42
08/02/2015 18:24


Papa Francesco

Il pensiero del Pontefice su come dovrebbe essere un Papa:

“Un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare".  

dall'OMELIA Basilica di San Paolo Fuori le Mura (14 aprile 2013)

Cari fratelli e sorelle!

.... Ricordiamolo bene tutti: non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio! Mi viene in mente adesso un consiglio che san Francesco d’Assisi dava ai suoi fratelli: predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la vita: la testimonianza. L’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa.

Ma tutto questo è possibile soltanto se riconosciamo Gesù Cristo, perché è Lui che ci ha chiamati, ci ha invitati a percorrere la sua strada, ci ha scelti. Annunciare e testimoniare è possibile solo se siamo vicini a Lui, proprio come Pietro, Giovanni e gli altri discepoli nel brano del Vangelo di oggi sono attorno a Gesù Risorto; c’è una vicinanza quotidiana con Lui, ed essi sanno bene chi è, lo conoscono. L’Evangelista sottolinea che «nessuno osava domandargli: “Chi sei?”, perché sapevano bene che era il Signore» (Gv 21,12). 

E questo è un punto importante per noi: vivere un rapporto intenso con Gesù, un’intimità di dialogo e di vita, così da riconoscerlo come “il Signore”. Adorarlo! Il brano dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato ci parla dell’adorazione: le miriadi di angeli, tutte le creature, gli esseri viventi, gli anziani, si prostrano in adorazione davanti al Trono di Dio e all’Agnello immolato, che è Cristo, a cui va la lode, l’onore e la gloria (cfr Ap 5,11-14). 

Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore? Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti. 

Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia.

Questo ha una conseguenza nella nostra vita: spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri. 

Questa sera vorrei che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita.

Cari fratelli e sorelle, il Signore ci chiama ogni giorno a seguirlo con coraggio e fedeltà; ci ha fatto il grande dono di sceglierci come suoi discepoli; ci invita ad annunciarlo con gioia come il Risorto, ma ci chiede di farlo con la parola e con la testimonianza della nostra vita, nella quotidianità. Il Signore è l’unico, l’unico Dio della nostra vita e ci invita a spogliarci dei tanti idoli e ad adorare Lui solo. Annunciare, testimoniare, adorare. La Beata Vergine Maria e l’Apostolo Paolo ci aiutino in questo cammino e intercedano per noi. Così sia.



08/02/2015 18:25

Benedetto XVI

da OMELIA Basilica di Sant’Anna, Altötting, 11 settembre 2006  

Un modo essenziale dello stare col Signore è l’Adorazione eucaristica. Altötting, grazie al Vescovo Schraml, ha ottenuto una nuova “camera del tesoro”. Laddove una volta si custodivano i tesori del passato, oggetti preziosi della storia e della pietà, si trova adesso il luogo per il vero tesoro della Chiesa: la presenza permanente del Signore nel suo Sacramento. Il Signore, in una delle sue parabole, ci racconta del tesoro nascosto nel campo. Chi l’ha trovato, così dice a noi, vende tutti i suoi averi per poter comprare il campo, perché il tesoro nascosto supera ogni altro valore. Il tesoro nascosto, il bene sopra ogni altro bene, è il Regno di Dio - è Gesù stesso, il Regno in persona. Nell’Ostia sacra Egli è presente, il vero tesoro, sempre per noi raggiungibile. Solo nell’adorazione di questa sua presenza impariamo a riceverlo in modo giusto -impariamo il comunicarci, impariamo dall'interno la celebrazione dell’Eucaristia. Vorrei citare in questo contesto una bella parola di Edith Stein, la santa Compatrona d’Europa, che scrive in una sua lettera: “Il Signore è presente nel tabernacolo con divinità e umanità. Egli è lì, non per sé stesso, ma per noi: perché è la sua gioia stare con gli uomini. E perché sa che noi, così come siamo, abbiamo bisogno della sua vicinanza personale. La conseguenza per quanti pensano e sentono normalmente è quella di sentirsi attratti e di soffermarsi lì ogniqualvolta e finché è loro concesso” (Gesammelte Werke VII, 136f). Amiamo lo stare col Signore! Là possiamo parlare con Lui di tutto. Possiamo esporgli le nostre domande, le nostre preoccupazioni, le nostre angosce. Le nostre gioie. La nostra gratitudine, le nostre delusioni, le nostre richieste e le nostre speranze. Là possiamo anche ripetergli sempre di nuovo: “Signore, manda operai nella tua messe! Aiutami ad essere un buon lavoratore nella tua vigna!”  

da OMELIA Basilica di San Giovanni in Laterano, 22 maggio 2008 

Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non cischiaccia, ma ci libera e ci trasforma. Ecco perché radunarci, camminare, adorare ci riempie di gioia.  

da OMELIA Basilica di San Giovanni in Laterano, 7 giugno 2012  

Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa , prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti - come spesso avviene - per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana. 

In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre. 

… Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale.  



08/02/2015 18:27

Giovanni Paolo II

Lettera sull'adorazione eucaristica 47° Congresso Eucaristico Internazionale

Roma, 18-25 giugno 2000  

Esorto i cristiani a fare regolarmente visita a Cristo presente nel Santissimo Sacramento dell'altare, poiché noi siamo tutti chiamati a rimanere in modo permanente in presenza di Dio, grazie a Colui che resterà con noi fino alla fine dei tempi. Nella contemplazione i cristiani percepiscono con maggiore profondità che il mistero pasquale è al centro di tutta la vita cristiana.  

  1. Gesù non è più presente in mezzo agli uomini allo stesso modo in cui lo fu lungo le vie della Palestina.  

Dopo la Risurrezione , nel suo corpo glorioso, appar­ve alle donne e ai suoi discepoli. Quindi con­dusse gli Apostoli « fuori verso Betania e, al­zate le mani, li benedisse..., si staccò da loro e fu portato verso il cielo » (Lc 24,50-51). Tuttavia, ascendendo al Padre, Cristo non si è allontanato dagli uomini. Egli resta sem­pre in mezzo ai suoi fratelli e, come ha pro­messo, li accompagna e li guida mediante il suo Spirito.

La sua presenza è ora di un altro ordine. In effetti « nell'ultima cena, dopo aver cele­brato la Pasqua con i suoi discepoli, mentre passava da questo mondo a suo Padre, Cristo istituì questo sacramento come me­moria perpetua della sua passione..., il più grande di tutti i miracoli; a coloro che la sua assenza avrebbe riempito di tristezza, la­sciò questo sacramento come incomparabi­le conforto » (Tommaso d'Aquino, Ufficio del Corpus Domini, 57,4).

Ogni volta che nella Chiesa celebriamo l'Eucaristia, noi ricordiamo la morte del Salvatore, annunciamo la sua risurrezione, nell'attesa della sua venuta. Nessun sacra­mento è dunque più prezioso e più grande di quello dell'Eucaristia; ricevendo la co­munione veniamo incorporati a Cristo. La nostra vita è trasformata e assunta dal Signore.  

  1. Al di fuori della celebrazione euca­ristica, la Chiesa si prende cura di venerare l'Eucaristia che deve essere « conservata... come il centro spirituale della comunità reli­giosa e parrocchiale » (Paolo VI, Mysterium idei, n. 68).  

La contemplazione prolunga la comunio­ne e permette di incontrare durevolmen­te Cristo, vero Dio e vero uomo, di lasciarsi guardare da lui e di fare esperienza della sua presenza. Quando lo contempliamo pre­sente nel Santissimo Sacramento dell'alta­re, Cristo si avvicina a noi e diventa intimo con noi più di quanto lo siamo noi stessi; ci rende partecipi della sua vita divina in un'u­nione che trasforma e, mediante lo Spirito, ci apre la porta che conduce al Padre, come egli stesso disse a Filippo: « Chi ha visto me ha visto il Padre » (Gv 14,9).

La contemplazione, che è anche una co­munione di desiderio, ci associa intimamen­te a Cristo e associa in modo particolare co­loro che sono impossibilitati a riceverlo.

Rimanendo in silenzio dinanzi al Santis­simo Sacramento, è Cristo, totalmente e realmente presente, che noi scopriamo, che noi adoriamo e con il quale stiamo in rapporto.

Non è quindi attraverso i sensi che lo per­cepiamo e gli siamo vicini. Sotto le specie del pane e del vino, è la fede e l'amore che ci portano a riconoscere il Signore, Lui ci co­munica pienamente « i benefici di questa re­denzione che ha compiuto, Lui, il Maestro, il Buon Pastore, il Mediatore più gradito al Padre » (Leone XIII, Mirae caritatis).

Come ricorda il Libro della fede dei Vescovi del Belgio, la preghiera d'adorazio­ne in presenza del Santissimo Sacramento unisce i fedeli «al mistero pasquale; essa li rende partecipi del sacrificio di Cristo di cui l'Eucaristia è il "sacramento permanente"».  

  1. Onorando il Santissimo Sacra­mento, noi compiamo anche una profonda azione di rendimento di grazie che eleviamo al Padre, poiché attraverso suo Figlio egli ha visitato e redento il suo popolo.  

Mediante il sacrificio della Croce, Gesù ha dato la vita al mondo e ha fatto di noi i suoi figli adottivi a sua immagine, instaurando rapporti particolarmente intimi, che ci per­mettono di chiamare Dio col nome di Padre.

Come ci ricorda la Scrittura , Gesù passa­va intere notti a pregare, in particolare nei momenti in cui aveva scelte importanti da fare. Nella preghiera, mediante un gesto di fiducia filiale, imitando il suo Maestro e Si­gnore, il cristiano apre il proprio cuore e le proprie mani per ricevere il dono di Dio e per ringraziarlo dei suoi favori, offerti gra­tuitamente.  

  1. E’ bello intrattenersi con Cristo e, chinati sul petto di Gesù come il discepolo prediletto, possiamo essere toccati dall'a­more infinito del suo Cuore.  

Impariamo a conoscere più a fondo colui che si è donato totalmente, nei diversi misteri della sua vita divina e umana, per diventare discepoli e per entrare, a nostra volta, in quel grande slancio di dono, per la gloria di Dio e la sal­vezza del mondo. «Seguire Cristo non è un'imitazione esteriore, perché tocca l'uomo nella sua profonda intimità » (Veritatis splendor, n. 21). Noi siamo invitati a seguire il suo insegnamento, per essere poco a po­co configurati a lui, per permettere al­lo Spirito di agire in noi e per realizzare la missione che ci è stata affidata. In particola­re, l'amore di Cristo ci spinge a operare in­cessantemente per l'unità della sua Chiesa, per l'annuncio del Vangelo fino ai confini della terra e per il servizio degli uomini: «noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo; tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1Cor 10,17): è questa la Buona Notizia che fa gioire il cuore dell'uomo e gli mostra che è chiamato a prendere parte alla vita beata con Dio.

Il mistero eucaristico è la fonte, il centro e il culmine dell'attività spirituale e caritati­va della Chiesa (cf: Presbyterorum ordinis, n. 6).

E’ intimità divina con Cristo, nel silenzio della contemplazione, non ci allontana dai nostri contemporanei, ma, al contrario, ci rende attenti e aperti alle gioie e agli affan­ni degli uomini e allarga il cuore alle di­mensioni del mondo. Essa ci rende solidali verso i nostri fratelli in umanità, in particolare verso i più piccoli, che sono i prediletti del Signore.

Attraverso l'adorazione, il cristiano con­tribuisce misteriosamente alla trasforma­zione radicale del mondo e alla diffusione del Vangelo. Ogni persona che prega il Sal­vatore trascina dietro di sé il mondo intero e lo eleva a Dio.

Coloro che s'incontrano con il Signore svolgono dunque un eminente servizio; es­si presentano a Cristo tutti coloro che non lo conoscono o che sono lontani da lui; essi vegliano dinanzi a lui, in loro nome.  

  1. In occasione di questo giubileo, incoraggio i sacerdoti a ravvivare il ricordo della loro ordinazione sacerdotale, median­te la quale Cristo li ha chiamati a partecipa­re in modo particolare al suo unico sacer­dozio, soprattutto nella celebrazione del sacrificio eucaristico e nell'edificazione del suo corpo mistico che è la Chiesa.  

Che essi ricordino le parole pronuncia­te dal Vescovo nel corso della liturgia del­la loro ordinazione: « Prendete coscienza di ciò che farete, vivete ciò che compire­te, e conformatevi al mistero della Croce del Signore »!

Attingendo alla fonte dei santi misteri mediante tempi di contemplazione fedeli e regolari, essi ricaveranno frutti spirituali per la loro vita personale e per il loro mini­stero e potranno, a loro volta, rendere il po­polo cristiano a loro affidato atto a cogliere la grandezza « della loro partecipazione pe­culiare al sacerdozio di Cristo » (Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo, 1996).  

  1. «I fedeli, quando adorano Cristo presente nel Santissimo Sacramento, devono ricordarsi che questa presenza de­riva dal Sacrificio e tende alla comunione sia sacramentale che spirituale» (Congre­gazione dei Riti, Istruzione sul culto del­l'Eucaristia, n. 50).  

Esorto dunque i cristiani a fare regolar­mente visita a Cristo presente nel San­tissimo Sacramento dell'altare, poiché noi siamo tutti chiamati a rimanere in modo per­manente in presenza di Dio, grazie a Colui che resterà con noi fino alla fine dei tempi.

