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. Al primo posto mettete la confessione e poi chiedete una direzione spirituale, se lo ritenete necessario. La realtà dei miei peccati deve venire come prima cosa. Per la maggior parte di noi vi è il pericolo di dimenticare di essere peccatori e che come peccatori dobbiamo andare alla confessione. Dobbiamo sentire il bisogno che il sangue prezioso di Cristo lavi i nostri peccati. Dobbiamo andare davanti a Dio e dirgli che siamo addolorati per tutto quello che abbiamo commesso, che può avergli recato offesa. (Beata Madre Teresa di Calcutta)
 
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Di Padre Antonino M. di Monda

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2015 13:18
01/02/2015 19:59

l'inferno visto dai santi
INDICE
Prefazione dell'autore 
Introduzione 
Cosa si intende per inferno 

1. Le religioni antiche 
2. L'Islamismo 
3. L'Ebraismo
4. Il senso comune 
5. La religione cattolica
La riflessione sull'inferno 
1. CHI RACCOMANDA IL PENSIERO DELL'INFERNO
a. Dalla Sacra Scrittura
b. Da Santi Padri e uomini di grande saggezz
c. Dalla sana psicologia e dal buon senso 
d. Dall'insegnamento della pedagogia 
e. Dall'esperienza dei Santi
2. MA IL CRISTIANESIMO NON È GIOIA? 
3. CONVERTITI DALLA PAURA 
4. PERCHÉ È UTILE IL PENSIERO DELL'INFERNO 
Ma esiste veramente l'inferno? 

1. L'INFERNO Sì, MA SULLA TERRA
2. ESISTE ANCHE L'INFERNO DELL'ALDILÀ 
3. OBIEZIONI E DIFFICOLTÀ 
In che consiste l'inferno 
1. LUOGO E/O STATO? 
2. LE PENE DELL'INFERNO 
a. L'assenza di Dio 
b. La pena del senso 
c. Pene eterne ed immutabili 
Le "visioni" dei Santi

1. Si tratta di rivelazioni private 
2. Natura di queste apparizioni o visioni 
3. Che valore attribuire alle apparizioni o visioni 
4. Perché si verificano detti fenomeni 
L'inferno visto dai Santi 

1 - L'inferno visto da S. Teresa d'Avila 
2 - SANTA VERONICA GIULIANI 
3 - Beata Anna Caterina Emmerick 
4 - La visione di S. Giovanni Bosco 
5 - L'inferno visto dai tre veggenti di Fatima 
6 - L'inferno visto da Sr. Maria Giuseppa Menendez 
7 - L'inferno visto da Santa Faustina Kowalska 
8 - Edvige Carboni 
9 - L'inferno visto dai veggenti di Medjugorje 
10 - TERESA MUSCO

Uno sguardo d'insieme 
Qualche considerazione teologica 
Richiami morali ed ascetici da non trascurare 
Conclusione 







Ho la gioia e l'onore di presentare l'ultima opera letteraria del carissi¬mo Padre Antonio Maria Di Monda, che tratta della visione che alcuni Santi particolarmente rappresentativi hanno avuto dell'inferno. L'argomento propo¬sto dal Padre Di Monda è certamente tra i più "scomodi ", ma è anche tra i più affascinanti perché sonda un terreno sovente tralasciato dai teologi.

Si tratta dell'ennesima "perla" del nostro Padre Antonio la cui penna sembra mai esaurirsi. Egli ha voluto realizzare quest'interessantissimo lavoro non solo a beneficio dei "suoi" studenti di teologia, ma anche a favore dei fedeli che intendono approfondire la "scottante" tematica dell'inferno, della sua esistenza e delle sue caratteristiche.
L'esperienza dei Santi ha costituito la base di quest'opera che, senza dubbio, si rivelerà preziosa per il lettore. Questo pregevole scritto, come del resto tutti quelli realizzati dal P. Di Monda, nasce dalla sua attività di docente in Antropologia Teologica e da quella d'esorcista della Diocesi di Benevento. Il suo desiderio di ricerca e la volontà di trasmettere la sua esperienza apostolica sono, a mio modesto parere, l'anima di questo prezioso lavoro. La determinazione di Padre Antonio è davvero encomiabile ed esemplare. Egli, ormai non più giovanissimo, è sempre estremamente vitale sotto il profilo scientifico e sotto quello missionario. Queste realtà emergono anche dal suo modo di esprimersi nello stesso tempo, corretto e preciso, sotto l'aspetto me¬todologico, nonché appassionato ed infervorato, per quel che concerne lo stile. L'impressione che si ha scorrendo le pagine del Padre Di Monda è che man mano che egli si produce in lavori letterari, il lettore ha la possibilità di attingere un pozzo profondo di ricchezza culturale e spirituale.
Ringrazio Padre Antonio per questo suo impegno letterario. Egli può, senza falsa retorica, essere considerato la memoria e la gloria vivente della nostra Provincia Religiosa, sempre più bisognosa di frati impegnati, Santi, colti e fervorosi come lui. Padre Antonio è un portentoso e sempre attuale modello di dedizione apostolica per l'intera famiglia francescana conventua¬le. Padre Antonio continui a donarci sempre la gioia della sua presenza e del suo encomiabile apostolato!

Prefazione dell'autore
Mi sono deciso a scrivere e a pubblicare questo volume dopo che, leg¬gendo la biografia d'alcuni Santi, mi sono appunto imbattuto in visioni o apparizioni scioccanti. I Santi, gli esseri più gioiosi e ottimisti che si possano immaginare, parlano d'inferno. Una delle tante "stranezze" della loro vita? Nient'affatto, perché d'inferno parla prima di tutto Cristo, il portatore della vera gioia al mondo intero. Ciò significa sia che la verità, quale che sia, non può in nessun modo essere ecclissata o peggio ancora addirittura negata, e sia che la verità -per quanto dura e impietosa possa essere - può ben accordarsi anche con la gioia e l'amore.
Ho incominciato così la ricerca, i cui risultati presento appunto nelle pagine che seguono. Naturalmente essa è stata volutamente limitata ad alcuni esemplari, sufficienti allo scopo prefisso di presentare al mondo d'oggi, inco¬sciente spesso imo alla follia, una verità, con la quale - si voglia o no, si accet¬ti o no - bisogna fare i conti se non si vuol finire nel fallimento tragico e defi¬nitivo della vita.
Nella ricerca sono stato affiancato da due miei carissimi amici e fratel¬li Giovanni Cocca e Carlo Sorrentino ai quali va il mio grazie cordiale e sin¬cero.
Le testimonianze qui addotte sono anche sufficienti a riportare alla ragione - ciò che ci auguriamo con tutta l'anima - chi, per un verso o l'altro, l'ha perduta o fosse sul punto di perderla. Non credo ad un inferno vuoto: Gesù non è e non ha mai rivestito le vesti di un illusionista: le sue parole e affermazioni sono sempre parole e affermazioni di verità e di vita, alle quali bisogna credere con l'umiltà e la semplicità dei bambini, anche quando si è dotati di cultura e di preparazione teologica. Egli ha affermato, tra l'altro, che un giorno dirà a quelli di sinistra: "Via da me maledetti al fuoco eterno... ".
Non si tratta di una minaccia che si esaurisce in vuote parole, bensì di una tremenda sentenza di giustizia comminata a chi - e devono essere in tanti¬ non ha mai voluto capire il linguaggio dell'amore e della misericordia.
Scriviamo perciò queste pagine, anche nella speranza di poter offrire un aiuto almeno a qualche anima che, negando scientemente o no, una veri¬tà rivelata, rischia di finire in un'eternità orrenda, senza più possibilità di riscatto.

Introduzione
Parlo d'inferno..., e mi sembra già di sentire gli sghignazzamenti, i risolini ironici, i giudizi sprezzanti di tutti i... superuomini arrivati - beati loro! ¬alla convinzione che l'inferno è una favola, un'invenzione di anime tristi che, consapevolmente o no, appestano l'aria con queste fantasie mefitiche. Sull'inferno purtroppo oggi forse si scherza troppo: fioriscono barzellette e battute che, per lo più, tendono appunto a svuotare di significato una realtà ritenuta fantasia e creazione di preti e di gente triste. Come si può oggi - dico¬no tanti - parlare ancora d'inferno, nell'era della tecnica onnipotente e di con¬quiste quasi incredibili? Ma, sia detto a scanso di equivoci: lazzi e sorrisetti ironici e altre cose del genere, non devono impressionare troppo, perché alla verità non si perviene con negazioni idiote e ironie stupide. Se tutto il mondo arrivasse alla pazzia di affermare che il sole è un'illusione, non per questo il sole cesserebbe di essere. La verità è indistruttibile ed eterna come Dio, e l'in¬ferno è una realtà di ragione e di rivelazione, che niente e nessuno, nonostan¬te i tanti interrogativi che solleva, potrà vanificare. È vero, molti - e sono soprattutto agnostici, razionalisti e materialisti e uomini dalla dubbia condot¬ta - non credono all'inferno, adducendo ragioni su ragioni che non provano niente. L'inferno - dicono molti di loro - è qui sulla terra per la nequizia di uomini perversi.
Accingendoci a scrivere queste pagine, partiamo proprio dalla persua¬sione della certezza dell'esistenza dell'inferno, essendo verità e dogma di fede. Il che significa che la rivelazione conferma abbondantemente i dati di ragione. Tra l'altro, i concili di Lione del 1245 e del 1274, e quello di Firenze del 1439, e della costituz. Benedictus Deus (1336) di Benedetto XII hanno detto che chi muore in peccato mortale subirà l'eterna danna¬zione nell'inferno. Com'è verità di fede anche l'eternità dell'inferno e delle sue pene, definita nel IV Concilio Lateranense e nel Concilio di Lione.
Nel 543 l'imperatore Giustiniano, con l'approvazione di Papa Vigilio, pose termine alla controversia origenista scagliando la scomunica: "Se qual¬cuno dice o ritiene che il supplizio dei demoni e degli uomini empi è temporaneo e avrà fine..., costui sia scomunicato".
La verità, dunque, dell'esistenza e delle pene eterne dell'inferno è un dogma di fede. Cos'è il dogma di fede? Un diktat che non ammette repliche o discussioni, che stabilisce una verità perché così vuole qualcuno? O è qualco¬sa contro la ragione che bisogna accettare per fede, pur senza esserne convin¬ti? No, il dogma non è niente di tutto questo. Esso è semplicemente la dichia¬razione solenne e infallibile di una verità affermata dalla rivelazione e sempre creduta dal Popolo di Dio.
Proclamazione solenne e definitiva resa necessaria per mettere fine a discussioni e obiezioni non ben fondate o a negazioni, frutto d'interpretazio¬ni riduttive o settarie.
Dichiarare dogma una verità di fede rivelata è un po' - si direbbe - come una sentenza di Cassazione che pone fine ad ogni controversia, con la diffe¬renza che anche la sentenza della Cassazione, pur sempre tanto autorevole, potrebbe essere errata, mentre non lo sarà mai la proclamazione di un dogma, essendo la Chiesa assistita dallo Spirito Santo.
Non indugeremo perciò su negatori e difficoltà mosse a tale verità, anche se, all'occasione dovremo, per necessità, farne qualche piccolo accen¬no. Vogliamo solo presentare quanto hanno visto i Santi per divina rivelazio¬ne, che costituisce una conferma di più e spesso in modo clamoroso del dato biblico, la parola di Dio per eccellenza.
Ritornando alle "visioni" dei Santi, è sorprendente che esse si verifi¬chino ancora oggi, che si facciano anzi addirittura più frequenti proprio nel secolo XX- XXI, il secolo che ha visto più che mai regredire la fede in Dio. E ciò non può essere senza una ragione profonda.
Ma quello che più forse sorprenderà è il fatto che le visioni dell'infer¬no si ritrovino anche in quei Santi che eccellono pure per i messaggi di mise¬ricordia e d'amore, affidati loro dal Signore. Si pensi solo, per es., a Sr. Faustina Kowalska, colei alla quale Gesù rivelò l'infinito suo amore miseri¬cordioso. Chiaro monito - si direbbe - a non fare dell'infinita misericordia divi¬na un incoraggiamento o un paravento a voluti atteggiamenti peccaminosi, in contrasto con la legge e il Vangelo. Atteggiamenti che, oltre tutto, sono in pra¬tica, vere e proprie sfide a Dio e alla verità perché, confondendo misericordia e giustizia, si finisce in pratica con l'esaltare stoltamente talmente la miseri¬cordia da cancellare quasi l'altro non meno necessario attributo di Dio, la giu-stizia infinita.
Vorremmo pure mettere sull'avviso che non si vuol dare qui come un riassunto della teologia sull'inferno, anche se, ragionando sulle visioni dei Santi, si arriva a dare una prospettiva teologica tutta propria, ma per nulla in contrasto con i relativi trattati teologici classici.
Si tratta solo di indagare e mettere a confronto due posizioni o insegna¬menti, quello della Rivelazione divina e quella dei Santi per evidenziarne, assieme alla sostanziale conformità, anche le possibili accidentali diversità o dettagli che possono illuminare ancora di più questa paurosa e misteriosa real¬tà dell'inferno.
Naturalmente diamo qui per scontato che le visioni qui addotte, sono realmente avvenute, attenendoci a quanto hanno detto i competenti a proposi¬to di tali fenomeni mistici. E infine parliamo dell'inferno non per il gusto di terrorizzare le anime, ma piuttosto per amore di esse. Oggi, in gran parte, si è perduto ogni senso di peccato e di responsabilità. I peccati, soprattutto impu¬ri, dilagano come uno tsunami che travolge tutto e tutti. Si guazza nel fango, si profana tutto, e tutto questo è visto con un'indifferenza incredibile e spesso se ne fa addirittura aperta apologia ed esaltazione: una situazione morale e spi¬rituale peggiore di quella del tempo del diluvio, del quale la S. Scrittura dice che l'uomo era divenuto carne (Gen 6,5-13).
E i peccati mortali, quelli cioè che privano l'anima della grazia e della vita divina, uccidendola e dandola in braccio a Satana, hanno tutti come epi¬logo - se non ci si pente - la dannazione eterna.
Una parola, questa, che a ben riflettere dovrebbe far tremare le vene e i polsi. In effetti, preferiremmo parlare di ben altri argomenti, che riempiono l'anima d'amore e di speranza, ma non si può assistere alla fine tragica di tanti fratelli senza fare qualcosa. "Lo so bene -scriveva S. Giovanni Crisostomo ¬che queste parole (= riguardanti l'inferno) sono pesanti e affliggono chi le ascolta. Il mio cuore n'è turbato ed è pieno di spavento. Quanto più vedo che la dottrina dell'inferno è solidamente provata, tanto più tremo e vorrei sot¬trarmi per la paura. Ma è necessario dire queste cose, affinché non cadiamo nell'inferno".
Vorremmo quasi scusarci di dover parlare di tali argomenti, ma ci con¬soliamo che Cristo stesso, il Dio incarnato per gli uomini per la loro salvezza, lui stesso ha parlato senza posa dell'inferno. E Dio stesso ha inviato i suoi Santi a parlare di ciò. Sarà vero quanto detto da Natuzza Evolo, la mistica di Paravati (CZ) a cui in un'apparizione del 15 agosto 1988, la Madonna avreb¬be detto: "Io sono l'Immacolata Concezione... il mio cuore è trafitto da una spada per tutto il mondo intero che pensa a mangiare, bere, divertirsi e a vestirsi bene, mentre c'è gente che soffre. Pensa solo per il corpo, mai un pen¬siero a Dio... I peccatori di tutto il mondo e particolarmente i religiosi cado¬no nell'inferno come le foglie degli alberi..."?

Cosa si intende per inferno
È necessario, prima di tutto, chiedersi cosa si intenda con la parola "inferno".
Per i credenti e anche per molti non credenti l'inferno è una realtà che riguarda l'al di là, una realtà quindi ultraterrena di cui parlano quasi tutte le religioni. Ecco un brevissimo accenno almeno di alcune di esse.

1. Le religioni antiche
Plutarco di Cheronea ha scritto un opuscolo dal titolo "Perché la giu¬stizia divina punisce tardi", dove parla di castighi inflitti nell'altro mondo e di un luogo dove operano dèi o semidèi a danno di quelli che hanno operato il male nella vita sulla terra. Egli si esprime così: "Tespesio disse che la dea Adrastea, figlia di Giove e della Necessità, aveva nell'altro mondo i pieni poteri di castigare ogni sorta di delitti, e che mai nessun colpevole, grandi o piccole che fossero le sue colpe, era riuscito per forza o per astuzia ad evita¬re la pena meritata. Aggiunse che Adrastea aveva ai suoi ordini tre esecutri¬ci, tra le quali era diviso il compito dell'esecuzione dei castighi. La prima si chiama Poiné (= la pena, il castigo). Essa punisce in modo lieve e rapido colo¬ro che in questa vita sono già stati puniti materialmente nel corpo e chiude benevolmente un occhio su tante cose che meriterebbero un'espiazione.
Quelli la cui perversità richiede rimedi più efficaci, il Genio dei sup¬plizi li affida alla seconda esecutrice, chiamata Dike (= la giustizia), perché siano puniti come meritano. Ma quanto a quelli che sono assolutamente inguaribili, una volta che Dike le ha respinti, Erinni, la terza e la più terribi¬le delle aiutanti di Adrastea, balza verso di loro, li insegue furibonda mentre fuggono e si disperdono per ogni dove straziati e doloranti, li afferra e li fa precipitare senza misericordia in un abisso che l'occhio umano non ha mai esplorato e che la parola non può descrivere".
Guidato da una guida, Tespesio entra in un luogo dove gli si presenta uno spettacolo tristissimo e dolorosissimo: vede amici, compagni e conoscen¬ti e lo stesso suo padre in preda a crudeli supplizi. Vede celebri e malvagi col¬pevoli della storia, puniti per i loro crimini a tutti noti.
Continuando, Plutarco racconta quanto visto da Tespesio: spettacoli penosissimi e agghiaccianti di pene inflitte a colpevoli. "Tespesio vide così i più celebri e malvagi colpevoli della storia, puniti per i loro crimini a tutti noti; questi però erano tormentati molto meno dolorosamente, e si teneva conto della loro debolezza e della violenza delle passioni che li avevano tra¬scinati. Ma quelli invece che erano vissuti nel vizio, ed avevano goduto sotto la maschera ipocrita di una falsa virtù, della gloria che spetta alla virtù vera, erano circondati da esecutori di giustizia che li obbligavano a rivoltare l'in-terno delle loro anime, mostrandolo di fuori, come fa quel pesce marino chia¬mato scolopendra, di cui si dice che vomiti le proprie interiora per liberarsi dell'amo che ha inghiottito.
Altri erano scorticati e, in questa triste condizione, mostrati a tutte le altre anime dagli stessi esecutori del supplizio; costoro mettevano a nudo e facevano notare implacabilmente l'odioso vizio che aveva corrotto le loro anime fino nella loro essenza più pura e sublime. Tespesio narrava di averne visti altri attaccati e annodati insieme, come serpenti, che si divoravano l'un l'altro con furore rammentando i loro delitti e le passioni velenose che aveva¬no nutrito in cuore.
Non lontano da quel luogo si trovavano tre stagni: il primo era pieno di oro fuso e bollente, il secondo di piombo più freddo del ghiaccio, il terzo di ferro aspro e duro. Demoni addetti a quegli orribili laghi tenevano in mano certi strumenti con i quali afferravano i colpevoli e li tuffavano negli stagni o li tiravano fuori, come il fabbro ferraio quando lavora i metalli. Per esempio, gettavano nell'oro incandescente le anime di coloro che in vita avevano ubbi¬dito alla passione dell'avarizia e non avevano tralasciato alcun mezzo per arricchirsi; poi, quando la violenza del calore le aveva rese trasparenti, i demoni si precipitavano a spegnerle nel piombo gelido; quando le anime, dopo questo bagno, avevano preso la consistenza di un pezzo di ghiaccio, le gettavano nel ferro, dove divenivano orrendamente nere (...). Durante questi successivi mutamenti, soffrivano dolori indicibili".
A questo punto così chiosa il De Maistre: "Si osservino le traduzioni antiche e universali su questo spaventoso abisso da cui la speranza, che pure si trova ovunque, è scacciata per sempre" (J. MILTON, Il Paradiso perduto, 1, 66-67), "dove non si può né vivere né morire" (Corano, 87).
Plutarco chiama questi infelici "assolutamente inguaribili" (...) una espressione di Platone del Gorgia. "Costoro, egli scrive, essendo inguaribili, soffriranno in eterno spaventosi supplizi". Per un'idea sull'inferno dei romani, basta leggere 1'Eneide di Virgilio.
Notorio poi il culto per i morti presso gli Egizi. Per costoro "I cattivi esclusi dal luminoso regno dei morti, giacciono... affamati e assetati, nel buio del regno sotterraneo". Non è proprio l'inferno, ma qualcosa che vi si avvicina abbastanza.

2. L'Islamismo
L'ìnferno è il luogo del castigo eterno per i soli miscredenti, che sono tutti coloro che non abbracciano l'Islamismo. Consiste nel "fuoco ardente" e nella collera di Dio. La sura 32 recita: "Riempirò l'inferno di geni e di uomi¬ni di ogni tipo".
"Durante il Giudizio Universale, le buone e cattive azioni degli uomi¬ni, che sono state registrate su un libro, saranno pesate su di una bilancia. Gli uomini dovranno poi attraversare il golfo dell'inferno su un ponte più sottile di un capello e più affilato di una spada, mentre sotto di loro gli inferi spa¬lancheranno le fauci per inghiottire coloro che cadranno e precipitarli nelle loro sei bolge. Gli infedeli diverranno schiavi dell'inferno e bruceranno tra le sue fiamme (sura 19 e 47); i credenti potranno invece scampare al baratro e giungere in paradiso".

3. L'Ebraismo
Presso gli Ebrei "l'idea dell'inferno si va preparando con l'evoluzione nel modo di immaginare lo sheol" ritenuto dapprima come "un luogo indistin¬to, un vero domicilio comune dei morti. (...) Il grado definitivo d'evoluzione è costituito dai salmi mistici (salmi 16, 49 e 73): il giusto spera che Dio lo libe¬ri dallo sheol e che lo porti con sé. È chiaro che, se il giusto va con Dio per una comunità di vita e d'intimità con Lui, solo gli empi restano nello sheol. Così lo sheol si trasforma, da domicilio comune dei morti, in inferno".
"Il libro della Sapienza continua questa stessa prospettiva: la sorte dell'empio, che è chiamata morte ed è descritta come dolorosa (cf. Sap 4, 19), è la permanenza nello sheol, mentre i giusti hanno una vita eterna in comu¬nità con Dio".

4. Il senso comune
Parlando di senso comune, intendiamo rifarci particolarmente a quanto crede in genere il popolo o la massa e anche uomini rappresentativi soprattut¬to del mondo delle lettere e della filosofia, guidati dai suddetti criteri di discer¬nimento.
La nozione filosofica, (non sociologica) di senso comune ci viene così presentata da A. Livi in un articolo storico-critico: "Insieme organico e gene¬tico delle evidenze empiriche primarie, dalle quali derivano i primi principi universali (speculativi e morali) e tutte le successive certezze dell'esperienza, dell'inferenza e della testimonianza".
La filosofia del senso comune "serve tra l'altro, a far riflettere i cri¬stiani sulle pretese di verità umana delle altre religioni (pretese infondate) con le garanzie di verità divina offerte dal messaggio evangelico, una verità testimoniata da Dio stesso fatto uomo e da coloro che Egli scelse come testi¬moni della sua resurrezione, dopo aver indicato proprio la sua resurrezione come segno supremo o prova razionale della sua divinità, e pertanto della sua credibilità".
Ebbene per la grande massa del popolo e anche per gli intellettuali più aperti alla realtà, l'inferno è il luogo e lo stato di castigo ultraterreno per tutti gli empi, che tali sono stati fino all'ultimo giorno della loro vita. In pratica, l'inferno è la terribile condizione di chi ha perduto Dio per sempre. Il divin poeta Dante Alighieri - che può dirsi anche, in qualche modo, l'eco, oltre che della teologia, anche del senso comune - lo presenta già nella terribile scritta che legge sulla porta d'entrata: "Per me si va nella città dolente, / Per me si va nell'eterno dolore, / Per me si va tra la perduta gente ".
"Lasciate ogni speranza voi che entrate ".
Poi descrivendolo in qualche modo in una prima impressione, scrive: "Quivi sospiri, pianti ed alti guai / Risonavan per l'aer senza stelle, / Perch'io al cominciar ne lagrimai. / Diverse lingue, orribili favelle, / Parole di dolore, accenti d'ira, / Voci alte e fioche e suon di man con elle, / Facevan un tumul¬to il qual s'aggira / Sempre in quell'aria senza tempo tinta, / Come la rena quando il turbo spira".

5. La religione cattolica
All'insegnamento della Chiesa Cattolica abbiamo già accennato, ripor¬tando quanto detto da Concili e Documenti ecclesiali sull'inferno. Ma ci viene pure presentato, in modo chiaro e completo, dal relativamente recente Catechismo della Chiesa Cattolica e dall'ancora più recente Compendio, apparsi in questi ultimi anni.
"La Chiesa nel suo insegnamento - recita il Catechismo - afferma l'esi¬stenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, il fuoco eterno.
La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira".
E ancora: "Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la sua retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una puri¬ficazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre".
Il Compendio dello stesso Catechismo si esprime così: l'inferno "con¬siste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale. La pena principale dell'inferno sta nella separazione eterna da Dio, nel quale unicamente l'uomo ha la vita e la felicità, per le quali è stato crea¬to e alle quali aspira. Cristo esprime questa realtà con le parole: Via, lonta¬no da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25,41).
Il Catechismo-Compendio si pone pure la domanda come conciliare l'esistenza dell'inferno con l'infinita bontà di Dio. Risponde così: "Dio, pur volendo ‘che tutti abbiano modo di pentirsi’ (2 Pt 3,9), tuttavia, avendo crea¬to l'uomo libero e responsabile, rispetta le sue decisioni. Pertanto, è l'uomo stesso che, in piena autonomia, si esclude volontariamente dalla comunione con Dio se, fino al momento della propria morte, persiste nel peccato morta¬le, rifiutando l'amore misericordioso di Dio".
L'inferno ha principio con la caduta degli angeli che "creati buoni da Dio, si sono trasformati in malvagi, perché, con libera e irrevocabile scelta, hanno rifiutato Dio e il suo Regno, dando così origine all'inferno".
L'inferno non è da confondersi con gli inferi, dei quali si dice di Cristo risorto: "Discese agli inferi...".
"Gli inferi - diversi dall'inferno della dannazione - costituivano lo stato di tutti coloro, giusti e cattivi, che erano morti prima di Cristo.
Con l'anima unita alla sua Persona divina Gesù ha raggiunto negli inferi i giusti che attendevano il loro Redentore per accedere infine alla visio¬ne di Dio".
La religione cattolica insegna pure che la dannazione all'inferno è il castigo riservato a tutti i negatori di Dio e trasgressori coscienti dei suoi comandamenti. "...Per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immo¬rali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte" (Ap 21,8).
Essi non avranno parte al regno e alla felicità eterna: "Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna" (Ap 22,15).
L'inferno è dunque una realtà che riguarda l'altra vita, che segue alla morte e al giudizio di Dio, subìto da ogni uomo immediatamente dopo la morte. Pur ammettendo che certe situazioni della vita temporale terrena si rivelino dei veri e propri inferni; l'inferno, nella sua più vera e autentica essenza, si riferisce all'aldilà e riguarda esclusivamente l'altra vita e quanto si accompagna o segue alla dannazione e al fallimento della vita. Dannazione e fallimento, perché, per la dottrina cattolica, l'uomo è chiamato a partecipa¬re alla vita e alla felicità di Dio stesso, ciò che viene raggiunto con l'accetta-zione e l'adempimento della Parola di Dio.
Per chi non raggiunge lo scopo, è il fallimento completo della vita: egli non solo non vedrà Dio né parteciperà ai suoi beni, ma va incontro all'infeli¬cità completa. Purtroppo, alla luce della ragione e ignorando in gran parte tutta la portata delle tendenze fondamentali dell'uomo, difficilmente si riesce a capire quale spaventosa e irreparabile tragedia rappresenti questo fallimento. Lo si può vedere, almeno in qualche modo, oltre che da quanto ci rivela la fede, anche dalle rivelazioni dei Santi.
Come si vede, la credenza in un aldilà di vita o di morte eterna la si ritrova presso tutti i popoli e in tutte le religioni che non insegnano l'assorbi¬mento e l'annientamento in dio o nel nulla, o nella reincarnazione. Non è poco! Credenze così universali suppongono o quell'indistruttibile senso comune che si immedesima quasi con la natura umana o tracce di rivelazione dall'alto, inquinatesi magari lungo i secoli di elementi fantastici ed erronei che, però, non oscurano del tutto il nucleo essenziale.

