. Al primo posto mettete la confessione e poi chiedete una direzione spirituale, se lo ritenete necessario. La realtà dei miei peccati deve venire come prima cosa. Per la maggior parte di noi vi è il pericolo di dimenticare di essere peccatori e che come peccatori dobbiamo andare alla confessione. Dobbiamo sentire il bisogno che il sangue prezioso di Cristo lavi i nostri peccati. Dobbiamo andare davanti a Dio e dirgli che siamo addolorati per tutto quello che abbiamo commesso, che può avergli recato offesa. (Beata Madre Teresa di Calcutta)
 
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Scritti dei Santi sull'adorazione 1347-1591

Ultimo Aggiornamento: 30/01/2015 13:27
30/01/2015 13:20

Santa Caterina da Siena 

" Spirito Santo,
vieni nel mio cuore,
per la Tua potenza tiralo a Te, Dio Vero.
Concedimi carità e timore.
Custodiscimi o Dio da ogni mal pensiero.
Inflammami e riscladami del Tuo dolcissimo amore,
acciò ogni travaglio mi sembri leggero.
Assistenza chiedo ed aiuto in ogni mio ministero.
Cristo Amore, Cristo Amore”  
 
 
Dal “Dialogo della Divina Provvidenza” 
(Caterina lo dettava il più delle volte sotto estasi)
La Provvidenza risponde alle domande che Caterina faceva
…"Carissima figlia, ti voglio illustrare innanzi tutto la dignità nella quale io li ho posti grazie alla mia bontà: dignità che oltrepassa l'Amore che Io ho avuto per tutte le altre mie creature facendole a mia immagine e somiglianza e tutte ricreandole alla Grazia nel Sangue del Figlio mio Unigenito, onde perveniste a grande elevazione per l'unione da me fatta della mia divinità con la natura umana. Questa elevazione è tanta che per essa voi avete maggiore eccellenza e dignità degli Angeli, poichè Io assunsi la natura vostra e non quella angelica!
Perciò, come dissi, Io, Dio, son fatto uomo e l'uomo Dio, per l'unione della mia natura divina nella vostra natura umana!

Questa è la grandezza data a tutte le creature dotate di ragione; ma fra queste ho eletto i miei ministri per la vostra salvezza, affinchè per mezzo loro vi fosse somministrato il Sangue dell'umile e Immacolato Agnello, l'Unigenito mio Figlio. A costoro ho dato di amministrare il Sole, donando loro il lume della scienza, il calore della divina Carità e il colore unito al calore ed alla luce, cioè il Sangue e il Corpo del Figlio mio! Questo Corpo è un Sole, perchè è una cosa sola con me, che sono il Sole vero. Tanto è unito a me, che l'Uno non si può separare nè dividere dall'Altro, come avviene del sole il cui calore è indivisibile dalla luce, e la luce dal calore, grazie alla loro perfetta unione! (...)
Io sono quel Sole, Dio Eterno dal quale procede il Figlio e lo Spirito Santo.

Dello Spirito Santo è proprio il fuoco; del Figlio è propria la Sapienza; in questa Sapienza i miei ministri ricevono un lume di grazia perchè somministrano questo stesso Lume con la Luce che ne proviene e con gratitudine per il beneficio ricevuto da me, Padre Eterno, seguendo la dottrina di questa Sapienza, l'Unigenito Figlio mio! Questo Lume ha in sè il colore della vostra umanità...(...)
A chi l'ho dato da amministrare? Ai miei ministri nel corpo mistico della santa Chiesa, affinchè aveste vita attraverso il dono del Suo Corpo in Cibo e del Suo Sangue in bevanda. (...)

E come il sole non può dividersi, così nella bianchezza dell'Ostia Io sono tutto unito: Dio e uomo! Se l'Ostia si spezzasse e fosse possibile farne migliaia di frammenti, in ciascuno è tutto Dio e tutto uomo, come ho detto! Come lo specchio può andare in frantumi, e tuttavia non si divide l'immagine che si vede in ogni suo pezzo, così anche dividendo questa Ostia non vengo diviso.
 … O figlia carissima, apri bene l'occhio dell'intelletto per contemplare l'abisso della mia Carità: non v'è creatura dotata di ragione che non si senta sciogliere il cuore per slancio d'amore vedendo, tra gli altri benefici ricevuti da me, quello che ricevete in questo Sacramento!
Con quale occhio, carissima figlia, tu e gli altri dovrete vedere e contemplare e toccare questo mistero? Non certo con il tatto e la vista corporea, perchè tutti i sensi del corpo sono inadeguati. Come puoi osservare l'occhio non vede altro che la bianchezza del Pane, così che le grossolane sensazioni del corpo vengono ingannate; ma non può essere ingannato il sentimento dell'anima purchè essa voglia; cioè, purchè essa non voglia privarsi da sè il lume della santissima fede a causa della sua infedeltà!

E' il sentimento dell'anima, dunque, quello che gusta, vede e tocca questo Sacramento! Con che occhio lo vede? Con l'occhio dell'intelletto, se in esso vi è la pupilla della santissima Fede! Quest'occhio vede in quella bianchezza "tutto Dio e tutto Uomo", la natura divina unita con la natura umana: il Corpo e l'anima e il Sangue di Cristo, Figlio mio Unigenito, l'anima unita al corpo e il corpo con l'anima uniti con la mia natura divina, senza distaccarsi da me.....
Ma non lo vede soltanto con l'occhio dell'intelletto, bensì anche con l'occhio del corpo, sebbene a causa del lume intensissimo l'occhio corporeo subito perda la capacità di vederlo, onde rimane solo l'occhio dell'intelletto!

Te lo mostrai perchè tu ne fossi più illuminata, in occasione della guerra che il demonio t'aveva fatto proprio a proposito di questo Sacramento; e anche per farti crescere nell'amore e nel lume della santissima Fede. Perciò sai che, recandoti in chiesa una mattina all'alba per assistere alla messa, essendo stata poco prima tormentata dal demonio, ti mettesti diritta davanti all'Altare del Crocifisso; intanto il sacerdote era venuto all'altare di Maria. E tu te ne stavi là a considerare il tuo difetto perchè temevi d'avermi offeso per la molestia a te arrecata dal demonio, e a contemplare l'ardore della mia Carità che ti aveva resa degna di partecipare alla Messa - sebbene ti reputassi indegna persino di entrare nel mio Tempio santo - allorchè il sacerdote giunse all'atto della consacrazione, tu alzasti gli occhi su di lui.

E mentre egli pronunciava le parole sante della consacrazione, Io mi manifestai a te; e tu vedesti uscire dal mio petto un lume, come il raggio esce dal disco del sole senza tuttavia staccarsene. Entro quel raggio di luce, strettamente ad esso unita, scendeva una colomba, e veniva a colpire l'Ostia in virtù delle parole della Consacrazione pronunciate dal mio ministro. Di fronte a ciò il tuo occhio corporeo non bastò a sopportare la luce, ma ti rimase solo l'occhio dell'intelletto, con il quale vedesti e gustasti l'abisso della Trinità, tutto Me, Dio e Uomo, nascosto sotto il velo della bianchezza. Tuttavia la luce e la presenza del Verbo che tu vedesti mentalmente sotto quella specie, non cancellavano la bianchezza del Pane, nè quel Pane era cancellato da Me, perchè non gli veniva tolta la bianchezza, nè il poterlo toccare e gustare!

