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. Al primo posto mettete la confessione e poi chiedete una direzione spirituale, se lo ritenete necessario. La realtà dei miei peccati deve venire come prima cosa. Per la maggior parte di noi vi è il pericolo di dimenticare di essere peccatori e che come peccatori dobbiamo andare alla confessione. Dobbiamo sentire il bisogno che il sangue prezioso di Cristo lavi i nostri peccati. Dobbiamo andare davanti a Dio e dirgli che siamo addolorati per tutto quello che abbiamo commesso, che può avergli recato offesa. (Beata Madre Teresa di Calcutta)
 
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Di Padre Antonino M. di Monda

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2015 13:18
01/02/2015 19:59

l'inferno visto dai santi
INDICE
Prefazione dell'autore 
Introduzione 
Cosa si intende per inferno 

1. Le religioni antiche 
2. L'Islamismo 
3. L'Ebraismo
4. Il senso comune 
5. La religione cattolica
La riflessione sull'inferno 
1. CHI RACCOMANDA IL PENSIERO DELL'INFERNO
a. Dalla Sacra Scrittura
b. Da Santi Padri e uomini di grande saggezz
c. Dalla sana psicologia e dal buon senso 
d. Dall'insegnamento della pedagogia 
e. Dall'esperienza dei Santi
2. MA IL CRISTIANESIMO NON È GIOIA? 
3. CONVERTITI DALLA PAURA 
4. PERCHÉ È UTILE IL PENSIERO DELL'INFERNO 
Ma esiste veramente l'inferno? 

1. L'INFERNO Sì, MA SULLA TERRA
2. ESISTE ANCHE L'INFERNO DELL'ALDILÀ 
3. OBIEZIONI E DIFFICOLTÀ 
In che consiste l'inferno 
1. LUOGO E/O STATO? 
2. LE PENE DELL'INFERNO 
a. L'assenza di Dio 
b. La pena del senso 
c. Pene eterne ed immutabili 
Le "visioni" dei Santi

1. Si tratta di rivelazioni private 
2. Natura di queste apparizioni o visioni 
3. Che valore attribuire alle apparizioni o visioni 
4. Perché si verificano detti fenomeni 
L'inferno visto dai Santi 

1 - L'inferno visto da S. Teresa d'Avila 
2 - SANTA VERONICA GIULIANI 
3 - Beata Anna Caterina Emmerick 
4 - La visione di S. Giovanni Bosco 
5 - L'inferno visto dai tre veggenti di Fatima 
6 - L'inferno visto da Sr. Maria Giuseppa Menendez 
7 - L'inferno visto da Santa Faustina Kowalska 
8 - Edvige Carboni 
9 - L'inferno visto dai veggenti di Medjugorje 
10 - TERESA MUSCO

Uno sguardo d'insieme 
Qualche considerazione teologica 
Richiami morali ed ascetici da non trascurare 
Conclusione 







Ho la gioia e l'onore di presentare l'ultima opera letteraria del carissi¬mo Padre Antonio Maria Di Monda, che tratta della visione che alcuni Santi particolarmente rappresentativi hanno avuto dell'inferno. L'argomento propo¬sto dal Padre Di Monda è certamente tra i più "scomodi ", ma è anche tra i più affascinanti perché sonda un terreno sovente tralasciato dai teologi.

Si tratta dell'ennesima "perla" del nostro Padre Antonio la cui penna sembra mai esaurirsi. Egli ha voluto realizzare quest'interessantissimo lavoro non solo a beneficio dei "suoi" studenti di teologia, ma anche a favore dei fedeli che intendono approfondire la "scottante" tematica dell'inferno, della sua esistenza e delle sue caratteristiche.
L'esperienza dei Santi ha costituito la base di quest'opera che, senza dubbio, si rivelerà preziosa per il lettore. Questo pregevole scritto, come del resto tutti quelli realizzati dal P. Di Monda, nasce dalla sua attività di docente in Antropologia Teologica e da quella d'esorcista della Diocesi di Benevento. Il suo desiderio di ricerca e la volontà di trasmettere la sua esperienza apostolica sono, a mio modesto parere, l'anima di questo prezioso lavoro. La determinazione di Padre Antonio è davvero encomiabile ed esemplare. Egli, ormai non più giovanissimo, è sempre estremamente vitale sotto il profilo scientifico e sotto quello missionario. Queste realtà emergono anche dal suo modo di esprimersi nello stesso tempo, corretto e preciso, sotto l'aspetto me¬todologico, nonché appassionato ed infervorato, per quel che concerne lo stile. L'impressione che si ha scorrendo le pagine del Padre Di Monda è che man mano che egli si produce in lavori letterari, il lettore ha la possibilità di attingere un pozzo profondo di ricchezza culturale e spirituale.
Ringrazio Padre Antonio per questo suo impegno letterario. Egli può, senza falsa retorica, essere considerato la memoria e la gloria vivente della nostra Provincia Religiosa, sempre più bisognosa di frati impegnati, Santi, colti e fervorosi come lui. Padre Antonio è un portentoso e sempre attuale modello di dedizione apostolica per l'intera famiglia francescana conventua¬le. Padre Antonio continui a donarci sempre la gioia della sua presenza e del suo encomiabile apostolato!