La riflessione sull'inferno
Prima di procedere oltre, è il caso di chiedersi: è bene o male riflettere sull'inferno?
La domanda si impone perché - in tempi in cui tutto è visto e risolto all'insegna di un buonismo ad oltranza - vigoreggia sempre la protesta di tanti che ritengono inopportuno - se non addirittura dannoso, almeno per alcune classi di persone - indugiare su certi argomenti. Non si ripete da tanti, un po' dappertutto per es., che ai piccoli non si deve parlare di inferno per non ter¬rorizzarli? Come non mancano di quelli che se la prendono contro la Chiesa e i sacerdoti di far ricorso, per piegare i cuori, al "terrorismo" intellettuale. E cioè si predicherebbe l'inferno per vincere una durezza di cuore, che diffi¬cilmente si vincerebbe con altri argomenti. Non si ripete continuamente che agli uomini bisogna parlare di amore e non di timore?
Vorremmo dire prima di tutto che tutte queste proteste o obiezioni, spesso sono ipocrite e pretestuose. Si afferma, per es., che non si devono spa¬ventare i piccoli col pensiero dell'inferno, e poi si ammanniscono loro, specie alla televisione, scene di orrore ben più devastanti e orrende. Si pensi pure a certe feste o manifestazioni, diffuse e incoraggiate in tutti i modi, come Halloween o sedute sataniche e simili, organizzate soprattutto per i bambini!
Diremo poi che, naturalmente, dette proteste sono spesso in pieno con¬trasto con quanto suggeriscono le Scritture e il comportamento dei Santi. In verità, usando discrezione e prudenza si possono e si devono insegnare, maga¬ri gradualmente, anche le più crude verità, perché anche queste appartengo¬no al deposito delle verità da credere per la salvezza eterna e la cui conoscen¬za e ricordo sono altamente salutari.
Ma vediamo in breve perché è salutare intrattenere mente e cuore nella considerazione anche sull'inferno.

1. CHI RACCOMANDA IL PENSIERO DELL'INFERNO
La riflessione e la meditazione sull'inferno è, prima di tutto, raccoman¬data:

a. Dalla Sacra Scrittura dove - lo si sa - Dio stesso parla attraverso l'agiografo o scrittore sacro.
Così il Siracide ammonisce: "In tutte le tue opere ricordati della sua fine e non cadrai mai nel peccato" (Sir 7,40). Parole così commentate dalla Bibbia di Gerusalemme: "Con la precisazione 'la tua fine', il greco intende chiaramente le ultime realtà" (p.1433), e perciò la morte, il giudizio, l'in¬ferno e il paradiso.
"Ricordati dell'ira, poiché non sarà lenta a venire. Umilia profonda¬mente il tuo spirito, perché il fuoco e il verme saranno il castigo della carne dell'empio" (Sir 7,18-19).
Gesù stesso invita a temere e a far di tutto per sfuggire alla dannazio¬ne: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno pote¬re di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna " (Mt 10,28).
"Meglio entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani e due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno" (Mt 18,8).
Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: "è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue" (Mc 9, 42).
L'Apostolo a sua volta dice: "Attendete alla vostra salvezza con timo¬re e tremore" (Fil 2,12), e quindi, all'occorrenza, è utile e necessario ricorre¬re anche a ciò che fa tremare salutarmente.
In piena rispondenza con questi dati, la liturgia della Chiesa, il Mercoledì delle Ceneri, fa dire dal sacerdote che impone la cenere sul capo: "Ricordati che sei polvere ed in polvere ritornerai". Il pensiero della morte - il ritorno alla polvere - può scuotere non poco e spingere sulla via della con¬versione a Dio.
In breve, la Scrittura invita a ricordare i novissimi e cioè gli eventi che seguiranno alla fine della vita: morte, giudizio, inferno e paradiso. Satana al contrario invita a non pensare, a non drammatizzare, a godersi la vita quando si è giovani soprattutto, nel pieno delle forze fisiche e intellettuali.
Si darà ascolto più alle illusioni di Satana, il menzognero per eccellen¬za, che alla Parola di Dio? Può Dio ingannare l'uomo e volere il suo male?

b. Da Santi Padri e uomini di grande saggezza
In linea con le S. Scritture i Santi Padri e Scrittori della Chiesa si sof¬fermano ed esortano non poco a meditare sulle verità che riguardano l'uomo alla fine della vita e dopo morte. Riportiamo qui il pensiero di alcuni di essi.
Origene - in un primo momento ortodosso in questo argomento - affer¬mò che nell'inferno c'è il fuoco eterno e disse che ciò va affermato in pubbli¬co allo scopo di frenare le passioni umane.
Non meno esplicito S. Basilio Magno, che così si esprime: "Quando ti senti portato a qualche peccato, pensa al tribunale tremendo e insopportabi¬le di Cristo, più grave di tutti per l'ultimo supplizio, infamia e disonore eter¬no. Temi e divenuto saggio per questo timore, frena la tua anima dai cattivi desideri".
Del timore dell'inferno si sono serviti tanti Santi per scuotere le anime dal loro torpore e far breccia in esse. Si pensi, per. Es. a S. Alfonso de' Liguori, alle missioni organizzate dal P Scaramelli e P Francesco Bianchi e, non meno, dal B. Antonio Baldinucci.

c. Dalla sana psicologia e dal buon senso
L'uomo, dato il peccato originale, è per natura ribelle alla legge che volentieri ama trasgredire. Per questo la legge è presentata con la sanzione. Senza la sanzione essa resterebbe quasi sempre lettera morta o si presentereb¬be tutt'al più come una pia esortazione, che generalmente lascia il tempo che trova. E questo sia nei rapporti con Dio come in quelli con gli uomini.
Da dire perciò che, con ogni probabilità, se ad essere trasgredite sono soprattutto le leggi morali, ciò è dovuto anche al fatto che esse appaiono senza sanzione o, per lo meno, le si vedono senza alcuna seria conseguenza pratica. Una illusione tragica, perché non esiste peccato senza conseguenze e senza sanzioni. Si sa, infatti, dalla Rivelazione che ci sarà –soprattutto - alla fine della vita e alla fine dei tempi il giudizio di Dio sulla condotta di tutti con la san¬zione della vita o morte eterna (il paradiso o l'inferno).
Stante così la cosa, psicologia e buon senso non possono non ritenere saggio ricordare queste sanzioni soprattutto ai più riottosi e ribelli.

d. Dall'insegnamento della pedagogia
La pedagogia stessa consiglia e invita a riflettere - sia pure con pruden¬za e discrezione - sull'inferno. Certo, l'educazione va impostata essenzialmen¬te sulla convinzione e sull'amore, ma cosa si fa quando l'amore non c'è? Soprattutto in questi casi si comprende che l'amore non è fatto solo di baci e di carezze, ma anche di frustate e di sberle, perché anche queste sono sugge¬rite dall'amore vero che non si rassegna ad essere completamente sconfitto. Ad un peccatore incallito e tutto immerso nella materia il terrore di incappare in un tragico eterno destino potrebbe essere un primo passo verso la salvezza. e.

e. Dall'esperienza dei Santi
Dalle innumerevoli e più diverse esperienze dei Santi si ricava la cer¬tezza che il pensiero dell'inferno fa bene anche a chi, - come S. Teresa che, pur avendo "visto" l'inferno -, non è fatto per la via del timore. "Mi accade intan¬to - dice appunto la Santa - che quando sono afflitta da qualche contraddizio¬ne o infermità, basta che mi ricordi di quella visione perché mi sembrino subi¬to da nulla persuadendomi che ce ne lamentiamo senza motivo".
E aggiunge: "Questa (= la visione e la discesa all'inferno) fu una delle più grandi grazie che il Signore m'abbia fatto, perché mi ha giovato moltissimo non meno per non temere le contraddizioni e le pene della vita che per incoraggiarmi a sopportarle, ringraziando il Signore d'avermi liberata da mali così terribili ed eterni, come mi pare di dover credere".
Anche Suor Faustina Kowalska afferma: "Scrivo questo (= allude alla descrizione di quanto ha visto e sofferto nello scendere all'inferno) per ordi¬ne di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina Kowalska, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. (...) Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno".
Ai veggenti di Medjugorje la Madonna dice: "Vì ho mostrato tutto que¬sto perché sappiate che [l'inferno] esiste e lo diciate agli altri".
Fuoco... diavoli... la gente bruttissima! - ripete Vicka -. Tutti con le corna e con la coda. Sembrano tutti diavoli. Soffrono... Dio ce ne preservi e basta. P Bubalo le chiede: La Madonna non vi ha proibito di raccontarlo? "Non ce l'ha proibito; anzi ci ha detto di raccontarlo". Più avanti Vicka aggiunge: "Credo che sarebbe molto utile che gli uomini non si dimenticasse¬ro mai che, un giorno, saremo tutti giudicati da Dio. Esiste una differenza ter¬ribile tra il Paradiso e l'inferno".
La storia dunque insegni: furono tanti i Santi che, per paura dell'infer¬no, ritrovarono la via del bene e della salvezza. Si pensi all'impressione salu¬tare che ancora suscita il Quadro dell'anima dannata che è nella Chiesa dei Lazzaristi a Napoli: una grande immagine del Crocifisso, in carta incollata su tela, con il bordo inferiore bruciato dall'impronta delle mani infuocate di una dannata, che sarebbe apparsa al suo amante nel 1711 a Firenze. (Fu) Portato a Napoli nel novembre 1712 dal P. Bernardo Giuseppe Scaramelli.
In effetti, anche il parlare di inferno è misericordia di Dio. Il pensiero infatti dell'inferno salva: "salva più anime l'inferno che il paradiso".

2. MA IL CRISTIANESIMO NON È GIOIA?
Si può pensare che la riflessione e il pensiero dell'inferno siano in con¬trasto con l'essenza della salvezza che è gioia e trionfo di essere. Certo, la sal¬vezza è e dovrebbe essere espressione di purissima gioia. L'essere, infatti, liberati dalla catena del peccato, e ritrovarsi figli adottivi di Dio e commensa¬li degli angeli, predestinati ad una felicità eterna, ecc., sono tutte realtà e fonti di inesauribile gioia spirituale. Ma sono tanti, purtroppo, a non capire e a non voler capire. Misteri così gaudiosi sono per loro parole senza senso che non impressionano nemmeno l'epidermide della loro anima. Di qui quasi la neces¬sità, -risultando incomprensibile il linguaggio dell'amore -, di far ricorso anche ai mezzi che incutono paura.
Si può e spesso si deve parlare anche di inferno per quegli stessi che camminano sul retto sentiero, perché la salvezza, finché si è su questa terra è sempre ancora a rischio. Come in ogni sperata conquista, fino a quando que¬sta non è stata effettivamente raggiunta, si ha sempre timore di non farcela.
Di qui, quindi, anche la certezza che il pensiero o la meditazione sul¬l'inferno "non è... una distorsione del mistero cristiano di salvezza, né un'e¬vocazione di verità esotiche".
A coloro che insistessero a parlare solo di amore (Dio va servito con l'amore e non nella paura, ecc.) è bene ricordare che tutto ciò che comunque avvicina a Dio, è buono. Poiché il timore dell'inferno allontana dal peccato, può essere questo il primo passo per l'auspicata riconciliazione con Dio. L'ideale resta sempre quello di tendere e operare per amore, ma quando l'amore non c'è o non ci si è ancora arrivati, il timore può essere utile, per sfuggire ai lacci e ai tranelli che, numerosi, possono o tendono ad ingannare le anime, mettendone a rischio la salvezza eterna.
Bisogna pure ammettere che la meditazione sull'inferno può essere deprimente per delle anime profondamente cristiane, ma la ripugnanza del mondo così accentuata oggi facilmente è "una maschera che nasconde il fondo di angustia che attanaglia ogni spirito umano".

3. CONVERTITI DALLA PAURA
Quanto bene possa fare il pensiero dell'inferno, ce lo dice - un esempio tra i tanti - quanto avvenuto ai funerali di un famoso maestro della Sorbona di Parigi, Raimondo Diocré. L'episodio, clamoroso e famoso, fu, al dire di P. Tomaselli, riportato dai Bollandisti ed analizzato rigorosamente in tutti i suoi particolari. Lo riportiamo qui nelle sue linee essenziali.
Alla morte dunque del professore famoso, avvenuta a Parigi, si prepa¬rarono solenni funerali nella Chiesa di Notre-Dame. Vi parteciparono profes¬sori e uomini di cultura, autorità ecclesiastiche e civili, discepoli del defunto e fedeli di ogni ceto. La salma, collocata al centro della navata centrale, era coperta da un semplice velo.
Si iniziò a recitare l'ufficio dei defunti. Arrivati alle letture bibliche, e precisamente alle parole: "Responde mihi: Quantas habeo iniquitates et pec¬cata... ", si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo: "Per giusto giudi¬zio di Dio sono stato accusato!". Con sgomento e paura si tolse il velo, ma la salma era ferma e immobile. Si riprese l'ufficiatura interrotta fra il turbamen¬to generale. Arrivati al versetto predetto, il cadavere si alzò a vista di tutti e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!". Spavento e terrore si impadronirono di tutti. Alcuni medici si avvicinarono allora alla salma ripiombata in piena immobilità, ma constatarono che il morto era veramente morto. A questo punto non si ebbe il coraggio di continuare il funerale, riman¬dando tutto all'indomani.
Le autorità ecclesiastiche non sapevano cosa fare: alcuni dicevano, è dannato e perciò non si può pregare per lui; altri invece dicevano: non si può ancora parlare di dannazione certa, pur essendo stato accusato e giudicato. Il Vescovo ordinò che si riprendesse a recitare l'ufficio dei morti. Ma al famoso versetto, nuovamente il cadavere si alzò e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno per sempre!".
Ormai era sicuro che il defunto era dannato. Il funerale cessò e si cre¬dette bene non seppellire la salma nel cimitero comune.
Tra i presenti c'era un certo Brunone, discepolo e ammiratore di Diocré, che rimase profondamente scosso da quanto accaduto. Pur essendo già un buon cristiano, risolvette di abbandonare tutto e darsi alla penitenza. Con lui altri decisero la stessa cosa. Brunone divenne il fondatore dell'Ordine dei Certosini o Trappisti, Ordine tra i più rigorosi della Chiesa Cattolica. Ma a dissipare ogni dubbio e perplessità, affacciati da sistemi pedago¬gici e psicologici ecc., è sufficiente ricordare che di inferno ha parlato, - e in che modo! - la stessa Vergine SS. Ai tre bambini di Fatima, una di 10 anni, l'al¬tra di sette anni e il terzo di cinque anni! Brutto segno allora che, oggi, quasi non si parli più dell'inferno.
In merito già il Claudel diceva: "Una cosa mi turba profondamente ed è che i sacerdoti non parlano più dell'inferno. Lo si passa pudicamente sotto silenzio. Si sottintende che tutti andranno in cielo senza alcuno sforzo, senza alcuna convinzione precisa. Non dubitano nemmeno che l'inferno sta alla base del Cristianesimo, che fu questo pericolo a strappare la Seconda Persona alla Trinità e che la metà del Vangelo ne è piena. Se io fossi predica¬tore e salissi in cattedra, proverei in primo luogo il bisogno di avvertire il gregge addormentato dello spaventoso pericolo che sta correndo".

[Modificato da MARIOCAPALBO 02/02/2015 13:18]

01/02/2015 20:05

4. PERCHÉ È UTILE IL PENSIERO DELL'INFERNO
Ma, in concreto, perché è utile il ricordo e la riflessione sull'inferno? Soprattutto perché tale pensiero aiuta potentemente a tener lontano e a vince¬re tutte le suggestioni del male, del peccato che, a volte, sono tali da travolge¬re anche i più radicati nel bene. E il peccato - lo si sa - è il vero e più terribile nemico dell'uomo, perché strumento di sicura dannazione e l'unico grande ostacolo alla comunione con Dio e alla vita autentica dello spirito.
Naturalmente, invitando a riflettere e a parlare di inferno, non si può dedurre, come già detto, che tutto - nella religione cattolica - è basato sul terro¬re. Gesù, anche quando parla dell'inferno, parla per salvare le anime, indican¬do loro la via della salvezza.
E tutto ciò è sempre amore che incita, incoraggia, corregge, esorta. E chiunque può, così deve impostare la sua vita sui grandi misteri e beni della speranza cristiana.
Bisogna ringraziare il Signore anche per queste visioni o apparizioni avute dai Santi, essendo per tutti anche - come vedremo - dei richiami di amore, delle prospettive aperte su realtà che riguardano gli uomini di tutti i tempi e di ogni condizione. A chi si danna il Signore non può che ripetere quelle parole della Scrittura: "Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?" (Is 5,4).

Ma esiste veramente l'inferno?
Sono tanti oggi, anche tra fedeli che frequentano la Chiesa e Sacramenti, a negare l'esistenza dell'inferno. A parte ogni altra motivazione, sembra impossibile che Dio, infinitamente buono e misericordioso, possa e voglia condannare inesorabilmente e per sempre a un supplizio eterno che nessun'immagine o parola può descrivere.

1. L'INFERNO Sì, MA SULLA TERRA
Magari, sì, un inferno esiste - dicono tanti -, ma sulla terra dove troppo spesso è preparato da uomini ad altri uomini con una ferocia inimmaginabile. Di ciò ne siamo tutti arciconvinti, tanto evidente è questa triste realtà, ma non sarà inutile addurne qualche esempio soprattutto perché - come si dirà più avanti - l'inferno dell'aldilà è la continuazione dell'inferno sulla terra.
Si pensi ai gulag dei regimi comunisti, ai campi di concentramento dei nazisti, autentici inferni. Non esagerano coloro - soprattutto quelli che li speri¬mentarono sulla loro pelle - a qualificarli come tali.
Una descrizione di un vero "inferno" sulla terra ci è offerto da Primo Levi che così presenta la vita da lui vissuta in un campo di concentramento nazista della seconda guerra mondiale: "Il viaggio non durò che una ventina di minuti. Poi l'autocarro si è fermato, e si è vista una grande porta, e sopra una scritta vivamente illuminata (il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni): Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi.
Siamo scesi, ci hanno fatto entrare in una camera vasta e nuda, debol¬mente riscaldata. Che sete abbiamo!
Il debole fruscio dell'acqua nei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. Eppure c'è un rubinetto: sopra un cartello, che dice che è proibito bere perché l'acqua è inquinata. Sciocchezze, a me pare ovvio che il cartello è una beffa, 'essi' sanno che noi moriamo di sete, e ci mettono in una camera e c'è un rubinetto, e Wasser trinken verboten. Io bevo, e inci¬to i compagni a farlo: ma devo sputare, l'acqua è tiepida e dolciastra, ha odore di palude. Questo è l'inferno.
Oggi, ai nostri giorni, l'inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi stare in piedi, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Come pen¬sare? Non si può più pensare, è come essere già morti. Qualcuno si siede per terra. Il tempo passa goccia a goccia".
E continua: "Alla campana si è sentito il campo buio ridestarsi. Im¬provvisamente l'acqua è scaturita bollente dalle docce, cinque minuti di bea¬titudine; ma subito dopo irrompono quattro (forse sono i barbieri) che, bagna¬ti e fumanti, ci cacciano con urla e spintoni nella camera attigua, che è geli¬da; qui altra gente urlante ci butta addosso non so che stracci, e ci schiaccia in mano un paio di scarpacce a suola di legno, non abbiamo tempo di com¬prendere e già ci troviamo all'aperto, sulla neve azzurra e gelida dell'alba, e scalzi e nudi, con tutto il corredo in mano, dobbiamo correre fino ad un'altra baracca, a un centinaio di metri. Qui ci è concesso di vestirci. Quando abbia¬mo finito, ciascuno è rimasto nel suo angolo, e non abbiamo osato levare gli occhi l'uno sull'altro. Non c'è ove specchiarsi, ma il nostro aspetto ci sta dinanzi, riflesso in cento visi lividi, in cento pupazzi miserabili e sordidi.
Eccoci trasformati nei fantasmi intravisti ieri sera. Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero.
Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo tro¬vare in noi la forza di farlo, di far sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. Noi sappiamo che in questo difficilmente saremo compresi, ed è bene che così sia. Ma consideri ognuno, quanto valo¬re, quanto significato è racchiuso anche nelle più piccole nostre abitudini quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più umile mendicante possiede: un fazzoletto, una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara.
Queste cose sono parte di noi, quasi come membra del nostro corpo; né è pensabile di venirne privati, nel nostro mondo, ché subito ne ritroverem¬mo altri a sostituire i vecchi, altri oggetti che sono nostri in quanto custodi e suscitatori di memorie nostre.
Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, venga¬no tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero deci¬dere e della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità.
Si comprenderà allora il duplice significato del termine 'Campo di annientamento', e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo".
Ed ecco la notte. "Così si trascinano le nostre notti. Il sogno di Tantalo e il sogno del racconto si inseriscono in un tessuto di immagini più indistin¬te: la sofferenza del giorno, composta di fame, percosse, freddo, fatica, paura e promiscuità, si volge di notte in incubi informi di inaudita violenza, quali nella vita libera occorrono solo nelle notti di febbre.
Ci si sveglia a ogni istante, gelidi di terrore, con un sussulto di tutte le membra, sotto l'impressione di un ordine gridato da una voce piena di colle¬ra, in una lingua incompresa. La processione del secchio e i tonfi dei calca¬gni nudi sul legno del pavimento si mutano in un'altra simbolica processio¬ne: siamo noi, grigi e identici, piccoli come formiche e grandi fino alle stelle, serrati l'uno contro l'altro, innumerevoli per tutta la pianura fino all'orizzon¬te; talora fusi in un'unica sostanza, un impasto angoscioso in cui ci sentiamo invischiati e soffocati; talora in marcia a cerchio, senza principio e senza fine; con vertigine accecante e una marea di nausea che ci sale dai precordi alla gola; finché la fame, o il freddo, o la pienezza della vescica non convo-gliano i sogni entro gli schemi consueti.
Cerchiamo invano, quando l'incubo stesso o il disagio ci svegliano, di districarne gli elementi, e di ricacciarli separatamente fuori dal campo del¬l'attenzione attuale, in modo da difendere il sonno dalla loro intrusione: non appena gli occhi si richiudono, ancora una volta percepiamo il nostro cervel¬lo mettersi in moto al di fuori del nostro volere; picchia e ronza, incapace di riposo, fabbrica fantasmi e segni terribili, e senza posa li disegna e li agita in una nebbia grigia sullo schermo dei sogni".
Per sopravvivere: nel lager "vi è una vasta categoria di prigionieri che, non favoriti inizialmente dal destino, lottano con le sole loro forze per sopravvivere. Bisogna risalire la corrente; dare battaglia ogni giorno e ogni ora alla fatica, alla fame, al freddo, e alla inerzia che ne deriva; resistere ai nemici e non aver pietà per i rivali; aguzzare l'ingegno, indurare la pazienza, tendere la volontà. O anche, strozzare ogni dignità e spegnere ogni lume di coscienza, scendere in campo da bruti contro altri bruti, lasciarsi guidare dalle insospet¬tate forze sotterranee che sorreggono le stirpi e gli individui nei tempi crude¬li. Moltissime sono state le vie da noi escogitate e attuate per non morire: tante quanti sono i caratteri umani. Tutte comportano una lotta estenuante di cia¬scuno contro tutti, e molte una somma non piccola di aberrazioni e di compro¬messi. Il sopravvivere senza aver rinunciato a nulla del proprio mondo mora¬le, a meno di potenti e diretti interventi della fortuna, non è stato concesso che a pochissimi individui superiori, della stoffa dei martiri e dei Santi".
Ed ecco ancora un'altra pagina che dà un'idea di un altro "inferno" escogitato dagli uomini: "La Securitate, la polizia politica rumena, durante gli interrogatori ricorreva ai metodi di tortura classici: pestaggi, percosse sulle piante dei piedi e sospensione per i piedi, a testa in giù. A Pitesti la cru¬deltà delle torture ha di gran lunga superato questi metodi.
Venne praticata tutta la gamma dei supplizi possibili e impossibili; alcune parti del corpo venivano bruciate con la sigaretta; alcuni prigionieri avevano le natiche necrotizzate e la carne che cadeva come quella dei lebbro¬si; altri erano obbligati a ingurgitare un'intera gamella di escrementi e quan¬do vomitavano gli veniva ricacciato il vomito in gola. La fantasia delirante di Turcanu si scatenava in modo particolare contro gli studenti credenti che rifiutavano di rinnegare Dio.
Alcuni venivano 'battezzati' tutte le mattine nel seguente modo: si immergeva loro la testa in una tinozza piena d'urina e di materia fecale, men¬tre gli altri detenuti attorno salmodiavano la formula del battesimo. Perché il suppliziato non annegasse, di tanto in tanto gli si tirava fuori la testa e lo si lasciava respirare un attimo prima di reimmergerlo in quella mistura. Uno di questi battezzati, che aveva subìto sistematicamente questa tortura, aveva acquisito un automatismo che durò circa due mesi: tutte le mattine andava a immergere da solo la testa nella tinozza, con grande gioia dei rieducatori. I seminaristi invece erano obbligati da Turcanu a officiare le messe nere che lui metteva in scena, soprattutto durante la settimana santa, la sera di Pasqua.
Alcuni facevano i cantori, altri i sacerdoti. Il testo della liturgia di Turcanu era evidentemente blasfemo e parafrasava in maniera demoniaca l'originale. La Santa Vergine era chiamata "la grande puttana" e Gesù "il coglione che è morto sulla croce". Il seminarista che faceva il prete veniva fatto spogliare completamente, gli veniva avvolto addosso un mantello mac¬chiato di escrementi e appeso al collo un fallo confezionato con il sapone e la mollica di pane e cosparso di DDT.
Nel 1950, durante la notte di Pasqua, gli studenti in corso di rieduca¬zione dovettero passare davanti a un simile prete, baciare il fallo e dire: "Cristo è resuscitato".
La prima fase della rieducazione si chiamava "smascheramento ester¬no; il prigioniero doveva dare prova della propria lealtà confessando quanto aveva nascosto durante l'istruttoria del processo, in particolare i legami con amici in libertà.
Nella seconda fase, lo smascheramento interno. doveva denunciare quanti l'avevano aiutato all'interno della prigione. Nella terza fase, lo sma¬scheramento morale pubblico si chiedeva al detenuto di schernire tutto ciò che considerava sacro: i genitori, la moglie, la fidanzata, Dio se era credente, gli amici. Si arrivava così alla quarta fase: il candidato all'adesione all'ODCC veniva designato a ‘rieducare’ il suo migliore amico, torturandolo con le sue stesse mani e diventando, quindi, a propria volta un carnefice".
Le scene descritte sono così orripilanti da giustificare, in qualche modo, l'idea di un inferno posto in atto dalla perversità e dalla fantasia di uomini inqualificabili. E, tuttavia, esiste pure l'inferno, quello eterno dell'al¬tra vita, incomparabilmente più spaventoso.