Tutto questo ti fu mostrato dalla mia divina bontà, come ti ho detto. A chi rimase la capacità di vedere? All'occhio dell'intelletto con la pupilla della santissima Fede; così che il vedere spetta principalmente all'occhio dell'intelletto, in quanto questo non può essere ingannato.
Con l'occhio dell'intelletto dovete contemplare questo santissimo Sacramento!
E chi lo può toccare? La mano dell'Amore....l'Ostia si tocca per fede con la mano dell'Amore, perchè è con l'Amore che Io sono li presente tutto Dio e tutto Uomo, gratuitamente!
E chi lo può gustare? il gusto del santo desiderio. Il gusto del corpo sente il sapore del pane, e il gusto dell'anima sente Me, per mia somma bontà, tutto Dio e tutto uomo!

Vedi, dunque, come i sensi corporei vengono ingannati, ma non è ingannato il sentimento dell'anima: questa viene assicurata e illuminata in sè stessa, perchè l'occhio dell'intelletto ha visto e gustato con la pupilla della santissima fede.
E poichè vide, conobbe, e perciò lo tocca con la mano dell'Amore, poichè ciò che ha visto ora tocca, vive per amore e per fede! E con il gusto dell'anima, unito all'ardente desiderio, assapora la mia infuocata Verità.

Vedi, dunque, come dovete ricevere e contemplare questo Sacramento, non soltanto col sentimento corporeo, ma col sentimento spirituale, disponendo il sentimento dell'anima a riceverlo e a gustarlo, come ti ho detto.
…O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l'unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell'Unigenito Figlio! Tu. Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti.
Tu sei insaziabile; e l'anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce.
Io ho gusto e veduto con la luce dell'intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura.
Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.
Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore ed io creatura; ed ho conosciuto perché tu me ne hai data l'intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura.
O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell'anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità.
Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d'amore ti sei dato agli uomini.
Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità. Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza. Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna.


30/01/2015 13:21

Sant'Ignazio di Loyola

 
 
Dal Diario
 
[Messa] dello Spirito Santo
 
Lunedì [11 febbraio 1544] - Durante l’orazione solita, senza elezione, mentre rinnovavo l’offerta e nel pregare Dio nostro Signore che l’oblazione di ieri fosse accolta dalla sua divina maestà, molta devozione e lacrime. Un po’ di tempo dopo, nel colloquio con lo Spirito Santo in preparazione a celebrarne la messa, con la stessa devozione e lacrime mi pareva di vederlo, o sentirlo, come luce intensa o colore di fiamma di fuoco, insolita.
 
Tutto questo consolidava l’elezione che avevo fatto.
In seguito mi dispongo a riflettere e a fare elezione, quanto a me già risoluto. Dopo aver cercato il foglio dove avevo scritto i pro e i contro, per tornare a considerarli, nel fare orazione a nostra Signora e poi al
Figlio e al Padre perché mi dia il suo Spirito che mi assista a riflettere e a discernere - anche se ritenevo la cosa come già decisa - provo grande devozione e comprendo certe verità, vedendole con qualche chiarezza.
 
Poi mi sedetti a considerare, in generale, la questione del tenere le rendite, tutte, solo in parte, o niente; ma mi spariva la voglia di esaminarne alcuna ragione. Allora mi si presentavano altre riflessioni, cioè come il Figlio prima inviò gli apostoli a predicare in povertà, poi lo Spirito Santo li confermò comunicando loro la propria forza in lingue di fuoco; così, dal momento che il Padre e il Figlio inviarono lo Spirito Santo, tutte e tre le Persone confermarono quella missione [in povertà].
 
Allora, mentre subentrava in me più intensa devozione e scompariva ogni voglia di prendere ancora in considerazione quell’argomento, con lacrime e singhiozzi feci l’offerta al Padre di non possedere nulla, stando in ginocchio e con tante lacrime giù per il volto e singhiozzi, durante l’offerta e dopo, che quasi non mi potevo rialzare per i singhiozzi e le lacrime causati dalla devozione e dalla grazia che ricevevo.
Riuscito finalmente a rialzarmi, sopravvenne nuova devozione con singhiozzi suscitati dall’aver fatto l’offerta di non possedere nulla, che ritenevo ormai definitiva, valida, eccetera.
 
In seguito, di li a poco, mentre passeggiavo, al ricordo di ciò che era accaduto, nuova mozione interiore e devozione con lacrime. Poco dopo, sul punto di recarmi a celebrare la messa, facendo breve preghiera, devozione intensa e lacrime nel sentire o vedere, in certo modo, lo Spirito Santo a conferma dell’elezione come cosa definitiva; e non potevo vedere così né sentire nessuna delle altre due Persone divine. Poi in cappella, prima e durante la messa, abbondanza di devozione e di lacrime. In seguito, grande tranquillità le sicurezza nell’anima, come di uno che, stanco, si abbandona a pieno riposo, deciso a non cercare, e nemmeno pensar di cercare ulteriori considerazioni. Ritenevo la questione ormai definita [e di non doverci tornare più sopra] se non per ringraziare, per esprimere la devozione al Padre e alla Trinità la cui messa già in precedenza avevo pensato di celebrare martedì mattina.
 
 
[Messa] del Nome di Gesù
 
Sabato [16 febbraio 1544] - Orazione consueta senza sentire i Mediatori, senza freddezza né tiepidezza, anzi con discreta devozione. Volendo prepararmi alla messa ero incerto a chi raccomandarmi per primo, e in che modo. Con questa incertezza mi misi in ginocchio considerando da dove incominciare; e mi pareva che più di tutti il Padre mi si manifestasse, e mi attraeva alla sua misericordia, e interiormente lo sentivo più favorevole e più disposto che io impetrassi quello che desideravo (e non riuscivo a pregarlo per mezzo dei Mediatori); e questo sentire o vedere cresceva, con un profluvio di lacrime giù per il viso, con una fiducia grandissima per il Padre, mentre si placava il senso di isolamento che prima sentivo.
 
Poi, andando a celebrare, nel preparare l’altare, nell’indossare i paramenti, nell’iniziare la messa, molte e intense lacrime, attrazione verso il Padre al quale orientavo le cose del Figlio, comprensione di molte verità importanti, gustose e assai spirituali. Dopo la messa, applicandomi a una particolare elezione per un’ora, esaminando bene la questione e la rendita proposta, ho l’impressione che si tratti di lacci e impedimenti del nemico; quindi con molta tranquillità e pace, facendone offerta al Padre, stabilii di non accettare rendite nemmeno per la chiesa. Riprendendo le altre elezioni giunsi alla stessa conclusione, non senza mozioni interiori e lacrime. La sera, riprendendo gli appunti per vedere i motivi dell’elezione e riflettervi sopra, al ricordo delle mancanze di quel giorno ho timore di andare avanti: forse dovrei differire l’elezione come il giorno prima. Infine decisi di procedere come le altre volte; ma non sapevo bene da dove cominciare a raccomandarmi, perché sentivo dentro di me una certa vergogna, o non so che, nei confronti della Madre; alla fine per prima cosa feci un accurato esame di coscienza di tutta la giornata, chiesi perdono, eccetera. Sentivo il Padre molto favorevole, ma non riuscivo a pregarlo per mezzo dei Mediatori. Alcune lacrime.
 