Nella contemplazione i cristiani perce­piscono con maggiore profondità che il mistero pasquale è al centro di tutta la vita cristiana. Questo cammino li porta a unirsi più intensamente al mistero pasquale e a fare del sacrificio eucaristico, dono perfet­to, il centro della loro vita, secondo la loro vocazione specifica, in quanto esso confe­risce al popolo cristiano una dignità in­comparabile (cfr. Paolo VI, Mysterium Fi­dei, n. 67).

In effetti, con il dono dell'Eucaristia, noi siamo accolti da Cristo, riceviamo il suo perdono, ci nutriamo della sua parola e del suo pane e siamo quindi inviati in missione nel mondo; ognuno è così chiamato a ren­dere testimonianza di ciò che ha ricevuto e a fare lo stesso con i suoi fratelli.

I fedeli rafforzano la loro speranza sco­prendo che, con Cristo, la sofferenza e la disperazione possono essere trasfigurate, poiché, con Lui, noi siamo già passati dalla morte alla vita. Pertanto, quando essi offro­no al Maestro della Storia la loro vita, il loro lavoro e tutta la creazione, allora le loro giornate vengono illuminate.  

  1. Raccomando ai sacerdoti, ai reli­giosi e alle religiose, così come ai laici, di proseguire e d'intensificare i loro sforzi per insegnare alle giovani generazioni il senso e il valore dell'adorazione e della de­vozione eucaristiche.  

Come potranno i giovani conoscere il Signore se non vengono introdotti al miste­ro della sua presenza? Come il giovane Sa­muele, imparando le parole della preghiera del cuore, essi saranno più vicini al Signore che li accompagnerà nella loro crescita spi­rituale e umana e nella testimonianza mis­sionaria che dovranno rendere per tutta la loro esistenza.

Il mistero eucaristico è in effetti il «cul­mine di tutta l'evangelizzazione»(Lumen gentium, n. 28), poiché è la testimonianza più eminente della Risurrezione di Cristo. Tutta la vita interiore ha bisogno di silenzio e d'intimità con Cristo per crescere. Questa familiarità progressiva con il Signore per­metterà ad alcuni giovani d'impegnarsi nel servizio dell'accolitato e di partecipare più attivamente alla Messa; stare presso l'alta­re è per i giovani anche un'occasione privi­legiata per ascoltare la chiamata di Cristo e seguirlo più radicalmente nel ministero sa­cerdotale.

Lettera inviata dal Santo Padre al Vescovo di Liegi in occasione del 750° anniversario della festa del SS. Corpo e Sangue di Cristo - 28 maggio 1996  



08/02/2015 18:29

Giovanni Paolo I



Durante l'Angelus del 10 settembre 1978

“Noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E’ papà; più ancora è madre”.

Conversazione sulla preghiera :“Io non sono un mistico” di Albino Luciani, quando era vescovo di Vittorio Veneto.

Il Signore ci fa tante raccomandazioni, nel Vangelo, sulla preghiera. L’insistenza. Non basta domandare una volta. Non è come suonare il pianoforte: tocchi il tasto, ne esce il suono. «Signore, dammi questa grazia». Pronti, servito! A tamburo battente. Non è così. Il Signore stesso ha detto che non è così. Voglio che domandiate. Ha raccontato anche la parabola. C’era un giudice iniquo in una città. Non gliene importava niente né di Dio né dei poveri mortali. Una vedova andava ogni giorno da lui: «Rendimi giustizia, rendimi giustizia!». «Via, Via! Non ho tempo, non ho tempo». Ma la vedova tornava. Finalmente un giorno il giudice ha detto tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho nessun riguardo per gli uomini, poiché questa vedova viene sempre ad importunarmi e non mi lascia più in pace, le voglio fare giustizia, così non l’avrò più tra i piedi». Conclusione di Gesù Cristo: questo lo fa un giudice iniquo e per un motivo egoistico, e il Padre vostro, quando voi insisterete nel domandargli che vi faccia giustizia, il Padre vostro dei cieli, che vi ama, non ve lo farà?
E abbiamo già sentito dal Concilio: Bisogna pregare sempre: pregare senza interruzione. Il nostro primo dovere è di insegnare alla gente a pregare, perché quando abbiamo dato loro questo mezzo potente, si arrangiano anche loro ad ottenere le grazie del Signore. Io non posso fare un trattato sulla preghiera, anche perché forse ne sapete più di me. Accennerò solo a qualche cosa. Forse battiamo molto sulla preghiera di petizione: «Signore, ricordati di me; Signore perdonami!». Bellissimo! Però Gesù quando ci ha insegnato il Pater noster, ci ha detto: «Pregate così», e la sua preghiera l’ha divisa in due parti. La prima: «Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà». È questa la parte che riguarda il nostro rapporto con Dio. Solo dopo si passa alla seconda: «Dacci il nostro pane, ecc.». Quindi anche nelle proprie preghiere si deve seguire questo metodo: fare prima la preghiera di adorazione, di lode, di ringraziamento; e solo dopo quella di domanda.
Nelle epistole di san Paolo: «Gratias agamus, Deo gratias, Deo autem gratias...». Queste espressioni, non le ho contate io, ricorrono più di centocinquanta volte. San Paolo rende grazie continuamente. Ma osservate anche le altre preghiere: «Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te». Dopo viene la domanda: «Prega per noi, peccatori». Prima si fa un bel complimento alla Madonna. Bisogna essere diplomatici: si fa una lode, e poi si chiede. Anche gli oremus antichi, non quelli moderni, hanno tutti all’inizio la lode, il complimento. «Deus qui corda fidelium Sancti Spiritus illustratione docuisti...», fatta una bella lode: «da nobis quaesumus...», viene la domanda. Invece: «Concede nobis, famulis tuis...», questo è un oremus moderno; comincia subito col domandare qualcosa. Non ha capito niente, non ha capito niente, chi lo ha composto.
E anche le litanie della Madonna: «Mater purissima», l’elogio, «ora pro nobis», la domanda; tutte così. Questo metodo dobbiamo usarlo nelle nostre preghiere. Preoccuparsi un po’ anche... Non ha bisogno il Signore delle nostre preoccupazioni, ma gli fa certamente piacere che ci occupiamo un po’ di lui. C’è un libro molto bello di padre Faber: Tutto per Gesù; non è “alto”, cose umili; e dice proprio che bisogna preoccuparsi degli interessi di Dio, prima che degli interessi nostri. Dicevo: l’adorazione: «Tu sei lassù, o Dio immenso onnipotente, e io sono qui, piccolo piccolo, Signore», questo senso di adorazione, di stupore davanti a Dio. «Ti devo tutto, Signore!». Il ringraziamento. Il sentirsi sempre piccoli, miseri, davanti a Dio. Bisogna aiutarli, i fedeli, ad adorare, a ringraziare il Signore. Nessuno è grande davanti a Dio. Davanti a Dio anche la Madonna s’è sentita guardata, piccola.
È importantissimo sentirci guardati da Dio. Sentirci oggetto dell’amore che Dio ci porta. San Bernardo, quand’era piccolissimo, in una notte di Natale, s’è addormentato in chiesa e ha sognato. Gli è parso di vedere Gesù bambino che diceva, additandolo: «Eccolo là, il mio piccolo Bernardo, il mio grande amico». S’è svegliato, ma l’impressione di quella notte non si è più cancellata e ha avuto un’enorme influenza sulla sua vita. Sentiamoci piccoli, perché siamo piccoli. Se non ci sentiamo piccoli è impossibile la fede. Chi alza la cresta, chi si vanta troppo, non ha fiducia in Dio. Tu sei grandissimo, Signore, io, di fronte a te, piccolissimo. Non mi vergogno di dirlo. E farò volentieri quello che mi chiedi. Tanto più che non chiedi per prendere, ma per dare, non chiedi a vantaggio tuo, ma nell’interesse mio! Manzoni dice: «L’uomo, mai è più grande di quando si inginocchia davanti a Dio». Nelle preghiere che si fanno manca sempre di più quello che è il senso dell’adorazione. È invece uno degli atteggiamenti fondamentali di tutta la religione cristiana.
Quali preghiere e con quale metodo? Voi siete maestri in Israele; sapete che la preghiera più bella è, per sé, quella passiva, dove ci si abbandona all’azione della grazia. Così è di qualche anima che viene addirittura catturata da Dio, lavorata, dominata, santificata. È la cosiddetta preghiera mistica, di quelli che si danno alla contemplazione. E su questo non posso dirvi niente, perché sinceramente io non sono un mistico. Mi dispiace. L’ho insegnato anche a scuola, ho studiato i vari sistemi, le varie tendenze, i carmelitani di qua, i gesuiti di là... Però santa Teresa, che era una donna molto esperta, dice: «Io ho conosciuto dei santi, dei veri santi, che non erano contemplativi, e ho conosciuto dei contemplativi che avevano grazie di orazione superiore, che però non erano santi». Il che vuol dire che, «salvo meliore iudicio», non sarebbe necessaria la contemplazione alla santità. Sulla contemplazione quindi non posso perciò intrattenervi, perché sinceramente non me ne intendo, anche se ho letto qualche libro. Perciò mi fermo alla semplice orazione, quella umile, quella delle anime semplici.
Io mi spiego di solito con un esempio molto semplice e pratico. Sentite: c’è il papà che festeggia l’onomastico: in casa hanno organizzato un po’ di festicciola. Arriva il momento: lui sa già di che si tratta, e dice: «Adesso vediamo cosa mi fanno di bello!». Per primo viene il più piccolo dei suoi bambini: gli hanno insegnato la poesia a memoria. Povero piccolo! È lì di fronte al papà, recita la sua poesia. «Bravo!», dice il papà, «ho tanto piacere, ti sei fatto onore, grazie, caro». A memoria. Va via il piccolino, e si presenta il secondo figliolo, che fa già le medie. Ah, non si è mica degnato di imparare una poesiola a memoria; ha preparato un discorsetto, roba sua, farina del suo sacco. Magari breve, ma si impanca da oratore. «Non avrei mai creduto», il papà, «che tu fossi così bravo a far discorsi, caro». È contento il papà: ma guarda che bei pensieri!... Non sarà un capolavoro, ma... Terza, la signorina, la figliola. Questa ha preparato semplicemente un mazzetto di garofani rossi. Non dice niente. Va davanti al papà, neanche una parola: però è commossa, è così rossa che non si sa se sia più rossa lei o i garofani. E il papà le dice: «Si vede che mi vuoi bene, sei così emozionata». Ma neanche una parola. Però i fiori li gradisce, specialmente perché la vede tanto commossa e così piena di affetto. Poi c’è la mamma, c’è la sposa. Non dà niente. Lei guarda suo marito e lui guarda lei: semplicemente uno sguardo. Sanno tante cose. Quello sguardo rievoca tutto un passato, tutta una vita. Il bene, il male, le gioie, i dolori della famiglia. Non c’è altro.
Sono i quattro tipi di orazione. Il primo è l’orazione vocale: quando dico il rosario con attenzione, quando dico il Pater noster, l’Ave Maria; allora siamo dei bambini. Il secondo, il discorsetto, è la meditazione. Penso io e faccio il mio discorso col Signore: bei pensieri e anche profondi affetti, intendiamoci. Il terzo, il mazzo di garofani, è l’orazione affettiva. La ragazzina tanto emozionata e tanto affettuosa. Qui non occorrono molti pensieri, basta lasciar parlare il cuore. «Mio Dio, ti amo». Se uno fa anche solo cinque minuti di orazione affettiva, fa meglio che la meditazione. Quarto, la sposa, è l’orazione della semplicità o di semplice sguardo, come si dice. Mi metto davanti al Signore, e non dico niente. In qualche maniera lo guardo. Sembra che valga poco, questa preghiera, invece può essere superiore alle altre. Fate qualche considerazione su ciascuna di queste forme di preghiera. Anche la prima. Si dice: è un bambino, comincia appena. Ma santa Teresa scrive: si può diventar santi con la prima orazione. Certa povera gente non ha imparato a meditare, ma dice bene le preghiere, con cuore, le preghiere vocali. Santa Bernadette è diventata santa solo per questo. Diceva bene il rosario, ubbidiva alla sua mamma. È diventata santa.
Ed ora lasciate che vi raccomandi la devozione alla Madonna, giacché devo fare un cenno al rosario, che in parte è una preghiera vocale. Il rosario è anche la Bibbia dei poveri. Mai tralasciare il rosario, e recitarlo bene. Io sono molto preoccupato dei miei fedeli: ce ne sono ancora di quelli che fanno la preghiera in casa, ma non dicono più il rosario. Quando i figli in famiglia vedono il papà che prega, che prega insieme a tutti, questo ha un effetto sull’educazione, che le nostre prediche non avranno mai, siatene certi. Quindi nella visita pastorale faccio anche questa domanda: «Recitano la preghiera in casa?». Purtroppo pregano poco. Peccato! Allora lo dico in chiesa: «Fate il piacere! Dovete guardare la televisione, capisco. Ma se non potete dire il rosario, tutte le cinque poste, ditene almeno una, dieci Ave Maria, un mistero solo. Vi raccomando tanto, almeno questo. E anche voi insistete sulla devozione alla Madonna. Un giorno mi hanno anche chiesto, sono curiose queste pie anime: «Lei quale Madonna preferisce? Quella del Carmine? Perché, vede, io sono devota della Madonna del Carmine». È gente piuttosto alla buona e io ho risposto: «Se lei mi permette un consiglio, io le suggerirei la Madonna dei piatti, delle scodelle e delle minestre». Guardate che la Madonna si è fatta santa senza visioni, senza estasi, si è fatta santa con queste piccole cose di lavoro quotidiano. Volevo dire: molta devozione alla Madonna. Sì al rosario, la fiducia in lei, ma anche l’imitazione delle sue virtù. Quindi non stancatevi di raccomandare la devozione a Maria.
[Modificato da MARIOCAPALBO 08/02/2015 18:30]