2. ESISTE ANCHE L'INFERNO DELL'ALDILÀ
Se è impossibile negare l'esistenza di veri e propri inferni sulla terra, un inferno eterno, invece, appare più che mai, a tanti, una vera e propria favo¬la inaccettabile per mille ragioni. Eppure - ne abbiamo già fatto cenno -: "Tutti i popoli furono persuasi dell'esistenza di una pena eterna per gli empi.
I Greci, i Romani, i Galli, i Persiani, gli Indiani, i Cinesi e altri popo¬li dell'Oriente, quelli barbari e pagani dell'Europa settentrionale come i Germani e i Britanni, numerose tribù primitive dell'Africa, varie scuole mao¬mettane, come pure i gruppi indigeni scoperti recentemente in America e in Australia, tutti ammettono una vita ultraterrena, dove gli empi soffriranno pene gravissime. È rilevante il valore di questo consenso perché s'impone per la sua antichità e universalità, riguarda una verità spiacevole (specialmente per i malvagi), a cui non si può assegnare altra origine che la Rivelazione o la voce della coscienza. Questa, allo stesso modo che promulga la legge natu¬rale e rende certa l'esistenza del Legislatore Supremo, così ne manifesta anche la sanzione. Un tale consenso non può essere basato sull'errore". Questa credenza universale è confermata in pieno dalla Rivelazione.
Il catechismo della dottrina cattolica - che abbiamo riportato sopra - non fa che ripetere e riassumere la rivelazione divina, portata alla perfezione da Cristo stesso. Non vogliamo qui elencare tutti i testi e le prove del N.e V. Testamento, per i quali rimandiamo ad autori competenti.
Eccone però almeno alcuni, tra i più significativi.
Nel libro di Giuditta si legge: "Il Signore onnipotente si vendicherà di essi (gli empi e ribelli a Dio), e li visiterà nel giorno del giudizio; Egli farà entrare il fuoco e i vermi nella loro carne, perché siano bruciati e straziati in eterno" (Giuditta 16, 20- 21).
È chiaro che qui si parli dello stato del dannato, bruciato e straziato in eterno dal fuoco e da altre pene.
Non meno esplicito il profeta Isaia: "Si sono atterriti in Sion i pecca¬tori, il tremito ha invaso gli ipocriti. Chi di voi potrà stare col fuoco divora¬tore? Chi di voi potrà stare nelle fiamme eterne?" (Is 33, 14).
Chi non conosce poi la parabola del ricco epulone? Il ricco che ban¬chetta tutti i giorni e il povero Lazzaro tormentato dalla fame. Ma ecco, que¬sti muore ed è portato dagli angeli nel seno di Abramo (= in paradiso). Muore il ricco e va all'inferno: in mezzo ai tormenti, torturato dalla sete e dal fuoco, implora una stilla d'acqua ma gli viene negata, oltre tutto perché "tra noi e voi - dice Abramo - è stabilito un grande abisso, che non si può attraversare" (Lc 16,19-31).
Gesù spesso parla di fuoco eterno, di verme inestinguibile, di tenebre e stridore di denti, ecc.
Al giudizio finale - dice il Signore - buoni e cattivi sono separati: i buoni alla destra e i perversi alla sinistra. A questi egli dirà: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Mt 25,31-46).
"Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 8,12).
Per l'uomo trovato al banchetto nuziale senza l'abito nuziale, "il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti" (Mt 22,13).
La metafora "tenebre esteriori" è, secondo Maurizio Blondet, agghiac¬ciante. "Gesù - egli dice -, quando allude a 'le tenebre esteriori dove non è che pianto e stridor di denti', deve ricorrere a parole scelte da una zona estrema del linguaggio', come fa dire Thomas Mann al suo diavolo, che con il nome di Sammael (angelo del veleno) si presenta al musicista Leverkhun per com¬prargli l'anima. Perché si possono usare molte parole, ma tutte stanno soltan¬to per nomi che non esistono.
Questa è precisamente la gioia segreta, la sicurezza dell'inferno: che non è enunciabile, che è salva dal linguaggio. Che esiste semplicemente, ma non la si può mettere nel giornale, non la si può rendere pubblica, non se ne può dare una nozione critica con parole. (...) E, infatti, ciò che più colpisce è come Gesù, nell'alludere a ciò che avviene nelle tenebre esteriori, ricorra a una frase d'impersonalità inaudita, una impersonalità di secondo grado. Non dice che `nelle tenebre esteriori'si piange e si stridono i denti. Non dice nem¬meno che `non c'è altro' che pianto e stridore; già quell'altro è di troppo, per¬ché non c'è più, forse, nemmeno la minima traccia di `altro'.
Tutto ciò che c'è là fuori non è che pianto e stridor di denti. Potrem¬mo sospettare che non esistano nemmeno più esseri umani nel senso proprio, ma solo residui. C'è infatti là fuori qualcuno che piange e stride? A prendere le parole di Cristo nel senso letterale, non c'è che pianto e stridore".
S. Pietro e l'Apocalisse ci dicono, pure, tra l'altro, per chi è destinato l'inferno. "Non sapete voi che gli ingiusti non possederanno il regno di Dio? Badate a non errare: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né quelli che peccano contro natura, né i ladri, né gli avari, né i dediti all'ubriachezza, né i maldicenti, né i rapaci, avranno l'eredità del regno di Dio". L'inferno è soprattutto per quelli "che vanno dietro alla carne, nell'immonda concupiscenza, e disprezzano l'autorità" (2 Pt 2,9-10).
L'inferno è per "i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immo¬rali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori" ( Apoc 21,8).
Anche l'apostolo Paolo afferma che coloro che non obbediscono al Vangelo saranno: "castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore" (2 Thess 1,9). Alla fine dei tempi "il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 13,41-42).
Da dire pure che, leggendo attentamente il Vangelo si ha addirittura l'impressione che esso parli soprattutto dell'inferno: vedi, per es., la parabola delle vergini sapienti e stolte (queste trovano la porta chiusa e sono escluse dalla cena e lasciate nella tenebra e freddo della notte...); la parabola dei talenti (il servo fannullone, cacciato e spogliato di tutto), ecc. Non c'è, quasi pagina soprattutto del Vangelo, dove non si parli o non si alluda all'inferno.
Superfluo ricordare che chi parla, con tanta chiarezza e decisione del¬l'inferno, è Cristo Redentore, Colui cioè che ha dato la vita per l'umanità, e che ha mostrato e parlato in maniera ammirabile della divina misericordia (si pensi solo alla parabola del Figliuol prodigo). Si può allora rimanere sconcer¬tati quanto si vuole, incapaci come siamo di conciliare l'infinita misericordia con l'infinita giustizia divina, ma non si può mettere in dubbio la verità affer¬mata: esiste un inferno, spaventoso luogo di tormenti, e un inferno eterno.
Di fronte ad affermazioni così categoriche, che senso hanno certe affer¬mazioni o difficoltà avanzate magari, spesso, anche da preti e teologi di fama? Tutte le obiezioni - quali che siano e anche moltiplicate all'infinito e non risol¬te in pieno dalla ragione -, mai potranno scalfire le affermazioni chiarissime della Rivelazione. Il Cardinale Newman, se non erro, diceva che cento obie¬zioni non costituiscono un argomento. Se, infatti, si ha a che fare con una veri¬tà autentica, alle obiezioni si può anche non saper rispondere per mille ragio¬ni, ma esse mai potranno vanificarla o eliminarla.

3. OBIEZIONI E DIFFICOLTÀ
Ma quali sono le obiezioni che più si affacciano contro questa verità rivelata?
Si insiste soprattutto sulla inconciliabilità di un inferno spaventoso ed eterno con la misericordia infinita di Dio. Come può Dio, infinitamente mise¬ricordioso, condannare alla dannazione eterna un povera creatura che, cattiva quanto si voglia, non può di per sé voler offendere tanto il Signore da merita¬re pena così spaventosa? In effetti, il peccatore, volente o nolente, è pur sem¬pre una creatura di impensabile fragilità e miseria.
Come è possibile poi immaginare un inferno eterno? Due obiezioni che sembrano toccare di più la sensibilità e che, sempre ripetute, si direbbero quel¬le che più vanno di... moda.
Un accenno significativo di questa "moda", tra i tanti, lo troviamo nel romanzo "Il Cavallo Rosso" di Eugenio Corti. Manno che discute e rifiuta, ritenendola arbitraria, la placida fiducia di alcuni, di certi giovani preti. A que¬sti egli dice, per es.: "Dunque, se di qua l'inferno c'è, perché dobbiamo esclu¬dere che possa esserci anche di là? Per quale ragione?
Con la differenza fondamentale che di là gli esseri umani non si trova¬no nel tempo, ma nell'eternità, dunque anche nell'eternità dell'inferno...". (...) 'Ma Dio è amore, lo vuoi capire?', tornavano a contrastarlo quei preti fiduciosi (...). `Tu, imperfetto come sei, manderesti qualcuno all'inferno, cioè nei tormenti per l'eternità?' gli obiettava anche adesso il cappellano: `e vuoi che ce lo mandi Dio? Il quale oltretutto ci prescrive, sopra ogni altra cosa, di amarci e di evitarci le sofferenze gli uni agli altri?' Il punto però - si diceva Manno -stava qui: nel fatto che non era mica Dio a mandarceli. Proprio come non era Dio a introdurre gli uomini negli inferni di questa guerra: sono loro stessi, gli uomini, che nella loro terribile libertà ci si mettono (che partono ad es., in guerra gli uni contro gli altri, che inventano il razzismo, eccetera), e lo fanno in contrasto con Dio, andando cioè contro la sua volontà e i suoi coman¬damenti... "Per poi concludere magari, i più incoscienti, che Dio non esiste, visto che c'è tanto male sulla terra!".
C'era inoltre quel particolare del fuoco, quegli accenni qua e là nei testi sacri al fuoco eterno. Per quegli accenni più d'un credente finisce con l'attri¬buire alla parola inferno un significato solo metaforico. "Molti non credenti poi, per quegli accenni si confermano nell'opinione che la Scrittura è una mescolanza inattendibile di miti, leggende, racconti storici e prescrizioni varie, messa insieme da un popolo di seminomadi".
Per lui al contrario quei richiami al fuoco rendevano la sgradevole pro¬spettiva dell'inferno -anche in questo momento lo constatava - più plausibile. "Perché se l'essere umano è davvero costruito per formare un tutt'uno con Dio, come i tralci con la vite, allora il trovarsi definitivamente separato da Dio (questo e non altro essendo l'inferno) comporterà - per l'essere umano immortale - una sorta di disintegrazione permanente...
E cos'altro sulla terra potrebbe rendere meglio del fuoco l'idea della disintegrazione?". 'Il fatto che quei seminomadi, solo in parte coscienti di ciò che scrivevano, e certo ignoranti del rapporto vite-tralci, avessero usata la parola fuoco, secondo lui contribuiva dunque a indicare che avevano scrit¬to sotto un'ispirazione superiore...".
Si fa leva sul sentimento e si fantastica addirittura di visite della Madonna ai dannati: "Nell'apocrifo russo Viaggio della Madre di Dio al luogo dei tormenti, Maria visita i poveri peccatori all'inferno, è stupita dai loro paurosi castighi e chiede a suo Figlio di concedere ad essi occasionali sospensioni dalle torture ogni anno da Pasqua a Pentecoste". Tornando alle obiezioni avanzate da tanti, è chiaro che non si può qui rispondere dettagliatamente, perché ci porterebbe lontano e non è questo lo scopo di queste pagine. Si potrebbe però rispondere semplicemente - come or ora abbiamo detto - che di inferno parla proprio Cristo, Salvatore del genere umano, che soprattutto dal Vangelo si rivela ricchissimo di pietà e di miseri¬cordia. Non si vorrà certo accusare Gesù di contraddizione.
Ciò porta alla logica conclusione che la creduta opposizione tra mise¬ricordia e giustizia è solo frutto della debolezza e finitezza della ragione crea¬ta, incapace di sondare il mistero nella sua radice. Comunque all'obiezione suddetta il Compendio del Catechismo della Dottrina cattolica così risponde quanto alla pena dell'inferno"... è l'uomo stesso che, in piena autonomia, si esclude volontariamente dalla comunione con Dio se, fino al momento della propria morte, persiste nel peccato mortale, rifiutando l'amore misericordio¬so di Dio".
L'obiezione avanzata da sempre da innumerevoli persone, viene formu¬lata spesso in questi termini: "L'inferno non può essere eterno perché Dio è Amore". Si risponde: forse che l'amore è incompatibile con un inferno eter¬no? Dante, grandissimo poeta, e teologo forse ancora più grande, pone sulla porta dell'inferno questa iscrizione: "Giustizia mosse il mio alto fattore: /Fecemi la divina potestate, / La somma sapienza, e il primo amore".
Egli dice cioè che l'inferno è fatto sia dalla potenza, sia dalla sapienza e sia dall'amore! Come spiegare questo? Dante non ha avvertito la forza del¬l'obiezione? Tempo fa io stesso scrivevo: "L'amore vero è, per necessità, sapiente e giusto, legame, vincolo e splendore di tutte le virtù ". E perciò soprattutto in Dio "non c'è solamente un legame necessario tra gli infiniti (suoi) attributi, ma questi, compenetrandosi ed identificandosi come misterio¬si ineffabili cerchi di oro, fanno sì che anche l'amore non possa non essere, allo stesso tempo, anche ordine, giustizia e sapienza e onnipotenza.
Dio che restaura l'ordine e punisce il peccato soddisferà perciò non meno alle esigenze della giustizia che a quelle di un amore infinito. Certo, la povera ragione umana sente qui le vertigini della sua sconfinata debolezza. Poiché però certamente Dio è, tra l'altro giustizia e amore infinito, e poiché non è meno certa la rivelazione dell'inferno, a nessuno sarà permesso di negare una sola di queste verità sol perché non riesce a coglierne il nesso con le altre". E aggiungevo pure più tardi che "Non è Dio Amore che vuole l'inferno eterno, è l'anima che nella sua cecità misteriosa mai chiederà per¬dono a Dio e perciò mai Dio Amore potrà accordarlo a chi lo rifiuta ostina¬tamente". Poiché però il mistero comunque permane grande, non resta che chinare la testa davanti all'imperscrutabile, adoperandosi con tutte le forze a non incappare in così spaventosa realtà!

In che consiste l'inferno
Una volta affermata l'esistenza dell'inferno, si vuol sapere naturalmen¬te in che cosa esso consista realmente. Già da quanto detto viene fuori una immagine abbastanza realistica dell'inferno. Trattandosi però di un argomen¬to che, almeno in parte, sfugge alla ragione umana, è bene scendere a maggio¬ri dettagli, sulla scorta sempre dei dati rivelati. Da non dimenticare però che il linguaggio umano, per quanto si voglia, -soprattutto per alcune verità di fede, e tra queste certamente l'inferno - resta sempre assolutamente inadatto alla bisogna, ben lontano cioè dalla realtà. Un punto, questo, sottolineato - come vedremo - da quasi tutti i Santi che, avendo visto l'inferno, ce lo hanno descritto.

1. LUOGO E/O STATO?
Prima di addentrarci nell'argomento è opportuno chiedersi se l'inferno è uno stato e/o un luogo. Il quesito è di non lieve importanza, perché, tra l'al¬tro, se l'inferno fosse solo un luogo, i diavoli o le anime dannate che, per qual¬siasi ragione, ne uscissero fuori, sarebbero, almeno in queste ipotizzate paren¬tesi, libere dai loro tremendi supplizi. Un'interruzione quindi o almeno una attenuazione delle terribili pene a cui sono essi assoggettati.
L'inferno, per prima cosa, è certamente uno stato, più che un luogo. Lo stato si confonde con l'essere stesso, implicando esso qualcosa che è nello stesso proprio essere e che, quindi, lo si porta con sé ovunque si vada e comunque si viva. Chi è in stato di malattia, ovunque egli si trovi - o all'ospe¬dale o a casa sua, o a Roma o a Parigi - è sempre malato.
Essendo uno stato, perciò, è chiaro che il dannato l'inferno, per così dire, lo porta con sé e in sé, ovunque possa trovarsi. Si può capire così come il diavolo, pur scorrazzando - Dio permettendolo - per il mondo, è sempre nel¬l'infelicissimo stato di dannazione eterna: e cioè ovunque va e comunque si trova, egli è sempre a bruciare nell'inferno.
Lo stato del demonio e del dannato è uno stato spaventoso di sofferen¬za inesprimibile, di disperazione totale, di solitudine inguaribile, di odio che rode e scarnifica, per così dire, tutto l'essere.
Non importa - o meglio - importa poco se tutto questo è sofferto anche in un luogo tenebroso che accresce la sofferenza: lo stato di dannazione, sostanzialmente, resta quello che è.
Detto questo e fatta chiarezza su alcun punti essenziali, niente impedi¬sce di ritenere - anzi di dover ritenere - l'inferno anche un luogo. La parola stessa "inferno" dice qualcosa o una realtà "che è sotto". Da dire anzi che alcuni dati biblici sembrano favorire questa opinione. La rivelazione, infatti, parla di "tenebre esteriori"; al ricco epulone che, dall'inferno, chiede il refri¬gerio di una stilla d'acqua, Abramo risponde, tra l'altro: "tra noi e voi è sta¬bilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non posso¬no, né di costì si può attraversare fino a noi" (Lc 16,26); al giudizio finale Dio dirà a quelli della sinistra, i dannati in pratica: "Via da me, maledetti, al fuoco eterno ...e andranno al castigo eterno" (Mt 25,41.46).
In merito però a questa questione non esistono - né nella S. Scrittura né nel Magistero della Chiesa - affermazioni esplicite e dogmatiche. La Chiesa non si è pronunziata mai in maniera infallibile, anche se tutto lascia pen¬sare - visioni di inferno e apparizioni di dannati - che l'inferno sia - oltre che stato - anche un luogo spaventoso. Senza escludere del tutto l'ipotesi che, trat¬tandosi di apparizioni avute da creature umane e a creature umane destinate, lo stato di dannazione potrebbe essere stato, per così dire, come materializza¬to anche in un luogo per farne meglio risaltare l'orrenda realtà. Anche i Padri della Chiesa, però, e i teologi più quotati, generalmente, ritengono che l'infer¬no sia pure un luogo di pena e di sofferenza inimmaginabile che si trovereb¬be sulla terra o sotto terra.
Ma se si parla dell'inferno che è anche un luogo, perché esso è sito o immaginato sotto terra? La distanza anche materiale o spaziale, anzi lo spro¬fondamento nell'abisso non vorrà significare anche e soprattutto lo stato di maledizione e di lontananza da Dio?

2. LE PENE DELL'INFERNO
Checché sia di questa questione, diavoli e anime in stato di dannazio¬ne soffrono l'assenza di Dio (la cosiddetta pena del danno) e ogni genere di inimmaginabili tormenti sensibili (la cosiddetta pena del senso).

a. L'assenza di Dio
Il più grande tormento dei dannati è il non poter più vedere Dio. Per coloro che vivono sulla terra, immersi come sono nei sensi e distratti da mille cose, il non poter vedere Dio potrebbe ritenersi come qualcosa di insignifican¬te quasi. Finché infatti si vive quasi solo di materia, l'uomo può vivere anche senza Dio, come se egli non esistesse affatto. E purtroppo così vivono milio¬ni di uomini, tutti ingolfati nel lavoro, nei piaceri della terra, nel guadagno di denaro e di beni dalle mille attrattive. Spogliato però del suo corpo e venuto del tutto meno il mondo delle cose passeggere, si avvertirà da tutti il peso di quella irresistibile innata tendenza a Dio che è l'eterno, l'infinito, la pienezza, la vera felicità che soddisfa in tutto.
Nel cuore del dannato c'è questa indistruttibile e fortissima tendenza verso Dio, e allo stesso tempo una spaventosa e irresistibile avversione che lo porta a odiarlo con odio inestinguibile, a bestemmiarlo incessantemente. E come un'onda portata inesorabilmente sulla spiaggia, egli tende e si slancia verso Dio e sempre ne è ricacciato. Quel Dio, mille volte offertosi nell'amo¬re e nell'abbraccio del perdono, e mille volte rifiutato, ora per il dannato è il vero bene dal quale si sente per sempre escluso. La sua infelicità e la sua disperazione stanno soprattutto qui.
Tutto ciò è presentato dal Faber in una splendida pagina, - che riportia¬mo qui integralmente, scusandoci con i lettori per la sua lunghezza - nella quale si chiede a che cosa si può assomigliare questa pena. "... Vediamo a che somigli, poiché fortunatamente eccede ogni immaginazione a concepirne la tremenda realtà.
Supponiamo che noi potessimo vedere gli ingenti pianeti e le pondero¬se stelle rotanti la loro orrenda massa con spaventevole e forse con rumoro¬sa velocità, tuonando nei campi del firmamento con furioso moto gigantesco, quale viene debolmente raffigurato da una valanga, e descrivendo con devia¬zioni che spaventano e con evoluzioni che fanno rabbrividire, le orbite per forza centripeta e centrifuga; noi vedremmo nella nudità delle sue ingenti operazioni la legge divina di gravità.
In pari modo noi scorgeremmo le vere relazioni tra Dio e noi, il vero significato e valore della sua benefica presenza, se potessimo vedere un'anima dannata al momento della sua riprovazione finale e giudiziale, pochi istanti dopo la sua separazione dal corpo, ed in tutto il vigore d' un'anima sciolta dall'ingombro del corpo e nell'orrore d'un penare senza fine.
Nessuna belva feroce nelle selve, nessuna chimera dell'immaginazione pagana potrebbe essere così orribile. Appena tirata l'insuperabile barriera tra essa e Dio, ciò che i teologi chiamano amore radicale della creatura per il Creatore erompe in una vera tempesta di incessanti sforzi. Cerca il suo cen¬tro, e non lo trova. Balza verso Dio, ed è di nuovo piombata al basso. Si lan¬cia e batte contro le pareti di granito della sua prigione con tale incredibile forza che il pianeta deve essere ben saldo nel suo equilibrio per non spostar¬si all'urto di quella violenza spirituale. Ma la legge di gravità è ancora più forte, ed il pianeta oscilla lievemente nella sua splendida atmosfera. L'anima sciolta dal corpo non può impazzire, altrimenti l'idea di un insuperabile desi¬derio di Dio, e l'inefficace attrazione della gloriosa Divinità, basterebbero a far dare volta alla ragione.
Percorrendo la sua bruciante gabbia, quello spirito colle sue molte facoltà ed accresciuta intelligenza spende la sua tormentosa immortalità variando, sempre ricominciando e compiendo con monotonia, come belva ingabbiata contro le ferree sbarre, un triplice movimento, non tre movimenti successivi, ma simultanei, un triplice movimento disperato.
Nella sua rabbia vorrebbe raggiungere Dio, ed afferrarlo e detroniz¬zarlo, ucciderlo e distruggerlo. Nella sua agonia vorrebbe soffocare la sua interna sete di Dio, che la inaridisce, la dissecca e la brucia, con tutto il furente orrore d'una sfrenata frenesia. Nelle sue furie vorrebbe spezzare le sue strette catene di rodente fuoco che fissano e rendono immobile il suo amore radicale del Sommo Bene, e la sospingono sempre indietro con urli crudeli, rendendo vana la sua disperata tendenza verso il Centro Increato. Con questi continui e vani tre sforzi passa la sua vita d'interminabili orrori. La veemen¬za con cui lancia le sue imprecazioni contro Dio è vana; esse ricadono senza salire molto alte, restando molto al di sotto del suo tranquillo e festeggiato trono.
Finalmente le passa innanzi l'immensità di Dio, che per lei è improfit¬tevole e senza consolazione; questa non è una vera immagine, ma solo un'om¬bra informe, ma pur l'anima conosce che è Dio. Con uno strido che dovreb¬be essere udito in tutto il creato si slancia su tale ombra, ed urta, benché puro spirito, contro terrori materiali. Tenta afferrar l'ombra di Dio, ed invece abbraccia scottanti fiamme. Si rialza per altra riscossa contro di lui, ma si vede innanzi dei ceffì satanaci. Si slancia presso quell'ombra quanto è lunga la propria catena, ed urta un'atterrita folla di anime maledette e dannate come lei.
Così si contorce sempre col sentimento di essere la tormentatrice di se stessa. Così non passa ora del nostro tempo, non istante delle nostre stellate notti, non intervallo nelle vibrazioni delle nostre selve rischiarate dalla luna, non ondulazione d'aure profumate dai nostri giardini, non nota di delizia musicale per noi, senza che quella sciagurata e non commiserevole anima non si senta nuovamente venir meno per l'opprimente sentimento che tutto quan¬to la circonda è eterno. Tutto questo non è che l'assenza della dolce presenza di Dio nella sua creazione".
S. Agostino, a sua volta, afferma: "L'essere respinto dal regno di Dio, l'essere esiliato dalla città di Dio, l'esser privati della vita di Dio, mancare della grande abbondanza della dolcezza di Dio... è pena così grande che non può essere paragonata a nessuna altra pena che si conosca".
"Allontanatevi da me, maledetti" (Mt 25,41). Questa parola che il Giudice supremo dirà a tutti gli esclusi dal paradiso, pesa già come una mon¬tagna sul dannato e per sempre. Una tragedia che le più patetiche situazioni umane - come quella della madre tutta tesa verso la sua creatura che non può vedere; o come quella dell'esule che muore di nostalgia e di rimpianto per la sua terra amata che non vedrà mai più - non ne sono che immagine sbiadita.