In seguito, sempre così infervorato, chiedo grazia di saper ragionare secondo il suo spirito e di lasciarmi guidare da esso; prima di rialzarmi mi pareva che non ci fosse motivo per insistere ulteriormente nell’elezione. Nel frattempo sono tutto inondato di lacrime, con devozione molto intensa, singhiozzi e favori spirituali; per un po’ mi preparo a fare la mia offerta di non accettare alcuna rendita nemmeno per la chiesa, e di non tornare più su questo argomento se non per ringraziare e rinnovare l’offerta allo stesso modo, o in forma più solenne nei due giorni successivi. Faccio questo con lacrime sovrabbondanti, ardore, interna devozione; e persistendo questo stato d’animo, mi sembrava di non potermi rialzare, anzi desideravo restare lì, così visitato interiormente.
 
Poco dopo mi si affaccia il pensiero che nei due giorni seguenti avrei potuto riprendere l’elezione, non essendo il contrario ancora ben determinato. Pur cercando di oppormi a quest’idea, essa mi turbava e mi
sottraeva a quella devozione così intensa. Infine rialzandomi mi metto a sedere e sottopongo per un poco questo problema a elezione: riflettendo su alcuni aspetti spirituali e cominciando alquanto a lacrimare, mi convinco che si tratta di una tentazione; perciò mi metto di nuovo in ginocchio, offro l’impegno di non fare più elezione su questo argomento e di impiegare invece i due giorni successivi, cioè fino a lunedì nel dire la messa in ringraziamento e nel rinnovare le offerte.
 
Mentre facevo questa offerta e oblazione, ancora tante lacrime, così abbondanti e accompagnate da tanti singhiozzi e doni spirituali che, dopo averla presentata al Padre alla presenza di nostra Signora, degli angeli, eccetera, perdurando lo stesso lacrimare, sentivo che mi mancava la volontà di alzarmi, anzi desideravo stare lì, in ciò che sperimentavo sensibilmente con tanta intensità. Alla fine, provando grandissima soddisfazione, mentre perduravano quella devozione e quelle lacrime, mi rialzai con il fermo proposito di attenermi all’oblazione che avevo fatto e a tutto ciò che avevo offerto.
 
 
[Messa] della Trinità – XIª
 
Giovedì [6 marzo 1544] - Nell’orazione consueta, senza fatica trovo subito devozione; è abbastanza intensa e, proseguendo, aumenta sempre più, con soavità grande e chiarezza mescolata a colore. Dopo essermi vestito, ancora discreta devozione e invito ad essa, facendo capo alla santissima Trinità.
 
Nella orazione preparatoria aderisco sempre più alla santissima Trinità, con maggiore quiete o serenità di spirito, mosso a più intensa devozione e come a lacrimare. Pur volendolo, non riesco a vedere cosa alcuna del passato circa la riconciliazione.
 
In cappella, devozione intensa e quieta; mentre preparo l’altare vanno aumentando certi sentimenti o nuove mozioni come a lacrimare. Più avanti, nell’indossare i paramenti e, mi sembra, anche in alcune fasi
precedenti, [fisso] il pensiero e l’attenzione su cosa volesse fare di me la santissima Trinità, cioè per quale via condurmi. Riflettendo sul come e in quale direzione voleva che io andassi, rimuginavo tra me e pensavo che forse voleva farmi contento senza il dono delle lacrime, senza che io fossi avido di esse o disordinato [nel desiderarle].
 
Do inizio alla messa con interiore e umile soddisfazione; proseguo nella celebrazione fino al Te igitur con devozione molto spirituale e molto soave; diverse volte, in modo assai blando e con soavità interna, mi viene come da lacrimare.
 
Al Te igitur sento o vedo, non oscuramente ma in modo lucido, molto lucido, lo stesso essere o essenza divina in forma sferica, un po’ più grande di come appare il sole. Da questa essenza pareva uscire o derivare  il Padre; così che al pronunciare Te, cioè Padre, l’essenza divina mi si presentava prima del Padre. In questo rappresentarmisi, o vedere, l’essere della santissima Trinità, senza distinguere o vedere le singole Persone, [provo] una molto intensa devozione alla cosa rappresentata, con molte mozioni ed effusioni di lacrime.
 
Vado avanti con la messa, riflettendo o ricordando, altre volte vedendo la stessa cosa, con abbondante effusione di lacrime, amore molto grande e intenso verso l’essere della santissima Trinità. Non vedo né
distinguo le Persone, ma solo quell’uscire o derivare del Padre, come ho accennato.
 
Al termine della messa, tante lacrime e visite spirituali. Pur osservando attentamente non riesco a vedere cosa alcuna che possa ostacolare la riconciliazione. Sento una grande sicurezza e non posso avere dubbi circa la cosa rappresentata e vista; anzi, tornando a fissare lo sguardo e a riflettere su di essa, [ho] nuove mozioni interiori che mi trasportano tutto ad amare la cosa rappresentata, al punto che mi sembra di vedere più chiaro, al di là dei cieli, ciò che quaggiù cercavo di esaminare con l’intelletto: là c’era tutta quella luce, come ho detto.
 
Tolti i paramenti, nell’orazione all’altare, di nuovo mi si mostra lo stesso essere e la visione come di una sfera. Vedevo in qualche maniera tutte e tre le Persone come avevo visto la prima, cioè da una parte il Padre, dall’altra il Figlio, da un’altra lo Spirito Santo che emanavano o derivavano dall’essenza divina, ma senza uscire fuori dalla visione sferica.
 
Con questo sentire e vedere [provo] altre mozioni a lacrime. Recatomi in San Pietro, mentre comincio una preghiera all’altare del Santissimo, mi si ripresenta, sempre col medesimo colore lucido, lo stesso essere divino; e non mi e possibile non vederlo. Poi, mentre assisto alla messa del cardinale di Santa Croce, ho la stessa visione e rappresentazione, nel modo di prima, con nuove mozioni interiori. Due ore dopo scendo allo stesso altare del santissimo Sacramento col desiderio di ritrovare quel [dono spirituale] di prima; ma per quanto lo cerchi non c’era verso [di ritrovarlo].
 
La sera poi, appena scritte queste [cose], mi si ripresenta lo stesso [essere] ; e vedo qualche cosa con l’intelletto, però in gran parte non tanto chiara, né tanto distinta, né della stessa grandezza: era come una grossa scintilla. Ma nel [modo di] presentarsi all’intelletto e di attirarlo a sé, mostrava che era lo stesso [di prima].


30/01/2015 13:22

Santa Teresa d'Avila

«Mentre l'anima è ben lontana dall'aspettarsi di vedere qualcosa, e non le passa neppure per la mente, d'un tratto le si presenta tutta intera la visione che sconvolge le potenze e i sensi, riempiendola di timore e di turbamento, per poi darle una pace deliziosa e l'anima si ritrova con la cognizione di tali sublimi verità da non aver più bisogno di alcun maestro.»
“Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa, Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto.
Chi ha Dio ha tutto. Dio solo basta.”  
…Considerate, o Eterno Padre, che tanti flagelli, strapazzi e penosissime sofferenze non sono cose da dimenticarsi. Ed è dunque possibile, Creator mio, che un cuore tanto affettuoso come il vostro, sopporti che si faccia così poco conto, come ai nostri giorni, di ciò che vostro Figlio ha effettuato con tanto amore, unicamente per contentarvi e per obbedire ai vostri comandi, quando gli ingiungeste di amarci fino a lasciarsi nel SS. Sacramento, che ora gli eretici oltraggiano, distruggendo i suoi tabernacoli e demolendo le sue chiese?
Forse che vostro Figlio deve fare qualche altra cosa per contentarvi? Non ha Egli già fatto tutto? Non è forse bastato che durante la sua vita gli mancasse perfino ove posare la testa, continuamente sommerso nelle tribolazioni? Bisogna proprio che oggi venga privato anche delle sue chiese, ove convoca i suoi amici, di cui conosce la debolezza, e sa che in mezzo alle loro prove hanno bisogno di essere fortificati con quel cibo che loro dispensa? Non ha forse già soddisfatto abbastanza per il peccato di Adamo? Possibile che ogni qualvolta noi torniamo ad offendervi, la debba sempre pagare questo innocentissimo Agnello? Non lo permetterete più, o mio sovrano Signore! Si plachi ormai la vostra divina Maestà! Non ché considerare i nostri peccati, ricordate che a redimerci fu il vostro Figlio sacratissimo. Ricordate i suoi meriti, i meriti della sua gloriosissima Madre, quelli di tanti santi e di tanti martiri che sono morti per Voi!
 