Prefazione dell'autore
Mi sono deciso a scrivere e a pubblicare questo volume dopo che, leg¬gendo la biografia d'alcuni Santi, mi sono appunto imbattuto in visioni o apparizioni scioccanti. I Santi, gli esseri più gioiosi e ottimisti che si possano immaginare, parlano d'inferno. Una delle tante "stranezze" della loro vita? Nient'affatto, perché d'inferno parla prima di tutto Cristo, il portatore della vera gioia al mondo intero. Ciò significa sia che la verità, quale che sia, non può in nessun modo essere ecclissata o peggio ancora addirittura negata, e sia che la verità -per quanto dura e impietosa possa essere - può ben accordarsi anche con la gioia e l'amore.
Ho incominciato così la ricerca, i cui risultati presento appunto nelle pagine che seguono. Naturalmente essa è stata volutamente limitata ad alcuni esemplari, sufficienti allo scopo prefisso di presentare al mondo d'oggi, inco¬sciente spesso imo alla follia, una verità, con la quale - si voglia o no, si accet¬ti o no - bisogna fare i conti se non si vuol finire nel fallimento tragico e defi¬nitivo della vita.
Nella ricerca sono stato affiancato da due miei carissimi amici e fratel¬li Giovanni Cocca e Carlo Sorrentino ai quali va il mio grazie cordiale e sin¬cero.
Le testimonianze qui addotte sono anche sufficienti a riportare alla ragione - ciò che ci auguriamo con tutta l'anima - chi, per un verso o l'altro, l'ha perduta o fosse sul punto di perderla. Non credo ad un inferno vuoto: Gesù non è e non ha mai rivestito le vesti di un illusionista: le sue parole e affermazioni sono sempre parole e affermazioni di verità e di vita, alle quali bisogna credere con l'umiltà e la semplicità dei bambini, anche quando si è dotati di cultura e di preparazione teologica. Egli ha affermato, tra l'altro, che un giorno dirà a quelli di sinistra: "Via da me maledetti al fuoco eterno... ".
Non si tratta di una minaccia che si esaurisce in vuote parole, bensì di una tremenda sentenza di giustizia comminata a chi - e devono essere in tanti¬ non ha mai voluto capire il linguaggio dell'amore e della misericordia.
Scriviamo perciò queste pagine, anche nella speranza di poter offrire un aiuto almeno a qualche anima che, negando scientemente o no, una veri¬tà rivelata, rischia di finire in un'eternità orrenda, senza più possibilità di riscatto.