b. La pena del senso
Alla pena del danno è congiunta pure la pena del senso, e cioè quell'in¬sieme di sofferenze che affligge il corpo dell'uomo attraverso i suoi cinque sensi: vista, udito, gusto, odorato e tatto. I dannati, pur spogliati del corpo, le soffrono come se lo avessero. Il Signore - dice Teresa d'Avila - volle farmi sen¬tire in ispirito quelle pene ed afflizioni (= dell'inferno), come se le soffrissi nel corpo.
Perciò i dannati vedono continuamente immagini e spettacoli orrendi, sono frastornati da clamori e urla spaventose, sentono fetori da non dire; come pure sono cruciati da contatti e pressioni e cose del genere per tutto l'es¬sere.
Le pene del senso consistono prima di tutto e soprattutto nel fuoco che brucia e tortura i dannati fin nelle radici stesse del loro essere.
Si obietterà: come può il fuoco torturare l'anima, lo spirito? A parte che Dio può tutto e quindi può fare pure che il fuoco tocchi e tormenti lo spirito; si deve ricordare che il fuoco dell'inferno, pur essendo vero fuoco come inse¬gna la Chiesa, non è della stessa natura del nostro fuoco materiale.
La S. Scrittura parla soprattutto di fuoco ardente e di zolfo, di arsura dilaniante, di pianto spaventevole, di tenebre esteriori, di rimorsi laceranti (per grazie sciupate, per il tempo dedicato a futilità e peccati, per le tante possibi¬lità di bene perdute ecc.: verme che non muore), di odori ributtanti e fetori che emanano come da corpi in putrefazione (geenna). In particolare, Giobbe parla di "luogo tenebroso coperto dalla caligine di morte, di regione di miseria e delle tenebre, dove regna l'ombra di morte, il disordine e l'orrore sempiter¬no" (Giob 10,21.29).
Perché anche una pena del senso oltre quella del danno?
Perché il peccato, oltre ad essere offesa di Dio, è indebito godimento ed esaltazione folle delle creature.
"Ogni peccato, dice S. Agostino, è aversio a Deo et conversio ad crea¬turas", e cioè allontanamento da Dio per andare verso le creature. E perciò il peccato va castigato sia per il colpevole allontanamento da Dio e sia per la disordinata preferenza accordata alle creature anziché a Dio.
Lo stesso pensiero, più o meno, in S. Tommaso che scrive: "La pena è proporzionata al peccato. Nel peccato vi sono due aspetti: la separazione dal Bene increato, che è infinito (per questo il peccato è infinito), e l'adesione a un bene effimero, e pertanto il peccato è finito, sia perché un bene effimero è finito, sia anche perché l'adesione stessa è finita, non potendo gli atti delle creature essere infiniti. In quanto il peccato è separazione da Dio, risponde alla pena del danno, che è pure infinita, esso è infatti la perdita di un bene infinito, Dio; in quanto è una disordinata adesione alle creature, risponde alla pena del senso, che è finita".

c. Pene eterne ed immutabili
Le pene per il dannato sono eterne e senza mai alcuna attenuazione o alleggerimento. Infatti la S. Scrittura parla di "verme che non muore" (Mc 9,42); di 'fuoco inestinguibile" (Ivi); di "fuoco eterno" (Mt 25,41.46).
È impensabile perciò sia la cessazione e sia un'attenuazione delle pene, di cui opinò soprattutto Origene. Egli parla di una apocatastasi, e cioè di una generale restaurazione che vedrebbe rifatti e salvati anche i dannati all'infer¬no e lo stesso Satana.
Ma a tale opinione si oppone la dottrina della Chiesa. Questa non ha mai accettato l'idea dell'apocatastasi, la condannò anzi formalmente nel 543 con papa Vigilio, come pure nel Conc. Costantinopolitano II (553), nel Conc. Costantinopolit. III (680) e nel Concilio II di Nicea (787).
Ma l'opinione di Origene si oppone pure al più elementare buon senso. Buon senso, espresso molto bene, per es., tra gli altri, da S. Epifanio e da S. Girolamo, quanto all'asserita rigenerazione. S. Epifanio, infatti, scrive: "Quanto a quello che egli (= Origene) cerca di sostenere, non so se piangere o ridere. L'insigne maestro osa affermare che il diavolo tornerà ad essere ciò che era stato e che rientrerà nella sua stessa dignità e ascenderà di nuovo al regno dei cieli. Cosa inaudita! Chi è tanto insensato e stolto da ammettere che S. Giovanni Battista, S. Pietro e S. Giovanni Apostolo ed Evangelista, come pure Isaia e Geremia e gli altri profeti, possano essere coeredi col dia¬volo del regno dei cieli?".
S. Girolamo, a sua volta, afferma: "Se tutte le creature ragionevoli sono uguali, e dalle virtù o dai vizi, per propria volontà, sono portate in alto o sprofondate in basso e, dopo un lungo giro e dopo innumerevoli secoli, avverrà la restaurazione di tutte le cose, e uguale sarà il merito dei combat¬tenti; quale differenza vi sarà tra una vergine e una meretrice? Tra la Madre del Signore (il solo affermarlo è delitto) e le prostitute? Saranno eredi dello stesso regno il diavolo e Gabriele, gli Apostoli e i demoni?".
Da rigettare ugualmente l'idea di una mitigazione delle pene infernali. L'opinione molto in voga al tempo di S. Tommaso, è da questi così bollata: "Questa opinione è presuntuosa, perché contraria alle asserzioni dei Santi; è frivola, non fondata su alcuna autorità, ed è irragionevole".
Non resta allora che attenersi fedelmente alle parole della S. Scrittura e all'insegnamento della Chiesa, pur se una "pietà" tutta umana tenda a far buon viso ad opinioni del genere.

Le "visioni" dei Santi
Visioni e apparizioni appartengono ai fenomeni mistici straordinari, di cui parlano innumerevoli mistici e teologi.
Esistono non poche descrizioni dell'inferno fatte da Santi, che lo hanno visto o sperimentato per volere superno.
Prima di presentarne alcune, però, ci sembra opportuno offrire prima delle nozioni sommarie e chiedersi che valore teologico dare a queste "rive¬lazioni", supposto che si siano veramente verificate.


1. Si tratta di rivelazioni private
Da notare prima di tutto che dette visioni o apparizioni sono dette rive¬lazioni private non perché non siano o non debbano essere a vantaggio di tutta la Chiesa, ma nel senso che ad esse, non facendo parte di quelle verità di fede, necessarie per conseguire la salvezza, si potrebbe anche non prestare fede. "E quando la Chiesa le approva, non ci obbliga a crederle, ma solo permette, come dice Benedetto XIV che siano pubblicate ad istruzione ed edificazione dei fedeli; onde l'assenso che vi si deve prestare non è atto di fede cattolica, ma atto di fede umana fondato sull'essere queste rivelazioni probabili e pia¬mente credibili" (Siquidem hisce revelationibus taliter approbatis, licet non debeatur nec possit adhiberi assensus (idei catholicae, debetur tamen assensus (idei humanae, juxta prudentiae regulas, juxta quas nempe tales revelationes sunt probabiles pieque credibiles De servorum Dei beatificatione, 1. 11, c. 32, n. 11).

2. Natura di queste apparizioni o visioni
La visioni "sono percezioni soprannaturali di oggetti naturalmente invisibili all'uomo".
E cioè accade che alcune anime vedano, per un intervento superiore, delle realtà che ordinariamente non sono viste dagli altri uomini: visioni, per es., di Santi, di defunti, di anime del purgatorio o di dannati, ecc.
Le visioni sono di tre specie: sensibili, immaginarie e intellettuali. "Le visioni sensibili o corporali od oculari, che si dicono anche apparizioni, sono quelle in cui i sensi percepiscono una cosa reale naturalmente invisibile all'uomo".
E cioè visioni e apparizioni possono avvenire "per mezzo dei sensi cor¬porali esteriori; per questo, tali visioni si chiamano corporee. Possono succe¬dere in due maniere. L'una è propriamente e veramente corporea, cioè quan¬do con corpo reale e dotato di peso si presenta alla vista o al tatto qualche cosa dell'altra vita, come Dio, un angelo, un Santo, il demonio, un'anima o altro. Si forma a tale scopo, per opera e virtù degli angeli buoni o cattivi, qualche corpo immateriale ed apparente, il quale, benché non sia corpo natu¬rale e vero di colui che rappresenta, è veramente un corpo di aria condensa-ta con le sue dimensioni quantitative".
Un'altra maniera di visione corporea "sono certe immagini di corpo, di colore e simili, che un angelo può causare negli occhi alterando l'aria circo¬stante. Colui che le riceve giudica di vedere qualche corpo reale presente, mentre esso non c'è e ci sono solo immagini con le quali si altera la vista con un inganno ad essa impercettibile.
Questo genere di visioni illusorie non è proprio degli angeli buoni né delle apparizioni divine, anche se è possibile che lo sia e tale poté essere la voce che udì Samuele (Cf 1 Re 3,4). Ordinariamente, però, le simula il demo¬nio per quello che contengono di inganno, specialmente per gli occhi" (448¬449). "Nella Scrittura si trovano molte visioni corporee avute dai Santi e dai Patriarchi. Adamo vide Dio rappresentato dall'angelo (Cf. Gen 3,8), Abramo i tre angeli (Cf.Gen 18,1-2), Mosè il roveto e molte volte il Signore stesso (Cf. Es 3,2). Hanno avuto molte volte visioni corporee ed immaginarie anche dei peccatori, come Caino (cf. Gen 4,9) e Baldassar che vide la mano sul muro (Cf Dan S,5)".
Le visioni invece immaginarie o immaginative "sono quelle prodotte da Dio o dagli angeli nell'immaginazione sia nella veglia sia nel sonno". Visioni immaginarie se ne trovano nella S. Scrittura per es., il Faraone ebbe quella delle vacche (cf. Gen 41,1 ss) e Nabucodonosor quella dell'albe¬ro (Cf Dan 4,1 ss) e della statua (Cf Dan 2,1 ss.), ed altre simili.
A proposito delle visioni puramente spirituali, così si esprime S. Giovanni della Croce: "Parlando... delle visioni che sono puramente spiritua¬li, senza cioè il mezzo e l'opera di alcun senso del corpo, dico che due sorta di visioni possono cadere nell'intelletto: le une sono visioni di sostanze cor¬poree; le altre, di sostanze separate o incorporee. Le prime sono intorno a tutte le cose materiali che esistono in cielo e in terra, e che l'anima può vede¬re anche stando nel corpo, mediante una certa luce soprannaturale derivata da Dio, nella quale può scorgere le cose del cielo e della terra in loro assen¬za, come leggiamo essere avvenuto a S. Giovanni che nell'Apocalisse descri¬ve le bellezze della celeste Gerusalemme che vide in cielo...".
"Ma le altre visioni di sostanze incorporee, vale a dire di angeli e di anime, non si possono vedere neanche mediante quel lume derivato, ma con un altro più alto che si chiama lume di gloria; e perciò queste visioni di sostanze incorporee non sono proprie di questa vita, né si possono vedere in corpo mortale".
Quanto alle visioni intellettuali di sostanze corporee che "spiritualmen¬te si ricevono nell'anima, dico che esse sono a guisa delle visioni corporee; poiché, come gli occhi vedono le cose materiali mediante la luce naturale, così l'anima mediante il lume soprannaturale derivato dall'alto, vede interiormen¬te con l'intelletto queste medesime cose naturali ed altre ancora come a Dio piace; se non che c'è differenza nel modo di percepirle, poiché le spirituali e intellettuali accadono in modo assai più chiaro e sottile che non le corporee.
Quando Dio vuol fare all'anima questa Grazia, le comunica quella luce soprannaturale che abbiamo accennata, in cui con la massima facilità e chia¬rezza vede le cose che Dio vuole, ora del cielo, ora della terra, senza che fac¬cia ostacolo o importi l'assenza o presenza loro. Il che avviene, alle volte, come se si aprisse una risplendentissima porta, per la quale si vedesse una luce a guisa di un lampo che in una notte buia all'improvviso illumina gli oggetti, li fa vedere chiari e distinti, e subito li lascia di nuovo all'oscuro, quantunque le loro forme e figure restino impresse nella fantasia.
Ciò accade nell'anima molto più perfettamente; perché le cose vedute con lo spirito in quella luce le restano impresse in tale maniera che, ogni volta che vi fa avvertenza, torna a vederle in sé come prima; in quella guisa appun¬to che in uno specchio si scorgono le figure che vi sono rappresentate, ogni volta che alcuno torni a mirarvi. Ed è da notarsi che le forme delle cose vedu¬te, giammai si cancellano interamente dall'anima, quantunque con l'andar del tempo si vadano un po' affievolendo".
I mistici ci istruiscono sul modo con cui avvengono le visioni immagi¬narie e corporee: "Si formano per mezzo di immagini sensibili, causate o mosse nell'immaginazione o fantasia, le quali rappresentano gli oggetti in modo materiale e sensitivo, come cosa che si guarda con gli occhi del corpo, si ascolta, si tocca o si gusta. Sotto questa forma di visioni i profeti dell'anti¬co Testamento - particolarmente Ezechiele, Daniele e Geremia - manifestaro¬no grandi misteri che l'Altissimo rivelò loro per mezzo di esse. In simili visio¬ni l'evangelista Giovanni scrisse la sua Apocalisse".
"Ma le altre visioni di sostanze incorporee, vale a dire di angeli e di anime, non si possono vedere neanche mediante quel lume derivato, ma con un altro più alto che si chiama lume di gloria; e perciò queste visioni di sostanze incorporee non sono proprie di questa vita, né si possono vedere in corpo mortale".
Le visioni dell'inferno da parte di Santi o di anime elette sono, senza dubbio visioni sensibili e immaginarie. Essi hanno visto e toccato e sofferto nel corpo e nell'anima.
[Modificato da MARIOCAPALBO 01/02/2015 20:37]

01/02/2015 20:06

3. Che valore attribuire alle apparizioni o visioni
Le visioni che ci occupano qui provengono da Dio o sono frutto di menti esaltate o malate di schizofrenia o di isterismo e simili? O frutto maga¬ri di immaginazione già imbottita di immagini, da qualsiasi parte derivate o attinte? Il quesito, pur importante, interessa qui fino ad uno punto. Perché a parte il fatto che almeno alcune si presentano come chiaramente di origine soprannaturale; in effetti anche quelle che potrebbero spiegarsi natural¬mente, sono in piena sintonia con i dati rivelati, come vedremo. Stando così le cose, dette visioni o apparizioni, se veramente si sono verificate, hanno lo stesso valore che hanno tutte le rivelazioni private. E cioè quello di confer¬mare in qualche modo il dato rivelato, e quello di ricordare agli immemori certe verità, dalle quali facilmente si evade non solo per la naturale smemora¬tezza dell'uomo, ma anche e spesso per il disagio che esse comportano e per le conclusioni alle quali perentoriamente conducono, ecc.
Da chiedersi pure: quanto detto dai Santi sull'inferno è frutto di visio¬ni o di vere e proprie "discese" nell'inferno? Per varie di queste testimonian¬ze c'è da pensare che, più che visioni, si sia trattato anche di realtà, giacché i protagonisti sono "portati" nell'inferno, soffrendo enormemente. Reale discesa percepita come tale dagli stessi demoni. A vedere S. Veronica Giuliani nell'inferno, Satana urla furibondo ai suoi ministri: "Via l'intrusa che ci accresce i tormenti!". Certo non ci sappiamo spiegare come è possibile scen¬dere nell'inferno da vivi, condividendo le stesse sofferenze dei dannati. Ma l'importante non è tanto sapere come si è discesi nell'inferno, ma quanto si è visto e sperimentato. Il non sapersi spiegare un fenomeno, - bisogna ribadirlo una volta di più - non può essere un motivo sufficiente per negarlo o per spie¬garlo in modo chiaramente e volutamente distorto.

4. Perché si verificano detti fenomeni
Ci si potrebbe domandare pure il perché di tali fenomeni. Lo si diceva già a proposito del loro valore in confronto della rivelazione pubblica. Dio non opera che per amore. E l'amore ricorre a tutti i mezzi per salvare chi si ama. E perciò anche attraverso le visioni o le apparizioni, il Signore richiama alla realtà delle cose perché non si resti ammaliati da colori e apparenze ingan¬natrici. E purtroppo - noi lo sappiamo bene per esperienza -, sono tanti coloro che vanno dietro a vere e proprie illusioni e suggestioni.
Si capisce allora che anche questi interventi dall'alto sono espressione di vera e propria misericordia. Con l'oscurarsi soprattutto di verità di fede di grande importanza, detti interventi straordinari aiutano enormemente a ritro¬vare la via della verità. Da notare, in conclusione, che visioni e apparizioni non possono confondersi con immaginazioni di fantasia, pura creazione del soggetto che opera. Sulla pur grandiosa concezione immaginaria de La Divina Commedia si può anche non consentire, trattandosi appunto di immaginazio¬ne poetica. Molto più difficile non consentire con le visioni dei Santi, che pre¬sentano una realtà che eccede anche ogni possibile immaginazione.

L'inferno visto dai Santi
Ma è tempo di sentire e analizzare quanto ci dicono i Santi con le loro visioni o apparizioni. Ci fermeremo naturalmente solo ad alcuni, privilegian¬do soprattutto Santi più vicini a noi per il tempo e per la cultura. E questo anche per non perdersi dietro racconti o episodi non del tutto storicamente accertati o addirittura leggende e miti, da non prendere in considerazione.

1 - L'inferno visto da S. Teresa d'Avila
Monaca e riformatrice del Carmelo, Teresa di Gesù, nata ad Avila in Spagna il 28 marzo 1515 e morta ad Alba il 4 ottobre 1582, è una dei Santi che ha visto l'inferno. Lo racconta essa stessa nella vita scritta da Lei in questi ter¬mini: "Un giorno mentre ero in orazione; mi trovai tutt'a un tratto trasporta¬ta intera nell'inferno. Compresi che Dio mi voleva far vedere il luogo che i demoni mi avevano preparato, e che io mi ero meritato con i miei peccati.
Fu una visione che durò pochissimo, ma vivessi anche molti anni, mi sembra di non poterla più dimenticare. L'ingresso mi pareva un cunicolo molto lungo e stretto, simile a un forno assai basso, buio e angusto; il suolo tutto una melma puzzolente piena di rettili schifosi. Infondo, nel muro, c'era una cavità scavata a modo di nicchia, e in essa mi sentii rinchiudere stretta¬mente. E quello che allora soffrii supera ogni umana immaginazione, né mi sembra possibile darne solo un'idea perché cose che non si sanno descrivere. Basti sapere che quanto ho detto, di fronte alla realtà sembra cosa piacevole.
Sentivo nell'anima un fuoco che non so descrivere, mentre dolori intol¬lerabili mi straziavano orrendamente il corpo. Nella mia vita ne ho sofferto moltissimi, dei più gravi che secondo i medici si possano subire sulla terra, perché i miei nervi si erano rattrappiti sino a rendermi storpia, senza dire dei molti altri di diverso genere, causatimi in parte dal demonio.
Tuttavia non sono nemmeno da paragonarsi con quanto allora ho sof¬ferto, specialmente al pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione. Ma anche questo era un nulla innanzi all'agonia dell'anima. Era un'oppressione, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non so come esprimermi. Dire che si soffra¬no continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci venga strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fa in brani da sé. Fatto sta che non so trovare espressioni né per dire di quel fuoco interio¬re né per far capire la disperazione che metteva il colmo a sì orribili tormenti. Non vedevo chi me li faceva soffrire, ma mi sentivo ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fosse il fuoco e la disperazione interiore.
Era un luogo pestilenziale, nel quale non vi era più speranza di con¬forto, né spazio per sedersi o distendersi, rinserrata com'ero in quel buco praticato nella muraglia. Orribili a vedersi, le pareti mi gravavano addosso, e mi pareva di soffocare. Non v'era luce, ma tenebre fittissime; eppure quan¬to poteva dar pena alla vista si vedeva ugualmente nonostante l'assenza della luce: cosa che non riuscivo a comprendere.
Per allora Dio non volle mostrarmi di più, ma in un'altra visione vidi supplizi spaventosissimi, fra cui i castighi di alcuni vizi in particolare. A vederli parevano assai più terribili, ma non mi facevano tanta paura perché non li sperimentavo, mentre nella visione di cui parlo il Signore volle farmi sentire in ispirito quelle pene ed afflizioni, come se le soffrissi nel corpo. (...) Sentir parlare dell'inferno è niente. Vero è che io l'ho meditato poche volte perché la via del timore non è fatta per me, ma è certo che quanto si medita sui tormenti dell'inferno, su quello che i demoni fanno patire, o che si legge nei libri, non ha nulla a che fare con la realtà, perché totalmente diver¬sa, come un ritratto messo a confronto con l'oggetto ritrattato. Quasi neppu¬re il nostro fuoco si può paragonare con quello di laggiù.
Rimasi spaventatissima e lo sono tuttora mentre scrivo, benché siano già passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stes¬so dove sono. Mi accade intanto che quando sono afflitta da qualche contrad¬dizione o infermità, basta che mi ricordi di quella visione perché mi sembri¬no subito da nulla persuadendomi che ce ne lamentiamo senza motivo. Questa fu una delle più grandi grazie che il Signore m'abbia fatto, perché mi ha gio¬vato moltissimo non meno per non temere le contraddizioni e le pene della vita che per incoraggiarmi a sopportarle, ringraziando il Signore d'avermi liberata da mali così terribili ed eterni, come mi pare di dover credere".
Nella visione della Santa si evidenziano vari ed importanti fattori riguardanti l'inferno:
a) Il luogo dove starebbe l'inferno, il cui ingresso è costituito da un cunicolo lungo e stretto, simile ad un forno basso, buio e angusto. Un luogo pestilenziale dove non c'è più né speranza di conforto, né spazio per sedersi o distendersi.
Il suolo, tutto melma puzzolente, è pieno di rettili schifosi. Non c'è luce, ma tenebre fittissime e intanto tutto ciò che può dar pena alla vista si vede ugualmente.
b) Le pene sofferte dai dannati. L'anima è investita da un fuoco che Teresa non sa descrivere; il corpo (la Santa è lì con l'anima e il corpo) è stra¬ziato orrendamente da dolori intollerabili. Ma tutto questo è ancora niente di fronte all'agonia dell'anima che soffre un'oppressione, un'angoscia, una tri¬stezza e un vivo e disperato dolore "che non so - dice la Santa - come esprimer¬mi ". "Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci venga strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fa in brani da sé. La sofferenza più atroce è il pensiero che queste pene non hanno né fine né mitigazione alcuna". I supplizi peggiori sono il fuoco e la disperazione interiore.
Le pene e le afflizioni sono sentite in ispirito ma si soffre veramente, come se si soffrisse nel corpo.
c) Dette pene sono tali da superare ogni umana immaginazione: a para¬gone di esse, le sofferenze più atroci di questa terra sono un niente. Quanto vien detto o si medita sull'inferno e i suoi supplizi non ha nulla a che vedere con la realtà, perché totalmente diversa. È certo che "quanto si medita sui tor¬menti dell'inferno, su quello che i demoni fanno patire, o che si legge nei libri, non ha nulla a che fare con la realtà, perché totalmente diversa, come un ritratto messo a confronto con l'oggetto ritrattato. Quasi neppure il nostro fuoco si può paragonare con quello di laggiù ".
d) Oltre ai castighi diciamo così comuni per tutti i dannati, ci sono pure spaventosissimi castighi per ogni vizio particolare.
e) È la stessa anima dannata che si dilania, che si fa in brani da sé. "Non vedevo - dice la Santa - chi me li faceva soffrire (detti tormenti), ma mi sentivo ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fosse il fuoco e la dispera¬zione interiore".