08/02/2015 18:32

Giovanni XXIII

ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII
Arcibasilica Lateranense
Domenica, 24 giugno 1962
Venerabili Fratelli, diletti figli!
Di commossa e singolare letizia Ci è motivo questa visita al Laterano nel vespero della festa di S. Giovanni. Di fatto, nella vita orante della Chiesa universale precede e primeggia l'adorazione e la glorificazione della Santissima Trinità Augusta : Padre, Figlio e Spirito Santo. Segue, a debita distanza liturgica, e nella luce della stessa Trinità, la venerazione a Maria, Madre di Gesù Salvatore nostro, e, per questo titolo, potente e soavissima nostra Madre.
…….Noi siamo ora presso le soglie del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo. La recente Nostra lettera ai figli di Roma vi ha dato certo un'espressione del sospiro sacerdotale del vostro Pastore, del vostro Vescovo, della sua ansia perché quanti, ecclesiastici e cattolici, di umile o di alta distinzione, animati da fervido zelo pastorale, venuti sulle rive del Tevere siano edificati e presi di ammirazione innanzi alla attualità — meglio alla modernità, si direbbe — degli apprestamenti di cui il governo della diocesi si giova ad efficacia sicura delle iniziative per l'accostamento dei fedeli, per lo sviluppo delle molteplici iniziative convergenti tutte verso la assistenza spirituale che dalle singole parrocchie si dispiega, e da tutte insieme si accentra in un punto di immediato e pronto contatto, come intorno ad unico focolare.
Ecco, il Capo della Chiesa Universale, dalla Basilica Vaticana, presso la tomba di S. Pietro, nell'ampiezza ora accresciuta dei Palazzi Apostolici, ha modo di governare e di tenersi in rapporto con i Vescovi e con i popoli di tutto il mondo.
Oh! se il Papa, Vescovo di Roma, raccogliendo gli uffici dell'amministrazione diocesana, presso questa sua cattedrale basilica,Lateranum fulgens e disponendo dei palazzi che la circondano, potesse radunare qui, con più grande larghezza di respiro, tutta, o quasi, la organizzazione della diocesi di Roma! Oggi il Laterano non si trova più sui margini dell'Urbe, ma ne è avviluppato, come da centro operoso.
È naturale, diletti figli, che questa prospettiva di una rinnovata organizzazione ecclesiastica e pastorale più conforme alle circostanze dell'urbanesimo di una Roma religiosa e civile, che non è più quella di sessant'anni orsono, quando incominciammo a conoscerla, e contava quattrocentomila abitanti.
Ma una città che soverchia i due milioni di anime e vuol accostarsi ai tre, chieda qualche sforzo e il buon incoraggiamento a fortificarne il proposito. La sua attuazione avrebbe benefiche ripercussioni per la robustezza e l'esercizio del sentimento religioso, a salute, a prosperità, a sviluppo, e ad onore di quei principii cristiani che fecero grande Roma nei secoli.
Vi lasciamo, diletti figli, questo lieve accenno di un voto che la festa di S. Giovanni Ci ha suggerito. Anche se i Nostri occhi non potranno vederne il compimento, la coscienza di buon pastore ha sin d'ora, ed avrà sempre, letizia e benedizione.


08/02/2015 18:34

Paolo VI

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
PAOLO PP. VI

MYSTERIUM FIDEI

SULLA DOTTRINA
E IL CULTO DELLA SS. EUCARISTIA

3 settembre 1965

Lettera enciclica ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi,
Vescovi e agli altri Ordinari dei luoghi in pace e comunione con la Sede Apostolica,
e al clero e ai fedeli di tutto il mondo cattolico.

VENERABILI FRATELLI E DILETTI FIGLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

1. La Chiesa Cattolica ha sempre religiosamente custodito come preziosissimo tesoro l'ineffabile mistero di fede che è il dono dell'Eucaristia, largitole da Cristo suo Sposo come pegno del suo immenso amore, e ad esso nel Concilio Vaticano II ha tributato una nuova e solennissima professione di fede e di culto.

2. Difatti i Padri del Concilio, trattando della restaurazione della Sacra Liturgia, per la loro sollecitudine a favore della Chiesa universale niente hanno avuto più a cuore che esortare i fedeli affinché con integra fede e somma pietà partecipino attivamente alla celebrazione di questo Sacrosanto Mistero, offrendolo unitamente al sacerdote come sacrificio a Dio per la salvezza propria e di tutto il mondo e nutrendosi di esso come spirituale alimento.

3. Giacché se la Sacra Liturgia occupa il primo posto nella vita della Chiesa, il Mistero Eucaristico è come il cuore e il centro della Sacra Liturgia, in quanto è la fonte di vita che ci purifica e ci corrobora in modo che viviamo non più per noi, ma per Dio, e tra noi stessi ci uniamo col vincolo strettissimo della carità.

4. E affinché sia evidente l'intimo nesso tra la fede e la pietà, i padri del Concilio, confermando la dottrina che la Chiesa ha sempre sostenuto e insegnato e il Concilio di Trento ha solennemente definito, hanno voluto premettere alla trattazione del sacrosanto Mistero Eucaristico questa sintesi di verità: « Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio Eucaristico del suo corpo e del suo sangue, a perpetuare così il sacrificio della Croce nei secoli fino al suo avvento, lasciando in tal modo alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, in cui si riceve Cristo, l'anima si riempie di grazia e ci si largisce il pegno della gloria futura ».

5. Con queste parole si esaltano insieme il Sacrificio, che appartiene all'essenza della Messa celebrata quotidianamente, e il Sacramento, di cui i fedeli partecipano con la santa Comunione mangiando la carne di Cristo e bevendone il sangue, ricevendo la grazia, che è anticipazione della vita eterna; e la «medicina dell'immortalità », secondo le parole del Signore: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.

6. Dalla restaurazione dunque della Sacra Liturgia Noi speriamo fermamente che scaturiranno copiosi frutti di pietà Eucaristica, affinché la santa Chiesa, elevando questo salutifero segno di pietà, progredisca ogni giorno verso la perfetta unità e inviti tutti quelli che si gloriano del nome cristiano all'unità della fede e della carità, attraendoli soavemente sotto l'azione della grazia divina.

7. Ci sembra di intravedere questi frutti e quasi di gustarne le primizie nell'aperta gioia e prontezza d'animo, con cui i figli della Chiesa Cattolica hanno accolto la Costituzione della Sacra Liturgia restaurata; e anche in molte e ben elaborate pubblicazioni destinate a investigare più profondamente e a conoscere con maggiore frutto la dottrina intorno alla SS. Eucaristia, specialmente per quel che riguarda la sua connessione col mistero della Chiesa.

8. Tutto questo è per Noi motivo di non poca consolazione e gaudio, che vogliamo comunicare anche a voi, Venerabili Fratelli, con grande piacere, perché anche voi insieme con Noi rendiate grazie a Dio, largitore di ogni bene, che col suo Spirito governa la Chiesa e la feconda di crescenti virtù.

Motivi di sollecitudine pastorale e di ansietà

9. Tuttavia, Fratelli Venerabili, non mancano, proprio nella materia che ora trattiamo, motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere.

10. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l'animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede, come se a chiunque fosse lecito porre in oblio la dottrina già definita dalla Chiesa, oppure interpretarla in maniera che il genuino significato delle parole o la riconosciuta forza dei concetti ne restino snervati.

11. Non è infatti lecito, tanto per portare un esempio, esaltare la Messa così detta «comunitaria» in modo da togliere importanza alla Messa privata; né insistere sulla ragione di segno sacramentale come se il simbolismo, che tutti certamente ammettono nella ss. Eucaristia, esprimesse esaurientemente il modo della presenza di Cristo in questo Sacramento; o anche discutere del mistero della transustanziazione senza far cenno della mirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue di Cristo, conversione di cui parla il Concilio di Trento, in modo che essi si limitino soltanto alla «transignificazione» e «transfinalizzazione» come dicono; o finalmente proporre e mettere in uso l'opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente.

12. Ognuno vede come in tali opinioni o in altre simili messe in giro la fede e il culto della divina Eucaristia sono non poco incrinati.

13. Affinché dunque la speranza, suscitata dal Concilio, di una nuova luce di pietà Eucaristica, che investe tutta la Chiesa, non sia frustrata e inaridita dai semi già sparsi di false opinioni, abbiamo deciso di parlare di questo grave argomento a voi, Venerabili Fratelli, comunicandovi sopra di esso il Nostro pensiero con apostolica autorità.

14. Certamente noi non neghiamo in coloro che divulgano tali opinioni il desiderio non disprezzabile di scrutare un sì grande Mistero, sviscerandone le inesauribili ricchezze e svelandone il senso agli uomini del nostro tempo; anzi riconosciamo e approviamo quel desiderio; ma non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede.

La SS. Eucaristia è un mistero di fede

15. Anzitutto vogliamo ricordare una verità, a voi ben nota, ma assai necessaria a respingere ogni veleno di razionalismo, verità che molti cattolici hanno suggellato col proprio sangue e che celebri Padri e Dottori della Chiesa costantemente hanno professato e insegnato, che cioè l'Eucaristia è un altissimo mistero, anzi propriamente, come dice la Sacra Liturgia, il mistero di fede: « In esso solo infatti, come molto saggiamente dice il Nostro Predecessore Leone XIII di f. m., sono contenute con singolare ricchezza e varietà di miracoli, tutte le realtà soprannaturali ».

16. È dunque necessario che specialmente a questo mistero ci accostiamo con umile ossequio non seguendo umani argomenti, che devono tacere, ma aderendo fermamente alla divina Rivelazione.

17. San Giovanni Crisostomo, il quale, come sapete, trattò, con tanta elevatezza di linguaggio e con tanto acume di pietà, del Mistero Eucaristico, istruendo una volta i suoi fedeli intorno a questa verità, si espresse in questi appropriati termini: «Inchiniamoci a Dio senza contraddirgli, anche se ciò che Egli dice possa sembrare contrario alla nostra ragione e alla nostra intelligenza; ma prevalga sulla nostra ragione e intelligenza la sua parola. Così anche comportiamoci riguardo al Mistero [eucaristico], non considerando solo quello che cade sotto i sensi, ma stando alle sue parole: giacché la sua parola non può ingannare ».

18. Identiche affermazioni hanno fatto spesso i Dottori scolastici. Che in questo Sacramento sia presente il vero corpo e il vero sangue di Cristo, « non si può apprendere coi sensi, dice san Tommaso, ma con la sola fede, la quale si appoggia alla autorità di Dio. Per questo, commentando il passo di san Luca 22,19: Questo è il mio corpo che viene dato per voi,Cirillo dice: Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto accetta con fede le parole del Salvatore: perché essendo egli la verità, non mentisce ».

19. Pertanto, facendo eco al Dottore Angelico, il popolo cristiano canta frequentemente: « Visus, tactus, gustus in te fallitur. Sed auditu solo tuto creditur: credo quidquid dixit Dei Filius: nil hoc verbo veritatis verius ».

20. Ma c'è di più. San Bonaventura afferma: « Che Cristo sia nel Sacramento, come in un segno, non offre difficoltà alcuna; ma che vi sia realmente, come in cielo, ecco ciò che presenta una difficoltà grandissima: il crederlo, quindi, è sommamente meritorio ».

21. Del resto la stessa cosa accenna l'Evangelo quando racconta che molti dei discepoli di Cristo, udito il discorso della carne da mangiare e del sangue da bere, voltarono le spalle e abbandonarono il Signore dicendo: Questo discorso è duro e chi può ascoltarlo? E domandando Gesù se anche i dodici volessero andarsene, Pietro affermò con slancio e fermezza la fede sua e degli Apostoli con la mirabile risposta:Signore, da chi ce ne andremo?Tu hai parole di vita eterna.

22. È logico dunque che noi seguiamo come una stella nell'investigare questo Mistero il Magistero della Chiesa, a cui il divin Redentore ha affidato la parola di Dio scritta o trasmessa oralmente perché la custodisca e la interpreti, convinti che « anche se non si indaghi con la ragione, anche se non si spieghi con la parola, rimane tuttavia vero ciò che fin dall'antichità con verace fede cattolica si predica e si crede in tutta la Chiesa ».

23. Ma non basta. Salva infatti l'integrità della fede, è necessario anche serbare un esatto modo di parlare, affinché usando parole incontrollate non ci vengano in mente, che Dio non permetta, false opinioni riguardo alla fede dei più alti misteri. Torna a proposito il grave monito di sant'Agostino quando considera il diverso modo di parlare dei filosofi e del Cristiano: « I filosofi, egli dice, parlano liberamente senza timore di offendere orecchi religiosi in cose molto difficili a capirsi. Noi invece dobbiamo parlare secondo una regola determinata, per evitare che la libertà di linguaggio ingeneri qualche opinione empia anche intorno al significato della parola ».