Introduzione
Parlo d'inferno..., e mi sembra già di sentire gli sghignazzamenti, i risolini ironici, i giudizi sprezzanti di tutti i... superuomini arrivati - beati loro! ¬alla convinzione che l'inferno è una favola, un'invenzione di anime tristi che, consapevolmente o no, appestano l'aria con queste fantasie mefitiche. Sull'inferno purtroppo oggi forse si scherza troppo: fioriscono barzellette e battute che, per lo più, tendono appunto a svuotare di significato una realtà ritenuta fantasia e creazione di preti e di gente triste. Come si può oggi - dico¬no tanti - parlare ancora d'inferno, nell'era della tecnica onnipotente e di con¬quiste quasi incredibili? Ma, sia detto a scanso di equivoci: lazzi e sorrisetti ironici e altre cose del genere, non devono impressionare troppo, perché alla verità non si perviene con negazioni idiote e ironie stupide. Se tutto il mondo arrivasse alla pazzia di affermare che il sole è un'illusione, non per questo il sole cesserebbe di essere. La verità è indistruttibile ed eterna come Dio, e l'in¬ferno è una realtà di ragione e di rivelazione, che niente e nessuno, nonostan¬te i tanti interrogativi che solleva, potrà vanificare. È vero, molti - e sono soprattutto agnostici, razionalisti e materialisti e uomini dalla dubbia condot¬ta - non credono all'inferno, adducendo ragioni su ragioni che non provano niente. L'inferno - dicono molti di loro - è qui sulla terra per la nequizia di uomini perversi.
Accingendoci a scrivere queste pagine, partiamo proprio dalla persua¬sione della certezza dell'esistenza dell'inferno, essendo verità e dogma di fede. Il che significa che la rivelazione conferma abbondantemente i dati di ragione. Tra l'altro, i concili di Lione del 1245 e del 1274, e quello di Firenze del 1439, e della costituz. Benedictus Deus (1336) di Benedetto XII hanno detto che chi muore in peccato mortale subirà l'eterna danna¬zione nell'inferno. Com'è verità di fede anche l'eternità dell'inferno e delle sue pene, definita nel IV Concilio Lateranense e nel Concilio di Lione.
Nel 543 l'imperatore Giustiniano, con l'approvazione di Papa Vigilio, pose termine alla controversia origenista scagliando la scomunica: "Se qual¬cuno dice o ritiene che il supplizio dei demoni e degli uomini empi è temporaneo e avrà fine..., costui sia scomunicato".
La verità, dunque, dell'esistenza e delle pene eterne dell'inferno è un dogma di fede. Cos'è il dogma di fede? Un diktat che non ammette repliche o discussioni, che stabilisce una verità perché così vuole qualcuno? O è qualco¬sa contro la ragione che bisogna accettare per fede, pur senza esserne convin¬ti? No, il dogma non è niente di tutto questo. Esso è semplicemente la dichia¬razione solenne e infallibile di una verità affermata dalla rivelazione e sempre creduta dal Popolo di Dio.
Proclamazione solenne e definitiva resa necessaria per mettere fine a discussioni e obiezioni non ben fondate o a negazioni, frutto d'interpretazio¬ni riduttive o settarie.
Dichiarare dogma una verità di fede rivelata è un po' - si direbbe - come una sentenza di Cassazione che pone fine ad ogni controversia, con la diffe¬renza che anche la sentenza della Cassazione, pur sempre tanto autorevole, potrebbe essere errata, mentre non lo sarà mai la proclamazione di un dogma, essendo la Chiesa assistita dallo Spirito Santo.
Non indugeremo perciò su negatori e difficoltà mosse a tale verità, anche se, all'occasione dovremo, per necessità, farne qualche piccolo accen¬no. Vogliamo solo presentare quanto hanno visto i Santi per divina rivelazio¬ne, che costituisce una conferma di più e spesso in modo clamoroso del dato biblico, la parola di Dio per eccellenza.
Ritornando alle "visioni" dei Santi, è sorprendente che esse si verifi¬chino ancora oggi, che si facciano anzi addirittura più frequenti proprio nel secolo XX- XXI, il secolo che ha visto più che mai regredire la fede in Dio. E ciò non può essere senza una ragione profonda.
Ma quello che più forse sorprenderà è il fatto che le visioni dell'infer¬no si ritrovino anche in quei Santi che eccellono pure per i messaggi di mise¬ricordia e d'amore, affidati loro dal Signore. Si pensi solo, per es., a Sr. Faustina Kowalska, colei alla quale Gesù rivelò l'infinito suo amore miseri¬cordioso. Chiaro monito - si direbbe - a non fare dell'infinita misericordia divi¬na un incoraggiamento o un paravento a voluti atteggiamenti peccaminosi, in contrasto con la legge e il Vangelo. Atteggiamenti che, oltre tutto, sono in pra¬tica, vere e proprie sfide a Dio e alla verità perché, confondendo misericordia e giustizia, si finisce in pratica con l'esaltare stoltamente talmente la miseri¬cordia da cancellare quasi l'altro non meno necessario attributo di Dio, la giu-stizia infinita.
Vorremmo pure mettere sull'avviso che non si vuol dare qui come un riassunto della teologia sull'inferno, anche se, ragionando sulle visioni dei Santi, si arriva a dare una prospettiva teologica tutta propria, ma per nulla in contrasto con i relativi trattati teologici classici.
Si tratta solo di indagare e mettere a confronto due posizioni o insegna¬menti, quello della Rivelazione divina e quella dei Santi per evidenziarne, assieme alla sostanziale conformità, anche le possibili accidentali diversità o dettagli che possono illuminare ancora di più questa paurosa e misteriosa real¬tà dell'inferno.
Naturalmente diamo qui per scontato che le visioni qui addotte, sono realmente avvenute, attenendoci a quanto hanno detto i competenti a proposi¬to di tali fenomeni mistici. E infine parliamo dell'inferno non per il gusto di terrorizzare le anime, ma piuttosto per amore di esse. Oggi, in gran parte, si è perduto ogni senso di peccato e di responsabilità. I peccati, soprattutto impu¬ri, dilagano come uno tsunami che travolge tutto e tutti. Si guazza nel fango, si profana tutto, e tutto questo è visto con un'indifferenza incredibile e spesso se ne fa addirittura aperta apologia ed esaltazione: una situazione morale e spi¬rituale peggiore di quella del tempo del diluvio, del quale la S. Scrittura dice che l'uomo era divenuto carne (Gen 6,5-13).
E i peccati mortali, quelli cioè che privano l'anima della grazia e della vita divina, uccidendola e dandola in braccio a Satana, hanno tutti come epi¬logo - se non ci si pente - la dannazione eterna.
Una parola, questa, che a ben riflettere dovrebbe far tremare le vene e i polsi. In effetti, preferiremmo parlare di ben altri argomenti, che riempiono l'anima d'amore e di speranza, ma non si può assistere alla fine tragica di tanti fratelli senza fare qualcosa. "Lo so bene -scriveva S. Giovanni Crisostomo ¬che queste parole (= riguardanti l'inferno) sono pesanti e affliggono chi le ascolta. Il mio cuore n'è turbato ed è pieno di spavento. Quanto più vedo che la dottrina dell'inferno è solidamente provata, tanto più tremo e vorrei sot¬trarmi per la paura. Ma è necessario dire queste cose, affinché non cadiamo nell'inferno".
Vorremmo quasi scusarci di dover parlare di tali argomenti, ma ci con¬soliamo che Cristo stesso, il Dio incarnato per gli uomini per la loro salvezza, lui stesso ha parlato senza posa dell'inferno. E Dio stesso ha inviato i suoi Santi a parlare di ciò. Sarà vero quanto detto da Natuzza Evolo, la mistica di Paravati (CZ) a cui in un'apparizione del 15 agosto 1988, la Madonna avreb¬be detto: "Io sono l'Immacolata Concezione... il mio cuore è trafitto da una spada per tutto il mondo intero che pensa a mangiare, bere, divertirsi e a vestirsi bene, mentre c'è gente che soffre. Pensa solo per il corpo, mai un pen¬siero a Dio... I peccatori di tutto il mondo e particolarmente i religiosi cado¬no nell'inferno come le foglie degli alberi..."?

Cosa si intende per inferno
È necessario, prima di tutto, chiedersi cosa si intenda con la parola "inferno".
Per i credenti e anche per molti non credenti l'inferno è una realtà che riguarda l'al di là, una realtà quindi ultraterrena di cui parlano quasi tutte le religioni. Ecco un brevissimo accenno almeno di alcune di esse.