2 - SANTA VERONICA GIULIANI
Santa Veronica Giuliani (Orsola) nacque il 27 dicembre 1660. Entrò nel monastero delle Clarisse Cappuccine di Città di Castello. Morì il 9 luglio 1727.
Una visione dell'inferno, avuta nel 1696, è così raccontata da Santa Veronica: "Parvemi che il Signore mi facesse vedere un luogo oscurissimo; ma dava incendio come fosse stata una gran fornace. Erano fiamme e fuoco, ma non si vedeva luce; sentivo stridi e rumori, ma non si vedeva niente; usci¬va un puzzore e fumo orrendo, ma non vi è, in questa vita, cosa da poter para¬gonare.
In questo punto, Iddio mi dà una comunicazione sopra l'ingratitudine delle creature, e quanto gli dispiaccia questo peccato. E qui mi si dimostrò tutto appassionato, flagellato, coronato di spine, con viva, pesante croce in spalla. Così mi disse: Mira e guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. Vi sta, per tormento, la mia giustizia ed il rigoroso mio sdegno".
In questo mentre, parvemi di sentire un gran rumore. Comparvero tanti demoni: tutti, con catene, tenevano bestie legate di diverse specie. Le dette bestie, in un subito, divennero creature (uomini), ma tanto spaventevoli e brut¬te, che mi davano più terrore che non erano gli stessi demoni. Io stavo tutta tremante, e mi volevo accostare dove stava il Signore. Ma, contuttoché vi fosse poco spazio, non potei mai avvicinarmi più. Il Signore grondava sangue, e sotto quel grave peso stava. O Dio! Io avrei voluto raccogliere il Sangue, e pigliare quella Croce, e con grand'ansia desideravo il significato di tutto.
In un istante, quelle creature divennero, di nuovo, in figura di bestie, e poi, tutte furono precipitate in quel luogo oscurissimo, e maledicevano Iddio e i Santi. Qui mi si aggiunge un rapimento, e parvemi che il Signore mi faces¬se capire, che quel luogo era l'inferno, e quelle anime erano morte, e, per il peccato, erano divenute come bestie, e che, fra esse, vi erano anco dei Religiosi. (...) "Parevami di essere trasportata in un luogo deserto, oscuro e solitario, ove non sentivo altro che urli, stridi, fischi di serpenti, rumori di catene, di ruote, di ferri, botti così grandi, che, ad ogni colpo, pensavo spro-fondasse tutto il mondo. Ed io non aveva sussidi ove rivolgermi; non potevo parlare; non potevo invitare il Signore.
Parevami che fosse luogo di castigo e di sdegno di Dio verso di me, per le tante offese fatte a S. Divina Maestà. Ed avevo avanti di me tutti i miei pec¬cati. (...)
Sentivo un incendio di fuoco, ma non vedevo fiamme; altro che colpi sopra di me; ma non vedevo nessuno. In un subito, sentivo come una fiamma di fuoco che si avvicinava a me, e sentivo percuotermi; ma niente vedevo. Oh! Che pena! Che tormento! Descriverlo non posso; ed anco il sol ricordarmi di ciò, mi fa tremare. Alla fine, fra tante tenebre, parvemi di vedere un piccolo lume come per aria. A poco a poco, si dilatò tanto. Parevami che mi sollevas¬se da tali pene; ma non vedevo altro (...)".
Un'altra visione dell'inferno è del 17 gennaio 1716. La Santa racconta che in detto giorno fu trasportata da alcuni angeli nell'inferno: "In un batter d'occhio mi ritrovai in una regione bassa, nera e fetida, piena di muggiti di tori, di urli di leoni, di fischi di serpenti ... Una grande montagna si alzava a picco davanti a me ed era tutta coperta di aspidi e basilischi legati assieme... La montagna viva era un clamore di maledizioni orribili. Essa era l'inferno superiore, cioè l'inferno benigno. Infatti la montagna si spalancò e nei suoi fianchi aperti vidi una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni, estremamente furiosi, molestavano le anime le quali urlava¬no disperate. A questa montagna seguivano altre montagne più orride, le cui viscere erano teatro di atroci e indescrivibili supplizi.
Nel fondo dell'abisso vidi un trono mostruoso, fatto di demoni terrifi¬canti. Al centro una sedia formata dai capi dell'abisso. Satana ci sedeva so¬pra nel suo indescrivibile orrore e da lì osservava tutti i dannati. Gli angeli mi spiegarono che la visione di satana forma il tormento dell'inferno, come la visione di Dio forma la delizia del Paradiso. Nel frattempo notai che il mu¬to cuscino della sedia erano Giuda ed altre anime disperate come lui. Chiesi agli angeli di chi fossero quelle anime ed ebbi questa terribile risposta: Essi furono dignitari della Chiesa e prelati religiosi.
Ed in quell'abisso, ella vide precipitare una pioggia di anime... ". Ed ecco come presenta le visioni della Santa il già citato Cioni: "Come Dante, anche la nostra Santa, appena su la soglia, ode urli, voci lamentevoli, bestemmie e maledizioni contro Dio. Vede mostri, serpenti, fiamme smisura¬te. È menata per tutto l'inferno. Precipitano giù, con la furia di densa gran¬dine, le anime dei nuovi abitatori. 'E a quest'arrivo, si rinnovano pene sopra pene ai dannati'. In un luogo ancora più profondo trova ammucchiate miglia¬ia di anime (son quelle degli assassini), sopra le quali incombe un torchio con una immensa ruota. La ruota gira e fa tremare tutto l'inferno. All'improvviso il torchio piomba su le anime, le riduce quasi a una sola; cosicché ciascuna partecipa alla pena dell'altra. Poi ritornano come prima. Ci sono parecchie anime con un libro in mano. I demoni le battono con verghe di fuoco nella bocca, con mazze di ferro sul capo, e con spuntoni acuti trapassano loro le orecchie. Sono le anime di quei religiosi bastardi, che adattarono la regola a uso e consumo proprio. Altre anime sono rinchiuse in sacchetti e infilzate dai diavoli nella bocca d'un orrendo dragone che in eter¬no le digruma. Sono le anime degli avari. Altre gorgogliano tuffate in un lago d'immondizie. Di tratto in tratto sgusciano fulmini. Le anime restano incene¬rite, ma dopo riacquistano lo stato primiero.
`I peccati che hanno commesso sono i più gravi che mai vivente può immaginare'. Tutte le strade dell'inferno appaiono sparse di rasoi, di coltel¬li, di mannaie taglienti. E mostri, dovunque mostri. E una voce che grida: Sarà sempre così. Sempre, sempre, sempre. Veronica è condotta alla presenza di Lucifero. Egli ha d'intorno le anime più graziate dal cielo, che nulla fece¬ro per Iddio, per la sua gloria; e tiene sotto i piedi, a guisa di cuscino, e pesta continuamente le anime di quelli che mancarono ai loro voti. 'Via l'intrusa che ci accresce i tormenti!', urla furibondo ai suoi ministri. Levata dall'infer¬no, Veronica ripete esterrefatta: O giustizia di Dio, quanto sei potente!".
Ed ecco adesso in breve quanto di più notevole si ritrova nelle visioni di Santa Veronica:
a) L'inferno è luogo oscurissimo ma dà incendio come fosse una gran fornace. In tutte le altre visioni il paesaggio, per così dire, è sostanzialmente sempre quello, anche se cambiano alcuni dettagli. Anche quando si ritrova in un luogo deserto, oscuro e solitario essa non sente altro che urli, stridi, fischi di serpenti, rumori di catene, di ruote, di ferri, botti così grandi che, ad ogni colpo sembrava sprofondasse tutto il mondo.
Come quando si ritrova "in una regione bassa, nera e fetida, piena di muggiti di tori, di urli di leoni, di fischi di serpenti... Una grande montagna si alzava a picco davanti a me ed era tutta coperta di aspidi e basilischi legati assieme... La montagna viva era un clamore di maledizioni orribili". Si trat¬ta sempre di inferno come le dice Gesù: "Mira e guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. 1T sta, per tormento, la mia giustizia ed il rigoroso mio sdegno ". Tormento per i dannati è appunto la giustizia di Dio ed il rigoroso suo sdegno.
b) I dannati sono coloro che hanno rifiutato Dio e la sua legge, e hanno scelto di servire il proprio io. I demoni li tengono come bestie legate di diver¬sa specie. Bestie che, in un subito, divengono agli occhi della Santa, creature (= uomini), ma tanto spaventevoli e brutte, che le davano più terrore che non gli stessi demoni. La Santa li vede precipitare, dannati per sempre, in quel¬l'abisso come una pioggia.
L'inferno, secondo la Santa, lo si merita soprattutto per il peccato di ingratitudine. Le anime cioè, pur essendo nell'abbondanza di tanti beni, quasi mai sanno riconoscere la provenienza e quasi mai si ricordano di Colui che tutto ha fatto e ha donato.
c) Anche all'inferno c'è un ordine: chi ha peccato di più e più grave¬mente responsabile, soffre più spaventosamente degli altri che hanno peccato meno e con meno responsabilità.
Per S. Veronica esiste un inferno superiore, cioè l'inferno benigno, e un inferno massimo. Esistono perciò vari reparti, raffigurati forse in quelle mon¬tagne, l'una diversa dall'altra dalle quali i dannati si precipitano nell'abisso. Infatti la montagna si spalanca e nei suoi fianchi aperti la Santa vede una mol¬titudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni, estrema¬mente furiosi, molestano le anime le quali urlano disperate. A questa monta¬gna seguono altre montagne più orride, le cui viscere sono teatro di atroci e indescrivibili supplizi.
Precipitano giù, con la furia di densa grandine, le anime dei nuovi abi¬tatori. "E a quest'arrivo, si rinnovano pene sopra pene ai dannati".
In un luogo ancora più profondo trova ammucchiate migliaia di anime (sono quelle degli assassini), sopra le quali incombe un torchio con una immensa ruota. La ruota gira e fa tremare tutto l'inferno. All'improvviso il tor¬chio piomba su le anime, le riduce quasi a una sola; cosicché ciascuna parte¬cipa alla pena dell'altra. Poi ritornano come prima.
Ci sono parecchie anime con un libro in mano. I demoni le battono con verghe di fuoco nella bocca, con mazze di ferro sul capo, e con spuntoni acuti trapassano loro le orecchie. Sono le anime di quei religiosi bastardi, che adat¬tarono la regola a uso e consumo proprio.
Altre anime sono rinchiuse in sacchetti e infilzate dai diavoli nella bocca d'un orrendo dragone che in eterno le digruma. Sono le anime degli avari. Altre gorgogliano tuffate in un lago d'immondizie. Di tratto in tratto sgusciano fulmini. Le anime restano incenerite, ma dopo riacquistano lo stato primiero. "I peccati che hanno commesso sono i più gravi che mai vivente può immaginare".
d) Nel fondo dell'abisso ci sono i gerarchi dell'inferno. Qui, infatti, la Santa vede un trono mostruoso, fatto di demoni terrificanti. Al centro una se¬dia formata dai capi dell'abisso. La Santa nota che il muto cuscino della sedia erano Giuda ed altre anime disperate come lui. Alla domanda agli angeli di chi fossero quelle anime, ella riceve questa terribile risposta: "Essi furono digni¬tari della Chiesa e prelati religiosi". Satana ci sedeva sopra nel suo indescri¬vibile orrore e da lì osservava tutti i dannati.
e) La visione di Satana forma il tormento dell'inferno, come la visione di Dio forma la delizia del Paradiso. Qui i beati sono felici nella visione di Dio che è la fonte e la radice di tutti i loro beni; nell'inferno i dannati, oltre ad essere tormentati incredibilmente dai demoni che dispensano pene e sofferen¬ze inaudite nel loro odio, è la visione di Satana soprattutto, il loro massimo nemico e artefice in parte della loro dannazione, che li fa soffrire indicibil¬mente.
f) Nell'inferno vi è pure la pena dei sensi: la Santa parla di fiamme e fuoco, di stridi e rumori, di fetore e fumo orrendo. Pene da non potersi para¬gonare a nessuna pena della terra.
Grande mistero l'inferno e terribile realtà. "Molti - come disse la Madonna a Sr. Veronica - non credono che vi sia l'inferno, ed io ti dico che tu medesima che ci sei stata non hai compreso niente cosa sia".

3 - Beata Anna Caterina Emmerick
Emmerick Anna Caterina nacque 1'8 settembre 1774 a Flamske bei Coestfeld (Westfalia) entrò nel Monastero di Agnetenberg in Duelmen (Westfalia) delle Canonichesse Regolari di S. Agostino. Morì a Duelmen il 9 novembre 1824.
La B. Emmerick tra i tanti doni ricevuti, è famosa soprattutto per le stimmate e le visioni avute. Ella ebbe una visione dell'inferno quando vide scendere il Salvatore negli inferi. "Vidi (...) il Salvatore avvicinarsi, severo, al centro dell'abisso. L'inferno mi apparve come un immenso antro tenebroso, illuminato appena da una scialba luce quasi metallica. Sulla sua entrata risaltavano enormi porte nere, con serrature e catenacci incandescenti. Urla di orrore si elevavano senza posa da quella voragine paurosa di cui, a un trat¬to, si sprofondarono le porte. Così potei vedere un orrido mondo di desolazio¬ne e di tenebre. L'inferno è un carcere di eterna ira, dove si dibattono esseri discordi e disperati. Mentre nel cielo si gode la gioia e si adora l'Altissimo dentro giardini ricchi di bellissimi fiori e di frutta squisite che comunicano la vita, all'inferno invece si sprofondano cavernose prigioni, si estendono orren¬di deserti e si scorgono smisurati laghi rigurgitanti di mostri paurosi, orribi¬li. Là dentro ferve l'eterna e terribile discordia dei dannati.
Nel cielo invece regna l'unione dei Santi eternamente beati. L'inferno, al contrario, rinserra quanto il mondo produce di corruzione e di errore; là imperversa il dolore e si soffrono quindi supplizi in una indefinita varietà di manifestazioni e di pene. Ogni dannato ha sempre presente questo pensiero: che i tormenti, ch'egli soffre, sono il frutto naturale e giusto dei suoi misfatti. Quanto si sente e si vede di orribile all'inferno è l'essenza, la forma interio¬re del peccato scoperto. Di quel serpe velenoso, che divora quanti lo fomen¬tarono in seno durante la prova mortale. Tutto questo si può comprendere quando si vede, ma riesce inesprimibile a parole.
Quando gli Angeli, che scortavano Gesù, avevano abbattuto le porte infernali, si era sollevato come un subbisso d'imprecazioni, d'ingiurie, di urla e di lamenti. Alcuni Angeli avevano cacciato altrove sterminate torme di demoni, i quali avevano poi dovuto riconoscere e adorare il Redentore.
Questo era stato il loro maggior supplizio. Molti di essi venivano quin¬di imprigionati dentro una sfera, che risultava di tanti settori concentrici.
Al centro dell'inferno si sprofondava un abisso tenebroso, dov'era pre¬cipitato Lucifero in catene, il quale stava immerso tra cupi vapori. Tutto ciò era avvenuto secondo determinati arcani divini.
Seppi che Lucifero dovrà essere scatenato per qualche tempo: cinquan¬ta o sessant'anni prima dell'anno 2000 di Cristo, se non erro. Alcuni demoni invece devono essere sciolti prima di quell'epoca per castigare e sterminare i mondani. Alcuni di essi furono scatenati ai nostri giorni; altri lo saranno pre¬sto. Mentre tratto questo argomento, le scene infernali le vedo così orripilan¬ti dinanzi ai miei occhi, che la loro vista potrebbe perfino farmi morire" Per Emmerick dunque:
a) L'inferno è un immenso antro tenebroso, illuminato appena da una scialba luce quasi metallica. All'entrata ci sono enormi porte nere con serra¬ture e catenacci incandescenti.
All'inferno si sprofondano cavernose prigioni, si estendono orrendi deserti, laghi smisurati rigurgitanti di mostri paurosi, orribili.
b) I demoni sono imprigionati dentro una sfera, che risulta di tanti set¬tori concentrici. Al centro dell'inferno si sprofonda un abisso tenebroso, dov'è precipitato Lucifero in catene, e dove sta immerso tra cupi vapori.
c) L'inferno è un carcere di eterna ira dove si soffrono supplizi in una indefinita varietà di manifestazioni e di pene. E perciò urla di orrore si eleva¬no senza posa da quella voragine paurosa. In questo mondo di desolazione e di tenebre, si dibattono esseri discordi e disperati. Questi hanno sempre pre¬sente il pensiero che i tormenti sofferti sono il frutto naturale e giusto dei loro misfatti.
d) Quanto si sente e si vede di orribile nell'inferno è l'essenza, la forma interiore del peccato rivelato appieno in tutta la sua spaventosa virulenza.
e) L'inferno è l'opposto del cielo: il cielo è come un giardino bellissi¬mo di fiori e di frutti squisiti che comunicano la vita. La vita eterna è come alimentata da un cibo ... Siamo di fronte all'albero della vita, come lo era già nell'Eden? La visione di Emmerick presenta tratti teologici molto originali: ne rileveremo qualcuno più in là.


4 - La visione di S. Giovanni Bosco
S. Giovanni Bosco nacque a Castelnuovo d'Asti il 16 agosto 1815, e morì il 31 gennaio 1888.
È da tutti conosciuto il suo straordinario carisma di educatore dei gio¬vani per i quali istituì pure l'Ordine dei Salesiani. Anch'egli ebbe una visione dell'inferno che egli stesso raccontò ai giovani. "Mi trovai con la mia guida (l'Angelo Custode), infondo ad un precipizio che finiva in una valle oscura. Ed ecco comparire un edificio immenso, avente una porta altissima, serrata. Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva, un fumo grasso, quasi verde, s'innalzava sui muraglioni dell'edificio e guiz¬ze di fiamme sanguigne. Domandai: Dove ci troviamo? Leggi, mi rispose la guida, l'iscrizione che è sulla porta! C'era scritto: Ubi non est redemptio! cioè: dove non c'è redenzione. Intanto vidi precipitare dentro quel baratro... prima un giovane, poi un altro ed in seguito altri ancora; tutti avevano scrit¬to in fronte il proprio peccato. Esclamò la guida: Ecco la causa precipua di queste dannazioni: i compagni, i libri cattivi e le perverse abitudini. Gli infe¬lici erano giovani da me conosciuti. Domandai: Ma dunque è inutile che si lavori tra i giovani, se tanti fanno questa fine? Come impedire tanta rovina? Coloro che hai visto, sono ancora in vita; questo però è il loro stato attuale e se morissero, verrebbero senz'altro qui!
Dopo entrammo nell'edificio; si correva con la rapidità del baleno. Lessi questa iscrizione: Ibunt impii in ignem aeternum! Cioè: Gli empi andranno nel fuoco eterno!
Vieni con me! - soggiunse la guida -. Mi prese per una mano e mi con¬dusse davanti ad uno sportello, che aperse. Mi si presentò allo sguardo una specie d'immensa caverna, piena di fuoco.
Certamente quel fuoco sorpassava mille e mille gradi di calore. Io que¬sta spelonca non ve la posso descrivere in tutta la sua spaventosa realtà Intanto, all'improvviso, vedevo cadere dei giovani nella caverna ardente. La guida disse: 'La trasgressione del sesto comandamento è la causa della rovi¬na eterna di tanti giovani'. `Ma se hanno peccato, si sono però confessati'. 'Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confes¬sate male o taciute affatto. Ad es., uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne disse solo due o tre. Vi sono di quelli, che ne hanno com¬messo uno nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna di confessarlo, oppure l'hanno confessato male e non hanno detto tutto.
Altri non ebbero il dolore e il proponimento; anzi, taluni, invece di fare l'esame di coscienza, studiavano il modo di ingannare il confessore. E chi muore con tale risoluzione, risolve di essere nel numero dei reprobi e così sarà per tutta l'eternità... Ed ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio qui ti ha condotto? La guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo Oratorio, che io tutti conoscevo, condannati per questa colpa. Fra essi vi erano di quelli che in apparenza tengono buona condotta.
Continuò la guida: Predica dappertutto contro l'immodestia! - Poi par¬lammo per circa mezz'ora sulle condizioni necessarie per fare una buona con¬fessione e si concluse: Mutare vita!... Mutare vita!
Ora, soggiunse l'amico, che hai visto i tormenti dei dannati, bisogna che provi anche tu un poco di inferno! Usciti dall'orribile edificio, la guida afferrò la mia mano e toccò l'ultimo muro esterno; io emisi un grido...
Cessata la visione, osservai che la mia mano era realmente gonfia e per una settimana portai la fasciatura".
In questo sogno di Don Bosco c'è da rilevare, tra l'altro, quanto segue:
a) L'inferno appare come un'immensa caverna piena di fuoco, racchiu¬sa come in un immenso edificio con porta altissima serrata, sulla quale si legge l'iscrizione: ubi non est redemptio (dove non c'è redenzione). Caverna impossibile a descriversi in tutta la sua spaventosa realtà.
b) Nell'inferno non c'è redenzione e cioè non c'è più alcuna possibili¬tà di salvezza. Satana con i suoi angeli e i dannati, sono ormai perduti per sem¬pre.
c) I dannati sono condannati al fuoco eterno (Ibunt impii in ignem aeternum!) che sorpassa mille e mille gradi di calore, tanto che Don Bosco, pur stando ancora fuori, è oppresso da un caldo soffocante, e vede che un fumo grasso, quasi verde, s'innalza sui muraglioni dell'edificio con guizze di fiamme sanguigne.
d) Le anime si dannano soprattutto per peccati impuri e le immodestie: peccati magari confessati pure, ma non assolti perché non confessati bene, o non confessati tutti o taciuti in confessione, o confessati senza vero dolore e proponimento.
e) Tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato. In effetti è il pec¬cato che danna l'anima. La visione di D. Bosco vuol dire pure forse che ognu¬no si può dannare anche per un solo peccato mortale, se la morte dovesse accadere senza aver potuto liberarsi da tale stato. Ma generalmente ci si danna soprattutto per un peccato predominante nella vita terrena, dal quale prolife¬rano tante altre male erbe.
Don Bosco è invitato dalla guida che l'ha condotto all'inferno a predi¬care dappertutto contro l'immodestia. Il sogno viene a ribadire quanto conti¬nuamente si insegna e si predica dalla Chiesa e dai sacerdoti, tra l'irrisione magari di spiriti evoluti e cattivi: il peccato e specialmente il peccato impu¬ro, con le mode invereconde e le immodestie che lo fomentano in tutti i sensi¬apre la via alla dannazione eterna.

5 - L'inferno visto dai tre veggenti di Fatima
I bambini, ai quali apparve la Madonna a Fatima dal 13 maggio al 13 ottobre 1917, sono Lùcia de Jesus (nata il 22 marzo 1907 e morta il 2005), Francisco (nato l'11 giugno 1908 e morto il 4 aprile 1919) e Jacinta Marto (nata l' 11 marzo 1910 e morta il 20 febbraio 1920).
Tra l'altro, la Madonna fece vedere loro l'inferno. Vedemmo, racconta Lucia, "come un grande mare di fuoco e immersi in questo fuoco i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o abbronzate, di forma umana, che ondeggiavano nell'incendio, sollevate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti - simili al cadere delle scintille nei grandi incendi - senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e di disperazione, che terrorizzavano e facevano tremare di paura. I demoni si distinguevano per la forma orribile e ributtante di anima¬li spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni di bracia ".
Ai piccoli terrorizzati dalla paura, la Madonna dice: "Avete visto l'in¬ferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole sta¬bilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se farete quello che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace". La Madonna dirà pure: "Quando recitate il Rosario, dopo ogni mistero dite: O Gesù mio, perdonate¬ci, liberateci dall'inferno, portate in cielo tutte le anime, soprattutto quelle più bisognose".
Da notare che al tempo delle apparizioni della Madonna Lucia de Jesus aveva 10 anni, Francisco e Jacinta Marto rispettivamente 9 e 7 anni.
Anche in questa visione ci sono elementi significativi da rilevare:
a) L'inferno appare come un grande mare di fuoco nel quale sono immersi demoni e dannati. E nel fuoco ondeggiano nell' incendio, sollevati dalle fiamme, cadendo da tutte le parti.
b) I dannati emettono grida e gemiti di dolore e di disperazione, che ter¬rorizzano e fanno tremare di paura.
c) Demoni e dannati appaiono come braci trasparenti e nere o abbron¬zate di forma umana. I demoni si distinguono per la forma orribile e ributtan¬te di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni di bracia. Le differenze notate (come braci trasparenti e nere o abbronzate) rispondono molto probabilmente alle diverse forme di tormenti dati per i pec¬cati specifici. Oppure vogliono contrassegnare la maggiore o minore colpevo¬lezza dei dannati.
d) Dai demoni e dannati escono fiamme e nuvole di fumo. Evidente¬mente il fuoco infernale permea tutto l'essere, quasi come ad identificarsi con esso. Da notare che la tenera età dei veggenti non ha impedito alla Madonna di presentare loro uno spettacolo così orrendo. Ciò dice qualcosa ad una certa pedagogia che, per risparmiare alle anime uno spavento salutare, lascia che esse corrano il rischio della dannazione eterna.

6 - L'inferno visto da Sr. Maria Giuseppa Menendez
Suor M. Giuseppa Menendez, Religiosa del Sacro Cuore, nacque a Madrid il 4 febbraio 1890 e morì il 29 dicembre 1923.
Sr. M. Giuseppa Menendez fece varie visite all'inferno. Ecco quanto vede e narra in una di queste: "In un istante mi trovai nell'inferno, ma senza esservi trascinata come le altre volte, e proprio come vi devono cadere i dan¬nati. L'anima vi si precipita da se stessa, vi si getta come se desiderasse spa¬rire dalla vista di Dio, per poterlo odiare e maledire. L'anima mia si lasciò cadere in un abisso, in cui non si poteva vedere il fondo, perché immenso ... Ho visto l'inferno come sempre: antri e fuoco.
Benché non si veggono forme corporali, i tormenti straziano i dannati come se i corpi fossero presenti e le anime si riconoscono. Fui spinta in una nicchia di fuoco e schiacciata come tra piastre scottanti e come se dei ferri e delle punte aguzze arroventate s'infigessero nel mio corpo. Ho sentito come se si volesse, senza riuscirvi, strapparmi la lingua, cosa che mi riduceva agli estremi, con un atroce dolore.
Gli occhi mi sembrava che uscissero dall'orbita, credo a causa del fuoco che li bruciava orrendamente. Non si può né muovere un dito per cer¬care sollievo, né cambiare posizione; il corpo è come compresso. Le orecchie sono stordite dalle grida confuse, che non cessano un solo istante. Un odore nauseabondo e ripugnante asfissia ed invade tutti, come se si bruciasse carne in putrefazione con pece e zolfo. Tutto questo l'ho provato come le altre volte e, sebbene questi tormenti siano terribili, sarebbero un nulla se l'anima non soffrisse. Ma essa soffre in un modo indicibile.
Ho visto alcune di queste anime dannate ruggire per l'eterno supplizio che sanno dover sostenere, specialmente alle mani. Penso che abbiano ruba¬to, poiché dicevano: Dov'è ora quello che hai preso?... Maledette mani!... Altre anime accusavano la propria lingua, gli occhi... ciascuna ciò che è stato causa del suo peccato: ben pagate sono adesso le delizie che ti concedevi, o mio corpo!... E sei tu, o corpo, che l'hai voluto!... Per un istante di piacere un'eternità di dolore! Mi pare che nell'inferno le anime si accusino special¬mente di peccati d'impurità.
Mentre ero in quell'abisso, ho visto precipitare dei mondani e non si può dire né comprendere le grida che emettevano ed i ruggiti spaventosi che mandavano: Maledizione eterna! ... Mi sono ingannata!... Mi sono perduta!... Sono qui per sempre... per sempre... e non c'è più rimedio!... Maledizione a me! Una fanciulla urlava disperatamente, imprecando contro le cattive sod¬disfazioni concesse al corpo e maledicendo i genitori, che le avevano data troppa libertà a seguire la moda ed i divertimenti mondani. Da tre mesi era dannata. Tutto questo che ho scritto, conclude la Menendez, non è che un'om¬bra in paragone a ciò che si soffre nell'inferno".
Quanto visto dalla Menendez si può così riassumere:
a) L'inferno è un abisso di cui non si può vedere il fondo, perché immenso, con antri dappertutto e fuoco.
b) I dannati cadono nell'inferno non sospinti da una forza esterna, ma da una forza misteriosa interna. Vi si precipitano, quindi, da se stessi, gettan¬dovici come se desiderassero sparire dalla vista di Dio, per poterlo odiare e maledire. Questo sottrarsi da Dio equivale, in fondo, alla pena del danno con¬sistente, appunto, nella privazione della vista di Dio: la pena più atroce anche se difficile a descriversi.
c) Assieme alla privazione della vista di Dio, si aggiungono tormenti a non finire, che i dannati patiscono nell'anima e anche nel corpo come se lo avessero: è la pena del senso.
e) Detta pena del senso è espressa in toni sconcertanti: la Menendez è spinta in una nicchia di fuoco e schiacciata come tra piastre scottanti e come se dei ferri e delle punte aguzze arroventate s'infigessero nel suo corpo. Sente come se le si volesse, senza riuscirvi, strapparle la lingua, cosa che la riduce agli estremi, con un atroce dolore.. Le sembra che gli occhi le escano dall'or¬bita, a causa forse del fuoco che li bruciava orrendamente. Ella non può né muovere un dito per cercare sollievo, né cambiare posizione; il corpo è come compresso. Le orecchie sono stordite dalle grida confuse, che non cessano un solo istante. Un odore nauseabondo e ripugnante asfissia ed invade tutti, come se si bruciasse carne in putrefazione con pece e zolfo. Tormenti terribi¬li che sarebbero, però, un nulla se l'anima non soffrisse.
f) Ma l'anima soffre in un modo indicibile. La veggente ha visto alcu¬ne di queste anime dannate ruggire per l'eterno supplizio che sanno di dover sostenere.
g) Per ogni peccato ci sono pene speciali. I dannati per ladrocinio sof¬frono specialmente alle mani, poiché dicevano: Dov'è ora quello che hai preso?... Maledette mani!... Altre anime accusavano la propria lingua, gli oc¬chi... ciascuna ciò che è stato causa del suo peccato: "Ben pagate sono ades¬so le delizie che ti concedevi, o mio corpo!... E sei tu, o corpo, che l'hai volu¬to!... Per un istante di piacere un'eternità di dolore!".
Pare però che nell'inferno le anime si accusino specialmente di pecca¬ti d'impurità: i mondani, precipitano nell'inferno emettendo grida e ruggiti spaventosi da non potersi comprendere. Una ragazza urla disperata: "Male¬dizione eterna!... Mi sono ingannata!... Mi sono perduta!... Sono qui per sem¬pre... per sempre... e non c'è più rimedio! ... Maledizione a me!". Impreca con¬tro le cattive soddisfazioni concesse al corpo e maledice i genitori, che le ave¬vano data troppa libertà a seguire la moda ed i divertimenti mondani.
h) Per quanto si voglia, è quasi impossibile esprimersi sulla realtà del¬l'inferno. Quanto scritto - dice la Santa - "non è che un'ombra in paragone a ciò che si soffre nell'inferno ".