…Gesù, dicendo al Padre dacci oggi il nostro pane quotidiano, sembra che domandi questo pane soltanto per un giorno, cioè per la durata di questo mondo, che può dirsi appunto di un giorno. Egli lo chiede anche per gli infelici che si danneranno e che nell’altra vita non lo potranno più godere. Se questi sventurati si lasciano vincere dal demonio, non è certo per colpa sua, perché Egli nella lotta non cessa mai d’incoraggiarli. Per questo essi non avranno mai di che scusarsi, né mai da lamentarsi dell’Eterno Padre se ha loro tolto quel pane quando ne avevano più bisogno. Suo Figlio infatti dice: Giacché, Padre, ha da essere per un giorno, permetti di passarmelo in schiavitù.
Il Padre ce lo dette e lo mandò nel mondo per sua propria volontà; ed ora per sua propria volontà il Figlio non vuole abbandonare il mondo, felice di rimanere con noi a maggior gaudio dei suoi amici e a confusione dei suoi avversari. Questo, secondo me, è il motivo per cui ha ripetuto oggi; questa la ragione per cui il Padre ci elargì quel Pane divinissimo, e ci dette in alimento perpetuo la manna di questa sacratissima Umanità. Noi ora la possiamo trovare quando vogliamo, per cui se moriamo di fame è unicamente per colpa nostra. L’anima troverà sempre nel SS. Sacramento, sotto qualsiasi aspetto lo consideri, grandi consolazioni e delizie; e dopo aver cominciato a gustare il Salvatore, non vi saranno prove, persecuzioni e travagli che non sopporterà facilmente.

…Un giorno, appena comunicata, mi fu dato d’intendere che il corpo sacratissimo di Cristo viene ricevuto nell’interno dell’anima dallo stesso suo Padre. Compresi chiaramente che le tre divine Persone sono dentro di noi e che il Padre gradisce molto l’ offerta che gli facciamo di suo Figlio, perché gli si offre la possibilità di trovare in Lui le sue delizie e le sue compiacenze anche sulla terra. Nell’anima abbiamo soltanto la divinità, non l’umanità, perciò l’offerta gli è così cara e preziosa, che ce ne ricompensa con immensi favori.
Compresi pure che il Padre lo riceve in sacrificio anche se il sacerdote è in peccato, salvo che all’infelice non sono concessi i favori come alle anime in grazia. E ciò, non perché manchi al Sacramento la virtù d’influire, dipendendo essa dalla compiacenza con cui il Padre accetta il sacrificio, ma per difetto di chi lo riceve, a quel modo che non è per difetto del sole se i suoi raggi non riverberano quando cadono sulla pece come quando battono sul cristallo. Se ora mi dovessi spiegare, mi farei meglio comprendere. Sono cose che importa molto conoscere. Grandi misteri avvengono nel nostro interno al momento della comunione. Il male è che questi nostri corpi non ce li lasciano godere!
 
…Se il temperamento o qualche infermità non permettono di pensare alla passione del Signore per essere troppo penosa, nessuno vieta di far compagnia a Gesù risorto, giacché l’abbiamo così vicino nel SS. Sacramento, in cui si trova glorificato. No, non si regge a tener sempre fisso il pensiero nei grandi tormenti che Gesù ha sofferto. Ma qui si può contemplarlo non già afflitto e dilacerato, versante sangue da ogni parte, stanco dei viaggi, perseguitato da quelli a cui ha fatto del bene e disconosciuto dai suoi stessi apostoli, ma rifulgente di gloria e privo di dolori, stimolante gli uni, animante gli altri, e nostro compagno nel SS. Sacramento, per il quale ci permette di pensare che, in procinto di salire al cielo, non si sia sentito di allontanarsi da noi neppure un poco.
Eppure, o mio Dio, io mi sono allontanata da Voi nella speranza di meglio servirvi!... Quando vi abbandonavo con il peccato, almeno non vi conoscevo, ma conoscervi, Signore, e credere di meglio avanzare abbandonandovi!... Oh che falsa strada avevo preso, Signore! Anzi, ero del tutto fuori strada! Ma Voi avete raddrizzato i miei passi, e dacché vi vedo a me vicino, vedo pure ogni bene. Non mi è più venuta una prova che, mirandovi innanzi ai tribunali, non abbia sopportato facilmente. Tutto si può sopportare con un amico così buono, con un così valoroso capitano che per primo entrò nei patimenti.
 Egli aiuta e incoraggia, non viene mai meno, è un amico fedele. Per me, specialmente dopo quell’inganno, ho sempre riconosciuto e tuttora riconosco che non possiamo piacere a Dio, né Dio accorda le sue grazie se non per il tramite dell’Umanità sacratissima di Cristo, nel quale ha detto di compiacersi. Ne ho fatta molte volte l’esperienza, e me l’ha detto Lui stesso, per cui posso dire di aver veduto che per essere a parte dei segreti di Dio, bisogna passare per questa porta.
 
…Accostandoci al santissimo Sacramento con grande spirito di fede e di amore, una sola comunione credo che basti per lasciarci ricche. E che dire di tante? Ma sembra che ci accostiamo al Signore unicamente per cerimonia: ecco perché ne caviamo poco frutto. – O mondo miserabile che accechi chi vive in te, onde non veda i tesori che potrebbe acquistare con l’eterne ricchezze!...
“Mi baci coi baci di sua bocca!” Signore del cielo e della terra!... Possibile che così intimamente si possa godervi fin da questa vita mortale, e che così bene lo Spirito Santo ce lo dia a conoscere con queste parole dei Cantici che noi non vogliamo ancora capire? Oh, le delizie che voi riservate alle anime secondo queste parole! Quali tenerezze! Quali soavità!
 Una sola di esse dovrebbe bastarci per liquefarci in Voi. Siate benedetto, Signore! No, non sarà mai per Voi che subiremo delle perdite. Per quali vie, per quanti mezzi ci dimostrate il vostro amore! Con le sofferenze, con i tormenti, con la vostra morte si dura, con la pazienza con cui ogni giorno sopportate e perdonate le ingiurie. E quasi ciò non bastasse lo dimostrate ancora con le parole che in questi Cantici rivolgete all’anima che vi ama, insegnandole a ripeterle pure a Voi. Sono parole che feriscono così al vivo, che senza il vostro aiuto, non saprei proprio come, sentendole, si possano sopportare.
 