1. Le religioni antiche
Plutarco di Cheronea ha scritto un opuscolo dal titolo "Perché la giu¬stizia divina punisce tardi", dove parla di castighi inflitti nell'altro mondo e di un luogo dove operano dèi o semidèi a danno di quelli che hanno operato il male nella vita sulla terra. Egli si esprime così: "Tespesio disse che la dea Adrastea, figlia di Giove e della Necessità, aveva nell'altro mondo i pieni poteri di castigare ogni sorta di delitti, e che mai nessun colpevole, grandi o piccole che fossero le sue colpe, era riuscito per forza o per astuzia ad evita¬re la pena meritata. Aggiunse che Adrastea aveva ai suoi ordini tre esecutri¬ci, tra le quali era diviso il compito dell'esecuzione dei castighi. La prima si chiama Poiné (= la pena, il castigo). Essa punisce in modo lieve e rapido colo¬ro che in questa vita sono già stati puniti materialmente nel corpo e chiude benevolmente un occhio su tante cose che meriterebbero un'espiazione.
Quelli la cui perversità richiede rimedi più efficaci, il Genio dei sup¬plizi li affida alla seconda esecutrice, chiamata Dike (= la giustizia), perché siano puniti come meritano. Ma quanto a quelli che sono assolutamente inguaribili, una volta che Dike le ha respinti, Erinni, la terza e la più terribi¬le delle aiutanti di Adrastea, balza verso di loro, li insegue furibonda mentre fuggono e si disperdono per ogni dove straziati e doloranti, li afferra e li fa precipitare senza misericordia in un abisso che l'occhio umano non ha mai esplorato e che la parola non può descrivere".
Guidato da una guida, Tespesio entra in un luogo dove gli si presenta uno spettacolo tristissimo e dolorosissimo: vede amici, compagni e conoscen¬ti e lo stesso suo padre in preda a crudeli supplizi. Vede celebri e malvagi col¬pevoli della storia, puniti per i loro crimini a tutti noti.
Continuando, Plutarco racconta quanto visto da Tespesio: spettacoli penosissimi e agghiaccianti di pene inflitte a colpevoli. "Tespesio vide così i più celebri e malvagi colpevoli della storia, puniti per i loro crimini a tutti noti; questi però erano tormentati molto meno dolorosamente, e si teneva conto della loro debolezza e della violenza delle passioni che li avevano tra¬scinati. Ma quelli invece che erano vissuti nel vizio, ed avevano goduto sotto la maschera ipocrita di una falsa virtù, della gloria che spetta alla virtù vera, erano circondati da esecutori di giustizia che li obbligavano a rivoltare l'in-terno delle loro anime, mostrandolo di fuori, come fa quel pesce marino chia¬mato scolopendra, di cui si dice che vomiti le proprie interiora per liberarsi dell'amo che ha inghiottito.
Altri erano scorticati e, in questa triste condizione, mostrati a tutte le altre anime dagli stessi esecutori del supplizio; costoro mettevano a nudo e facevano notare implacabilmente l'odioso vizio che aveva corrotto le loro anime fino nella loro essenza più pura e sublime. Tespesio narrava di averne visti altri attaccati e annodati insieme, come serpenti, che si divoravano l'un l'altro con furore rammentando i loro delitti e le passioni velenose che aveva¬no nutrito in cuore.
Non lontano da quel luogo si trovavano tre stagni: il primo era pieno di oro fuso e bollente, il secondo di piombo più freddo del ghiaccio, il terzo di ferro aspro e duro. Demoni addetti a quegli orribili laghi tenevano in mano certi strumenti con i quali afferravano i colpevoli e li tuffavano negli stagni o li tiravano fuori, come il fabbro ferraio quando lavora i metalli. Per esempio, gettavano nell'oro incandescente le anime di coloro che in vita avevano ubbi¬dito alla passione dell'avarizia e non avevano tralasciato alcun mezzo per arricchirsi; poi, quando la violenza del calore le aveva rese trasparenti, i demoni si precipitavano a spegnerle nel piombo gelido; quando le anime, dopo questo bagno, avevano preso la consistenza di un pezzo di ghiaccio, le gettavano nel ferro, dove divenivano orrendamente nere (...). Durante questi successivi mutamenti, soffrivano dolori indicibili".
A questo punto così chiosa il De Maistre: "Si osservino le traduzioni antiche e universali su questo spaventoso abisso da cui la speranza, che pure si trova ovunque, è scacciata per sempre" (J. MILTON, Il Paradiso perduto, 1, 66-67), "dove non si può né vivere né morire" (Corano, 87).
Plutarco chiama questi infelici "assolutamente inguaribili" (...) una espressione di Platone del Gorgia. "Costoro, egli scrive, essendo inguaribili, soffriranno in eterno spaventosi supplizi". Per un'idea sull'inferno dei romani, basta leggere 1'Eneide di Virgilio.
Notorio poi il culto per i morti presso gli Egizi. Per costoro "I cattivi esclusi dal luminoso regno dei morti, giacciono... affamati e assetati, nel buio del regno sotterraneo". Non è proprio l'inferno, ma qualcosa che vi si avvicina abbastanza.

2. L'Islamismo
L'ìnferno è il luogo del castigo eterno per i soli miscredenti, che sono tutti coloro che non abbracciano l'Islamismo. Consiste nel "fuoco ardente" e nella collera di Dio. La sura 32 recita: "Riempirò l'inferno di geni e di uomi¬ni di ogni tipo".
"Durante il Giudizio Universale, le buone e cattive azioni degli uomi¬ni, che sono state registrate su un libro, saranno pesate su di una bilancia. Gli uomini dovranno poi attraversare il golfo dell'inferno su un ponte più sottile di un capello e più affilato di una spada, mentre sotto di loro gli inferi spa¬lancheranno le fauci per inghiottire coloro che cadranno e precipitarli nelle loro sei bolge. Gli infedeli diverranno schiavi dell'inferno e bruceranno tra le sue fiamme (sura 19 e 47); i credenti potranno invece scampare al baratro e giungere in paradiso".