7 - L'inferno visto da Santa Faustina Kowalska
Kowalska Elena (Maria Faustina) nacque il 25 marzo 1955 a Glogowiec, in Polonia. Entrò nella Congregazione della B. V. M. della Misericordia. Per ordine del suo Direttore spirituale scrisse il diario persona¬le, che intitolò "La Divina Misericordia nell'anima mia". Morì a 33 anni il 5 ottobre 1938.
Anche S. Faustina Kowalska, la confidente dell'Amore misericordioso di Gesù, fece l'esperienza dell'inferno.
Ecco come lei racconta l'evento: "Oggi sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. È un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho visto: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la secon¬da, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie.
Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile.
Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni suppli¬zio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità ".
E aggiunge: "Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina Kowalska, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'in¬ferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno".
Come si presenta, allora, l'inferno nella visione di Sr. Faustina? Eccone le linee essenziali:
a) L'inferno è un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Orribili caverne e voragini di tormenti dove ogni supplizio si differenzia dall'altro.
b) Le pene principali che straziano i dannati sono sette:
La perdita di Dio: è la cosiddetta pena del danno, quella che costitui¬sce veramente l'inferno;
I continui rimorsi di coscienza. I dannati saranno torturati dal ricordo dei peccati commessi; dal ricordo dei tanti aiuti ricevuti e non accettati. Avrebbero potuto salvarsi così facilmente e invece...
La consapevolezza che tale stato spaventoso non cambierà mai. La tre¬menda disperazione con l'odio contro Dio e le bestemmie e le imprecazioni. Essi saranno sempre lontani da Dio e nel fuoco. Non usciranno più da quel carcere di disperazione e di morte.
Il fuoco: è la pena che riassume tutte le pene che vanno sotto il nome di "pena del senso", quel fuoco puramente spirituale, acceso dall'ira di Dio che penetra l'anima senza annientarla.
Con il fuoco l'oscurità continua con un orribile fetore soffocante, la compagnia continua di satana.
c) Queste sono pene che tutti i dannati soffrono, ma non è questa la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro.
E qui Sr. Faustina aggiunge: quanto rivelato e scritto sull'inferno è solo una pallida ombra della realtà.

8 - Edvige Carboni
Nacque a Pozzomaggiore, in provincia di Sassari, il 2 maggio 1880 e morì a Roma il 17 febbraio 1952.
Gesù la portò un giorno a vedere le pene dell'inferno. Testimoni atte¬stano che, durante la visione, si contorceva tutta e pronunciava parole che dicevano la sua grande sofferenza. Una conferma di più di quelle pene spa¬ventose infernali, davanti alle quali anche i Santi tremavano di terrore.
9 - L'inferno visto dai veggenti di Medjugorje
Anche i veggenti di Medjugorje videro l'inferno. I primi a vederlo furono Jakov, Vicka, e Marija. Una seconda visione l'ebbero Jakov e Vicka, guidati dalla Madonna, verso la metà di novembre 1981. "Molta gente - dice loro la Madonna - sulla terra è ormai convinta che, dopo la morte, sia tutto finito. Ma questo è un grande errore. Qui siete solo di passaggio. Dopo la morte c'è l'eternità".
Ed ecco quanto essi dicono. Dopo aver visto il paradiso e il purgatorio Jakov e Vicka, presi per mano dalla Madonna, vedono l'inferno. "È un posto terribile, nel mezzo c'è un gran fuoco, ma non come quello che conosciamo sulla terra. Abbiamo visto gente assolutamente normale, come quelli che si incontrano per la strada, che si gettavano da soli in quel fuoco. Quando ne uscivano assomigliavano a belve feroci che gridavano il loro odio e la loro ribellione e bestemmiavano. Era difficile credere che fossero esseri umani, tanto erano sfigurati, cambiati. Davanti a questo spettacolo eravamo spaven¬tati e non capivamo come una cosa così orribile potesse succedere a quella gente. Fortunatamente la presenza della Gospa [la Madonna] ci rassicurava.
Abbiamo anche visto una ragazza molto bella gettarsi nel fuoco: dopo sembrava un mostro. La Gospa allora ci ha spiegato quello che avevamo visto e ci ha detto: `Quella gente è andata all'inferno di sua volontà. È una loro scelta, una loro decisione. Non abbiate paura! Dio ha donato a ciascuno la libertà. Sulla terra ognuno può decidersi per Dio o contro Dio.
Certe persone sulla terra fanno sempre tutto contro Dio, contro la sua volontà, pienamente consapevoli: cominciano così l'inferno nel loro cuore; quando viene il momento della morte, se non si pentono, è lo stesso inferno che continua'. Gospa, Le abbiamo allora chiesto, queste persone, un giorno, potranno uscire dall'inferno?- 'L'inferno non finirà, coloro che sono là non vogliono ricevere più niente da Dio, hanno scelto liberamente di essere lon¬tani da Dio, per sempre! Dio non vuole forzare nessuna ad amarlo'. (...) Alla fine la Gospa affida loro una missione: `Vi ho mostrato tutto questo, perché sappiate che esiste e lo diciate agli altri'.
Padre Bubalo, rivolgendosi a Vicka dice: "Ad un tratto la Madonna è scomparsa e davanti a voi si è aperto l'inferno. L'avete visto tu, Jakov e Marija. Hai scritto che era spaventoso; sembrava un mare di fuoco; dentro c'era tanta gente. Tutti anneriti, sembravano diavoli. Affermi che nel mezzo hai visto una donnaccia bionda, con i capelli lunghi e le corna, e i diavoli che l'assalivano da tutte le parti. Era orribile e basta. Io ho descritto - spiega Vicka - come ho potuto; ma non lo si può descrivere".
La Madonna vi ha detto perché ve lo ha mostrato? "Sì, sì; come no! Ce l'ha mostrato per farci vedere come stanno coloro che ci cadono... Chi può pensare sempre a queste cose? Però non si può neppure dimenticare quello che abbiamo visto. Verso la metà di novembre Vcka e Jakov sono stati porta¬ti dalla Madonna in cielo.
La Madonna ha prima mostrato il purgatorio e poi l'inferno. Dalle parole di Vcka si direbbe che i due veggenti siano stati portati all'inferno: Fuoco... diavoli... la gente bruttissima! -ripete Vcka -. Tutti con le corna e con la coda. Sembrano tutti diavoli. Soffrono... Dio ce ne preservi e basta. Solo che ho visto di nuovo quella donnaccia bionda e con le corna".
In breve cosa si afferma nelle suddette visioni? Si afferma che:
a) L'inferno è un posto terribile con in mezzo un gran fuoco, ma non come quello che abbiamo sulla terra.
b) I dannati - gente assolutamente normale come quella che si vede per le strade - si gettano da soli in quel fuoco.
Ma sono pure paurosamente tormentati dai diavoli. I veggenti hanno visto nel mezzo una donnaccia bionda, con i capelli lunghi e le corna, orribi¬le, assalita da tutte le parti dai diavoli.
La visione di anime che si gettano da sole nel fuoco e ne escono simi¬li a belve feroci somiglia un po' a quanto dice la Emmerick.
c) Quando i dannati escono dal fuoco assomigliano a belve che bestem¬miano e gridano il loro odio e la loro ribellione. Talmente cambiati e sfigura¬ti che si stenta a crederli esseri umani. Vedono pure una ragazza molto bella che, gettatasi nel fuoco, dopo sembra un mostro.
d) Come ciò avvenga, lo spiega la Madonna. Questa gente è andata all'inferno di sua volontà, di propria scelta, perché Dio ha donato a tutti la libertà e ognuno può decidersi per Dio o contro Dio. Certe persone sulla terra fanno sempre tutto contro Dio del tutto consapevoli. Alla morte se non si pen¬tono, è lo stesso inferno che continua. L'inferno, in effetti, è la continuazione dell'inferno nel cuore, voluto dai peccatori con i propri peccati.
e) L'inferno non finirà più. Coloro che sono là non vogliono ricevere più niente da Dio. Hanno scelto liberamente di stare per sempre lontani da Dio. E Dio non forza nessuno ad amarlo.
L'inferno è eterno soprattutto perché i dannati non vogliono ricevere più nulla da Dio.
f) Tra inferno e paradiso esiste una differenza abissale.
[Modificato da MARIOCAPALBO 01/02/2015 20:44]

01/02/2015 20:07

10 - TERESA MUSCO
Nacque a Caiazzo (CE) il 7 giugno 1943 e morì a Caserta il 19 agosto 1976. Ebbe innumerevoli fenomeni mistici tanto che P Roschini l'ha detta la più grande mistica del secolo scorso. Pare che non una volta sola abbia visto l'inferno o vi ci sia portata in qualche modo.
Il 29 novembre 1961 Teresa si lagna dolcemente con Gesù, dicendo: "Io quel poco che sto facendo, lo faccio di vero amore, ma Tu perché mi hai mostrato l'inferno e mi hai fatto scendere nell'abisso?
Mi è sembrato di esservi da secoli ed ho subìto tutti i tormenti, tra cui non è stato il minimo quello di ascoltare le sterili confessioni dei dannati e le grida di odio, di dolore e di disperazione. Perché mai, Gesù, mi hai mostrato ciò? Forse io sono una di quelle anime? Quanto orrore sento nella mia anima!
"Un'altra volta, Teresa sogna di essere in un grande prato con tante margherite bianche. Ad un bel momento il grande fabbricato è scomparso e Teresa si è ritrovata a guardare una cosa spaventosa, in una grande luce: questa era piena di fuoco e di demoni che, con le loro mani misteriose affer¬ravano giovani, vecchi, bambini, signorine, trascinandoli giù, mentre veniva¬no divorati dalla fiamme e le loro braccia scarnite, trasparenti erano alzate in alto, verso il cielo. Quel grande vuoto era divenuto un mare di fuoco, che ondeggiante cercava di prendere qualche anima, che passava di lì".
Un altro giorno, alle ore 11,25, Teresa, avvertendo molta stanchezza, si è appoggiata sul letto. Ma come se lì fosse stato qualcuno ad attenderla, si sente fermata sul letto da due mani, come inchiodata in croce, e due persone hanno cominciato a percuoterla come se le strappassero la carne. Poi si sente come trasportata in un deserto dove vi erano innumerevoli serpenti di ogni colore. Vi era pure un serpente di mille colori, lungo dieci metri e con sette teste che sbranava ogni persona che passasse per quel deserto.
Teresa cerca di rendersi conto di dove si trovi, lotta tanto, ma quando vede scritto su un cartello "luogo di dannazione" le viene la forza di pregare l'Angelo Custode a salvarla.
Si ritrova sul letto tutta coperta di lividure: erano le ore 2 di pomerig¬gio.
Un altro giorno si ritrova di fronte ad un deserto da attraversare. Camminò a lungo e poi senti lunghi lamenti e poi ancora fortissimi lamenti, e vede in una stanza il grande demonio, Lucifero, che prendeva quelle anime, erano ragazze e ragazzini, e le metteva nel fuoco, facendo sentir loro grandi dolori e, poi comandava la loro volontà. Quando le anime non obbedivano, la bocca del demonio si legava al cuore delle persone e ne beveva tutto il sangue.
Ancora. È il 10 gennaio 1975. All'improvviso Teresa è portata fuori dal suo corpo, mentre accanto ad esso lo guardano due angioletti. Si è ritrovata, assieme al suo Angelo Custode come in un grande deserto. Arrivati in mezzo ad esso, l'Angelo scompare ed ella si è trovata in mezzo a due crepacci di montagna che doveva attraversare. Riesce a passare a fatica e si ritrova anco¬ra in un deserto dove vi era un pagliaio con dentro tanti uomini, simili a vam¬piri con tutti i denti fuori della bocca. Va a chiedere a loro dove si trovasse la strada, ma essi l'afferrano e la colpiscono con un frustino.
Teresa cade per terra sotto le loro mani e non ha la forza di rialzarsi, mentre quelli continuavano a menarla. Invoca aiuto dalla Madonna e quegli esseri scompaiano. Teresa si alza e vede il suo corpo tutto sporco di sangue e pieno di lividure. Ha cominciato a camminare e la strada si apriva da sola davanti, chiudendosi di nuovo dietro le sue spalle. Arriva in un piazzale dove era il suo Angelo Custode che le dice: "Teresa, io ero con te e tu non mi hai sentito, ma ora ti dirò che verrà un giorno che gli abissi dell'inferno si apri¬ranno sotto i piedi dei dannati, mentre nel cielo vi sarà un gran trionfo di Santi. Con orrore gli abissi si spalancheranno davanti, per poi chiudersi sopra di essi, senza scampo e per tutta l'eternità". L'Angelo l'invita poi a tor¬nare a casa e Teresa si ritrova di nuovo davanti al letto col suo corpo lì diste¬so. Rientrata in se stessa trova il suo corpo, vivo e vero pieno di lividi.
Anche quanto segue deve riferirsi a una visione dell'inferno del 27 dicembre 1974: "... sola qui? Sola no, non voglio restare sola! Il fuoco, il fuoco! Ah, quante anime che si disperano! Gesù, senti che grida disperate? Aiutale, Gesù, ti prego! Non puoi aiutare, Gesù? Perché? Com'è terribile, Gesù! Non permettere a nessuno che ci possa andare. Che cosa è quello? No, è il fuoco! Che calore! D'inverno non l'ho mai sentito un calore simile! O Gesù, io mica ci voglio andare in quel posto, aiutami, perché voglio aiutare gli altri a non andarci. Nulla si può fare per non farli urlare così, Gesù? ".
A solo titolo di curiosità riportiamo qui anche quanto visto da una veg¬gente di Lucera, dove ha lasciato un nome e una fama non comune: Rosa Lamparelli (n. 6.3.1910 +12.6.2000).
La Madonna le descrisse il paradiso, l'inferno e il purgatorio. Così lei racconta: "Vuoi vederlo? Mi disse. Mi prese per mano e mi condusse. Il primo a visitare fu l'inferno; era composto di un gran sotterraneo con una grande porta all'entrata e di dentro formato come tanti archi tutti affumicati. Un calore immenso e una puzza insopportabile vi era. Dal fondo venivano grida disperate di tanti dannati. Quello che potei vedere mi è sempre impresso; da una parte vi erano tanti uomini che si dibattevano disperatamente e vicino vi era una donna di una forma orribile coi capelli scarmigliati, gli occhi fuori dalle orbite, nera come un carbone, faceva orrore. Non dico poi di tanti altri dannati trasformati in tanti animali spaventosi che non posso ricordare senza rabbrividire. Non volli andare più avanti e pregai il mio angelo e la Madonna di condurmi indietro. Mi portarono al Purgatorio... ".
Che dire delle visioni di Teresa Musco? Ecco qualche considerazione:
a) L'inferno è il luogo di dannazione: un mare di fuoco, pieno di demo¬ni, presentati questi anche sotto l'immagine di serpenti dai mille colori.
b) I dannati sono divorati dalle fiamme, dal fuoco di cui è impossibile dire il calore e l'intensità: "P. Franco, che fuoco, che fuoco! No, Gesù, abbi pietà di noi, Signore. Gesù non puoi buttarmi così. E’ terribile! Quanto fuoco".
Assieme al fuoco, mille altri tormenti (inutili confessioni= rimorsi di coscienza, rimpianti di non aver corrisposto alle grazie, ecc.) che strappano loro grida di odio, di dolore e di disperazione.
c) Assieme a tutto ciò, i dannati sono tormentati dai diavoli (i serpenti dai mille colori) e da Lucifero (il serpentaccio lungo dieci metri). "I demoni che, con le loro mani misteriose afferrano giovani, vecchi, bambini, signori¬ne, trascinandoli giù, mentre venivano divorati dalla fiamme e le loro braccia scarnite, trasparenti erano alzate in alto, verso il cielo. Lucifero, che prende ragazze e ragazzini, e le mette nel fuoco, facendo sentir loro grandi dolori e, poi comandava la loro volontà. Quando le anime non obbedivano, la bocca del demonio si legava al cuore delle persone e ne beveva tutto il sangue".
d) Nessuno, neanche Gesù, può aiutare i dannati divorati dal fuoco: "Il fuoco, il fuoco! Ah, quante anime che si disperano! Gesù, senti che grida disperate? Aiutale, Gesù, ti prego! Non puoi aiutare, Gesù? Perché? Com'è terribile, Gesù! Non permettere a nessuno che ci possa andare".
e) Sono tante le anime che vanno a finire nel fuoco eterno:
"Quante anime che si disperano! Quanto fuoco, quante anime! Non ne ho visto mai così, mi sento scoppiare. Attento! Attento! No, come può finire così tanta gente? Gesù non vuole questo. Allora preghiamo tutti".
f) La visione finale dopo il giudizio universale: non ci sarà che paradi¬so e inferno. Così parla a Teresa il suo Angelo Custode:
"Teresa (...) ora ti dirò che verrà un giorno che gli abissi dell'inferno si apriranno sotto i piedi dei dannati, mentre nel cielo vi sarà un gran trion¬fo di Santi. Con orrore gli abissi si spalancheranno davanti, per poi chiuder¬si sopra di essi, senza scampo e per tutta l'eternità".

Uno sguardo d'insieme
Le visioni dell'inferno, avute dai Santi, pur così diverse tra loro nei dettagli, lasciano intravedere tutta una serie di verità rivelate, che è bene evi¬denziare in qualche modo in una visuale d'insieme.
Da notare, prima di tutto, che non esiste opposizione sostanziale tra dette visioni e i dati rivelati. Si hanno solo sfumature e dettagli diversi: diffe¬renze che, non essendo in contraddizione tra loro, potrebbero essere tutte vere, rispondenti cioè alla verità oggettiva, vista da angolature diverse, così come sono tutti veri i vari panorami di una città, ripresi da vari punti.
Ma non è però da escludere neanche che dette differenze siano dovute, in qualche modo, alla struttura spirituale e temperamentale dei veggenti. E cioè esse potrebbero essere anche effetti di fantasie fervide o di ricordi di let¬ture fatte e anche di complessi, identificati o no. Elementi quindi di fantasia, introdottisi, diciamo così, furtivamente nelle varie apparizioni.
Le descrizioni possono risentire, non meno, delle idee e della teologia professata, come presto vedremo parlando soprattutto della Emmerick.
Ciò premesso proviamo ad offrire una visuale d'insieme di tutte le visioni presentate.
1. Per i Santi, dunque, l'inferno è una terribile realtà e non una favo¬letta per bambini! In pratica è il tragico fallimento di creature, che, create per la felicità e la vita eterna, si ritrovano - e per di più eternamente - nell'infelici¬tà più totale.
Uno sciagurato fallimento, e per di più irreparabile, nessuno più può annullare o modificare. Come si fa a vivere lontano da Dio, nel fuoco e in mille altri tormenti?... E come si fa a vivere, sapendo che questa tremenda situazione sarà sempre così, senza mai mai mai mutare?... Mistero sconcertan¬te! Alle barzellette e ironie sciocche, i Santi oppongono descrizioni che fanno fremere di terrore e di spavento. Ed essi, senza dubbio, sono infinitamente più credibili di tutti gli sciocchi che popolano il mondo. Credibili per la loro san¬tità che è dirittura di anima e di mente, che mai si presterebbe ad ingannare qualcuno. E credibili per il favore che godono presso Dio, che si serve volen¬tieri di loro per operare meraviglie e inviare agli uomini i suoi messaggi di sal-vezza e di misericordia.
Se si riflettesse un pochino soltanto, molto probabilmente tanti sfuggi¬rebbero a questo supremo e definitivo fallimento della vita.
2. Per tutti i Santi, passati qui in rassegna, l'inferno è l'esatto opposto del paradiso. L'inferno è il carcere di eterna ira, dove si sprofondano caverno¬se prigioni, si estendono orrendi deserti e si scorgono smisurati laghi rigurgi¬tanti di mostri paurosi, orribili. Là dentro si dibattono esseri discordi e dispe¬rati, vi ferve cioè l'eterna e terribile discordia dei dannati.
In cielo invece si gode la gioia e si adora l'Altissimo dentro giardini ricchi di bellissimi fiori e di frutta squisiti che comunicano la vita. E qui tutto è gioia, ordine, bellezza, incanto per gli occhi e per l'anima. Qui regna l'unio¬ne dei Santi eternamente beati. Ed è questa la ricompensa data da Dio ai suoi fedeli servitori.
3. Per tutti i Santi l'inferno è qualcosa di si orrido da superare ogni umana immaginazione. In esso vi regna - come si deduce dall'insieme delle visioni - il mostruoso, tutto ciò che fa paura e atterrisce (l'arido deserto, abis¬si senza fondo, mostri, serpenti, ecc.). Le pene dei dannati, quelle del danno e del senso, - inesprimibili e tali da non poter trovare, per esse, paragoni o ana¬logie - sono presentate in tutta la loro crudezza in una certa varietà che, però non crediamo porti danno agli elementi essenziali che, come si è detto, sono in perfetta e totale sintonia con la Rivelazione. Qui interessano soprattutto i contenuti delle visioni con tutte le conclusioni e conseguenze che se ne pos¬sono trarre.
Tutti parlano di fuoco e di altri orrendi castighi.
Esse sono quelle elencate dalla Menendez e che si ritrovano, più o meno in tutte le altre apparizioni, e cioè:
La perdita di Dio: la pena che costituisce propriamente 1'infemo, I continui rimorsi di coscienza,
La consapevolezza che quella sorte non cambierà mai,
Il fuoco che penetra l'anima senza annientarla, un fuoco puramente spi¬rituale acceso dall'ira di Dio,
L'oscurità continua e un fetore soffocante,
La compagnia continua di Satana,
La disperazione con l'odio a Dio, e con le imprecazioni, le maledizio¬ni, le bestemmie.
I dolori che vi si soffrono sono spaventosi e intollerabili. Al confronto i dolori più atroci della terra, come dice la stessa S. Teresa "non sono nemmeno da paragonarsi con quanto allora ho sofferto, specialmente al pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione. Ma anche questo era un nulla innanzi all'agonia dell'anima. Era un'oppressio¬ne, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non so come esprimermi. Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco..." (S. Teresa d' Avila).
Ma il supplizio maggiore è il fuoco e la disperazione interiore, che non si sa descrivere.
4. Tutti parlano pure dei supplizi riservati ad alcuni vizi.
"Queste sono pene che tutti i dannati soffrono - aggiunge la Menendez ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro". S. Teresa parla, in merito, di "spaventosis¬simi castighi". Ogni vizio ha i suoi castighi particolari. C'è chi accusa le mani che hanno rubato, o la lingua e gli occhi con i quali hanno peccato.
Tra le pene del dannato ci sono ancora quelle inflitte dallo stesso sata¬na e dai diavoli. Perché? Perché il dannato, consapevolmente o inconsapevol¬mente, li ha scelti in vita e li ha serviti come suoi signori e padroni. E il dia¬volo, il maligno per essenza, non può dare e non sa dare che umiliazioni e sof¬ferenze.
Stando così le cose viene da chiedersi:come è possibile che ci sia chi adori il diavolo e ad esso si appoggi? È pazzesco confidare nel proprio acer¬rimo nemico che vuole solo la dannazione eterna di tutti. Come è ugualmen¬te incomprensibile che si possa diffidare di Dio, che ha dato mille prove del suo amore, e che per salvare l'uomo dalla schiavitù di satana e dal rischio tre¬mendo dell'inferno, si è incarnato e ha dato il proprio sangue in riscatto.
5. In piena conformità al Vangelo e al Magistero della Chiesa, in tutte le visioni si insiste sull'eternità dell'inferno e sulla disperazione che la certez¬za di tale terribile realtà provoca nei dannati. Nessuna mitigazione, quindi, o evasione, tanto meno una loro soppressione.
Purtroppo alla unanimità espressa dai Santi sulle verità dell'inferno, non sembra che vogliano sempre adeguarsi teologi, letterati e opinionisti anche di grido. Anche se, ad onore del vero, è, forse, la stessa grandezza del mistero che spinge a "sognare" uscite e soluzioni impossibili. A riguardo scelgo solo due esempi.
Il primo riguarda i dannati all'inferno. Tutti i Santi vedono innumere¬voli dannati all'inferno. Vari di loro anzi affermano di averli visti cadere nel¬l'abisso. Così, per es., S. Veronica Giuliani: "La montagna viva era un clamo¬re di maledizioni orribili. Essa era l'inferno superiore, cioè l'inferno benigno. Infatti la montagna si spalancò e nei suoi fianchi aperti vidi una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco.
I demoni, estremamente furiosi, molestavano le anime le quali urlava¬no disperate. A questa montagna seguivano altre montagne più orride, le cui viscere erano teatro di atroci e indescrivibili supplizi. E in quell'abisso, ella vide precipitare una pioggia di anime... ".
S. Giovanni Bosco vede precipitare nell'inferno giovani da lui cono¬sciuti, ecc.
Non potendosi negare l'esistenza dell'inferno - una verità così chiara¬mente espressa dalle Scritture e dai Santi -, si è ipotizzato che esso sia vuoto. L'inferno, perciò, di cui tante volte ha parlato soprattutto il Signore in persona, non sarebbe che uno spauracchio da non prendere troppo sul serio o uno spaventapasseri che fa paura solo agli ignari e ingenui!
È chiaro che, con tutto il rispetto e la stima che abbiamo soprattutto per i teologi, preferiamo credere ai Santi che, prescindendo anche dalla concor¬danza con le Scritture, sono, come già detto, immensamente più credibili degli stessi grandi teologi e letterati.
Altro esempio riguarda l'eternità dell'inferno e delle sue pene. Tutti i Santi citati ci parlano di eternità delle pene con l'esclusione anche di qualsia¬si attenuazione. Ed ecco che, oggi, anche dopo la condanna dell'apocatastasi di Origene, viene a dirci il contrario il Maritain in un volumetto dell'età seni¬le dal titolo Le Cose del cielo, a cura di Nora Possenti Ghiglia, ediz. Massimo, Milano.
I dannati nell'inferno - dice il Maritain - lavorano a costruire edifici che crollano a causa delle loro divisioni e odi. "Essi faranno delle città nell'infer¬no, delle torri, dei ponti, vi condurranno battaglie... nel male stesso manife¬stano i doni e le energie ontologiche di cui la creatura non sarebbe sprovvi¬sta se non quando cessasse di essere" (p. 77).
C'è il fuoco, ma "poiché l'anima resta rivolta contro Dio e fissata nel¬l'odio, il fuoco non le serve a nulla e le brucia eternamente" (p. 75). Eternamente di sicuro, dal momento che le anime sante protestano con¬tro l'eternità dell'inferno. Il nostro amore, questo amore che (Dio) ci ha dato, come potrebbe essere soddisfatto di vedere Dio odiato senza fine, e senza fine bestemmiato da esseri usciti dalle sue mani? Vedere il crimine aggiungersi al crimine? E tra i maledetti ce n'è di quelli che amiamo [...].
"No, noi non cesseremo mai, continueremo a pregare e a gridare per il Sangue del Salvatore, ah!, senza avere, lo sappiamo bene, il minimo diritto di essere esauditi, e lasciando solamente la follia dell'amore esalare da noi libe¬ramente, gratuitamente" (p. 78). Maritain spera che Dio cambi la volontà dei dannati "fissata nel male in virtù dell'ordine della natura in maniera assolu¬ta e immutabile", con un "miracolo".
Per farla breve, ogni dannato viene "perdonato (sempre dannato ma perdonato)" e così "lascia i luoghi bassi, viene fuori dal fuoco, è trasportato nel limbo. Egli gioirà, benché rimanga ferito, di quella felicità naturale" di cui godono i bimbi morti senza battesimo, "e che è ancora un inferno rispet¬to alla gloria" (p. 79). "Il fuoco dell'inferno resta eterno in se stesso, conti¬nua a bruciare senza fine (...) ma coloro che vi erano stati immessi ne sono stati tratti fuori per miracolo" (p. 80). Resta per Maritain, che "questi perdo¬nati sono dei perduti. Non sono stati salvati, non sono riscattati"; solo, "la loro anima è tratta fuori dalla pena del senso in quanto causata dal fuoco" (ibidem).
Commenta il Blondet: "Spero si capisca l'enormità di quel che viene qui elucubrato. E che si veda la radice torbida di quella malattia del cattoli¬cesimo che - in mancanza di migliori approfondimenti - s'è chiamata buoni¬smo, e di cui Maritain è stato uno dei massimi diffusori".
Il buonismo che è una forma del sentimentalismo, rivela qui che la radi¬ce di ogni sentimentalismo è la sensualità, il materialismo sensuale. Maritain infatti suppone che il destino dei dannati possa essere migliorato sottraendoli al fuoco; è il dolore fisico, la "pena del senso" quello che per lui pesa davve¬ro. La pena del danno, è qualcosa che si può sopportare, non è vero? Tutto ciò è ovviamente insensato. Se, come dice Maritain, "la giustizia di Dio è la sua pazienza" (p.74), ossia se fosse vero che Dio "soffre che delle creature for¬mate a sua immagine lo rifiutino... eternamente", sarebbe più coerente ipotiz¬zare che, per porre fine alla propria sofferenza, Dio concedesse anche ai dannati la salvazione, ossia la visione di sé; perché il `fuoco' non è che un ‘simbolo’ del dolore della mancata visione: anche se un simbolo radicalmen¬te concreto, che realmente brucia ogni fibra dell'essere umano, anima e corpo. Ma pretendere la salvazione finale dei dannati è palesemente eretico, e Maritain se ne astiene".
Come si vede, proprio perché le visioni dei Santi qui presentate, non sono immaginazione o pura fantasia, offrono tutte un quadro sostanzialmente identico dell'inferno, perché riflettono verità oggettive. Ciò che le Sacre Scritture, i Santi Padri ci dicono sinteticamente o anche velatamente, viene qui squadernato e approfondito nei suoi particolari, anch'essi differenti solo in dettagli che non distruggono affatto una omogenea visuale d'insieme.