24. La norma di parlare dunque,che la Chiesa con lungo secolare lavoro, non senza l'aiuto dello Spirito Santo, ha stabilito, confermandola con l'autorità dei Concili, norma che spesso è diventata la tessera e il vessillo della ortodossia della fede, dev'essere religiosamente osservata; né alcuno, secondo il suo arbitrio o col pretesto di nuova scienza, presuma di cambiarla. Chi mai potrebbe tollerare che le formule dogmatiche usate dai Concili Ecumenici per i misteri della SS. Trinità e dell'Incarnazione siano giudicate non più adatte agli uomini del nostro tempo ed altre siano ad esse temerariamente surrogate? Allo stesso modo non si può tollerare che un privato qualunque possa attentare di proprio arbitrio alle formule con cui il Concilio Tridentino ha proposto a credere il Mistero Eucaristico. Poiché quelle formule, come le altre di cui la Chiesa si serve per enunciare i dogmi di fede, esprimono concetti che non sono legati a una certa forma di cultura, non a una determinata fase di progresso scientifico, non all'una o all'altra scuola teologica, ma presentano ciò che l'umana mente percepisce della realtà nell'universale e necessaria esperienza: e però tali formule sono intelligibili per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

25. Invero quelle formule possono fruttuosamente spiegarsi più chiaramente e più largamente, mai però in senso diverso da quello in cui furono usate, sicché progredendo l'intelligenza della fede rimanga intatta la verità di fede. Difatti il Concilio Vaticano I insegna che nei sacri dogmi « si deve sempre ritenere quel senso, che una volta per sempre ha dichiarato la santa madre Chiesa e mai è lecito allontanarsi da quel senso sotto lo specioso pretesto di più profonda intelligenza ».

Il Mistero Eucaristico si realizza nel Sacrificio della Messa

26. Ora, a comune edificazione e letizia, Ci piace, Venerabili Fratelli, richiamare la dottrina che la Chiesa Cattolica possiede della tradizione e insegna con unanime consenso.

27. Giova anzitutto ricordare quello che è come la sintesi e l'apice di questa dottrina, che cioè nel Mistero Eucaristico è rappresentato in modo mirabile il Sacrificio della Croce una volta per sempre consumato sul Calvario; vi si richiama perennemente alla memoria e ne viene applicata la virtù salutifera in remissione dei peccati che si commettono quotidianamente.

28. Nostro Signore Gesù Cristo istituendo il Mistero Eucaristico, ha sancito col suo sangue il nuovo Testamento di cui egli è Mediatore, come già Mosè aveva sancito il Vecchio col sangue dei vitelli. Difatti, come racconta l'Evangelista, nell'ultima Cena preso il pane, rese grazie e lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo dato per voi: fate questo in memoria di me. Similmente prese il calice, dopo la cena, dicendo: Questo è il calice del Nuovo Testamento nel mio sangue, sparso per voi. Ordinando agli Apostoli di far questo in sua memoria, volle perciò stesso che la cosa si rinnovasse in perpetuo. E la Chiesa nascente l'ha fedelmente eseguito perseverando nella dottrina degli Apostoli e radunandosi per celebrare il Sacrificio Eucaristico. Erano poi tutti perseveranti, attesta accuratamente san Luca, nella dottrina degli Apostoli e nella comunione della frazione del pane e nella preghiera. E tanto era il fervore che i Fedeli ne ricevevano che si poteva dire di loro:La moltitudine dei credenti era un cuor solo e un'anima sola.

29. E l'Apostolo Paolo, che ci ha tramandato fedelissimamente quello che aveva ricevuto dal Signore, parla apertamente del Sacrificio Eucaristico quando dimostra che i cristiani non possono partecipare ai sacrifici dei pagani, proprio perché sono stati fatti partecipi della mensa del Signore. Il calice di benedizione che benediciamo, egli dice, non è forse la comunione del sangue di Cristo? E il pane che spezziamo non è forse partecipazione del corpo di Cristo?... non potete bere il calice di Cristo e i1 calice dei demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni. Questa nuova oblazione del Nuovo Testamento, che Malachia aveva preannunziato, la Chiesa, ammaestrata dal Signore e dagli Apostoli, l'ha sempre offerta, « non solo per i peccati, le pene, le espiazioni ed altre necessità dei fedeli viventi, ma anche a suffragio dei defunti in Cristo non ancora del tutto purificati ».

30. Per tacere di altre testimonianze vogliamo ricordare solo quella di san Cirillo di Gerusalemme il quale, istruendo i neofiti nella fede cristiana, uscì in queste memorabili parole: « Dopo compiuto il sacrificio spirituale, rito incruento, sopra quell'ostia di propiziazione noi supplichiamo Dio per la pace universale della Chiesa, per il retto ordine del mondo, per l'imperatore, per gli eserciti e gli alleati, per i malati, per gli afflitti e in generale preghiamo noi tutti per tutti coloro che han bisogno di aiuto e offriamo questa vittima... e preghiamo anche per i santi padri e vescovi e in generale per tutti quelli che in mezzo a noi sono morti, convinti che questo sarà di sommo giovamento a quelle anime per le quali si eleva la preghiera mentre qui è presente la vittima santa e tremenda ». Confermando la cosa con l'esempio della corona intrecciata per l'imperatore per ottenere il suo perdono agli esiliati, lo stesso santo Dottore così conclude: « Allo stesso modo anche noi offriamo preghiere a Dio per i defunti, anche peccatori; non gli intrecciamo una corona, ma gli offriamo in sconto dei nostri peccati Cristo immolato, cercando di rendere Dio clemente per noi e per loro».

31. Sant'Agostino attesta che la consuetudine di offrire il sacrificio della nostra redenzione anche per i defunti vigeva nella Chiesa Romana e nello stesso tempo attesta che quella consuetudine, come tramandata dai Padri, si osservava in tutta la Chiesa.

32. Ma c'è un'altra cosa che, essendo assai utile ad illustrare il mistero della Chiesa, Ci piace di aggiungere, cioè la Chiesa fungendo in unione con Cristo da sacerdote e da vittima, offre tutta intera il Sacrificio della Messa e tutta intera vi è offerta. Questa mirabile dottrina già insegnata dai Padri, recentemente esposta dal Nostro Predecessore Pio XII di f.m., ultimamente espressa dal Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla Chiesa, a proposito del popolo di Dio, Noi ardentemente desideriamo che sia sempre più spiegata e più profondamente inculcata nell'animo dei fedeli, salva però, com'è giusto, la distinzione, non solo di grado, ma anche di natura, che passa tra il sacerdozio dei fedeli e quello gerarchico. Tale dottrina infatti è quanto mai adatta ad alimentare la pietà Eucaristica, ad esaltare la dignità di tutti i fedeli, nonché a stimolare l'animo a toccare il vertice della santità, che altro non è che mettersi tutto a servizio della divina Maestà con una generosa oblazione di sé.

33. Inoltre bisogna richiamare la conclusione che scaturisce da questa dottrina circa « l'indole pubblica e sociale di ogni Messa ». Giacché ogni Messa, anche se privatamente celebrata da un sacerdote, non è tuttavia cosa privata, ma azione di Cristo e della Chiesa, la quale nel sacrificio che offre, ha imparato ad offrire sé medesima come sacrificio universale, applicando per la salute del mondo intero l'unica e infinita virtù redentrice del sacrificio della Croce. Poiché ogni Messa celebrata viene offerta non solo per la salvezza di alcuni, ma anche per la salvezza di tutto il mondo. Ne consegue che, se è sommamente conveniente che alla celebrazione della Messa partecipi attivamente gran numero di fedeli, tuttavia non è da riprovarsi, anzi da approvarsi, la Messa celebrata privatamente, secondo le prescrizioni e le tradizioni della santa Chiesa, da un Sacerdote col solo ministro inserviente; perché da tale Messa deriva grande abbondanza di particolari grazie, a vantaggio sia dello stesso sacerdote, sia del popolo fedele e di tutta la Chiesa, anzi di tutto il mondo, grazie che non si possono ottenere in uguale misura mediante la sola Comunione.

34. Raccomandiamo dunque con paterna insistenza ai sacerdoti, che sono in modo particolare Nostro gaudio e Nostra corona nel Signore, affinché memori del potere ricevuto dal Vescovo consacrante, di offrire cioè a Dio il Sacrificio, di celebrare Messe sia per i vivi che per i defunti nel nome del Signore, celebrino la Messa ogni giorno degnamente e con devozione, perché essi stessi e gli altri fedeli cristiani usufruiscano dell'applicazione dei copiosi frutti provenienti dal sacrificio della Croce. In tal modo contribuiranno molto anche alla salvezza del genere umano.

Nel sacrificio della Messa Cristo si fa presente sacramentalmente

35. Quello che abbiamo detto brevemente intorno al Sacrificio della Messa Ci porta a dire qualche cosa anche del Sacramento dell'Eucaristia, facendo parte Sacrificio e Sacramento dello stesso mistero, sicché non è possibile separare l'uno dall'altro. Il Signore s'immola in modo incruento nel Sacrificio della Messa, che rappresenta il sacrificio della Croce, applicandone la virtù salutifera, nel momento in cui per le parole della consacrazione comincia ad essere sacramentalmente presente, come spirituale alimento dei fedeli, sotto le specie del pane e del vino.

36. Tutti ben sappiamo che vari sono i modi secondo i quali Cristo è presente alla sua Chiesa. È utile richiamare un po' più diffusamente questa bellissima verità che la Costituzione della Sacra Liturgia ha esposto brevemente. Cristo è presente alla sua Chiesa che prega, essendo egli colui che « prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi: prega per noi come nostro Sacerdote; prega in noi come nostro Capo; è pregato da noi come nostro Dio»; è lui stesso che ha promesso: Dove sono due o tre riuniti in nome mio là sono io in mezzo a loro. Egli è presente alla sua Chiesa che esercita le opere di misericordia non solo perché quando facciamo un po' di bene a uno dei suoi più umili fratelli lo facciamo allo stesso Cristo, ma anche perché è Cristo stesso che fa queste opere per mezzo della sua Chiesa, soccorrendo sempre con divina carità gli uomini. È presente alla sua Chiesa pellegrina anelante al porto della vita eterna, giacché egli abita nei nostri cuori mediante la fede, e in essi diffonde la carità con l'azione dello Spirito Santo, da lui donatoci.

37. In altro modo, ma verissimo anch'esso, egli è presente alla sua Chiesa che predica, essendo l'Evangelo che essa annunzia parola di Dio, che viene annunziata in nome e per autorità di Cristo Verbo di Dio incarnato e con la sua assistenza, perché sia « un solo gregge sicuro in virtù di un solo pastore ».

38. È presente alla sua Chiesa che regge e governa il popolo di Dio, poiché la sacra potestà deriva da Cristo e Cristo, «Pastore dei pastori », assiste i pastori che la esercitano, secondo la promessa fatta agli Apostoli.

39. Inoltre in modo ancora più sublime Cristo è presente alla sua Chiesa che in suo nome celebra il Sacrificio della Messa e amministra i Sacramenti. Riguardo alla presenza di Cristo nell'offerta del Sacrificio della Messa, ci piace ricordare ciò che san Giovanni Crisostomo pieno d'ammirazione disse con verità ed eloquenza:«Voglio aggiungere una cosa veramente stupenda, non vi meravigliate e non vi turbate. Che cosa è? L'oblazione è la medesima, chiunque sia l'offerente, o Paolo o Pietro; quella stessa che Cristo affidò ai discepoli e che ora compiono i sacerdoti: questa non è affatto minore di quella, perché non gli uomini la fanno santa, ma colui che la santificò. Come le parole che Dio pronunziò, sono quelle stesse che ora il sacerdote dice, così medesima è l'oblazione». Nessuno poi ignora che i sacramenti sono azioni di Cristo, il quale li amministra per mezzo degli uomini. Perciò i Sacramenti sono santi per se stessi e per virtù di Cristo, mentre toccano i corpi, infondono grazia alle anime. Queste varie maniere di presenza riempiono l'animo di stupore e offrono alla contemplazione il mistero della Chiesa. Ma ben altro è il modo, veramente sublime,con cui Cristo è presente alla sua Chiesa nel sacramento dell'Eucaristia, che perciò è tra gli altri Sacramenti « più soave per la devozione, più bello per l'intelligenza, più santo per il contenuto »;  contiene infatti lo stesso Cristo ed è « quasi la perfezione della vita spirituale e il fine di tutti i Sacramenti ».

40. Tale presenza si dice « reale » non per esclusione, quasi che le altre non siano « reali », ma per antonomasia perché è sostanziale, e in forza di essa, infatti, Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente. Malamente dunque qualcuno spiegherebbe questa forma di presenza, immaginando il corpo di Cristo glorioso di natura « pneumatica » onnipresente; oppure riducendola ai limiti di un simbolismo, come se questo augustissimo Sacramento in niente altro consistesse che in un segno efficace « della spirituale presenza di Cristo e della sua intima congiunzione con i fedeli membri del Corpo Mistico ».

41. Invero del simbolismo Eucaristico, specialmente in rapporto all'unità della Chiesa, molto trattarono i Padri e gli Scolastici; il Concilio di Trento ne ha compendiata la dottrina insegnando che il nostro Salvatore ha lasciato l'Eucaristia alla sua Chiesa « come simbolo della sua unità e della carità con la quale egli volle intimamente uniti tra loro tutti i cristiani », « e perciò simbolo di quell'unico corpo, di cui egli è il capo ».

42. Fin dai primordi della letteratura cristiana l'ignoto autore della Didachè così scrive in proposito: « Per quanto riguarda l'Eucaristia così rendete grazie... come questo pane spezzato era prima disperso sui monti e raccolto diventò uno, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno ».

43. Parimenti san Cipriano difendendo l'unità della Chiesa contro lo scisma, scrive: « Finalmente gli stessi sacrifici del Signore mettono in luce l'unanimità dei Cristiani cementata con solida e indivisibile carità. Giacché quando il Signore chiama suo corpo il pane composto dall'unione di molti granelli, indica il nostro popolo adunato, che egli sostentava; e quando chiama suo sangue il vino spremuto dai molti grappoli e acini e fuso insieme, indica similmente il nostro gregge composto di una moltitudine unita insieme ».