…«C'è un modo in cui il Signore parla all'anima e a me sembra un segno sicurissimo della sua opera: è la visione intellettuale. Ha luogo così nell'intimo dell'anima e sembra di udire così chiaramente e al tempo stesso segretamente, con l'udito spirituale, pronunciare proprio dal Signore quelle parole, che lo stesso modo di intendere, insieme con ciò che la visione opera, rassicura e dà la certezza che il demonio non può intromettersi minimamente. I grandi effetti che lascia sono, appunto, motivo di crederlo; se non altro c'è la sicurezza che non procede dall'immaginazione, sicurezza che con un po' di avvertenza si può sempre avere per le seguenti ragioni.
La prima perché c'è una evidente differenza circa la chiarezza del linguaggio: nelle parole di Dio essa è tale che ci si rende conto anche di una sola sillaba mancante e si ha il ricordo preciso del diverso modo in cui tale parole ci sono state dette.
La seconda, perché spesso non si pensava nemmeno a ciò a cui le parole si riferiscono - intendo dire che vengono all'improvviso, a volte anche mentre si sta in conversazione - e spesso riguardano cose mai pensate né credute possibili.
La terza, perché nelle parole di Dio l'anima è come una persona che ode, mentre in quelle dell'immaginazione è come una persona che va componendo a poco a poco ciò che ella stessa desidera udire.
La quarta, perché le parole sono assai diverse, e una sola di quelle divine fa capire molto più di quello che il nostro intelletto non potrebbe mettere insieme in così breve spazio di tempo. La quinta, perché insieme con le parole, spesso, in un modo che io non saprei spiegare, si comprende assai più di quello che significano, benché senza suoni».
 
 
…«Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo. Voler fare gli angeli, stando sulla terra, è una pazzia; ordinariamente, invece, il pensiero ha bisogno d'appoggio, benché talvolta l'anima esca così fuori di sé, e molte altre volte sia così piena di Dio, da non aver bisogno, per raccogliersi, di alcuna cosa creata.
Ma questo non avviene molto di frequente; pertanto, al sopraggiungere di impegni, persecuzioni, sofferenze, quando non si può avere più tanta quiete, o in caso di aridità, Cristo è un ottimo amico, perché vedendolo come uomo, soggetto a debolezze e a sofferenze, ci è di compagnia.
Prendendoci l'abitudine, poi, è molto facile sentircelo vicino, anche se alcune volte avverrà di non poter fare né una cosa né l'altra. Per questo è bene non adoperarci a cercare consolazioni spirituali; qualsiasi cosa succeda, stiamo abbracciati alla croce, che è una grande cosa.
Il Signore restò privo di consolazione; fu lasciato solo nelle sue sofferenze; non abbandoniamolo noi, perché egli ci aiuterà a salire più in alto meglio di quanto avrebbe potuto fare ogni nostra diligenza e si allontanerà quando lo riterrà conveniente o quando vorrà trarre fuori l'anima da se stessa. Dio si compiace molto nel vedere un'anima prendere umilmente per mediatore suo Figlio e amarlo tanto che, pur volendo Sua Maestà elevarla a un altissimo grado di contemplazione, se ne riconosce indegna, dicendo con san Pietro: Allontanatevi da me, Signore, perché sono uomo peccatore (Lc 5,8)».


30/01/2015 13:23

San Filippo Neri

 
 
Sull'amore a Cristo e a Dio
 
A questo fine diceva spesso che non si cercasse altro che Christo, dicendo spesso: Chi vuol altro che Christo non sa quel che vole, e chi vuole altro che Christo non sa quel che domanda. Diceva ancora: Vanitas vanitatum et omnia vanitas, se non Christo (ricordo n.45 del Maffa).
Di più diceva che era tanto utile e necessario questo staccamento dalle cose terrene per servire a Dio, che se havesse avuto diece persone veramente staccate e che non volessero altro che Christo, gli bastava l'animo di convertir tutto il mondo (ricordo n.49 del Maffa).
 
Se l'anima ha da Dio l'esser perfetto,
sendo, com'è, creata in un istante,
e con mezzo di cagion cotante
come vincer la dee mortal oggetto?

Là 've speme, desio, gaudio e dispetto
la fanno tanto da se stessa errante,
sì che non veggia, e l'ha pur sempre innante,
chi bear la potria sol con l'aspetto.

Come ponno le parti esser rubelle
ala parte miglior, né consentire?
e quella servir dee, comandar quella?

Qual prigion la ritien, ch'indi partire
non possa, e alfin col pie' calcar le stelle;
e viver sempre in Dio, e a sé morire?
 
 
Sull'equilibrio umano
 
Et per instruir meglio i suoi figlioli spirituali nello stato della discrezione, dicea che non bisognava fare ogni cosa in un giorno, et che non si diventa santo in quattro dì, ma a poco a poco, di grado in grado. (ricordo n.14 del Maffa)
 
Essortava ancora a fugire ogni sorta di singularità e voler mostrare di essere e fare di più degli altri, e per questo diceva spesso che non gli piacevano queste estasi o ratti in pubblico, come cosa pericolosissima, e che chi vole volare senza ale bisogna pigliarlo per i piedi e tirarlo in basso. (ricordo n.25 del Maffa) Come lei sa la poesia è faticosa alla testa e per conseguenza non può partorire sanità, generando humore malenconico et altri mali quali detto Padre dice havere cognosciuto in molti che hanno atteso a simile esercitio… (parole riportate da p.Fedeli, portavoce di S.Filippo Neri presso Giovenale Ancina, convalescente da una grave malattia)
 
Io Filippo Neri sopraintendente affermo non solo quanto di sopra, ma è molto più bisognerà crescere nelle spese, accrescendo il popolo e la divotione (lettera nell'Archivio di S.Giovanni dei Fiorentini con cui Filippo chiede più soldi alla “nazione fiorentina”).
 
E' proverbiale l' episodio nel quale una madre porta a S.Filippo Neri la figlia che afferma di vedere i santi e la Madonna; S.Filippo la guarda negli occhi ed esclama: “Che si sposi!”
 
Non giudico atto a questo offitio il p.Giovanni Francesco Bordini, quale, se bene ha di molte belle parti e virtù, che ne deve rendere gratie a Nostro Signore Iddio, l'ho trovato sempre duro et di proprio parere, monstratolo in particolare nel volere vencere di comprare le case delle monache contro mio volere et senza necessità; il che, oltra al havere comprato case vecchie et muraglie fracide…
 
(inoltre a S.Giovanni dei Fiorentini) si stava colle porte aperte, de sorte che la chiesa era impraticabile et a forestireri et a noi di casa, pel freddo grande et vento che entrava per tutto. Si che, non havendo imparato, tra l'altre virtù ch'ha, d'obedire et de credere troppo al suo parere et giudicio, non è atto a comandare né governare…
 
Né meno reputo atto a questo governo il p.Antonio Talpa, che anco egli è troppo affetionato alle sue opinioni, senza cedere all'altrui quantunche migliore siano: come mostrò per voler fare un disegno de cavar acqua, quando si incomenzò a fabricare, nel che nacque et spesa et inconvenienti in casa… (dalle
Disposizioni del 1585, quando era stata da poco annessa l'Abbazia di S.Giovanni in Venere e si stava per aprire la filiale di Napoli).
 