Qualche considerazione teologica
Sulle visioni dei Santi qui addotte si potrebbero fare parecchie conside¬razioni da vari punti di vita. Ci limiteremo a farne qualcuna soprattutto d'in¬dole teologica e morale.
1. Non sfugga all'attenzione, prima di tutto, che quanto accaduto ai Santi e qui esposto, è dovuto all'iniziativa di Dio stesso. Tutte le visioni, infat¬ti, ci dicono che esse sono volute e permesse da Dio per ribadire e conferma¬re questo tremendo mistero dell'inferno. In effetti, a parte ogni considerazio¬ne, i Santi sono i migliori interpreti della Rivelazione di Dio. È Lui che fa "scendere" all'inferno il veggente o la veggente o fa guidare da angeli chi ha stabilito debba subìre si straordinaria e tremenda avventura o esperienza. Ciò dice che il suo dominio si estende per davvero ad ogni realtà esistente, ed è Lui il vero Signore e dominatore di tutto, compreso l'inferno. Non è il diavo¬lo il padrone dell'inferno, anche se egli esercita qui un dominio che è, prima per lui, fonte di inaudite sofferenze
2. Il mistero dell'inferno, considerato soprattutto nella sua eternità, sconcerta e fa quasi smarrire la ragione. Ma esso si illumina non poco se si pensa - come hanno affermato vari dei Santi qui proposti - che esso è voluto e creato dal demonio e dal dannato stesso. I veggenti di Medjugorje, dopo aver visto l'inferno, chiedono alla Madonna se quelle persone dannate, potranno un giorno, uscire dall'inferno - e la Madonna risponde: "L'inferno non finirà, coloro che sono là non vogliono ricevere più niente da Dio, hanno scelto libe¬ramente di essere lontani da Dio, per sempre! Dio non vuole forzare nessuna ad amarlo".
Dio, sommo amore, mai avrebbe voluto l'inferno. In un esorcismo fatto a Roma dal P Candido, a questi che aveva detto con ironia al demonio: "Vattene da qui, tanto, il Signore te l'ha preparata una bella casa, ben scal¬data!", il demonio avrebbe risposto: "Tu non sai niente. Non è Lui che ha fatto l'inferno. Siamo stati tutti noi. Lui non ci aveva neppure pensato".
3. L'inferno è prodotto ed esiste per il peccato, e perciò è il peccato il vero creatore dell'inferno, quel peccato sul quale tanto si scherza e si ironiz¬za, e che lo si vuole in nome della vita e della felicità da godere.
L'inferno è la mercede del peccato, di ogni peccato che offende gravemente il Signore: mercede, conseguenza e frutto del peccato, soprattutto del peccato impuro sessuale in tutte le sue forme. Ne sono convinti e consenzien¬ti tutti i Santi che presentano l'inferno. Si rilegga quanto detto ed esortato dal¬l'Angelo a S. Giovanni Bosco, parole confermate non meno da Giacinta, la piccola veggente di Fatima che, prima di morire, dirà tra l'altro: "I peccati che portano più anime all'inferno sono i peccati della carne. Verranno certe mode che offenderanno molto Gesù. Le persone che servono Dio non devono segui¬re la moda. La Chiesa non ha mode. Gesù è sempre lo stesso".
Tutti i dannati, nella visione di S. Giovanni Bosco avevano scritto in fronte il proprio peccato. In effetti è il peccato che danna l'anima. La visione di Don Bosco vuol dire pure forse che ognuno si può dannare anche per un solo peccato mortale, se la morte dovesse accadere senza aver potuto liberar¬si da tale stato. Ma generalmente ci si danna soprattutto per un peccato pre¬dominante nella vita terrena, dal quale proliferano tante altre male erbe.
L'affermazione che l'inferno è il prodotto dell'inferno, non è inficiata da quanto afferma S. Veronica Giuliani, che si va all'inferno soprattutto per l'ingratitudine all'amore di un Dio appassionato, flagellato e coronato di spine e morto per noi. In effetti, ogni peccato è un gesto di ingratitudine allo scon¬finato amore di Dio.
In pratica l'inferno è la ricompensa di chi non ha voluto capire e apprezzare e accettare l'infinita follia di un amore divino donatosi tutto. E sul¬l'infinita misericordia di Dio ha prevalso, se così ci è lecito esprimerci, l'infi¬nita giustizia di Dio: "Mira e guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. Vi sta, per tormento, la mia giustizia ed il rigoroso mio sdegno" (S. Veronica). Il fatto che l'inferno sia originato dal peccato spiega tante cose! Ma, pur con queste luci, il mistero si chiarisce fino a un certo punto. Ci si doman-da, infatti, subito: come può l'uomo volere veramente l'inferno? La risposta di S. Tommaso illumina fino a un certo punto. Egli dice che i dannati sono ostinati come i demoni e perciò il loro volere non potrà mai essere buono. E spiega così la cosa: "... il valore deliberativo deriva da loro stessi (cioè dagli spiriti dannati stessi), in quanto è in loro potere inclinare con l'affetto verso questa o quell'altra cosa. E tale volere in essi è solo cattivo, questo perché essi sono del tutto stornati dall'ultimo fine del retto volere; e d'altronde non può esserci un atto buono di volontà, se non in ordine alfine predetto. Quindi anche se vogliono un bene, lo vogliono non bene, cosicché il loro volere anche in tal caso non può dirsi buono".
E ciò perché la volontà degli angeli buoni (e quindi anche delle anime umane con la morte del corpo) è confermata nel bene, mentre la volontà dei demoni (e anche di tutti i dannati) è ostinata nel male. La causa di questa osti¬nazione non proviene dalla gravità della colpa, bensì dalla particolare condi¬zione della loro natura e del loro stato. Mentre infatti l'uomo, nel conoscere, procede discorrendo e cioè passando gradatamente da una verità all'altra, l'angelo invece - e similmente l'uomo con la morte - percepisce col suo intel¬letto in modo irremovibile. E perciò la volontà dell'uomo aderisce ad una cosa in modo instabile, conservando il potere di staccarsi da essa per aderire ad una cosa contraria; la volontà dell'angelo, invece, aderisce stabilmente e irremo¬vibilmente al suo oggetto.
4. Nell'inferno non solo esistono mostri paurosi, ma ovunque vi pre¬domina il mostruoso, l'orrido, perché tale è il peccato, il mostro per eccellen¬za, che strappa all'anima il benessere e la vita, e la deforma, facendole per¬dere ogni dignità. Per questo, come abbiamo visto, i dannati si gettano da soli in quel fuoco, e quando ne escono assomigliano a belve feroci, che bestem¬miano e gridano il loro odio e la loro ribellione. Talmente cambiati e sfigura¬ti che si stenta a crederli esseri umani. Santa Veronica vede i dannati apparire prima come bestie legate di diverse specie, ridiventati poi uomini, ma tanto spaventevoli e brutti, da incutere più terrore dei demoni stessi. Tali anime sono morte e divenute come bestie per il peccato.
Non c'è che dire. Anche i veggenti di Medjugorje affermano: "Abbiamo visto gente assolutamente normale, come quelli che si incontrano per la strada, che si gettavano da soli in quel fuoco. Quando ne uscivano assomigliavano a belve feroci che gridavano il loro odio e la loro ribellione e bestemmiavano ... Era difficile credere che fossero esseri umani, tanto erano sfigurati, cambiati...". In effetti, l'uomo che obbedisce alle sue passioni e al demonio, non ne diventa solo schiavo, ma si degrada come lui, bestia spaven¬tosa e deforme. D'altra parte Satana, essendo sprofondato nell'abisso di ogni degrado, non può che vedere e contattare solo dei mostri come lui.
Ma qui si innesta, ancora una volta, il problema della vera libertà. Dio ha donato la libertà all'uomo non perché facesse quello che vuole, ma perché facesse liberamente quanto torna, in definitiva, a profitto e a vantaggio del¬l'uomo stesso. La libertà, quindi, è un dono per fare più grande l'uomo, per renderlo veramente uomo signore e re dell'universo intero. E ciò si avvera scegliendo liberamente il bene da fare. Scegliere invece liberamente di tra¬sgredire la legge, di fare il male, non solo non è affatto un diritto da rivendi¬care, ma solo un tristo potere e segno aperto di imperfezione di ogni libertà creata. Il che significa pure che scegliendo il male, l'uomo non si innalza, non conquista vette immacolate di perfezione - ah le sciocchezze e le vanterie di un libero pensiero rivendicato come segno di grande dignità e nobiltà davanti a Dio e davanti agli uomini! - ma scende, si degrada al livello delle bestie che, non potendo operare con la ragione che non hanno, sono sempre pronte a cac¬ciare unghie e artigli per sopraffare o difendersi. Che differenza tra un Santo che è arrivato ad un esercizio perfettissimo della libertà e un uomo che, pur inneggiando e gloriandosi scioccamente di essere un libero pensatore e uno che non si lascia condizionare da niente e da nessuno, in verità è solo un mise¬rabile schiavo delle sue passioni e dei suoi istinti. Che differenza tra un pec-catore impaziente, violento, passionale e un Santo dal volto sereno e giocon-do,dall'animo fatto amore e bontà con tutti! "Mettere a prova la libertà anche contro Dio (= il peccato voluto e amato) - ha ricordato Benedetto XVI - non innalza l'uomo, ma lo abbassa e lo umilia, non lo rende più grande, più puro e più ricco, ma lo danneggia e lo fa diventare più piccolo".
5. L'inferno è lo svelamento completo del peccato. Si ripete da tutte le parti che il peccato è veleno e morte, sconquasso e squilibrio, suicidio e dan¬nazione. Difficile però vedere sulla terra il peso del suo veleno e l'entità della sua vera essenza. È soprattutto nell'inferno che il peccato, come dice la beata Emmerick, operando in pienezza in tutta la sua virulenza, matura e sviluppa tutto il suo carico di mostruosità e di morte. "L'inferno - dice lei - rinserra quanto il mondo produce di corruzione e di errore. Quanto si sente e si vede di orribile all'inferno è l'essenza, la forma interiore del peccato scoperto".
L'inferno è perciò anche la continuazione dell'inferno del cuore, volu¬to dai peccatori con i loro peccati.
Se si comprendesse che, assieme a satana, è il peccato il grande nemi¬co dell'uomo! Come far capire poi che arrivare addirittura ad esaltare il pec¬cato come segno di distinzione e di grandezza, è il massimo della stupidità e della pazzia? Ma purtroppo di tali "pazzi" il mondo, in ogni epoca, ne è stato sempre pieno!
6. Nell'inferno regna pure la tenebra, la notte fonda: in tutte le visioni si parla di tenebre. "Non v'era luce ma tenebre fittissime; eppure quanto poteva dar pena alla vista, si vedeva ugualmente nonostante l'assenza della luce" (S. Teresa). Luogo oscurissimo (S. Veronica).
Non c'è che dire, è sempre in atto la stessa logica: il peccato è la nega¬zione di Dio che è luce, vita, bellezza, la verità, l'amore, la fonte in una paro¬la di tutti i valori. Coloro perciò che hanno rifiutato la luce, saranno perenne¬mente nelle tenebre più fitte, perché l'opposto alla luce è appunto la tenebra, la notte, il simbolo di ogni negazione. Chi rifiuta la luce non può che vivere nella tenebra. Tenebra già nella vita terrena e tenebra paurosa nell'inferno.
Ma pur nel buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio.
7. Nell'inferno è bandito l'amore. Nelle cavernose prigioni e orrendi deserti e laghi dell'inferno - dice la Emmerick - ferve l'eterna e terribile discor¬dia dei dannati. Nell'inferno cioè non può esistere l'amore, perché vi predo¬mina assoluto l'odio verso tutto e verso tutti e anche tra dannato e dannato. Senza amore vi ferve la discordia. La discordia è il contrario della concordia, che è un effetto della carità, dell'amore. La concordia infatti "deriva dal fatto che la carità unisce i cuori di persone in una data cosa, che è principalmen¬te il bene divino, e secondariamente il bene del prossimo".
"La discordia è figlia della vanagloria, perché ciascuno degli opposi¬tori si fissa sul proprio punto di vista, senza cedere all'altro; ed è una proprie¬tà della superbia e della vanagloria cercare la propria eccellenza".
Nell'inferno non può esserci né pace né amore, e perciò, non potendo¬vi esistere né compagnia né associazione di sorta, vi regna pure la più spaven¬tosa solitudine. Non per nulla è stato detto del diavolo che egli è l'essere non più capace di amare. Ma lo stesso deve dirsi di tutti i dannati. Deve dirsi allo¬ra che l'inferno sono gli altri, come ha scritto Sartre. Ciò è vero in pieno pro¬prio nell'inferno dove l'inferno sono gli altri ai quali si vuol fare del male e dai quali si riceve tutto il male possibile.
Che se è avvenuto, e può sempre accadere, che qualche dannato - rifa¬cendoci a fatti storici - avverte parenti o amici e conoscenti di stare nell'infer¬no, esortando a cambiare la vita per non fare la stessa fine, ciò non è dettato da amore o sana preoccupazione. Si tratta solo di misteriosi interventi che i dannati spesso sono costretti a fare, solo perché così vuole Dio nei suoi imper¬scrutabili disegni.
Anche per questo le pene dell'inferno mai potranno attenuarsi: l'amo¬re, da solo, sarebbe già un grande lenimento alle orrende sofferenze.
8. L'inferno rinserra quanto il mondo produce di corruzione e di erro¬re, essendo di tutto questo continuazione e sviluppo e anche rivelazione tota¬le. Ogni dannato ha sempre presente questo pensiero: che i tormenti da lui sof¬ferti sono il frutto naturale e giusto dei suoi misfatti. Come tanto spesso sono i peccati nel mondo a produrre paurosi disastri. Conferme a questa dottrina ce ne sono tante, specie negli scritti dei SS. Padri, come S. Agostino. Ma mi piace qui riportare una testimonianza di una Santa (o candidata alla canonizzazione) dei nostri tempi, Edvige Carboni. Prima che scoppiasse la terribile seconda guerra mondiale Edvige ne fu avvertita a più riprese. Per es., la Madonna le disse: "Verrà fra pochi mesi una terribile guerra. Io sto tratte-nendo il braccio del mio Figlio sdegnato per le mode immodeste e altri pec¬cati orribili, ma non riesco a placarlo".
Nel settembre 1941 in una visione Gesù così disse a Edvige: "Figliola, io agli uomini ho dato la libera volontà di operare come a loro piace. Il mondo è tanto cattivo, che sono stato costretto ad abbandonarlo a se stesso. Non sono io che ho mandato la guerra, no, no. Sono i peccati degli uomini che hanno attirato il presente pagello; sono i capi, che fanno da soli. E io interverrò, quando vedrò che gli uomini non possono fare più niente. Allora salverò la mia Sposa, la Chiesa".
Nell'inferno si aduna dunque tutta la sozzura del mondo. Se in cielo gli effetti dei peccati dei salvati sono stati cancellati dalla misericordia di Dio; gli effetti invece delle iniquità dei dannati sono come accumulati nell'inferno, che appare, così, come una specie di immondezzaio dove vanno a finire tutti i rifiuti non riciclati. E così si ripresenta, una volta di più, la visione di due realtà contrapposte, di due città, la città dell'odio e della discordia, della mostruosità e della infelicità eterna, e la città dell'amore e della bellezza e della felicità perenne.
Questo pensiero - che è soprattutto della beata Emmerick, Suora agosti¬niana - richiama istintivamente alla mente La Città di Dio di S. Agostino. "Due amori - egli dice - hanno dunque fondato due città: l'amore di sé portato fino al disprezzo di Dio, ha generato la città terrena; l'amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé, ha generato la città celeste".
Ed è sempre S. Agostino a dirci che la sede definitiva dei cittadini della Città di Dio è il cielo, il paradiso; per gli abitanti della città terrena è l'infer¬no.
9. Anche nell'inferno esiste un ordine e una gerarchia:
Anche nell'inferno c'è un ordine: chi ha peccato di più e più gravemen¬te, soffre più spaventosamente degli altri che hanno peccato meno e con meno responsabilità. E più grande è il peccato commesso, più mostruosi si è: nella visione dei tre fanciulli di Fatima "I demoni si distinguevano per la forma orribile e ributtante di animali spaventosi e sconosciuti". Le differenze nota¬te (i dannati erano come braci trasparenti e nere o abbronzate) rispondono molto probabilmente alle diverse forme di tormenti dati per i peccati specifi¬ci, oppure vogliono sottolineare che non tutti sono colpevoli allo stesso modo e nella stessa misura.
Per questo perciò esistono nell'inferno vari reparti, raffigurati forse in quelle montagne, l'una diversa dall'altra dalla quale i dannati si precipitano nell'abisso. Spalancatasi infatti la montagna e apertisi i suoi fianchi, Santa Veronica vede una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco.
I demoni, estremamente furiosi, molestano le anime le quali urlano disperate. A questa montagna seguono altre montagne più orride, le cui visce¬re sono teatro di atroci e indescrivibili supplizi.
Precipitano giù, con la furia di densa grandine, le anime dei nuovi abi¬tatori. "E a quest'arrivo, si rinnovano pene sopra pene ai dannati".
In un luogo ancora più profondo trova ammucchiate migliaia di anime (son quelle degli assassini), sopra le quali incombe un torchio con una immensa ruota. La ruota gira e fa tremare tutto l'inferno.
All'improvviso il torchio piomba su le anime, le riduce quasi a una sola; cosicché ciascuna partecipa alla pena dell'altra. Poi ritornano come prima. Ci sono parecchie anime con un libro in mano. I demoni le battono con verghe di fuoco nella bocca, con mazze di ferro sul capo, e con spuntoni acuti trapassano loro le orecchie. Sono le anime di quei religiosi bastardi, che adattarono la regola a uso e consumo proprio. Altre anime sono rinchiuse in sacchetti e infilzate dai diavoli nella bocca d'un orrendo dragone che in eterno le digruma. Sono le anime degli avari. Altre gorgogliano tuffate in un lago d'immondizie. Di tratto in tratto sgusciano fulmini. Le anime restano incenerite, ma dopo riacquistano lo stato primiero. "I peccati che hanno com¬messo sono i più gravi che mai vivente può immaginare".
Nel fondo dell'abisso ci sono i gerarchi dell'inferno. Qui, infatti, Santa Veronica vede un trono mostruoso, fatto di demoni terrificanti. Al centro una sedia formata dai capi dell'abisso. La Santa nota che il muto cuscino della sedia erano Giuda ed altre anime disperate come lui. Alla domanda agli ange¬li di chi fossero quelle anime, ella riceve questa terribile risposta: "Essi furo¬no dignitari della Chiesa e prelati religiosi".
Satana ci sedeva sopra nel suo indescrivibile orrore e da lì osservava tutti i dannati.
Dunque non è la stessa cosa meritare l'inferno per un solo o per molti peccati mortali. Il peccato pesa sempre spaventosamente ed è sempre gravido di conseguenze.
10. La visione di satana forma il tormento dell'inferno, come la visio¬ne di Dio forma la delizia del Paradiso. Ritorna qui - soprattutto nella visione della Emmerick - il confronto col cielo: i beati sono felici nella visione di Dio che è la fonte e la radice di tutti i loro beni; i dannati sono tormentati incredi¬bilmente nella loro visione del loro massimo nemico e artefice in parte della loro dannazione.
11. L'inferno è il luogo della giustizia: "Mira e guarda bene questo luogo - dice il Signore a S. Veronica Giuliani - che non avrà mai fine. Lì sta per tormento la mia giustizia ed il rigoroso mio sdegno". E tuttavia, anche nell’inferno, secondo S. Caterina da Genova, splende in qualche modo la misericor¬dia di Dio, perché: "La pena dei dannati non è già infinita in quantità, imper¬ciocché la dolce bontà di Dio spande il raggio della sua misericordia anche nell'inferno. Perché l'uomo morto in peccato mortale, merita pena infinita, e tempo infinito di essa pena. Ma la misericordia di Dio ha fatto solo il tempo della pena infinito, e la pena terminata in quantità: imperciocché giustamen¬te gli avrebbe potuto dar molto maggior pena che non gli ha dato.
Oh quanto è pericoloso il peccato fatto con malizia! Perché l'uomo con difficoltà se ne pente, e non pentendosi esso, sempre sta la colpa, la quale tanto persevera, quanto l'uomo sta nella volontà del peccato commesso, o di commetterlo" (n.9).
12. L'inferno è eterno soprattutto perché nessun dannato chiederà mai perdono a Dio. La Madonna dice ai veggenti di Medjugorje: "L'inferno non finirà, coloro che sono là non vogliono ricevere (siamo noi a sottolineare) ricevere più niente da Dio, hanno scelto liberamente di essere lontani da Dio, per sempre!".
L'inferno è una scelta libera dei dannati. Ancora la Madonna di Medjugorie dice ai veggenti: "Dio ha donato a ciascuno la libertà. Sulla terra ognuno può decidersi per Dio o contro Dio. Certe persone sulla terra fanno sempre tutto contro Dio, contro la sua volontà, pienamente consapevoli: cominciano così l'inferno nel loro cuore; quando viene il momento della morte, se non si pentono, è lo stesso inferno che continua".
13. I dannati, appena morti, si precipitano da se stessi nell' inferno, vi si gettano come se desiderassero sparire dalla vista di Dio, per poterlo odiare e maledire.
Anche qui si trova riscontro in S. Caterina da Genova che così scrive: "Siccome lo spirito netto e purificato non trova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, per essere stato a questo fine creato, così l'anima in peccato non ha altro luogo se non l'inferno, avendole ordinato Dio quel luogo per fin suo. Però, in quell'istante che lo spirito vien separato dal corpo, l'anima va all'or¬dinato luogo suo senz'altra guida, eccetto quella che ha la natura del pecca¬to; partendosi però l'anima dal corpo in peccato mortale. E se l'anima non trovasse in quel punto quella ordinazione, procedente dalla giustizia di Dio, rimarrebbe in maggiore inferno che non è quello, per ritrovarsi fuori di essa ordinazione, la quale partecipa della divina misericordia, perché non dà all'anime condannate tanta pena, quanta esse meritano. Perciò, non trovan¬do luogo più conveniente, né di minor male per loro, spinte dall'ordinazione di Dio, vi si gettan dentro, come nel suo proprio luogo" (n.12).
Di fronte alla luce possente di Dio e alla sua Maestà il dannato si vede tanto abietto e miserabile da non poterne assolutamente sopportare la vista e la presenza, e perciò fugge, si inabissa.
Succede un po' la stessa cosa tra gli uomini. Chi, invitato a un gran ban¬chetto, si accorgesse all'ultimo momento di aver la faccia sporca, scappereb¬be via dalla vergogna. Si potrebbe dire, quindi, che non è Dio prima di tutto a scacciare il dannato, ma lui stesso: "Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l'iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre?" (2 Cor 6,14). Tenebra e luce, deformità e santità, disordine e ordine perfettissimo non pos¬sono coesistere o convivere.
Il dannato fugge dalla vista di Dio e poi lo odia pure. Demoni e danna¬ti, tutti si scagliano contro di Lui, odiandolo e maledicendolo. "La montagna viva - afferma tra gli altri S.Veronica Giuliani - era un clamore di maledizioni orribili ".
Un odio spaventoso, inestinguibile e senza ragione. Il dannato mai potrà accusare Dio di essere Lui, sia pure in qualche modo, la causa della sua dannazione. L'odio allora si spiega perché strutturalmente la luce non è la tenebra, e la grazia non è il peccato. L'una nega l'altro, l'una si oppone radi¬calmente all'altro. Ma i dannati non possono non odiare e non maledire chi è in uno stato felice del tutto opposto al loro.
Da aggiungere pure che il dannato si sente condannato e svergognato anche dalla semplice presenza di Dio, anche senza parlare. Così come un'ani¬ma santa, pur senza dire niente, accusa e condanna i cattivi.
14. I demoni dispensano pene e sofferenze inaudite nel loro odio .... Incapaci ormai di poter amare, essi non hanno altra gioia - se di gioia si può parlare - che di far soffrire al massimo tutti gli altri.
Per lo più si rischia di andare all'inferno perché si vuol fare quello che si vuole, si pecca, si trasgredisce la legge con l'illusione di essere liberi e non esseri sottomessi a nessuno. Tragica illusione, l'uomo non può essere assolu¬tamente libero. O se si è schiavi della giustizia, schiavitù che in effetti è splen¬dida affermazione di vita e di dominio di sé e quindi di vera libertà; o si è schiavi dell'empietà che è vera e tremenda schiavitù che porta alla morte: "Non sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedir¬gli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia?" (Rom 6,16).
"E’ sempre accaduto secondo l'eterna e giusta legge di Dio che chi non ha voluto essere governato secondo dolcezza, si governa da sé quasi come castigo, e chi di propria volontà ha respinto il giogo soave e il lieve peso della carità, ha dovuto reggere di mala voglia il peso insopportabile della propria volontà. Perciò con un criterio mirabile e giusto la legge eterna ha messo in posizione contraria a sé ed ha conservato sottoposto a sé chi l'aveva fuggita, dato che egli non ha potuto sottrarsi per le sue colpe alla severità della giu¬stizia e, soggetto al suo potere, ma escluso dalla felicità, non è riuscito a rimanere a Dio nella sua luce, nella sua pace, nella sua gloria".
E Dio fa di tutto perché le anime siano preservate da sì spaventosa sorte. Ci sono mille argomenti che provano come il Signore ricorra a tutti i mezzi per salvare gli uomini. Egli li vuole salvi e felici con Lui. Per questo egli insiste, spinge, esorta, corregge, spaventa affinché l'anima capisca ed operi secondo il suo vero vantaggio spirituale.
Di questa volontà salvifica di Dio è prova anche questa stessa moltepli¬cità di visioni. Ma, in proposito ascoltiamo anche un messaggio dato a Suor Menendez. Il 10 giugno del 1923 le apparve Gesù: aveva una bellezza cele¬stiale improntata a sovrana maestà. La sua potenza si manifestava nel tono della voce. Queste le sue parole: "Josepha, scrivi per le anime". Voglio che il mondo conosca il mio Cuore. Voglio che gli uomini conoscano il mio amore. Lo sanno ciò che ho fatto per loro? Gli uomini cercano la felicità lontano da me, ma inutilmente: non la troveranno.
A Suor Benigna Consolata Ferrero, Gesù confiderà un giorno, dopo averle mostrato l'inferno: "Vedi, Benigna, quel fuoco!...Sopra a quel¬l'abisso io ho steso, come un reticolato, i figli della mia misericordia, perché le anime non vi cadano dentro. Quelle però che si vogliono dannare, vanno lì per aprire con le proprie mani quei fili e cadere dentro e una volta che vi sono dentro neppure la mia bontà le può salvare. Queste anime sono inseguite dalla mia misericordia molto più di quanto sia inseguito un malfattore dalla polizia, ma esse sfuggono alla mia misericordia".
Sr Faustina dice: "Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la Misericordia di Dio per loro. O mio Gesù, preferi¬sco agonizzare fino alla fine del mondo nelle più grandi torture, piuttosto che offenderTi col più piccolo peccato".