3. L'Ebraismo
Presso gli Ebrei "l'idea dell'inferno si va preparando con l'evoluzione nel modo di immaginare lo sheol" ritenuto dapprima come "un luogo indistin¬to, un vero domicilio comune dei morti. (...) Il grado definitivo d'evoluzione è costituito dai salmi mistici (salmi 16, 49 e 73): il giusto spera che Dio lo libe¬ri dallo sheol e che lo porti con sé. È chiaro che, se il giusto va con Dio per una comunità di vita e d'intimità con Lui, solo gli empi restano nello sheol. Così lo sheol si trasforma, da domicilio comune dei morti, in inferno".
"Il libro della Sapienza continua questa stessa prospettiva: la sorte dell'empio, che è chiamata morte ed è descritta come dolorosa (cf. Sap 4, 19), è la permanenza nello sheol, mentre i giusti hanno una vita eterna in comu¬nità con Dio".

4. Il senso comune
Parlando di senso comune, intendiamo rifarci particolarmente a quanto crede in genere il popolo o la massa e anche uomini rappresentativi soprattut¬to del mondo delle lettere e della filosofia, guidati dai suddetti criteri di discer¬nimento.
La nozione filosofica, (non sociologica) di senso comune ci viene così presentata da A. Livi in un articolo storico-critico: "Insieme organico e gene¬tico delle evidenze empiriche primarie, dalle quali derivano i primi principi universali (speculativi e morali) e tutte le successive certezze dell'esperienza, dell'inferenza e della testimonianza".
La filosofia del senso comune "serve tra l'altro, a far riflettere i cri¬stiani sulle pretese di verità umana delle altre religioni (pretese infondate) con le garanzie di verità divina offerte dal messaggio evangelico, una verità testimoniata da Dio stesso fatto uomo e da coloro che Egli scelse come testi¬moni della sua resurrezione, dopo aver indicato proprio la sua resurrezione come segno supremo o prova razionale della sua divinità, e pertanto della sua credibilità".
Ebbene per la grande massa del popolo e anche per gli intellettuali più aperti alla realtà, l'inferno è il luogo e lo stato di castigo ultraterreno per tutti gli empi, che tali sono stati fino all'ultimo giorno della loro vita. In pratica, l'inferno è la terribile condizione di chi ha perduto Dio per sempre. Il divin poeta Dante Alighieri - che può dirsi anche, in qualche modo, l'eco, oltre che della teologia, anche del senso comune - lo presenta già nella terribile scritta che legge sulla porta d'entrata: "Per me si va nella città dolente, / Per me si va nell'eterno dolore, / Per me si va tra la perduta gente ".
"Lasciate ogni speranza voi che entrate ".
Poi descrivendolo in qualche modo in una prima impressione, scrive: "Quivi sospiri, pianti ed alti guai / Risonavan per l'aer senza stelle, / Perch'io al cominciar ne lagrimai. / Diverse lingue, orribili favelle, / Parole di dolore, accenti d'ira, / Voci alte e fioche e suon di man con elle, / Facevan un tumul¬to il qual s'aggira / Sempre in quell'aria senza tempo tinta, / Come la rena quando il turbo spira".

5. La religione cattolica
All'insegnamento della Chiesa Cattolica abbiamo già accennato, ripor¬tando quanto detto da Concili e Documenti ecclesiali sull'inferno. Ma ci viene pure presentato, in modo chiaro e completo, dal relativamente recente Catechismo della Chiesa Cattolica e dall'ancora più recente Compendio, apparsi in questi ultimi anni.
"La Chiesa nel suo insegnamento - recita il Catechismo - afferma l'esi¬stenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, il fuoco eterno.
La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira".
E ancora: "Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la sua retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una puri¬ficazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre".
Il Compendio dello stesso Catechismo si esprime così: l'inferno "con¬siste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale. La pena principale dell'inferno sta nella separazione eterna da Dio, nel quale unicamente l'uomo ha la vita e la felicità, per le quali è stato crea¬to e alle quali aspira. Cristo esprime questa realtà con le parole: Via, lonta¬no da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25,41).
Il Catechismo-Compendio si pone pure la domanda come conciliare l'esistenza dell'inferno con l'infinita bontà di Dio. Risponde così: "Dio, pur volendo ‘che tutti abbiano modo di pentirsi’ (2 Pt 3,9), tuttavia, avendo crea¬to l'uomo libero e responsabile, rispetta le sue decisioni. Pertanto, è l'uomo stesso che, in piena autonomia, si esclude volontariamente dalla comunione con Dio se, fino al momento della propria morte, persiste nel peccato morta¬le, rifiutando l'amore misericordioso di Dio".
L'inferno ha principio con la caduta degli angeli che "creati buoni da Dio, si sono trasformati in malvagi, perché, con libera e irrevocabile scelta, hanno rifiutato Dio e il suo Regno, dando così origine all'inferno".
L'inferno non è da confondersi con gli inferi, dei quali si dice di Cristo risorto: "Discese agli inferi...".
"Gli inferi - diversi dall'inferno della dannazione - costituivano lo stato di tutti coloro, giusti e cattivi, che erano morti prima di Cristo.
Con l'anima unita alla sua Persona divina Gesù ha raggiunto negli inferi i giusti che attendevano il loro Redentore per accedere infine alla visio¬ne di Dio".
La religione cattolica insegna pure che la dannazione all'inferno è il castigo riservato a tutti i negatori di Dio e trasgressori coscienti dei suoi comandamenti. "...Per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immo¬rali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte" (Ap 21,8).
Essi non avranno parte al regno e alla felicità eterna: "Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna" (Ap 22,15).
L'inferno è dunque una realtà che riguarda l'altra vita, che segue alla morte e al giudizio di Dio, subìto da ogni uomo immediatamente dopo la morte. Pur ammettendo che certe situazioni della vita temporale terrena si rivelino dei veri e propri inferni; l'inferno, nella sua più vera e autentica essenza, si riferisce all'aldilà e riguarda esclusivamente l'altra vita e quanto si accompagna o segue alla dannazione e al fallimento della vita. Dannazione e fallimento, perché, per la dottrina cattolica, l'uomo è chiamato a partecipa¬re alla vita e alla felicità di Dio stesso, ciò che viene raggiunto con l'accetta-zione e l'adempimento della Parola di Dio.
Per chi non raggiunge lo scopo, è il fallimento completo della vita: egli non solo non vedrà Dio né parteciperà ai suoi beni, ma va incontro all'infeli¬cità completa. Purtroppo, alla luce della ragione e ignorando in gran parte tutta la portata delle tendenze fondamentali dell'uomo, difficilmente si riesce a capire quale spaventosa e irreparabile tragedia rappresenti questo fallimento. Lo si può vedere, almeno in qualche modo, oltre che da quanto ci rivela la fede, anche dalle rivelazioni dei Santi.
Come si vede, la credenza in un aldilà di vita o di morte eterna la si ritrova presso tutti i popoli e in tutte le religioni che non insegnano l'assorbi¬mento e l'annientamento in dio o nel nulla, o nella reincarnazione. Non è poco! Credenze così universali suppongono o quell'indistruttibile senso comune che si immedesima quasi con la natura umana o tracce di rivelazione dall'alto, inquinatesi magari lungo i secoli di elementi fantastici ed erronei che, però, non oscurano del tutto il nucleo essenziale.