Sul rapporto con i Papi
 
Il signor Cardinale si fermò poi sino a doi hore di notte, e disse tanto bene di vostra Santità, più di quello che mi pareva, essendo ella Papa, dovrebbe essere l'istessa humiltà. Christo, a sett'hore di notte, si venne a incorporare con me, e vostra Santità guarda che la venisse, pur una volta nella nostra chiesa. Christo è huomo et è Dio, e mi viene, ogni volta che io voglio, a visitare; e vostra Santità è huomo puro, nato d'un huomo santo e da bene; esso nato da Dio Padre. Vostra Santità nato dalla signora Agnesina, santissima donna; ma esso nato dalla Vergine delle Vergini. Harei che dire, se volessi secondare la collera che ho.
 
(dalla lettera che Filippo malato scrisse negli ultimi anni al Papa Clemente VIII, rimproverandolo di non essere ancora venuto a trovarlo; il Papa, suo carissimo amico, mandò a rispondere, fra l'altro: “Del non essere venuta a vederla, dice che Vostra Reverentia non lo merita, poiché non ha voluto accettare il cardinalato, tante volte offertoli… Et quando Nostro Signore la viene a vedere, lo preghi per lui et per i bisogni urgenti della Christianità”).
 
Sull'amore ai fratelli
 
Per questo diceva spesso che il lasciare i suoi gusti per aiuto del prossimo, cioè spirituali, era atto di gran perfezione et era lasciar Christo per Christo (ricordo n.53 del Maffa).
 
Soleva dire alle persone che andavano a servir gli infermi degli hospedali o a far altra simil opera di charità che non bastava far il servitio semplicemente a quello infermo, ma che bisognava, per farlo con maggior charità, imaginarsi che quello infermo fosse Christo e tener per certo che quello che faceva a quell'infermo lo faceva all'istesso Christo e così si faceva con amore e maggior profitto dell'anima (ricordo n.40 del Maffa).
 
…diceva che per essere perfetto non basta a obedire et honorare i superiori, ma bisognava honorare gli uguali et inferiori (ricordo n.24 del Maffa).
 
Sulla grazia
 
Signore, non aspettar da me se non male e peccati; Signore, non ti fidar di me, perché cadrò al certo, se non m'aiuti (ricordo n.42 del Maffa).
 
Sull'umiltà
 
Diceva ancora che per arrivare alla perfettione della vita spirituale e per acquistare perfettamente il dono dell'humiltà sono necessarie quattro cose, cioè: spernere mundum, spernere nullum, spernere se ipsum, spernere se sperni (ricordo n.3 del Maffa).
 
Sulla gioia
 
Voleva ancora che le persone stesser alegre dicendo che non gli piaceva che stessero pensose e malinconiche, perché faceva danno allo spirito, e per questo sempre esso beato Padre, ancora nelle se gravissime infermità, era di viso gioviale et allegrissimo, et che era più facile a guidare per la via dello spirito le persone alegre che le malinconiche (ricordo n.33 del Maffa).
 
Non gli piacevano gli scrupoli, come cose che inquietano assai la conscientia, et per questo molte volte da chi gli voleva dire in confessione, non voleva sentirle (ricordo n.35 del Maffa).
 
Raccomandava a tutti la quiete della conscientia e per questo a un certo suo proposito disse una volta che quando la persona volesse fare qualche voto cercasse di farlo condizionato: se potrò, se mi si ricorderà, o in altro simil modo (ricordo n.34 del Maffa).
Diceva ancora che doppo le tentationi non bisognava starvi a discorrere se la persona haveva consentito o no, perché molte volte per simili pensieri solevano tornare le medesime tentazioni (ricordo n.91 del Maffa).
 
Amo, e non posso non amarvi, quando
resto cotanto vinto dal desio
che 'l mio nel vostro, e 'l vostro amor nel mio;
anzi ch'io 'n voi, voi 'n me ci andiam cangiando.

E tempo ben saria veder il quando
ch'alfin io esca d'esto carcer rio,
di così folle e così cieco oblio,
dov'io mi trovo, e di me stesso in bando.

Ride la terra e 'l cielo e l'ora e i rami,
stan quieti i venti, e son tranquille l'onde,
e 'l sol mai si lucente non apparse.

Cantan gli augelli: Chi dunc'è che non ami
e non gioisca? Io sol, che non risponde

la gioia alle mie forze inferme e scarse.
 
 
Sulla preghiera
 
Diceva ancora che non si domandasse mai al Signore una gratia assolutamente, come la sanità o altra simil cosa, ma sempre con conditione se gli piace o se è per il meglio (ricordo n.36 del Maffa).
 
Sulle virtù e i vizi
 
Essortava tutti spessissime volte con infocati raggionamenti alla virtù della castità, dicendoli: Si guardino li giovani dalla carne e li vecchi dall'avaritia (ricordo n.64 del Maffa).
 
Sulla preghiera e il padre spirituale
 
…diceva che non ci era cosa che il demonio havesse più a male quanto l'oratione (ricordo n.74 del Maffa)
Diceva anche che non bisognava mai fidarsi di se stesso, ma consigliarsi sempre con il padre spirituale e raccomandarsi all'oration di tutti (ricordo n.85 del Maffa).
 
Diceva poi a tutti quelli che desideravano la salute dell'anima loro che avanti si eleggessero un confessore ci pensassero bene, ma poi che l'havessero preso non lo lasciassero mai e gl'havessero grandissima fede, conferendogli ogni minima cosa, perché il Signore non lo lascerà mai errare in cosa che fusse per la salute dell'anima loro (ricordo n.109 del Maffa).
 
Sulle sofferenze altrui
 
Avvertiva ancora che quando una persona andava a visitare un infermo non facessi del profeta con dire che l'infermo morirebbe overo non morirebbe, perché diceva che vi erano state persone che havevano detto che un infermo sarebbe morto, e poi quando guariva gli rincresceva che fusse guarito perché la profezia non era riuscita (ricordo n.107 del Maffa).
 
Diceva anche che quando si andava a raccomandar l'anima di alcun moriente che un bonissimo aiuto era a pregar per quell'anima e che bisognava dile poche parole et di raro (ricordo n.139 del Maffa)
 
Sull'aridità
 
Diceva ancora che le persone spirituali dovevano esser designate tanto a sentire i gusti di Dio come a stare in aridità di spirito et della devotione tutto quello tempo che piace a Dio, non si lamentando mai di cosa alcuna (ricordo n.139 del Maffa).
 
Sui sacerdoti
 
Consigliava alli sacerdoti, massime che vivono in comune, che cercassero in quanto fusse possibile di non haver niente in particolare in sacrestia e gli diceva che non havessero mai hora particolare, né altare, né altra cosa, ma che dicessero la messa quando erano chiamati e dove erano mandati (ricordo n.106 del Maffa).


30/01/2015 13:24

San Carlo Borromeo

 

Ti adoriamo, Ostia divina,

ti adoriamo, Cristo, Figlio del Dio vivente,

che ti sacrificasti per la nostra salvezza.

Tu per darci un segno della tua immensa carità verso di noi,

ci hai lasciato, sotto le specie del pane e del vino,

il tuo corpo divino come cibo

e il tuo sangue prezioso come bevanda,

perché in quell’Ostia consacrata, o Cristo santo,

sei presente tu, vero Dio e vero uomo.

«Veramente tu sei un Dio nascosto» e invisibile,

che sotto altre specie sei visibilmente ricevuto da noi

e, così ricevuto, cancelli i peccati, purifichi le anime,

doni la grazia, accresci le virtù, aumenti i favori

e ci guidi alla vera grandezza.

Fa’ che solo a te si dirigano

il nostro affetto e le nostre opere;

che cerchiamo te solo

e che, dopo averti trovato,

mai, né per tentazione, né per passare il tempo,

ci separiamo da te.