[Modificato da MARIOCAPALBO 01/02/2015 20:50]

01/02/2015 20:07

Richiami morali ed ascetici da non trascurare 
Le visioni dei Santi sono un grande richiamo di amore a non fare la stessa fine dei dannati. 
Da rilevare, che visioni o "discese" all'inferno si moltiplichano, sem¬bra, nel secolo XX, il secolo della maledizione, del peccato e dell'apostasia generale dalla fede; o "come stato autorevolmente e insospettabilmente defi¬nito "il secolo delle idee assassine", "il secolo del male", "il secolo dei mar¬tiri", "il secolo dei genocidi". 
Non è soprattutto in questo secolo che l'attaccamento alla vita terrena e alla carne e al sesso hanno raggiunto punte da capogiro?. 
Esse, perciò, sono oltre tutto grandi richiami di un amore santo che non si dà per vinto. Richiami fecondi di applicazioni morali ed ascetiche per chi vuol capire. Vediamone almeno qualcuna. 
1. Dette visioni sono richiami a non lasciarsi illudere da mode e corren¬ti di pensiero che si allargano sempre più, fino a far credere vero quello che è solo una colossale menzogna. E cioè, a coloro che si illudono che Dio, essen¬do amore e misericordia infinita non dannerà nessuno all'inferno, le visioni dei Santi - anche di Santi che magari più hanno parlato di amore e di miseri¬cordia divina (si pensi soprattutto a Santa Faustina Kowalska) - ribadiscono le tremende verità dell'inferno. Sr. Faustina constaterà che i dannati visti da lei erano, in gran parte, quelli che non credevano all'inferno. 
I Santi fanno risuonare alto il monito che l'inferno esiste per davvero: illudersi è da pazzi. La semplice prospettiva di correre rischio di dannarsi, sempre possibile, dovrebbe spingere ad evitarlo con tutte le forze. E di fronte alla prospettiva di un naufragio totale si accetteranno pure tutte le sofferenze e le umiliazioni e le miserie, che può riservare il percorso terreno. 
I Santi dicono che è necessario persuadersi che questa vita che meglio si direbbe, secondo S. Agostino, una vita che muore o una morte che vive, non è la vita vera, ma solo un percorso per arrivare al porto della eternità. 
La Madonna lo dirà chiaramente a Medjugorje: "Molta gente sulla terra è ormai convinta che, dopo la morte, sia tutto finito. Ma questo è un grande errore. Qui siete solo di passaggio. Dopo la morte c'è l'eternità". 
È significativo che Dio e la Madonna facciano vedere a veggenti e a Santi, oltre al purgatorio e al paradiso, anche l'inferno. Non è un chiaro segno che tutta la vita - vissuta più a livello materiale o più a livello spirituale - ha come traguardo la vita eterna, che può diventare morte eterna? 
Oggi si crede così poco all'inferno, con quali conseguenze è facile immaginare. E sono non pochi ad insegnare o a seminare dubbi su questa tre¬menda e misteriosa realtà. Ma i Santi vi credevano - ce lo dicono le testimo¬nianze addotte - e come! Mi piace, anzi, concludere questo punto con un'altra testimonianza di S. Giovanni Bosco, di cui pure qui si è parlato. Non tenendo conto della "ininterrotta tensione escatologica che emerge violenta dai Vangeli e che per quasi venti secoli ha dominato nella cultura cattolica, com¬pendiata nei 'novissimi' - morte, giudizio, inferno o paradiso - (...) si ecclissa il sensus stesso del cristianesimo tradizionale, che ruotava attorno a queste quattro impressionanti meditazioni. Era talmente forte questa trepidazione del poi, che don Giovanni Bosco, il fondatore dei Salesiani, dedicava sei su sette delle meditazioni che proponeva ai suoi ragazzi durante la settimana alla contemplazione della morte, del giudizio di Dio e della dannazione eter¬na ...una sola al paradiso. Oggi i reverendi salesiani riderebbero di queste tru¬culente ingenuità cui il loro Fondatore dava tanto rilievo". 
E tuttavia, con tutte le perplessità o obiezioni che può suscitare detto dogma, il meglio sarebbe sempre schierarsi dalla parte più sicura. E la parte più sicura non può essere quella degli intellettuali o presunti tali o quella dei viziosi e superficiali della vita. Forse non aveva torto Baudelaire. "Baude¬laire, uno che di demoni se ne intendeva - ci dice Messori - voleva denunciare ai giudici di Parigi (per interesse personale mascherato, in modo truffaldino, da difesa della civiltà e da lotta contro la superstizione) i gazzettieri del suo tempo: Questi signori, i quali giurano che inferno e diavoli non esistono e che inveiscono contro chi ci crede ancora, hanno, con tutta evidenza, buoni moti¬vi personali per farlo. Se non temessero nulla, riderebbero. Se si arrabbiano, è perché temono". 
2. Dette apparizioni o visioni sono un richiamo a salvare soprattutto l'anima. Esse ci dicono implicitamente: a che serve possedere il mondo inte¬ro se si dovesse perdere l'anima? A Suor Consolata Betrone che, nella guerra 40-45, supplicava incessantemente perché mettesse fine all'orrenda carneficina soprattutto di giovani generazioni, Gesù le rispose: "Vedi, Con¬solata, se oggi Io concedessi la pace, il mondo ritornerebbe nel fango... la prova non sarebbe sufficiente... ". Quanto ai giovani inviati al macello: "Oh, non è meglio due, tre anni di acerbe, intense, inaudite sofferenze e poi un'eter¬nità di gaudii; che una intera vita di dissolutezze e poi l'eterna dannazione? (...) Oh, quanta gioventù ringrazierà in eterno Dio per essere periti in questa guerra, che li ha salvati eternamente". 
Salvare prima di tutto l'anima propria e adoperarsi a salvare pure quel¬le dei fratelli. "L'anima è l'unica cosa - scrive P Faber - che meriti cura. Pensate un istante al significato di esser dannato, e dannato eternamente! Chi può approfondirne l'orrore? Chi può dipingersi adeguatamente la grandezza della rovina, la vastità della sciagura, gli insopportabili tormenti, l'irrimedia¬bile ferocia della disperazione? Pure S. Teresa vide le anime umane quotidia¬namente affollarsi sulla soglia dell'inferno, e cadervi fitte come cadono le frondi per vento autunnale. Gesù stette tre ore pendente dalla sua croce per ciascuna di quelle anime perdute! Esse potrebbero ora essere tutte fulgida¬mente raggianti e belle nella corte celeste! Forse esse ci amarono, furono da noi riamate, e v'era molto di amabile in esse. Un dì furono generose, affabi¬li, disinteressate; ma esse amarono il mondo e furono padroneggiate dalle loro proprie passioni; e benché non ci pensassero, crocifissero di nuovo Nostro Signore; ed ora sono perdute, dannate eternamente!" . 
3. E sono un richiamo che dicono: è tempo che si torni alla predicazio¬ne dei novissimi, parlando quindi anche dell'inferno. Sono decenni che certi argomenti - e tra questi certamente anche l'inferno - sono tabù nella Chiesa. Così comportandosi, come ci si può illudere di essere fedeli al compito assun¬to di annunciare il verbo di Cristo? 
Cristo ha parlato dell'inferno, e come! Ne ha parlato tanto da potersi affermare essere -l'inferno - tra le più presenti nella sua predicazione di salvez¬za. Si presume di saperne più di Cristo e di essere più saggi di Lui? La paura di terrorizzare le anime è paura messa avanti da satana, l'eterno nemico dell' uomo, che vuole distogliere da tale predicazione e annuncio. Parlare dell'in¬ferno, anche se - come ovvio - va fatto con equilibrio, evitando fanatismi e fis¬sazioni. Pio IX, verso la fine del suo pontificato, raccomandava a un Missionario francese: "Predicate molto le grandi verità della salvezza, predi¬cate specialmente l'inferno. Dite chiaramente tutta la verità sull'inferno, non c'è nulla di più efficace per far riflettere i poveri peccatori e convertirli". 
Il grande Papa Pio XII, nell'Esortazione programmatica ai Parroci e Predicatori quaresimali di Roma, il 23 marzo 1949, disse: "La predicazione delle prime verità della fede e dei fini ultimi non solo nulla ha perduto della sua opportunità ai nostri tempi, ma anzi è divenuta più che mai necessaria ed urgente. Anche la predica sull'inferno. Senza dubbio si deve trattare un simi¬le argomento con dignità e saggezza. Ma quanto alla sostanza stessa di que¬ste verità, la Chiesa ha, dinanzi a Dio e agli uomini, il sacro dovere di annun¬ziarla, d'insegnarla senza alcuna attenuazione, come Cristo l'ha rivelata, e non vi è alcuna condizione di tempi che possa far scemare il rigore di que-st'obbligo. Esso lega in coscienza ogni sacerdote a cui, nel ministero ordina¬rio e straordinario, è affidata la cura di ammaestrare, di ammonire e di gui¬dare i fedeli". 
Stando a quanto racconta P Pellegrino Emetti, in uno o più esor¬cismi, il diavolo avrebbe detto che, tra le tante cose che gli fanno piacere (divorzio, discoteche, mode femminili indecenti, ecc.) "soprattutto mi piac¬ciono e mi rallegrano quei Vescovi e quei Preti che negano la mia esistenza e la mia opera nel mondo ...e sono tantissimi ... oh, che gioia, che gioia per me ... lavoro tranquillo e sicuro ... persino i teologi oggi non credono alla mia esistenza ... che bello ... che gioia...e così negano anche quel loro Dio che era venuto per distruggermi ... invece l'ho vinto ... l'ho inchiodato io sulla croce ...ahahahah...! Bravi questi Preti ... bravissimi questi Vescovi ... bravissimi questi teologi... sono tutti miei fedeli servitorelli... ne faccio quello che voglio ahahahah...! Ormai sono miei... li porto dove voglio... vestiti da beccamorti... con la sigaretta sempre in bocca... profumati come gagà ... in cerca di donnic¬ciole facili... con aiuto di ultima moda... pieni di danaro... si ribellano ai dogmi del loro falso Dio... e della falsa Chiesa di quel Crocifisso mia vitti¬ma... sono i miei soldati più sicuri del mio regno, pieno pieno di loro... Con essi metto confusione e smarrimento nel popolo, che allontano sempre più dal falso Dio... e porto nel mio regno di odio e di disperazione eterna... per sem¬pre con me, con me... ahahahahah! Quanti di essi ne ho fatti scrivere alle sètte mie... allettati dalla mia carriera e dal mio denaro... li compro con facilità... perché finalmente sono riuscito a non far amare più, né quel falso loro Dio, né quella Donna che pretende di avermi vinto". 
4. Le suddette visioni dei Santi costituiscono un invito a parlare del peccato, di quello impuro soprattutto. Almeno in alcune di esse, si insiste a denunciare il triste ruolo che ha l'impurità nella dannazione delle anime: sono tanti a dannarsi per questo peccato. 
Bisogna insistere nella predicazione sul peccato perché se n'è perduto del tutto il senso. Il che significa che niente più è peccato per la mentalità cor¬rente; e in niente più si vede il peccato. 
Trasgredire allegramente i precetti di Dio e della Chiesa; favorire e soddisfare le tendenze anche più abnormi; porre come metro assoluto il pro¬prio io; accogliere e propalare le dottrine più strampalate e in pieno contrasto col Vangelo, ecc. ecc., tutto è niente. Per cui né ci si pente né si ritiene mate¬ria di confessione. Se ne può avere un'idea da certe confessioni: anime cari¬che di peccati gravissimi e mortali riducono la loro confessioni - quando si degnano di confessarsi - a... qualche parola...; a qualche bugia e... basta! È lo stato d'animo di innumerevoli uomini e donne che, immersi fino al collo nel disordine morale, vivono tranquilli e sicuri, contenti magari di vedersi "buoni" nel fondo del cuore e di non far male a nessuno. 
Le visioni dei Santi spingono a parlare del peccato e soprattutto del peccato impuro, generalizzatosi nelle sue forme anche più repellenti e portato addirittura in trionfo come una conquista di libertà. Se ne deva parlare, non perché il peccato impuro è il più grave, ma perché è certamente quello in cui incorre la quasi totalità degli uomini, ed è quello che più facilmente fa perde¬re la fede e trascina all'inferno. Una situazione morale, quella odierna, disa¬strosa. E tuttavia gli annunciatori della Parola di Dio, vescovi e sacerdoti e cristiani impegnati esitano più che mai a parlarne. 
È questo - oltre tutto - uno dei tanti segni di una crisi tremenda della Chiesa di oggi, crisi avvertita anche da laici. Uno di questi, Sergio Quinzio, mette in bocca ad una sua creatura letteraria, Papa Pietro, queste parole: "Dobbiamo prendere atto dell'apostasia della Chiesa che elude lo scandalo della fede, che lo stravolge in ciò che fede non è, riducendo a etica la salvez¬za escatologica, e perciò se ne fa un'opera ragionevolmente umana". 
E conclude: "Bisogna avere il coraggio di riconoscere che in tempi recenti la verità cristiana non è stata più annunciata nella sua integrità, ma via via ne sono stati accentuati sempre più marcatamente i risvolti e le impli¬cazioni compatibili con la sensibilità degli uomini ... moderni. Il cristianesimo si è praticamente ridotto così, agli occhi dei più, ad una forma di umanesimo (...). Dai supremi pastori della Chiesa fino alle più umili omelie che si pro¬nunciano tutte le domeniche nelle nostre Chiese, il discorso che viene propo¬sto è ormai, quasi sempre, un discorso soprattutto etico, sociale, politico, eco¬nomico. Non è esagerato dire che, in questo senso, il Magistero ha abdicato al proprio compito. La Chiesa, in quanto istituzione, sembra non avere più il coraggio di proclamare la propria fede. Tutto fa pensare che se ne vergogni, o addirittura finga di credere ancora ciò in cui in realtà non crede più". 
Come non vedere pure che la scomparsa completa del peccato nell'an¬nuncio della Parola è certamente una delle cause più importanti del generale abbassamento di tono e di fervore della vita cristiana e del rilassamento, sem¬pre più preoccupante, dei costumi? 
Sì, lo sappiamo bene, le polemiche nel mondo riguardo al sesso sono tante da tutte le parti e da tutti i settori. La Chiesa è accusata di essere sessuo¬foba; ci si scaglia contro teologi e moralisti accusati di esagerare su questo peccato; si reclama libertà assoluta in fatto di contraccettivi, di mode, di tutte le forme di trasgressioni del sesto comandamento. Si ha l'impressione che il mondo sia impazzito, una volta cancellata o messa da parte la prospettiva della vita o morte eterna. 
Le visioni dei Santi invitano energicamente a riflettere. È da ribadire ancora una volta che gli annunciatori della Parola di Dio hanno il dovere sacrosanto di predicare a tutte le creature tutto quello che Cristo ha insegnato. E noi sappiamo che nell'insegnamento del Cristo, il peccato, i novissimi, in particolare l'inferno, hanno un posto di tutto rilievo. La lotta alle cattive ten¬denze, il peccato anche solo di pensiero, il tema della conversione radicale, la realtà dell'inferno si affermano quasi ad ogni pagina del Vangelo. Non si pos¬sono illudere le anime con le sole belle parole di amore, di misericordia, ecc. Di fronte, anzi, ad una società che sembra piombata in un coma profondo irre¬versibile, è più che mai urgente una terapia d'urto, un possente elettroshock che faccia aprire gli occhi su una situazione morale, che potrebbe diventare tragica. Certo, - lo ripetiamo ancora - se si vuole, si può cancellare dalla vita ogni esigenza morale; si può ostinatamente negare l'esistenza dell'inferno. Ma è questa la realtà? Non serve a niente ostinarsi pervicacemente a negare l'esistenza di un muro: andandovi a sbattervi contro, nonostante la contraria persuasione soggettiva, ci si romperà certamente la testa! È quanto, in soldo¬ni, vogliono dirci i Santi con le loro apparizioni o visioni. 
5. Le apparizioni dicono pure che bisognerebbe impegnarsi immensa¬mente di più per la salvezza dell'anima. E ad essa principalmente dovrebbe orientarsi l'apostolato nella Chiesa. 
Si parla tanto di poveri, di terzo e quarto mondo, di bambini che muoio¬no di fame. In proposito, si pensi a tutte le campagne umanitarie, sempre poche di fronte ai reali bisogni esistenti e sempre da incoraggiare e benedire. Si pian¬ge e ci si rattrista giustamente al pensiero che milioni di uomini muoiono di fame. Però non si piange quasi mai sui peccatori che rischiano la vita eterna. Il Papa Benedetto XVI ha detto nel suo Messaggio per la Quaresima 2006: "In nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore". "Anche oggi – aggiunge -, nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all'altro nel quale si esprime la carità. Chi opera secondo questa logica evangelica vive la fede come amicizia con il Dio incarnato e, come Lui, si fa carico dei bisogni materiali e spirituali del prossimo. Lo guar¬da come incommensurabile mistero, degno di infinita cura ed attenzione. Sa che chi non dà Dio dà troppo poco, come diceva la beata Teresa di Calcutta: 'La prima povertà dei popoli è di non conoscere Cristo'. Perciò occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di Cristo: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide". 
Le parole del Papa spaziano certamente su un più vasto orizzonte, ma sono tali che comprendono anche lo stato di povertà di coloro che, per il pec¬cato, sono a rischio continuo di eterna salvezza. E perciò bisogna senz'altro ammettere che a vincere questa rovinosa povertà si fa troppo poco, se non niente addirittura. La Madonna di Fatima dice che molte anime vanno all'inferno perché nessuno prega per loro. Non ignoriamo che ci sono nella Chiesa tante anime eroiche che
Conclusione

Bisogna ammettere che le rivelazioni presentate in queste pagine, pur se private, possono riempire di sgomento e di terrore. E faranno acuire, forse, anche alcuni problemi o quesiti, che non cessano di tormentare lo spirito umano di ogni tempo e condizione. Quesiti come questi, per es.: come è pos¬sibile che Dio punisca e per sempre, un povero peccatore che, volente o nolen¬te, è pur sempre una creatura di impensabile fragilità e miseria? Come è pos-sibile immaginare un inferno eterno? Rispondere dettagliatamente ci portereb¬be lontano e non è questo lo scopo di queste pagine. Ma, in fondo, a tali que¬siti - se si riflette bene - la risposta, almeno in qualche modo, la si è data già in queste pagine.
Ma più che perdersi in questi interrogativi, è bene ricordare che alle nostre paure e preoccupazioni rispondono altre rivelazioni rassicuranti, fatte ad anime privilegiate. Ecco, per es., come parla Gesù a Suor Benigna Consolata: 'Io dò loro (le mie pecorelle) la vita eterna e in eterno non peri¬ranno e nessuno le strapperà dalle mie mani (Gv 10,28). Hai capito, Consolata? Nessuno può strapparmi un'anima. Perché allora il dubbio: Chissà se mi salverò!, se io nel Vangelo ho assicurato che nessuno può strap¬parmi un'anima e dò a questa anima la vita eterna e quindi non perirà?
Credimi, Consolata, all'inferno ci va chi vuole, cioè chi vuole vera¬mente andarci perché, se nessuno può strapparmi un'anima dalle mani, l'ani¬ma, per la libertà concessale, può tradirmi, rinnegarmi e passare di propria volontà al demonio. Oh, se invece di ferire il mio Cuore con queste diffiden¬ze, pensaste un po' al Paradiso che vi attende, perché io vi ho creati non per l'inferno ma per il Paradiso, non per andar a far compagnia al demonio, ma per godermi eternamente nell'Amore.
Vedi, Consolata, va all'inferno chi vuole andarvi... pensa come è stol¬to il vostro timore di dannarvi. [...]. Dopo che per salvare la vostra anima ho versato il mio sangue, dopo che per una intera esistenza l'ho circondata di grazie, di grazie... all'ultimo istante della vita, quando sto per raccogliere il frutto della Redenzione e quindi quest'anima sta per amarmi eternamente, Io, che nel santo Vangelo ho promesso di dare ad essa la vita eterna e che nessu¬no me la strapperà di mano, me la lascerò rubare dal demonio, dal mio peg¬gior nemico? Ma, Consolata, si può credere a questa mostruosità?
Vedi, l'impenitenza finale è per quell'anima che vuole andare all'infer¬no di proposito e quindi ostinatamente rifiuta la mia immensa misericordia, perché Io non rifiuto il perdono a nessuno, a tutti offro e dono la mia immen¬sa misericordia, perché per tutti ho versato il mio Sangue, per tutti! No, non è la moltitudine dei peccati che danna l'anima, perché Io li perdono se essa si pente, ma è l'ostinazione a non volere il mio perdono, a volersi dannare".
Sempre alla stessa Suora Gesù dirà pure: "Consolata, ho bisogno di vittime, il mondo si perde e Io lo voglio salvare. Consolata, un giorno il demo¬nio ha giurato di perderti ed Io di salvarti. Chi ha vinto? ...Ebbene, ha giura¬to di perdere anche il mondo e Io giuro di salvarlo, e lo salverò col trionfo della mia misericordia e del mio amore. Sì, salverò il mondo con l'Amore misericordioso, scrivilo".
Anche a Sr. Faustina Kowalska Gesù disse un giorno: "Desidero che i miei Sacerdoti annunzino questa mia grande misericordia per le anime pec¬catrici. Il peccatore non tema di avvicinarsi a me. Anche se l'anima fosse co¬me un cadavere in piena putrefazione, se umanamente non ci fosse più rime¬dio, non è così davanti a Dio.
Le fiamme della misericordia mi consumano, desidero effonderle sulle anime degli uomini. Sono tutto amore e misericordia. Un'anima che ha fidu¬cia in me è felice perché io stesso mi prendo cura di lei. Nessun peccatore, fosse pure un abisso di abiezione, esaurirà mai la mia misericordia, poiché più vi si attinge e più aumenta. Figlia mia, non cessare di annunziare la mia misericordia, col farlo darai refrigerio al mio Cuore consumato da fiamme di compassione per i peccatori. Quanto dolorosamente mi ferisce la mancanza di fiducia nella mia bontà!
Per punire ho tutta l'eternità, adesso invece prolungo il tempo della misericordia per essi. Anche se i suoi peccati fossero neri come la notte, rivol¬gendosi alla mia misericordia, il peccatore mi glorifica e onora la mia Passione. Nell'ora della sua morte io lo difenderò come la mia stessa gloria. Quando un'anima esalta la mia bontà, Satana trema davanti ad essa e fugge fin nel profondo dell'inferno".
E come bisogna bandire ogni preoccupazione e paura di dannarsi, se si cammina nell'obbedienza e nell'amore; così bisogna pure non temere il dia¬volo che si sforza di portare tutti all'inferno. Ce lo dice, tra i tanti, S. Teresa d'Avila: "Se questo Signore è così potente, come so e vedo; se i demoni non gli sono che schiavi, come la fede non mi permette di dubitare, che male mi possono fare se io sono la serva di questo Re e Signore? Piuttosto, perché non sentirmi così forte da affrontare l'inferno intero?...
Sapete quando i demoni ci fanno spavento? Quando ci angustiamo con le sollecitudini per gli onori, per i piaceri e le ricchezze del mondo. Allora noi, amando e cercando quello che dovremmo aborrire, mettiamo nelle loro mani le armi con cui potremmo difenderci e li induciamo a combatterci con nostro immenso pregiudizio. (...) Piaccia a Dio che io (...), sorretta dalla sua grazia, ritenga riposo ciò che è riposo, onore ciò che è onore, piacere ciò che è pia¬cere, e non il contrario. Allora farei le corna a tutti i demoni, che fuggirebbe¬ro spaventati".
I Santi! Sono sempre loro che, tutto pieni di Cristo luce e vita, ci ripe¬tono parole di vita eterna!
[Modificato da MARIOCAPALBO 01/02/2015 20:51]

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