44. Del resto prima di tutti l'aveva detto l'Apostolo ai Corinzi: Poiché molti siamo un solo pane, un solo corpo tutti noi che partecipiamo di un solo pane.

45. Ma se il simbolismo Eucaristico ci fa comprendere bene l'effetto proprio di questo Sacramento, che è l'unità del Corpo Mistico, tuttavia non spiega e non esprime la natura del Sacramento, per la quale esso si distingue dagli altri. Giacché la costante istruzione impartita dalla Chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal Concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la SS. Eucaristia ci obbligano a professare « che l'Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato ». Alle parole del martire sant'Ignazio Ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della Chiesa: « Il Signore, egli scrive, non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: Questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma [a credere] che essa con l'azione di grazia si è tramutata in carne e sangue ».

46. Il Concilio Tridentino, appoggiato a questa fede della Chiesa « apertamente e semplicemente afferma che nell'almo sacramento della SS. Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente sotto l'apparenza di quelle cose sensibili». Pertanto il nostro Salvatore nella sua umanità è presente non solo alla destra del Padre, secondo il modo di esistere naturale, ma insieme anche nel sacramento dell'Eucaristia «secondo un modo di esistere che, sebbene sia inesprimibile per noi a parole, tuttavia con la mente illustrata dalla fede possiamo intercedere e dobbiamo fermissimamente credere che è possibile a Dio ».

Cristo Signore è presente nel Sacramento dell'Eucaristia per la transustanziazione

47. Ma perché nessuno fraintenda questo modo di presenza, che supera le leggi della natura e costituisce nel suo genere il più grande dei miracoli, è necessario ascoltare docilmente la voce della Chiesa docente e orante. Ora questa voce, che riecheggia continuamente la voce di Cristo, ci assicura che Cristo non si fa presente in questo Sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue; conversione singolare e mirabile che la Chiesa Cattolica chiama giustamente e propriamente transustanziazione. Avvenuta la transustanziazione, le specie del pane e del vino senza dubbio acquistano un nuovo fine, non essendo più l'usuale pane e l'usuale bevanda, ma il segno di una cosa sacra e il segno di un alimento spirituale; ma intanto acquistano nuovo significato e nuovo fine in quanto contengono una nuova « realtà », che giustamente denominiamo ontologica. Giacché sotto le predette specie non c'è più quel che c'era prima, ma un'altra cosa del tutto diversa; e ciò non soltanto in base al giudizio della fede della Chiesa, ma per la realtà oggettiva, poiché, convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino che le sole specie, sotto le quali Cristo tutto intero è presente nella sua fisica « realtà » anche corporalmente, sebbene non allo stesso modo con cui i corpi sono nel luogo.

48. Per questo i Padri ebbero gran cura di avvertire i fedeli che nel considerare questo augustissimo Sacramento non si affidassero ai sensi, che rilevano le proprietà del pane e del vino, ma alle parole di Cristo, che hanno la forza di mutare, trasformare, « transelementare » il pane e il vino nel corpo e nel sangue di lui; invero,come spesso dicono i Padri, la virtù che opera questo prodigio è la medesima virtù di Dio onnipotente, che al principio del tempo ha creato dal nulla l'universo.

49. «Istruito in queste cose e munito di robustissima fede, dice san Cirillo di Gerusalemme concludendo il discorso intorno ai misteri della Fede, per cui quello che sembra pane, pane non è, nonostante la sensazione del gusto, ma è il corpo di Cristo; e quel che sembra vino, vino non è, a dispetto del gusto, ma è il sangue di Cristo... tu corrobora il tuo cuore mangiando quel pane come qualcosa di spirituale e rallegra il volto della tua anima ».

50. Insiste san Giovanni Crisostomo: « Non è l'uomo che fa diventare le cose offerte corpo e sangue di Cristo, ma è Cristo stesso che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la loro virtù e la grazia sono di Dio. Questo è il mio corpo: questa parola trasforma le cose offerte ».

51. E col Vescovo di Costantinopoli Giovanni è perfettamente d'accordo Cirillo Vescovo di Alessandria, che nel commento all'Evangelo di san Matteo scrive: « [Cristo] in modo indicativo disse: Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue, affinché tu non creda che siano semplice immagine le cose che si vedono; ma che le cose offerte sono trasformate, in modo misterioso da Dio onnipotente, nel corpo e nel sangue di Cristo realmente! partecipando a queste cose riceviamo la virtù vivificante e santificante di Cristo ».

52. E Ambrogio, Vescovo di Milano, parlando chiaramente della conversione Eucaristica, dice: « Persuadiamoci che questo non è ciò che la natura ha formato, ma ciò che la benedizione ha consacrato e che la forza della benedizione è maggiore della forza della natura, perché con la benedizione la stessa natura è mutata ». E volendo confermare la verità del mistero, egli richiama molti esempi di miracoli narrati nella Sacra Scrittura, tra i quali la nascita di Gesù dalla Vergine Maria, e poi passando all'opera della creazione così conclude: « La parola dunque di Cristo, che ha potuto fare dal nulla ciò che non esisteva, non può mutare le cose che esistono in ciò che non erano? Non è infatti meno dare alle cose la propria natura che mutargliela ».

53. Ma non è necessario riportare molte testimonianze. È più utile richiamare la fermezza della fede con cui la Chiesa, con unanime concordia, resistette a Berengario, il quale, cedendo alle difficoltà suggerite dalla ragione umana, osò per il primo negare la conversione Eucaristica; la Chiesa gli minacciò ripetutamente la condanna se non si ritrattasse. Perciò Gregorio VII, Nostro Predecessore, gli impose di prestare il giuramento in questi termini: « Intimamente credo e apertamente confesso che il pane e il vino posti sull'altare, per il mistero della orazione sacra e le parole del nostro Redentore, si convertono sostanzialmente nella vera e propria e vivificante carne e sangue di Nostro Signore Gesù Cristo; e che dopo la consacrazione c'è il vero corpo di Cristo, che è nato dalla Vergine e per la salvezza del mondo fu offerto e sospeso sulla croce e ora siede alla destra del Padre; e c'è anche il vero sangue di Cristo, che uscì dal suo fianco, non soltanto come segno e virtù del sacramento, ma anche nella proprietà della natura e nella realtà della sostanza ».

54. Con queste parole concordano (mirabile esempio della fermezza della fede cattolica!) i Concili Ecumenici Lateranense, Costanziense, Fiorentino e finalmente il Tridentino in ciò che costantemente hanno insegnato intorno al mistero della conversione eucaristica, sia esponendo la dottrina della Chiesa sia condannando gli errori.

55. Dopo il Concilio di Trento, il Nostro Predecessore Pio VI, contro gli errori del Sinodo di Pistoia, ammonì con parole gravi che i parroci, che hanno il compito d'insegnare, non tralascino di parlare della transustanziazione, che è uno degli articoli di fede. Parimenti il Nostro Predecessore Pio XII, di f. m., richiamò i limiti che non devono sorpassare tutti coloro che discutono sottilmente del mistero della transustanziazione. Noi stessi nel recente Congresso Eucaristico Nazionale Italiano di Pisa, secondo il Nostro dovere apostolico, abbiamo reso pubblicamente e solennemente testimonianza della fede della Chiesa.

56. Del resto la Chiesa Cattolica non solo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede nella presenza del corpo e del sangue di Cristo nella Eucaristia, adorando sempre con culto latreutico, che compete solo a Dio, un così grande Sacramento. Di questo culto sant'Agostino scrive: « In questa carne (il Signore) ha qui camminato e questa stessa carne ci ha dato da mangiare per la salvezza; e nessuno mangia quella carne senza averla prima adorata... sicché non pecchiamo adorandola, ma anzi pecchiamo se non la adoriamo ».

Del culto latreutico dovuto al sacramento eucaristico

57. La Chiesa Cattolica professa questo culto latreutico al Sacramento Eucaristico non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana.

58. Di questa venerazione abbiamo molte testimonianze negli antichi documenti della Chiesa. I Pastori della Chiesa infatti esortano sollecitamente i fedeli a conservare con somma cura l'Eucaristia che portano a casa. « In verità è il corpo di Cristo, che i fedeli devono mangiare e non disprezzare » ammoniva gravemente sant'Ippolito.

59. Consta che i fedeli si credevano incolpa, e giustamente, come ricorda Origene, se, ricevuto il corpo del Signore, pur conservandolo con ogni cautela e venerazione, ne cadesse per negligenza qualche frammento.

60. Che poi i pastori riprovassero fortemente il difetto di debita riverenza, lo attesta Novaziano (degno di fede in questo), il quale ritiene degno di condanna colui che « uscendo dalla celebrazione domenicale e portando ancora con sé, come si suole, l'Eucaristia... ha portato in giro il corpo santo del Signore » non a casa sua, ma correndo agli spettacoli.

61. Anzi san Cirillo d'Alessandria rigetta come follia l'opinione di coloro che sostenevano che l'Eucaristia non serve affatto alla santificazione se si tratta di qualche residuo di essa rimandato al giorno seguente: « Né infatti, egli scrive, si altera Cristo né si muta il suo sacro corpo, ma persevera sempre in esso la forza, la potenza e la grazia vivificante ».

62. Né si deve dimenticare che anticamente i fedeli, sia che si trovassero sotto la violenza della persecuzione, sia che per amore di vita monastica dimorassero nella solitudine, solevano cibarsi anche ogni giorno dell'Eucaristia, prendendo la santa Comunione anche con le proprie mani, quando era assente il sacerdote o il diacono.

63. Non diciamo però questo perché si cambi il modo di custodire l'Eucaristia o di ricevere la santa Comunione stabilito in seguito dalle leggi ecclesiastiche e oggi vigenti, ma solo per congratularci della fede della Chiesa che rimane sempre la stessa.

64. Da questa unica fede è nata anche la festa del Corpus Domini, che nella diocesi di Liegi, specialmente per opera della serva di Dio beata Giuliana di Mont Cornillon, fu celebrata per la prima volta e il Nostro Predecessore Urbano IV estese a tutta la Chiesa; e molte altre istituzioni di pietà Eucaristica che, sotto la ispirazione della grazia divina, si sono moltiplicate sempre più, e con le quali la Chiesa Cattolica, quasi a gara, si adopera sia a rendere omaggio a Cristo, sia a ringraziarlo per tanto dono, sia a implorarne la misericordia.

Esortazione a promuovere il culto Eucaristico

65. Vi preghiamo dunque,Venerabili Fratelli, affinché questa fede, che non tende ad altro che a custodire una perfetta fedeltà alla parola di Cristo e degli Apostoli, rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura e integra nel popolo affidato alla vostra cura e vigilanza,e promoviate, senza risparmiare parole e fatica, il culto Eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà.

66. I fedeli, sotto il vostro impulso, conoscano sempre più e sperimentino quanto dice sant'Agostino: « Chi vuol vivere ha dove e donde vivere: si accosti, creda, s'incorpori per essere vivificato. Non rinunzi alla coesione dei membri, non sia un membro putrido degno d'essere tagliato, non un membro distorto da vergognarsi: sia un membro bello, idoneo, sano, aderisca al corpo, viva di Dio a Dio; ora lavori sulla terra per poter poi regnare nel cielo ».

67. Ogni giorno, come è desiderabile, i fedeli in gran numero partecipino attivamente al sacrificio della Messa, nutrendosi con cuore puro e santo della sacra Comunione,e rendano grazie a Cristo Signore per sì gran dono. Si ricordino delle parole del Nostro Predecessore san Pio X: « Il desiderio di Gesù Cristo e della Chiesa che tutti i Fedeli si accostino quotidianamente alla sacra mensa, consiste soprattutto in questo: che i fedeli, uniti a Dio in virtù del sacramento, ne attingano forza per dominare la libidine, per purificarsi dalle lievi colpe quotidiane e per evitare i peccati gravi, ai quali è soggetta l'umana fragilità». Durante il giorno i fedeli non omettano di fare la visita al SS. Sacramento, che dev'essere custodito in luogo distintissimo, col massimo onore nelle chiese, secondo le leggi liturgiche, perché la visita è prova di gratitudine, segno d'amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore là presente.

68. Ognuno comprende che la divina Eucaristia conferisce al popolo cristiano incomparabile dignità. Giacché non solo durante la offerta del Sacrificio e l'attuazione del Sacramento, ma anche dopo, mentre la Eucaristia è conservata nelle chiese e negli oratori, Cristo è veramente l'Emmanuel, cioè il « Dio con noi ». Poiché giorno e notte è in mezzo a noi, abita con noi pieno di grazia e verità: restaura i costumi, alimenta le virtù, consola gli afflitti, fortifica i deboli, e sollecita alla sua imitazione tutti quelli che si accostano a lui, affinché col suo esempio imparino ad essere miti e umili di cuore, e a cercare non le cose proprie, ma quelle di Dio. Chiunque perciò si rivolge all'augusto Sacramento Eucaristico con particolare devozione e si sforza di amare con slancio e generosità Cristo che ci ama infinitamente, sperimenta e comprende a fondo, non senza godimento dell'animo e frutto, quanto sia preziosa la vita nascosta con Cristo in Dio; e quanto valga stare a colloquio con Cristo, di cui non c'è niente più efficace a percorrere le vie della santità.

69. Vi è inoltre ben noto, Venerabili Fratelli, che l'Eucaristia è conservata nei templi e negli oratori come il centro spirituale della comunità religiosa e parrocchiale, anzi della Chiesa universale e di tutta l'umanità, perché essa sotto il velo delle sacre specie contiene Cristo Capo invisibile della Chiesa, Redentore del mondo, centro di tutti i cuori, per cui sono tutte le cose e noi per lui.