Così ci sia dato di passare

da questa dimora terrena a quella eterna del cielo. Amen.

 

Omelia di san Carlo Borromeo nella solennità del Corpus Domini

 

Tutti i misteri del nostro salvatore Gesù Cristo sono sublimi e profondi: noi li veneriamo in unione con la sacrosanta madre Chiesa.

Tuttavia il mistero odierno, l’istituzione del santissimo sacramento dell’eucaristia, attraverso il quale il Signore si è donato in cibo alle anime fedeli, è così sublime ed elevato da superare ogni comprensione umana. Così grande è la degnazione del sommo Dio, in esso riluce tale amore che ogni intelligenza viene meno; nessuno potrebbe spiegarlo a parole né comprenderlo con la mente… Nel Vecchio Testamento è narrata la nobilissima storia dell’agnello pasquale che doveva essere mangiato dentro casa da ogni famiglia; qualora poi ne fosse avanzato e non potesse essere consumato, lo si doveva bruciare nel fuoco.

 

Quell’agnello era figura del nostro Agnello immacolato, Cristo Signore, da offrire per noi all’eterno Padre sull’altare della croce… Quale motivo, se non l’amore soltanto, poté spingere il Dio buonissimo e grandissimo a donarsi in cibo a quella misera creatura che è l’uomo, ribelle dal principio…

 

Tu, Cristo Gesù, che sei il Pane degli angeli, non hai sdegnato di divenire il cibo degli uomini ribelli, peccatori, ingrati. Oh grandezza della dignità umana!... Dio ci ha fatto un favore singolare! Il suo amore per noi è inesplicabile! Solo questa carità poté spingere Dio a fare tanto per noi. Perciò come è ingrato chi nel suo cuore non medita e non pensa sovente a questi misteri!

 

 

O Signore Dio, mi hai tanto favorito,

mi hai concesso tante grazie,

mi hai eletto al tuo servizio,

chiamato ad una vocazione tanto sublime,

arricchita da tanti tesori spirituali;

compi, Signore, questa tua opera,

donami grazia e luce e spirito

perché io corrisponda, con la mia vita, a tanti beni.

 

Dai Sermoni  tenuti da San Carlo alle monache dette Angeliche(Sermone V)

 

Beate voi, dilettissime figliuole, che per questo siete entrate in religione, per nutrirvi solo di Dio, per gustare solo di Dio! A voi particolarmente è concessa la grazia, data la comodità di andare in Cappella frequentemente, e colà adorare il sacro e divin Corpo del Salvatore nostro, O sorelle, che tesoro ci ha donato il Signore Dio! Che benevolenza, che amore verso questa sua creatura! Non si può capire, eccede la capacità umana.

 

O dilettissime, sono queste considerazioni che confondono, che umiliano la nostra superbia, che accendono l’animo a gratitudine e amore verso Dio; e se lo devono fare tutti i Cristiani, a voi particolarmente conviene, da voi si attende sia per la conoscenza che è maggiore, sia per la grazia che è più grande, potendo voi a volontà, come vi dicevo prima, andare in Cappella, adorare quel divin Corpo e lì presentare le vostre lacrime, i vostri sospiri, i vostri bisogni e desideri, con tanta speranza di essere esaudite.

 

In queste sante meditazioni, dilettissime, dovreste continuamente essere occupate, godere di questa vocazione alla quale vi ha chiamato il Signore Dio, approfondire con vivo sentimento questo amore che lo ha spinto a morire per noi, e donargli voi stesse con cuore largo, pronto, sereno, generoso, e risoluto a patire qualunque cosa per amor suo. E sebbene gli abbiate già fatto questa offerta per mezzo della professione santa, non cessate di rinnovarla, donandogli di nuovo quanto già gli offriste per celebrare con frutto particolare questa sacra festa.

 

E non dimenticate mai che il Signore è morto per voi: questo sia il sigillo del vostro cuore, il suggello delle vostre meditazioni ed opere: questo vi faciliti ogni cosa difficile, questo vi dia coraggio nel distacco da voi stesse e da tutte le cose terrene, dicendo fra di voi: Se il Signore si è donato tutto a me, come non darò tutta me stessa a lui? Se il Signore, dico, non ha risparmiato neanche la propria vita per salvarmi, perchè non mi distaccherò da tutte le cose per salvarmi? Perchè non darò io le ricchezze, gli onori, ma anche la vita stessa per chi si è dato tutto a me? Che cosa potrà essere, dilettissime figliuole, tanto difficile, tanto pesante, tanto amaro che noi non facciamo, sopportiamo, gustiamo per amore di chi ha superato ogni duro e difficile scoglio, portato ogni grave peso, gustato ogni amarezza per amor nostro? Che forza non dovrebbero avere in noi questo dolce ricordo, questo soave pensiero, queste amorose parole: che Dio è morto per noi? Vuol forse il Signore Dio il nostro oro, il nostro argento, le nostre facoltà soltanto?

 

No, vuole il nostro cuore, proprio il nostro cuore; questo dunque offriamogli, dilettissime figliuole, a lui consacriamo con animo generoso gli affetti, i desideri ed ogni volontà e facoltà nostra: e distaccati da queste cose terrene, fortificati da quel sacro cibo del suo divin Corpo ce ne cammineremo velocemente con vero gaudio ed allegrezza verso la patria beata, della quale il Signore si degni favorirci.

 

Signore Dio,

questo mio cuore è tutto tuo,

altro non ama,

altro non vuole,

altro non desidera che te solo:

attiralo a Te, Signore Dio,

ed innamoralo perfettamente di Te.

 

…La mia anima non smetta mai di lodare il Signore che non finisce mai di elargire i doni…


30/01/2015 13:27

San Giovanni della Croce

 
O fiamma d’amor viva,
che amorosamente ferisci
della mia anima il più profondo centro!
poiché non sei più dolorosa,
se vuoi, ormai finisci;
squarcia il velo di questo dolce incontro.  
 
Dagli scritti  
 
…Sentendosi, ormai, l’anima tutta infiammata nella divina unione e avendo il palato tutto impregnato di gloria e amore, e riversando sin dall’intimo della sua sostanza fiumi di gloria, sovrabbondando di gioia, e vedendo sgorgare dal suo ventre fiumi di acqua viva, che il Figlio di Dio disse sarebbero sgorgati da tali anime (Gv 7,38), le sembra di essere trasformata in Dio con tanta forza, e così altamente da Lui posseduta e adorna di tali beatitudine da non esserne separata che da un velo sottile.
E siccome vede che quella fiamma delicata d’amore, che arde in lei, ogni volta che l’investe la esalta con soave ed eccelsa gloria, tanto che ogni volta che l’assorbe e la travolge crede che le doni la vita eterna, le sembra che, ormai, manchi molto poco perché il velo di questa vita mortale si rompa, ma che per questo poco non finisce di essere glorificata essenzialmente, e si rivolge con grande desiderio alla fiamma, che è lo Spirito Santo, perché squarci il velo della vita mortale per mezzo di quel dolce incontro, e termini di comunicarle veramente ciò che ogni volta sembra concederle, ossia la gloria assoluta e perfetta. Così dice:
 
O fiamma d’amor viva
 
L’anima, per sottolineare il sentimento e la riconoscenza con cui parla in queste quattro strofe, mette in ogni verso le parole O! quanto!, che esprimono affettuoso compiacimento e che, ogni volta che si pronunciano, fanno comprendere di ciò che è spirituale più di quello che si comunica con la lingua. La o! serve per descrivere un grande desiderio e un’ardente preghiera rivolta a persuadere; e per ottenere entrambi gli effetti l’anima l’usa in questa strofa, perché con essa esprime e confessa il suo grande desiderio, chiedendo all’amore che la liberi.
 