La riflessione sull'inferno
Prima di procedere oltre, è il caso di chiedersi: è bene o male riflettere sull'inferno?
La domanda si impone perché - in tempi in cui tutto è visto e risolto all'insegna di un buonismo ad oltranza - vigoreggia sempre la protesta di tanti che ritengono inopportuno - se non addirittura dannoso, almeno per alcune classi di persone - indugiare su certi argomenti. Non si ripete da tanti, un po' dappertutto per es., che ai piccoli non si deve parlare di inferno per non ter¬rorizzarli? Come non mancano di quelli che se la prendono contro la Chiesa e i sacerdoti di far ricorso, per piegare i cuori, al "terrorismo" intellettuale. E cioè si predicherebbe l'inferno per vincere una durezza di cuore, che diffi¬cilmente si vincerebbe con altri argomenti. Non si ripete continuamente che agli uomini bisogna parlare di amore e non di timore?
Vorremmo dire prima di tutto che tutte queste proteste o obiezioni, spesso sono ipocrite e pretestuose. Si afferma, per es., che non si devono spa¬ventare i piccoli col pensiero dell'inferno, e poi si ammanniscono loro, specie alla televisione, scene di orrore ben più devastanti e orrende. Si pensi pure a certe feste o manifestazioni, diffuse e incoraggiate in tutti i modi, come Halloween o sedute sataniche e simili, organizzate soprattutto per i bambini!
Diremo poi che, naturalmente, dette proteste sono spesso in pieno con¬trasto con quanto suggeriscono le Scritture e il comportamento dei Santi. In verità, usando discrezione e prudenza si possono e si devono insegnare, maga¬ri gradualmente, anche le più crude verità, perché anche queste appartengo¬no al deposito delle verità da credere per la salvezza eterna e la cui conoscen¬za e ricordo sono altamente salutari.
Ma vediamo in breve perché è salutare intrattenere mente e cuore nella considerazione anche sull'inferno.

1. CHI RACCOMANDA IL PENSIERO DELL'INFERNO
La riflessione e la meditazione sull'inferno è, prima di tutto, raccoman¬data:

a. Dalla Sacra Scrittura dove - lo si sa - Dio stesso parla attraverso l'agiografo o scrittore sacro.
Così il Siracide ammonisce: "In tutte le tue opere ricordati della sua fine e non cadrai mai nel peccato" (Sir 7,40). Parole così commentate dalla Bibbia di Gerusalemme: "Con la precisazione 'la tua fine', il greco intende chiaramente le ultime realtà" (p.1433), e perciò la morte, il giudizio, l'in¬ferno e il paradiso.
"Ricordati dell'ira, poiché non sarà lenta a venire. Umilia profonda¬mente il tuo spirito, perché il fuoco e il verme saranno il castigo della carne dell'empio" (Sir 7,18-19).
Gesù stesso invita a temere e a far di tutto per sfuggire alla dannazio¬ne: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno pote¬re di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna " (Mt 10,28).
"Meglio entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani e due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno" (Mt 18,8).
Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: "è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue" (Mc 9, 42).
L'Apostolo a sua volta dice: "Attendete alla vostra salvezza con timo¬re e tremore" (Fil 2,12), e quindi, all'occorrenza, è utile e necessario ricorre¬re anche a ciò che fa tremare salutarmente.
In piena rispondenza con questi dati, la liturgia della Chiesa, il Mercoledì delle Ceneri, fa dire dal sacerdote che impone la cenere sul capo: "Ricordati che sei polvere ed in polvere ritornerai". Il pensiero della morte - il ritorno alla polvere - può scuotere non poco e spingere sulla via della con¬versione a Dio.
In breve, la Scrittura invita a ricordare i novissimi e cioè gli eventi che seguiranno alla fine della vita: morte, giudizio, inferno e paradiso. Satana al contrario invita a non pensare, a non drammatizzare, a godersi la vita quando si è giovani soprattutto, nel pieno delle forze fisiche e intellettuali.
Si darà ascolto più alle illusioni di Satana, il menzognero per eccellen¬za, che alla Parola di Dio? Può Dio ingannare l'uomo e volere il suo male?