70. Ne consegue che il culto Eucaristico muove fortemente l'animo a coltivare l'amore « sociale », col quale si antepone al bene privato il bene comune; facciamo nostra la causa della comunità, della parrocchia, della Chiesa universale; ed estendiamo la carità a tutto il mondo, perché dappertutto sappiamo che ci sono membra di Cristo.

71. Giacché dunque, Venerabili Fratelli, il sacramento Eucaristico è segno e causa dell'unità del Corpo Mistico e in quelli, che con maggior fervore lo venerano, eccita un attivo spirito «ecclesiale», non cessate di persuadere i vostri fedeli che, accostandosi al Mistero Eucaristico, imparino a far propria la causa della Chiesa, a pregare Dio senza intermissione, a offrire se stessi a Dio in grato sacrificio per la pace e l'unità della Chiesa; affinché tutti i figli della Chiesa siano una cosa sola e abbiano lo stesso sentimento, né ci siano tra di loro scismi, ma siano perfetti nello stesso sentimento e nello stesso pensiero, come vuole l'Apostolo; e tutti quelli che non sono ancora uniti con perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, in quanto sono da essa separati, ma si gloriano del nome cristiano, quanto prima con l'aiuto della divina grazia arrivino a godere insieme con noi di quella unità di fede e di comunione, che Cristo volle fosse il distintivo dei suoi discepoli.

72. Questo desiderio di pregare e di consacrarsi a Dio per l'unità della Chiesa devono considerarlo soprattutto come proprio i religiosi, uomini e donne, essendo essi in modo particolare addetti all'adorazione del SS. Sacramento, facendogli corona sulla terra in virtù dei voti emessi.

73. Ma il voto per l'unità di tutti i cristiani, di cui niente è più sacro e più ardente nel cuore della Chiesa, Noi vogliamo esprimerlo ancora una volta con le stesse parole del Concilio Tridentino nella conclusione del Decreto sulla SS. Eucaristia: « In ultimo il santo Sinodo con paterno affetto ammonisce, esorta, prega e implora "per la misericordia del nostro Dio", affinché tutti e singoli i cristiani, in questo segno di unità,in questo vincolo di carità, in questo simbolo di concordia, finalmente convengano e concordino, e memori di tanta maestà e di così alto amore di nostro Signore Gesù Cristo, il quale diede la sua diletta anima in prezzo della nostra salvezza e la sua carne a mangiare, credano e adorino questi sacri misteri del suo corpo e del suo sangue con quella fede ferma e costante, con quella devozione, pietà e culto, che permette loro di ricevere frequentemente quel pane sovrasostanziale, e questo sia per essi veramente vita dell'anima e perenne sanità di mente, sicché "corroborati dal suo vigore", da questo misero pellegrinaggio terrestre possano pervenire alla patria celeste per mangiare là senza nessun velo lo stesso "pane degli angeli" che ora "mangiamo sotto i sacri veli" ».

74. Oh, che il benignissimo Redentore, che già prossimo alla morte pregò il Padre perché tutti quelli che avrebbero creduto in lui diventassero una cosa sola, come lui e il Padre sono una cosa sola, si degni di esaudire al più presto questo voto Nostro e di tutta la Chiesa che cioè tutti con una sola voce e una sola fede celebriamo il Mistero Eucaristico e, fatti partecipi del corpo di Cristo, formiamo un sol corpocompaginato con quegli stessi vincoli, con i quali egli lo volle formato.

75. E Ci rivolgiamo con paterna carità anche a quelli che appartengono alle venerande Chiese di Oriente, nelle quali fiorirono tanti celeberrimi Padri, di cui ben volentieri in questa Nostra Lettera abbiamo ricordato le testimonianze intorno alla Eucaristia. Ci sentiamo pervasi da grande gaudio quando consideriamo la vostra fede riguardo all'Eucaristia, che coincide con la fede nostra, quando ascoltiamo le preghiere liturgiche con cui voi celebrate un così grande Mistero, quando ammiriamo il vostro culto eucaristico e leggiamo i vostri teologi che espongono e difendono la dottrina intorno a questo augustissimo Sacramento.

76. La Beatissima Vergine Maria, dalla quale Cristo Signore ha assunto quella carne che in questo Sacramento sotto le specie del pane e del vino « è contenuta, è offerta ed è mangiata », e tutti i Santi e le Sante di Dio, specialmente quelli che sentirono più ardente devozione per la divina Eucaristia, intercedano presso il Padre delle misericordie, affinché dalla comune fede e culto eucaristico scaturisca e vigoreggi la perfetta unità di comunione fra tutti i cristiani. Sono impresse nell'animo le parole del martire Ignazio, che ammonisce i fedeli di Filadelfia sul male delle deviazioni e degli scismi, per cui è rimedio l'Eucaristia: « Sforzatevi dunque,egli dice, di usufruire di una sola Eucaristia: perché una sola è la carne di Nostro Signore Gesù Cristo, e uno solo è il calice nella unità del suo sangue, uno l'altare, come uno è il Vescovo... ».

77. Sorretti dalla soavissima speranza che dall'accresciuto culto eucaristico deriveranno molti beni a tutta la Chiesa e a tutto il mondo, a voi, Venerabili Fratelli, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti quelli che a voi prestano la loro collaborazione, a tutti i fedeli affidati alle vostre cure, impartiamo l'Apostolica Benedizione con grande effusione d'amore, in auspicio delle grazie celesti.

Dato a Roma, presso San Pietro, nella festa di san Pio X il 3 settembre 1965 anno terzo del Nostro Pontificato.

PAOLO PP. VI



08/02/2015 18:35

Pio XII


DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI SACERDOTI ADORATORI E AI SODALIZI
DELL'ADORAZIONE NOTTURNA NELL'URBE*

Domenica, 31 maggio 1953

Come Ci è dolce di accogliere la pia domanda della « Ven. Arciconfraternita della Adorazione notturna al Santissimo Sacramento » e della « Associazione dei Sacerdoti Adoratori », che in preparazione alla loro Assemblea generale hanno desiderato di adunarsi intorno a Noi, bramosi di accrescere in sè e intorno a sè l'amore della Eucaristia, centro di vita e di santificazione!

Nella Enciclica « Mediator Dei » sulla sacra Liturgia Noi ricordammo l'insegnamento della Tradizione e dei Concili intorno all'adorazione dell'Eucaristia e lodammo le varie forme di questo culto, annoverando fra le più belle e salutari l'adorazione pubblica del Santissimo Sacramento, praticata specialmente da Associazioni sacerdotali, da Congregazioni religiose e da Confraternite di laici. E nella Esortazione a tutto il Clero « Menti nostrae » sulla santità della vita sacerdotale Noi terminavamo il quadro delle virtù sacerdotali con le seguenti parole : Queste e le altre virtù del sacerdote potranno essere facilmente acquistate dai giovani nei Seminari, se fin dalla prima età essi avranno appreso e coltivato una sincera e tenera devozione a Gesù "veramente, realmente e sostanzialmente" in mezzo a noi presente e dimorante sulla terra, e se faranno di Lui Sacramentato il movente e il fine di tutte le loro azioni, delle loro aspirazioni e dei loro sacrifici.

Come il santo Sacrificio della Messa religiosamente offerto dal sacerdote con la intima partecipazione dei fedeli, in unione con tutta la Chiesa, è e rimane il grande atto del culto divino, così il culto eucaristico viene celebrato dovunque l'Uomo-Dio presente nel Sacramento è adorato, anche e in molteplici forme al di fuori del Sacrificio. Senza dubbio il buon Pastore ha voluto essere un vero pane, come canta il Dottore Angelico nelle sue mirabili poesie così alte e così dense. A Lui non basta di essere adorato; vuol essere anche il nostro nutrimento. « Se non mangerete la carne del Figliuolo dell'uomo, ... non avrete in voi la vita » (Io. 6, 54). Il suo amore senza limiti ha messo questa condizione alla nostra felicità: Non avrete parte con me (per usare le parole del Signore stesso Io. 13, 8), se non vi nutrirete con la mia carne.

Ma l'anima, che ha compreso l'amore del suo divino Maestro, non si contenta dei pochi momenti, in cui il Pane degli angeli riposa sulle sue labbra: ha bisogno di vedere ancora e di adorare a suo agio l'onnipotente Signore, che sotto l'umile immagine del pane si mette al suo servizio; ha bisogno di contemplare instancabilmente quel tenue velo, che al tempo stesso le nasconde e le rivela l'amore del suo Salvatore; ha bisogno di dimorare lungamente dinanzi all'Ostia consacrata e di prendere alla vista dell'umiltà di Dio un'attitudine del più umile e profondo rispetto.

Quale lezione più sublime di questa reale presenza dell'Uomo-Dio sotto la forma di un fragile pane? Il pane è il nutrimento di tutti, è fatto unicamente per servire, per mantenere la vita. Cosi è il sacerdote secondo il cuore di Cristo; egli non mette alcuna condizione per il suo servizio, è sempre benefico e interamente si dona. Ciò che vale eminentemente per il sacerdote, si applica anche ad ogni cristiano, poiché la carità è il comandamento universale, che in sè racchiude tutta la legge del Salvatore. Ricordate la commovente parabola del buon Samaritano, nella quale Gesù ha dipinto il suo Cuore e lo ha dato a noi come esempio: « Va e fai anche tu lo stesso » (Luc. 10, 37).

Trovate il tempo, le forze, il danaro necessari per soccorrere, nel miglior modo possibile, qualsiasi degli uomini vostri fratelli. Siate per lui utili e buoni come il pane, e in pari tempo umili, poichè altrimenti la vostra carità non penetrerebbe sino al fondo del suo cuore, di quel cuore che bisogna guadagnare a Dio, aprire all'azione della grazia. Chiunque dimora spesso e lungamente prostrato ai piedi dell'Ostia, comprende la lezione del pane eucaristico e prova il bisogno imperioso di metterla in pratica, di obliare completamente sè stesso, di donarsi agli altri senza limite. Da questo appunto tutti riconosceranno che siete discepoli di Cristo (cfr. Io. 13, 35), veri adoratori in spirito e in verità, che glorificano il Padre, imitando il Figlio.

Non abbiamo detto che una parola della carità, che proviene dal Sacramento di amore, perchè è il comandamento del Signore; ma la Santa Eucaristia è per i suoi adoratori una sorgente inesauribile di luce e di forza. Coloro specialmente, che nelle ore silenziose della notte si uniscono alla adorazione degli Angeli, e rendono all'Agnello che fu immolato (Apoc. 5, 12) le azioni di grazia che Gli sono dovute, attingono abbondantemente per sè stessi e per tutta la Chiesa acque dalle fonti del Salvatore (cfr. Is. 12, 3).

Affinchè il numero degli Adoratori notturni e quello dei Sacerdoti adoratori aumenti costantemente; affinchè il loro fervore sia un esempio e un sollievo per la nostra Città ; affinchè il divino Maestro presente e nascosto nel Santissimo Sacramento si lasci commuovere dalle loro perseveranti suppliche e si mostri sensibile ai loro omaggi ; impartiamo di cuore a voi, diletti figli qui presenti e ai membri delle vostre Associazioni che non hanno potuto unirsi a voi, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

08/02/2015 18:36

Pio XI

Dagli scritti
…Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo.
 
A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali.
 
 
…Ogni anima, infatti, veramente infiammata nell’amore di Dio, se con la considerazione si volge al tempo passato, meditando vede e contempla Gesù sofferente per l’uomo, afflitto, in mezzo ai più gravi dolori, « per noi uomini e per la nostra salute », dalla tristezza, dalle angosce e dagli obbrobri quasi oppresso, anzi « schiacciato dai nostri delitti », e in atto di risanarci con i suoi lividi. Con tanta maggior verità le anime pie meditano queste cose, in quanto i peccati e i delitti degli uomini, in qualsiasi tempo commessi, furono la causa per la quale il Figlio di Dio fosse dato a morte, ed anche al presente cagionerebbero per sé a Cristo la morte, accompagnata dagli stessi dolori e dalle medesime angosce, giacché ogni peccato si considera rinnovare in qualche modo la passione del Signore: « Di nuovo in loro stessi crocifiggono il Figlio di Dio, e lo espongono al ludibrio». Che se a causa anche dei nostri peccati futuri, ma previsti, l’anima di Gesù divenne triste sino alla morte, non è a dubitare che qualche conforto non abbia anche fin da allora provato per la previsione della nostra riparazione, quando a « lui apparve l’Angelo dal cielo » per consolare il suo cuore oppresso dalla tristezza e dalle angosce.
 
E così anche ora in modo mirabile ma vero, noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati, giacché — come si legge anche nella sacra liturgia — Cristo stesso si duole, per bocca del salmista, di essere abbandonato dai suoi amici: « Smacco e dolore mi spezzano il cuore; mi aspettavo compassione, ma non ce ne fu, qualche consolatore, e non l’ho trovato ».
 