Questa fiamma d’amore è lo spirito del suo Sposo, cioè lo Spirito Santo, che l’anima sente già in sé, non solo come fuoco che la possiede consumandola e trasformandola in soave amore, bensì anche come fuoco che, oltre a questo, in essa arde e getta fiamme, come già dissi .
E questa fiamma ogni volta che fiammeggia bagna l’anima nella gloria e la rinfresca per forgiarla con vita divina.
Tale è l’azione dello Spirito Santo nell’anima trasformata in amore che gli atti compiuti interiormente da lei sono un fiammeggiare, sono vampe d’amore nelle quali la volontà dell’anima, fatta tutt’amore con quella fiamma, sublimemente ama.
E cosi, questi atti d’amore dell’anima sono preziosissimi e uno di essi merita e vale molto di più di quanto ha compiuto in tutta la sua vita senza tale trasformazione, per quanto grande possa essere stato.
E la differenza che esiste tra l’abitudine e l’atto è la stessa che vi è fra la trasformazione d’amore e la fiamma d’amore, che a sua volta è la medesima che vi è fra il legno acceso e la sua stessa fiamma; poiché la fiamma è effetto del fuoco lì presente.
 
Possiamo perciò affermare che il modo abituale dell’anima, che si trova in stato di trasformazione d’amore, sia come quello del legno investito sempre dal fuoco e che i suoi atti sono la fiamma che nasce dal fuoco d’amore, che promana tanto più veemente, quanto più intenso è il fuoco dell’unione. In questa fiamma si uniscono e si innalzano gli atti della volontà, estasiata e assorta nella fiamma dello Spirito Santo, come l’angelo che salì a Dio con la fiamma del sacrificio di Manoach (Gdc 13,20).
In tale stato l’anima non può compiere da sé alcun atto, in quanto è lo Spirito Santo che li compie e la muove in essi: di conseguenza tutti i suoi atti sono divini, essendo Dio stesso colui che la crea e la muove.
A motivo di ciò, l’anima crede che ogni volta che questa vampa fiammeggia, facendola amare con diletto e gusto divino, le stia concedendo la vita eterna, poiché la eleva all’azione di Dio in Dio.
 
 
…Signore Dio, amato mio! Se il ricordo dei miei peccati t’impedisce ancora di concedermi ciò che ti chiedo, si compia, mio Dio, la tua volontà, che è quanto desidero di più. Mostra la tua bontà e la tua misericordia e sarai conosciuto attraverso di esse. Se poi aspetti le mie opere per concedermi ciò di cui ti prego, concedimele e compile tu in me; vengano pure le sofferenze che tu desideri accettare da me. Se poi non aspetti le mie opere, cosa aspetti, o clementissimo Signor mio? Perché tardi? Se, infine, dev’essere grazia e misericordia quella che ti chiedo per il tuo Figlio, accetta il mio piccolo contributo, se lo vuoi, e concedimi questo bene, poiché anche tu lo vuoi. Chi potrà mai liberarsi dai suoi modi di agire e dalla sua bassa condizione, se non sei tu, mio Dio, a sollevarlo fino a te nella purezza del tuo amore? Come potrà elevarsi fino a te l’uomo generato e formato nella bassezza, se non lo sollevi tu, o Signore, con la stessa mano con la quale l’hai creato? Non mi toglierai, o mio Dio, ciò che un giorno mi hai dato nel tuo unico Figlio, nel quale mi hai concesso tutto quello che desidero; perciò mi rallegrerò sapendo che non tarderai, se ti aspetto. Perché indugi tanto, se già ora puoi amare Dio nel tuo cuore? Miei sono i cieli e mia la terra, mie sono le genti, miei sono i giusti e miei i peccatori; gli angeli sono miei e mia è la Madre di Dio, tutte le creature sono mie. Dio stesso è mio e per me, perché Cristo è mio e tutto per me. E allora, cosa vuoi, cosa cerchi ancora, anima mia? Tuo è tutto questo ed è tutto per te. Non ti abbassare al di sotto di questo e non accontentarti delle briciole che cadono dalla mensa del Padre tuo. Va’ e gloriati della tua gloria; nasconditi in essa e godila, così saranno esauditi i desideri del tuo cuore.
 
 
…Se vuoi trovare la pace e la serenità dell’anima e servire davvero Dio, non ti accontentare di ciò che hai lasciato, perché forse trovi un impedimento nella via nuova che stai ora percorrendo, come o più di prima. Distaccati da tutto ciò che ti resta e afferra quella sola che ha tutto in sé, cioè la santa solitudine, unita alla preghiera e alla lettura santa e divina; persevera in questa, dimentico di tutte le cose create. A meno che non sia obbligato per dovere a occuparti di qualche altra cosa, sarai più gradito a Dio se saprai custodire e rendere perfetta la tua anima che se le ottenessi tutti i beni di questo mondo messi insieme; infatti qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? (Mt 16,26).
…Sono tre i segni del raccoglimento: il primo, se l’anima non è attratta dalle cose passeggere; il secondo, se ama la solitudine, il silenzio e attende solo a tutto ciò che è più perfetto; il terzo, se le cose che abitualmente le erano di aiuto, come le riflessioni, le meditazioni o atti di questo genere, ora la disturbano; l’anima, infatti, non ha altro sostegno nella preghiera che la fede, la speranza e la carità.
 
 
…Dodici stelle per arrivare alla somma perfezione: amor di Dio, amore del prossimo, obbedienza, castità, povertà, presenza in coro, penitenza, umiltà, mortificazione, preghiera, silenzio, pace.
 
 
…«Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo. Voler fare gli angeli, stando sulla terra, è una pazzia; ordinariamente, invece, il pensiero ha bisogno d'appoggio, benché talvolta l'anima esca così fuori di sé, e molte altre volte sia così piena di Dio, da non aver bisogno, per raccogliersi, di alcuna cosa creata.
Ma questo non avviene molto di frequente; pertanto, al sopraggiungere di impegni, persecuzioni, sofferenze, quando non si può avere più tanta quiete, o in caso di aridità, Cristo è un ottimo amico, perché vedendolo come uomo, soggetto a debolezze e a sofferenze, ci è di compagnia.
Prendendoci l'abitudine, poi, è molto facile sentircelo vicino, anche se alcune volte avverrà di non poter fare né una cosa né l'altra. Per questo è bene non adoperarci a cercare consolazioni spirituali; qualsiasi cosa succeda, stiamo abbracciati alla croce, che è una grande cosa.
Il Signore restò privo di consolazione; fu lasciato solo nelle sue sofferenze; non abbandoniamolo noi, perché egli ci aiuterà a salire più in alto meglio di quanto avrebbe potuto fare ogni nostra diligenza e si allontanerà quando lo riterrà conveniente o quando vorrà trarre fuori l'anima da se stessa. Dio si compiace molto nel vedere un'anima prendere umilmente per mediatore suo Figlio e amarlo tanto che, pur volendo Sua Maestà elevarla a un altissimo grado di contemplazione, se ne riconosce indegna, dicendo con san Pietro: Allontanatevi da me, Signore, perché sono uomo peccatore (Lc 5,8)».


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