b. Da Santi Padri e uomini di grande saggezza
In linea con le S. Scritture i Santi Padri e Scrittori della Chiesa si sof¬fermano ed esortano non poco a meditare sulle verità che riguardano l'uomo alla fine della vita e dopo morte. Riportiamo qui il pensiero di alcuni di essi.
Origene - in un primo momento ortodosso in questo argomento - affer¬mò che nell'inferno c'è il fuoco eterno e disse che ciò va affermato in pubbli¬co allo scopo di frenare le passioni umane.
Non meno esplicito S. Basilio Magno, che così si esprime: "Quando ti senti portato a qualche peccato, pensa al tribunale tremendo e insopportabi¬le di Cristo, più grave di tutti per l'ultimo supplizio, infamia e disonore eter¬no. Temi e divenuto saggio per questo timore, frena la tua anima dai cattivi desideri".
Del timore dell'inferno si sono serviti tanti Santi per scuotere le anime dal loro torpore e far breccia in esse. Si pensi, per. Es. a S. Alfonso de' Liguori, alle missioni organizzate dal P Scaramelli e P Francesco Bianchi e, non meno, dal B. Antonio Baldinucci.

c. Dalla sana psicologia e dal buon senso
L'uomo, dato il peccato originale, è per natura ribelle alla legge che volentieri ama trasgredire. Per questo la legge è presentata con la sanzione. Senza la sanzione essa resterebbe quasi sempre lettera morta o si presentereb¬be tutt'al più come una pia esortazione, che generalmente lascia il tempo che trova. E questo sia nei rapporti con Dio come in quelli con gli uomini.
Da dire perciò che, con ogni probabilità, se ad essere trasgredite sono soprattutto le leggi morali, ciò è dovuto anche al fatto che esse appaiono senza sanzione o, per lo meno, le si vedono senza alcuna seria conseguenza pratica. Una illusione tragica, perché non esiste peccato senza conseguenze e senza sanzioni. Si sa, infatti, dalla Rivelazione che ci sarà –soprattutto - alla fine della vita e alla fine dei tempi il giudizio di Dio sulla condotta di tutti con la san¬zione della vita o morte eterna (il paradiso o l'inferno).
Stante così la cosa, psicologia e buon senso non possono non ritenere saggio ricordare queste sanzioni soprattutto ai più riottosi e ribelli.

d. Dall'insegnamento della pedagogia
La pedagogia stessa consiglia e invita a riflettere - sia pure con pruden¬za e discrezione - sull'inferno. Certo, l'educazione va impostata essenzialmen¬te sulla convinzione e sull'amore, ma cosa si fa quando l'amore non c'è? Soprattutto in questi casi si comprende che l'amore non è fatto solo di baci e di carezze, ma anche di frustate e di sberle, perché anche queste sono sugge¬rite dall'amore vero che non si rassegna ad essere completamente sconfitto. Ad un peccatore incallito e tutto immerso nella materia il terrore di incappare in un tragico eterno destino potrebbe essere un primo passo verso la salvezza. e.

e. Dall'esperienza dei Santi
Dalle innumerevoli e più diverse esperienze dei Santi si ricava la cer¬tezza che il pensiero dell'inferno fa bene anche a chi, - come S. Teresa che, pur avendo "visto" l'inferno -, non è fatto per la via del timore. "Mi accade intan¬to - dice appunto la Santa - che quando sono afflitta da qualche contraddizio¬ne o infermità, basta che mi ricordi di quella visione perché mi sembrino subi¬to da nulla persuadendomi che ce ne lamentiamo senza motivo".
E aggiunge: "Questa (= la visione e la discesa all'inferno) fu una delle più grandi grazie che il Signore m'abbia fatto, perché mi ha giovato moltissimo non meno per non temere le contraddizioni e le pene della vita che per incoraggiarmi a sopportarle, ringraziando il Signore d'avermi liberata da mali così terribili ed eterni, come mi pare di dover credere".
Anche Suor Faustina Kowalska afferma: "Scrivo questo (= allude alla descrizione di quanto ha visto e sofferto nello scendere all'inferno) per ordi¬ne di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina Kowalska, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. (...) Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno".
Ai veggenti di Medjugorje la Madonna dice: "Vì ho mostrato tutto que¬sto perché sappiate che [l'inferno] esiste e lo diciate agli altri".
Fuoco... diavoli... la gente bruttissima! - ripete Vicka -. Tutti con le corna e con la coda. Sembrano tutti diavoli. Soffrono... Dio ce ne preservi e basta. P Bubalo le chiede: La Madonna non vi ha proibito di raccontarlo? "Non ce l'ha proibito; anzi ci ha detto di raccontarlo". Più avanti Vicka aggiunge: "Credo che sarebbe molto utile che gli uomini non si dimenticasse¬ro mai che, un giorno, saremo tutti giudicati da Dio. Esiste una differenza ter¬ribile tra il Paradiso e l'inferno".
La storia dunque insegni: furono tanti i Santi che, per paura dell'infer¬no, ritrovarono la via del bene e della salvezza. Si pensi all'impressione salu¬tare che ancora suscita il Quadro dell'anima dannata che è nella Chiesa dei Lazzaristi a Napoli: una grande immagine del Crocifisso, in carta incollata su tela, con il bordo inferiore bruciato dall'impronta delle mani infuocate di una dannata, che sarebbe apparsa al suo amante nel 1711 a Firenze. (Fu) Portato a Napoli nel novembre 1712 dal P. Bernardo Giuseppe Scaramelli.
In effetti, anche il parlare di inferno è misericordia di Dio. Il pensiero infatti dell'inferno salva: "salva più anime l'inferno che il paradiso".