Si aggiunga che la passione espiatrice di Cristo si rinnova e in certo qual modo continua nel suo corpo mistico, la Chiesa. Infatti, per servirci nuovamente delle parole di Sant’Agostino: «Cristo patì tutto ciò che doveva patire; né al numero dei patimenti nulla più manca. Dunque i patimenti sono compiuti, ma nel capo; rimanevano tuttora le sofferenze di Cristo da compiersi nel corpo ». Ciò Gesù stesso dichiarò, quando a Saulo, « spirante ancora minacce e stragi contro i discepoli », disse: « Io sono Gesù che tu perseguiti », chiaramente significando che le persecuzioni mosse alla Chiesa, vanno a colpire gravemente lo stesso suo Capo divino. A buon diritto, dunque, Cristo sofferente ancora nel suo corpo mistico desidera averci compagni della sua espiazione; così richiede pure la nostra unione con lui; infatti, essendo noi « il corpo di Cristo e membra congiunte », quanto soffre il capo, tanto devono con esso soffrire anche le membra.
Atto di riparazione al Sacratissimo Cuore di Gesù
Gesù dolcissimo, il cui immenso amore per gli uomini viene con tanta ingratitudine ripagato di oblìo, di trascuratezza, di disprezzo, ecco che noi prostrati dinanzi ai tuoi altari intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini l’amantissimo tuo Cuore.
 
Ricordando però che noi pure altre volte ci macchiammo di tanta indegnità e provandone vivissimo dolore, imploriamo anzitutto per noi la tua misericordia, pronti a riparare con volontaria espiazione, non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che errando lontano dalla via della salute, o ricusano di seguire Te come pastore e guida ostinandosi nella loro infedeltà, o calpestando le promesse del Battesimo hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge.
 
E mentre intendiamo espiare tutto il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare: l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento, le tante insidie tese dalla corruttela alle anime innocenti, la profanazione dei giorni festivi, le ingiurie esecrande scagliate contro Te e i tuoi Santi, gli insulti lanciati contro il tuo Vicario e l’ordine sacerdotale, le negligenze e gli orribili sacrilegi ond’è profanato lo stesso Sacramento dell’amore divino, e infine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il magistero della Chiesa da Te fondata.
 
Oh! potessimo noi lavare col nostro sangue questi affronti! Intanto, come riparazione dell’onore divino conculcato, noi Ti presentiamo - accompagnandola con le espiazioni della Vergine Tua Madre, di tutti i Santi e delle anime pie - quella soddisfazione che Tu stesso un giorno offristi sulla croce al Padre e che ogni giorno rinnovi sugli altari: promettendo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto sarà in noi e con l’aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e l’indifferenza verso sì grande amore con la fermezza della fede, l’innocenza della vita, l’osservanza perfetta della legge evangelica specialmente della carità, e d’impedire inoltre con tutte le nostre forze le ingiurie contro di Te, e di attrarre quanti più potremo al tuo sèguito.
 
Accogli, Te ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per intercessione della Beata Vergine Maria Riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci fedelissimi nella tua ubbidienza e nel tuo servizio fino alla morte col gran dono della perseveranza, mercé il quale possiamo tutti un giorno pervenire a quella patria, dove Tu col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli. Così sia.


08/02/2015 18:38

Paolo III, Giulio III, Pio IV

Il Concilio di Trento

 Il Concilio di Trento, iniziato nel dicembre del 1545 e terminato nel 1563, è stato un evento fondamentale nella storia della Chiesa cattolica e del Cristianesimo in genere. 

Il periodo di attività viene suddiviso in tre fasi:

La prima appartiene al pontificato di Paolo III, va dal 1545 al 1549 e vide la partecipazione di undici nazioni europee. Si racconta che all'apertura dei lavori le strade di Trento furono invase da una lunga processione di cardinali, vescovi, arcivescovi, teologi, giuristi, oratori e nobili. In questa prima fase vennero discussi e approvati vari regolamenti e provvedimenti di natura dogmatica e disciplinare, ispirati ai canoni propri delle Sacre Scritture e alla cosiddetta Bibbia Vulgata, tradotta dalle versioni greca e bizantina, che divenne l'unica versione autorizzata dalla chiesa (in seguito chiamata anche Vulgata Clementina, da papa Clemente VIII, soppiantata solo nel 1979 dallaBibbia Nova Vulgata). Le sessioni della prima fase furono improvvisamente interrotte nel 1547 per l'avanzare di un'epidemia di tifo nel territorio e per questo trasferite a Bologna.

La seconda fase del Concilio di Trento prese corpo tra il 1551 ed il 1552, sotto la guida pontificia di Giulio III, che decise di riaprire i lavori dopo i contrasti sorti tra il precedente papa, Paolo III e l'imperatore Carlo V. Nell'anno vennero emanati decreti relativi all'importanza dei Sacramenti dell'Eucaristia, della Penitenza e dell'Estrema Unzione. La seconda fase venne sospesa per via della guerra tra le truppe di Carlo V e i Principi elettori protestanti (elettori in quanto candidati al trono imperiale). Carlo V (1500-1558) è considerato l'ultimo grande imperatore del medioevo, il protettore della cristianità, come egli stesso amava autodefinirsi.

Quando la terza e ultima fase del Concilio di Trento iniziò, nel 1562, sotto il pontificato di papa Pio IV, ogni speranza di conciliare i protestanti si affievolì sempre più, soprattutto in vista del potere che andava formandosi nelle mani dei gesuiti. Era infatti nota la fama del nuovo ordine nell'individuazione dei sospettati di eresia durante il periodo dell'Inquisizione, contro tutti i sostenitori di teorie contrarie all'ortodossia cattolica.

In sintesi, al termine dei lavori, nel 1563, il Concilio di Trento poté non solo confermare l'insanabile frattura sul piano dogmatico della religione cattolica con le correnti protestanti, ma anche riorganizzare la vita del clero.

Dogma della TRANSUSTANZIAZIONE

Il Concilio di Trento nella definizione dogmatica della XIII sessione dell'11 ottobre 1551:
Decreto sul santissimo sacramento dell’eucaristia.  

Il sacrosanto Concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della Sede Apostolica, benché non senza una particolare guida e ammaestramento dello Spirito santo si sia raccolto per esporre, cioè, la vera e antica dottrina della fede e dei sacramenti e rimediare a tutte le eresie e agli altri gravissimi mali, da cui la Chiesadi Dio è ora miseramente travagliata e divisa in molte e diverse parti, questo, tuttavia, fin da principio si prefisse in modo particolare: strappare dalle radici la zizzania degli abominevoli errori e degli scismi, che il nemico in questi nostri tempi procellosi ha sovraseminato sulla dottrina della fede, sull’uso e sul culto della sacrosanta eucaristia, che, d’altra parte, il nostro Salvatore ha lasciato nella sua Chiesa come segno di unita e di amore, con cui volle che tutti i cristiani fosse congiunti ed uniti fra loro.

Quindi lo stesso sacrosanto Sinodo intende proporre su questo venerabile e divino sacramento dell’eucaristia, la sana, pura dottrina che la Chiesa cattolica, istruita dallo stesso Gesú Cristo, nostro signore, e dagli apostoli, e sotto l’influsso dello Spirito santo, che le suggerisce di giorno in giorno ogni verità, ha sempre ritenuto e riterrà fino alla fine del mondo. Esso, quindi, proibisce a tutti i fedeli cristiani di osare in seguito, di credere, insegnare o predicare diversamente da come è stato spiegato e definito da questo presente decreto.  

Capitolo I.

Della presenza reale del signore nostro Gesú Cristo nel santissimo sacramento dell’eucaristia.  

Prima di tutto questo santo Sinodo insegna e professa chiaramente e semplicemente che nel divino sacramento della santa eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente, sotto l’apparenza di quelle cose sensibili, il nostro signore Gesú Cristo, vero Dio e vero uomo.

Non sono, infatti, in contrasto fra loro questo due cose: che lo stesso nostro Salvatore sieda sempre nei cieli alla destra del Padre, secondo il modo naturale di esistere, e che, tuttavia, presente in molti altri luoghi, sia presso di noi con la sua sostanza, sacramentalmente, con quel modo di esistenza, che, anche se difficilmente possiamo esprimere a parole, possiamo, tuttavia, comprendere con la nostra mente, illuminata dalla fede, essere possibile a Dio, e che anzi dobbiamo credere fermissimamente. Questo, infatti, tutti i nostri padri, che vissero nella vera Chiesa di Cristo, e che hanno trattato di questo santissimo sacramento, hanno professato chiarissimamente: che il

nostro Redentore ha istituito questo meraviglioso sacramento nell’ultima cena, quando, dopo la benedizione del pane e del vino, affermò con parole esplicite e chiare di dare ad essi il proprio corpo e il proprio sangue.

Queste parole, riportate dai santi evangelisti, e ripetute poi da S. Paolo, hanno per sé quel significato proprio e chiarissimo, secondo cui sono state comprese dai padri, è pertanto sommamente indegno che esse vengano distorte da alcuni uomini rissosi e corrotti a immagini fittizie e immaginarie, con le quali è negata la verità della carne e del sangue di Cristo, contro il senso generale della Chiesa, la quale come colonna e sostegno della verità, ha detestato come sataniche queste costruzioni fantastiche, escogitate da uomini empi, riconoscendo con animo sempre grato e memore questo preziosissimo dono di Cristo.  

Capitolo II.  

Del modo come è stato istituito questo santissimo sacramento.  

Il Signore, quindi, nell’imminenza di tornare da questo mondo al Padre, istituí questo sacramento. In esso ha effuso le ricchezze del suo amore verso gli uomini, rendendo memorabili i suoi prodigi, e ci ha comandato di onorare, nel riceverlo, la sua memoria e di annunziare la sua morte, fino a che egli venga  a giudicare il mondo. Egli volle che questo sacramento fosse ricevuto come cibo spirituale delle anime, perché ne siano alimentate e rafforzate, vivendo della vita di colui, che disse: Chi mangia me, anche lui vive per mezzo mio  e come antidoto, con cui liberarsi dalle colpe d’ogni giorno ed essere preservati dai peccati mortali.

Volle, inoltre, che esso fosse pegno della nostra gloria futura e della gioia eterna; e quindi simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo e a cui volle che noi fossimo congiunti, come membra, dal vincolo strettissimo della fede, della speranza e della carità, perché tutti professassimo la stessa verità, e non vi fossero scismi fra noi. 

Capitolo III.  

Eccellenza della santissima eucaristia sugli altri sacramenti.  

La santissima eucaristia ha questo di comune con gli altri sacramenti: che è simbolo di una cosa sacra e forma visibile della grazia invisibile.

Tuttavia in essa vi è questo di eccellente e di singolare: che gli altri sacramenti hanno il potere di santificare solo quando uno li riceve, mentre nell’eucaristia vi è l’autore della santità già prima dell’uso. Difatti gli apostoli non avevano ancora ricevuto l’eucaristia dalla mano del Signore e già Egli affermava che quello che Egli dava era il suo corpo. Sempre vi è stata nella Chiesa di Dio questa fede, che, cioè, subito dopo la consacrazione, vi sia, sotto l’apparenza del pane e del vino, il vero corpo di nostro Signore e il suo vero sangue, insieme con la sua anima e divinità. In forza delle parole, il corpo è sotto la specie del pane e il sangue sotto la specie del vino; ma lo stesso corpo sotto la specie del vino, e il sangue sotto quella del pane, e l’anima sotto l’una e l’altra specie, in forza di quella naturale unione e concomitanza, per cui le parti di Cristo Signore, che ormai è risorto dai morti e non muore piú, sono unite fra loro; ed inoltre la divinità per quella sua ammirabile unione ipostatica col corpo e con l’anima.

È quindi verissimo che sotto una sola specie si contiene tanto, quanto sotto l’una e l’altra.

Cristo, infatti, è tutto e intero sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; e similmente è tutto sotto la specie del vino e sotto le sue parti.  

Capitolo IV.  

La transustanziazione.

 Poiché, poi, Cristo, nostro redentore, disse che era veramente il suo corpo ciò che dava sotto la specie del pane, perciò fu sempre persuasione, nella Chiesa di Dio, - e lo dichiara ora di nuovo questo santo Concilio - che con la consacrazione del pane e del vino si opera la trasformazione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo, nostro signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue. Questa trasformazione, quindi, in modo adatto e proprio è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione.

 Capitolo V.  

Del culto e della venerazione dovuti a questo santissimo sacramento.

 Non vi è, dunque, alcun dubbio che tutti i fedeli cristiani secondo l’uso sempre ritenuto nella Chiesa cattolica, debbano rendere a questo santissimo sacramento nella loro venerazione il culto di latria, dovuto al vero Dio.

Non è, infatti, meno degno di adorazione, per il fatto che sia stato istituito da Cristo signore per essere ricevuto. Crediamo, infatti, che è presente in esso lo stesso Dio, di cui l’eterno Padre, introducendolo nel mondo, dice: E lo adorino tutti i suoi angeli; che i magi, prostrandosi,adorarono, che la scrittura attesta essere stato adorato in Galilea dagli apostoli.

Dichiara, inoltre, il santo Concilio, che con pensiero molto pio e religioso è stato introdotto nella Chiesa di Dio l’uso di celebrare ogni anno con singolare venerazione e solennità e con una particolare festività questo nobilissimo e venerabile sacramento, e di portarlo con riverenza ed onore per le vie e per i luoghi pubblici, nelle processioni. È giustissimo, infatti, che siano stabiliti alcuni giorni festivi, in cui tutti i cristiani manifestino con cerimonie particolari e straordinarie il loro animo grato e memore verso il comune Signore e Redentore, per un beneficio cosí ineffabile e divino, con cui viene ricordata la sua vittoria e il suo trionfo sulla morte.

Ed era necessario che la verità trionfasse talmente sulla menzogna e sull’eresia, perché i suoi avversari, posti dinanzi a tanto splendore e a tanta letizia della Chiesa universale, o vengano meno, disfatti e vinti, o presi e confusi dalla vergogna, si ricredano.



08/02/2015 18:40

Urbano IV

Istituzione della Festa del Corpus Domini 11/8/1264

da Bolla Transiturus 

…«Sul punto di passare da questo mondo al Padre, il Salvatore nostro, Gesù Cristo Signore, essendo imminente il tempo della Sua passione, consumata la cena, in memoria della Sua Morte, istituì l’eccelso e meraviglioso Sacramento del Suo Corpo e del Suo Sangue, lasciandoci in cibo il Corpo e in bevanda il Sangue. Infatti ogniqualvolta mangiamo questo pane e beviamo il calice annunziamo la morte del Signore (1Cor11,26).

Nell’istituire, poi, questo sacramento di salvezza Egli disse agli Apostoli:Fate questo in memoria di me (1Cor 11,24). Affinché questo altissimo e venerabile sacramento fosse per noi massimo e mirabile memoriale del grande amore con cui Egli ci amò. Memoriale, dico, meraviglioso e stupendo, dilettevole e soave, carissimo e più di ogni altro prezioso, nel quale si rinnovano i prodigi e sono immutate le meraviglie (Sir 36,6), nel quale è riposta ogni delizia e ogni soavità (Sap 16,20) e la stessa dolcezza di Dio viene gustata, nel quale, infine, otteniamo aiuto di vita e di salvezza.

È questo il memoriale dolcissimo, il memoriale santissimo, il memoriale salvifico, nel quale richiamiamo la grata memoria della nostra redenzione; nel quale siamo distolti dal male, confortati nel bene, avviati ad aumento di virtù e di grazie; nel quale, inoltre, siamo ristorati dalla presenza corporale dello stesso Salvatore. Altre cose infatti, di cui facciamo memoria, noi abbracciamo con l’animo e con la mente, ma non per questo ne otteniamo la presenza reale:

invece in questa sacramentale commemorazione di Cristo lo stesso Cristo è con noi, presente sotto altra forma, ma nella propria sostanza, veracemente.

Infatti, mentre stava per salire al Cielo disse agli Apostoli e ai loro seguaci: Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione del mondo (Mt 28,20), con benevola promessa confortandoli che rimarrebbe e sarebbe con loro anche con presenza corporale.

O memoria preziosa e degna di non essere dimenticata mai, con cui ricordiamo che la nostra morte fu uccisa, che la nostra perdizione fu distrutta dalla morte della Vita, e che l’albero della vita confitto sull’albero di morte produsse per noi frutto di salvezza!

O commemorazione gloriosa, che riempie di gioia salutare gli animi dei fedeli e colmandoli di letizia dà loro lacrime di devozione! (…).

O eccellentissimo Sacramento, da commemorare, da adorare, venerare, onorare, glorificare, amare, meditare, innalzare con le maggiori lodi, esaltare con le preghiere più alte, onorare con ogni zelo, perseguire con ogni ossequio di devozione, ritenere con animo puro!

O memoriale nobilissimo, da commemorare nell’intimità del cuore, da radicare fermamente nell’animo, da custodire diligentemente nelle viscere del cuore, da richiamare in meditazione e celebrazione frequente!»



08/02/2015 18:41

Innocenzo III   

La maggior opera di Innocenzo III, fu indubbiamente il Concilio Lateranense IV. Duplice lo scopo che il pontefice si era prefisso, convocando questo concilio: la riforma della Chiesa, intesa come rinnovamento dei co­stumi del popolo e del clero e la cro­ciata, quale impresa del populus christianus, rappresentato dal concilio stesso.

Aperto l'11 novembre 1215, alla presenza di 412 vescovi e più di 800 abati e priori, si tennero tre sessioni - l'ultima il 30 novembre - nelle quali furono promulgate 71 costituzioni.

Le prime tre costituzioni sono dot­trinali: si inizia con una una professione di fede; la seconda costitu­zione  condanna un opuscolo di Gioacchino da Fiore che aveva attaccato la dottrina trinitaria di Pietro Lombardo e inoltre gli errori di Amauri di Chartres, eretico pantei­sta ed apocalittico, messo al rogo a Parigi nel 1210. La terza, tratta della repressione delle  eresie, stabilendo le pene da applicare agli eretici e ai loro favoreggiatori e il modo di ricercarli. Seguono ca­noni disciplinari riguardanti l'organizzazione  ecclesiastica.

Per la prima volta compare, nei documenti pontifici, il termine transustanziazione, alla costituzione I:

COSTITUZIONI

 I  La fede cattolica

Crediamo fermamente e confessiamo semplicemente che uno solo è il vero Dio, eterno e immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile, Padre, Figlio e Spirito Santo, tre persone, ma una sola essenza, sostanza o natura semplicissima. Il Padre (non deriva) da alcuno, il Figlio dal solo Padre, lo Spirito Santo dall'uno e dall'altro, ugualmente, sempre senza inizio e senza fine. Il Padre genera, il Figlio nasce, lo Spirito Santo procede. Sono consostanziali e coeguali, coonnipotenti e coeterni, principio unico di tutto, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e materiali. Con la sua onnipotente potenza fin dal principio del tempo creò dal nulla l'uno e l'altro ordine di creature: quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo, e poi l'uomo, quasi partecipe dell'uno e dell'altro, composto di anima e di corpo. Il diavolo infatti, e gli altri demoni, da Dio sono stati creati buoni per natura, ma sono diventati malvagi da sé stessi. E l'uomo ha peccato per suggestione del demonio. Questa santa Trinità, una, secondo la comune essenza, distinta secondo le proprietà delle persone, ha rivelato al genere umano, per mezzo di Mosè, dei santi profeti e degli altri suoi servi la dottrina di salvezza, secondo una sapientissima disposizione dei tempi. E finalmente il Figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo, incarnatosi per opera comune della Trinità, concepito da Maria sempre vergine con la cooperazione dello Spirito Santo, divenuto vero uomo, composto di anima razionale e di carne umana, una sola persona in due nature, manifestò più chiaramente la via della vita. Immortale e impassibile secondo la divinità, Egli si fece passibile e mortale secondo l'umanità; anzi, dopo aver sofferto sul legno della croce ed esser morto per la salvezza del genere umano, discese negli inferi, risorse dai morti e salì al cielo; ma discese con l'anima, risorse con la carne, salì con l'uno e l'altro; e verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e per compensare ciascuno secondo le sue opere, i cattivi come i buoni. Tutti risorgeranno coi propri corpi di cui ora sono rivestiti, per ricevere un compenso secondo i meriti, buoni o cattivi che siano stati: quelli con il diavolo riceveranno la pena eterna, questi col Cristo la gloria eterna.

Una, inoltre, è la chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno assolutamente si salva. In essa lo stesso Gesù Cristo è sacerdote e vittima, il suo corpo e il suo sangue sono contenuti realmente nel sacramento dell'altare, sotto le specie del pane e del vino,transustanziati il pane nel corpo, il sangue nel vino per divino potere; cosicché per adempiere il mistero dell'unità, noi riceviamo da lui ciò che egli ha ricevuto da noi…



08/02/2015 18:42

Gregorio VII

 

Gregorio VII, durante il suo papato, svolse un’opera rivolta al risanamento  del comportamento del clero, alla riorganizzazione del mondo ecclesiastico in un sistema monarchico di governo e è ricordato per aver sottoscritto una formula raffinata e meditata per cui “il pane e il vino sono trasformati sostanzialmente nel vero e proprio e vivificante corpo e sangue di Gesù Cristo” (Registro di Gregorio VII, VI 17 a Nr. 1).

Con la Riforma Gregoriana, conosciuta anche come Riforma della Chiesa, Gregorio VII  avversò la simonia, i patrimoni ecclesiastici, il matrimonio e il concubinato dei preti,  così diffusi che le austere arringhe dei religiosi più intransigenti trovarono ampi consensi fra gli strati popolari. Il movimento della riforma mirò alla moralizzazione del clero, a togliere all'impero il diritto di nominare i vertici della gerarchia ecclesiastica e alla trasformazione del papato in una monarchia, tale da permettere una più agevole riorganizzazione della chiesa. Le proteste e i fermenti di rinnovamento arrivarono soprattutto dai monaci che appoggiarono il papato nella Riforma; in Italia si schierarono contro il clero corrotto Romualdo di Ravenna, fondatore dell'eremo di Camaldoli, e Giovanni Gualberto, fondatore dei vallombrosani. 

Nei manuali di storia medievale, la riforma gregoriana viene vista in maniera positiva, poiché con essa - si dice - Gregorio VII seppe "por fine" all'anarchia ecclesiastica dei due secoli precedenti.

Gregorio VII e la transustanziazione: per quanto concerne l’Eucaristia la cultura dell’età patristica non aveva elaborato una dottrina definitiva. Si erano delineati due orientamenti. Il primo, che aveva come capofila Ambrogio di Milano, sottolineava maggiormente la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, mentre il secondo orientamento, che faceva capo a sant’Agostino, poneva in evidenza la forza dinamicosimbolica del sacramento che inserisce i fedeli in Cristo e nel corpo mistico della Chiesa. La prima concezione rischiava di cadere nel realismo esagerato. La seconda concezione aveva il torto di scostarsi dal senso realistico dell’espressione usata da Cristo: Hoc est corpus meum che non si può interpretare in senso simbolico (est non equivale significat). Berengario di Tours, impiegando termini filosofici non ancora sufficientemente sviluppati, per evitare il realismo esagerato cadde nel simbolismo. Il papa Leone IX fece condannare da due sinodi la tesi di Berengario, ma la discussione ebbe il merito di avviare a soluzione la definizione di Eucaristia sia sotto il profilo filosofico, sia sotto il profilo teologico, scartando le soluzioni per eccesso (affermare che nell’Eucaristia c’è il corpo e il sangue di Cristo nel senso inteso dagli ascoltatori di Cristo a Cafarnao che ebbero il timore di dover diventare antropofagi), e per difetto (affermare che la presenza del corpo e del sangue nell’Eucaristia è semplicemente metaforica). Berengario, nel 1079, sottoscrisse una formula raffinata che S. Gregorio VII, gli impose, avendo egli osato negare la transustanziazione eucaristica e prestò giuramento nei seguenti termini: “Intimamente credo e apertamente confesso che il pane e il vino posti sull’altare, per il mistero dell’orazione sacra e per le parole del Redentore, si convertono sostanzialmente nella vera e propria vivificante Carne e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo”  

Da Lettera Enciclica Di Sua Santità papa Paolo VI - Mysterium Fidei sulla Dottrina e Il Culto della Santissima. Eucaristia (3 settembre 1965)

... È più utile richiamare la fermezza della fede con cui la Chiesa, con unanime concordia, resistette a Berengario, il quale, cedendo alle difficoltà suggerite dalla ragione umana, osò per il primo negare la conversione Eucaristica; la Chiesa gli minacciò ripetutamente la condanna se non si ritrattasse. Perciò Gregorio VII, Nostro Predecessore, gli impose di prestare il giuramento in questi termini: « Intimamente credo e apertamente confesso che il pane e il vino posti sull'altare, per il mistero della orazione sacra e le parole del nostro Redentore, si convertono sostanzialmente nella vera e propria e vivificante carne e sangue di Nostro Signore Gesù Cristo; e che dopo la consacrazione c'è il vero corpo di Cristo, che è nato dalla Vergine e per la salvezza del mondo fu offerto e sospeso sulla croce e ora siede alla destra del Padre; e c'è anche il vero sangue di Cristo, che uscì dal suo fianco, non soltanto come segno e virtù del sacramento, ma anche nella proprietà della natura e nella realtà della sostanza ».

Transustanziazione

La parola è stata coniata dalla teologia medievale (la prima documentazione ufficiale si ha nel Concilio lateranense IV, del 1215, nella professione di fede contro gli Albigesi) la quale esprime in maniera chiarissima il dogma circa la presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia. Secondo detto dogma Gesù è presente nell'Eucaristia per transustanziazione, cioè per cambiamento dell'intera sostanza del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue. Il cambiamento avviene in virtù delle parole della consacrazione in quanto Gesù nell'ultima cena non disse: "qui è il mio corpo" ovvero "in questo pane, con questo pane, sotto questo pane è il mio corpo" ma: "questo (che io vi mostro) è il mio corpo": parole che mentre proclamano la presenza reale, la producono. Ne segue che, dopo la consacrazione, nulla resta della sostanza del pane e del vino ma soltanto le loro apparenze o specie (accidenti) e che Gesù Cristo continua ad esser presente sotto le medesime fino a che quelle sussistono.

Il primo che abbia trattato del modo della presenza reale di Cristo nel Sacramento dell'Eucaristia è Pascasio Radberto nel trattato De Corpore et Sanguine Domini (844) in cui afferma esplicitamente l'identità del corpo storico di Cristo e di quello eucaristico, concezione criticata da Ratramno come troppo realistica. Ma colui che sollevò nel Medioevo la più grande controversia eucaristica fu Berengario il quale, oltre a negare la dottrina realistica di Pascasio, negò anche il concetto di transustanziazione, ritenendo impossibile la percezione degli accidenti separatamente dalla sostanza. La controversia teologica che ne seguì valse a porre sempre meglio in chiaro il dogma della presenza reale e a foggiar la parola che ne esprime a perfezione il concetto. San Tommaso nella Summa Theologica precisa, con la chiarezza di concetti che gli è propria, tutta la dottrina eucaristica; e il concilio di Trento (1545), contro le interpretazioni simbolistiche dei riformatori, fissò nella sessione XIII (Decreto sull'Eucaristia) il dogma della transustanziazione.



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