2. MA IL CRISTIANESIMO NON È GIOIA?
Si può pensare che la riflessione e il pensiero dell'inferno siano in con¬trasto con l'essenza della salvezza che è gioia e trionfo di essere. Certo, la sal¬vezza è e dovrebbe essere espressione di purissima gioia. L'essere, infatti, liberati dalla catena del peccato, e ritrovarsi figli adottivi di Dio e commensa¬li degli angeli, predestinati ad una felicità eterna, ecc., sono tutte realtà e fonti di inesauribile gioia spirituale. Ma sono tanti, purtroppo, a non capire e a non voler capire. Misteri così gaudiosi sono per loro parole senza senso che non impressionano nemmeno l'epidermide della loro anima. Di qui quasi la neces¬sità, -risultando incomprensibile il linguaggio dell'amore -, di far ricorso anche ai mezzi che incutono paura.
Si può e spesso si deve parlare anche di inferno per quegli stessi che camminano sul retto sentiero, perché la salvezza, finché si è su questa terra è sempre ancora a rischio. Come in ogni sperata conquista, fino a quando que¬sta non è stata effettivamente raggiunta, si ha sempre timore di non farcela.
Di qui, quindi, anche la certezza che il pensiero o la meditazione sul¬l'inferno "non è... una distorsione del mistero cristiano di salvezza, né un'e¬vocazione di verità esotiche".
A coloro che insistessero a parlare solo di amore (Dio va servito con l'amore e non nella paura, ecc.) è bene ricordare che tutto ciò che comunque avvicina a Dio, è buono. Poiché il timore dell'inferno allontana dal peccato, può essere questo il primo passo per l'auspicata riconciliazione con Dio. L'ideale resta sempre quello di tendere e operare per amore, ma quando l'amore non c'è o non ci si è ancora arrivati, il timore può essere utile, per sfuggire ai lacci e ai tranelli che, numerosi, possono o tendono ad ingannare le anime, mettendone a rischio la salvezza eterna.
Bisogna pure ammettere che la meditazione sull'inferno può essere deprimente per delle anime profondamente cristiane, ma la ripugnanza del mondo così accentuata oggi facilmente è "una maschera che nasconde il fondo di angustia che attanaglia ogni spirito umano".

3. CONVERTITI DALLA PAURA
Quanto bene possa fare il pensiero dell'inferno, ce lo dice - un esempio tra i tanti - quanto avvenuto ai funerali di un famoso maestro della Sorbona di Parigi, Raimondo Diocré. L'episodio, clamoroso e famoso, fu, al dire di P. Tomaselli, riportato dai Bollandisti ed analizzato rigorosamente in tutti i suoi particolari. Lo riportiamo qui nelle sue linee essenziali.
Alla morte dunque del professore famoso, avvenuta a Parigi, si prepa¬rarono solenni funerali nella Chiesa di Notre-Dame. Vi parteciparono profes¬sori e uomini di cultura, autorità ecclesiastiche e civili, discepoli del defunto e fedeli di ogni ceto. La salma, collocata al centro della navata centrale, era coperta da un semplice velo.
Si iniziò a recitare l'ufficio dei defunti. Arrivati alle letture bibliche, e precisamente alle parole: "Responde mihi: Quantas habeo iniquitates et pec¬cata... ", si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo: "Per giusto giudi¬zio di Dio sono stato accusato!". Con sgomento e paura si tolse il velo, ma la salma era ferma e immobile. Si riprese l'ufficiatura interrotta fra il turbamen¬to generale. Arrivati al versetto predetto, il cadavere si alzò a vista di tutti e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!". Spavento e terrore si impadronirono di tutti. Alcuni medici si avvicinarono allora alla salma ripiombata in piena immobilità, ma constatarono che il morto era veramente morto. A questo punto non si ebbe il coraggio di continuare il funerale, riman¬dando tutto all'indomani.
Le autorità ecclesiastiche non sapevano cosa fare: alcuni dicevano, è dannato e perciò non si può pregare per lui; altri invece dicevano: non si può ancora parlare di dannazione certa, pur essendo stato accusato e giudicato. Il Vescovo ordinò che si riprendesse a recitare l'ufficio dei morti. Ma al famoso versetto, nuovamente il cadavere si alzò e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno per sempre!".
Ormai era sicuro che il defunto era dannato. Il funerale cessò e si cre¬dette bene non seppellire la salma nel cimitero comune.
Tra i presenti c'era un certo Brunone, discepolo e ammiratore di Diocré, che rimase profondamente scosso da quanto accaduto. Pur essendo già un buon cristiano, risolvette di abbandonare tutto e darsi alla penitenza. Con lui altri decisero la stessa cosa. Brunone divenne il fondatore dell'Ordine dei Certosini o Trappisti, Ordine tra i più rigorosi della Chiesa Cattolica. Ma a dissipare ogni dubbio e perplessità, affacciati da sistemi pedago¬gici e psicologici ecc., è sufficiente ricordare che di inferno ha parlato, - e in che modo! - la stessa Vergine SS. Ai tre bambini di Fatima, una di 10 anni, l'al¬tra di sette anni e il terzo di cinque anni! Brutto segno allora che, oggi, quasi non si parli più dell'inferno.
In merito già il Claudel diceva: "Una cosa mi turba profondamente ed è che i sacerdoti non parlano più dell'inferno. Lo si passa pudicamente sotto silenzio. Si sottintende che tutti andranno in cielo senza alcuno sforzo, senza alcuna convinzione precisa. Non dubitano nemmeno che l'inferno sta alla base del Cristianesimo, che fu questo pericolo a strappare la Seconda Persona alla Trinità e che la metà del Vangelo ne è piena. Se io fossi predica¬tore e salissi in cattedra, proverei in primo luogo il bisogno di avvertire il gregge addormentato dello spaventoso pericolo che sta correndo".

[Modificato da MARIOCAPALBO 02/02/2015 13:18]

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