. Al primo posto mettete la confessione e poi chiedete una direzione spirituale, se lo ritenete necessario. La realtà dei miei peccati deve venire come prima cosa. Per la maggior parte di noi vi è il pericolo di dimenticare di essere peccatori e che come peccatori dobbiamo andare alla confessione. Dobbiamo sentire il bisogno che il sangue prezioso di Cristo lavi i nostri peccati. Dobbiamo andare davanti a Dio e dirgli che siamo addolorati per tutto quello che abbiamo commesso, che può avergli recato offesa. (Beata Madre Teresa di Calcutta)
 
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San Tommaso d’Aquino

Ultimo Aggiornamento: 30/01/2015 12:17
30/01/2015 12:17

(92) Giovanni il Damasceno (ossia nativo della città di Damasco) è uno dei padri e dottori della Chiesa; vissuto tra il 650 e il 750, occupa un posto eminente anche nella poesia liturgica bizantina.

(93) Sal 62, 5-6. Queste parti di un animale commestibile erano considerate dagli ebrei le più gustose. Nel fervore della preghiera, l'anima visitata da Dio si sentiva come saturata da un cibo delicatissimo.

(94) Tra le in vocazioni liturgiche, la Chiesa ne ha inserito una mediante cui chiediamo d'essere liberati sia dal pericolo sempre incombente di peccare, sia dai castighi e dalle conseguenze meritati a causa delle precedenti trasgressioni.

(95) cf. 2 Cor 12, 8. Varie le interpretazioni circa la natura dello stimulus carnis (o angelus satanae). Su queste due metafore esprimenti una medesima realtà si sono avanzate le più disparate spiegazioni; più probabile pare l'allusione a una malattia che affliggeva l'apostolo e doveva essere nota ai destinatari della lettera. In ogni caso, va messo in evidenza l'insegnamento di fondo: Dio se ne serve per mantenere Paolo (che ha sperimentato le più vertiginose altezze mistiche) nella umiltà che è coscienza della dimensione creaturale.

(96) Eb 12, 9. Creatore, cioè, dell'anima umana e delle sostanze angeliche.

(97) cf. Sal 101, 20. Più sotto cf. ib. 27-28 e Sal 28, 30.

(98) cf. Sal 102, 19. Al di sopra di questo mondo in cui tutto ciò che esiste per via di generazione è destinato, attraverso successive fasi, a corrompersi fino al dissolvimento nei suoi principi sostanziali, stava - per la cultura greca - ciò che è immobile, imperituro, eterno.

(99) Santi possono dirsi tutti i cristiani in quanto messi a parte per il servizio di Dio mediante la vocazione elettiva. Dal gruppo dei testimoni presenti alla pentecoste, il termine si estese a tutti i credenti della Giudea e infine a ciascun fedele, compresi i convertiti dal paganesimo. Santi, cioè, in quanto purificati e incorporati al Cristo, nonché avviati al processo di personale santificazione che è la «metànoia» (radicale mutamento nel modo di pensare, di giudicare e di sentire, e quindi conversione incessante secondo gli orientamenti dei precetti o dei consigli evangelici).

(100) cf. Gb 5, l. Anche se nel contesto la frase rivolta a Giobbe dall'amico Eliphaz è in qualche modo ironica e forse va riferita agli angeli, rimane il senso di base e documenta l'antichissima consuetudine di ricorrere al patrocinio dei migliori.
Di fede è l'efficacia impetratoria e soddisfatoria dei vivi per altri vivi, valida pure nel rapporto di carità tra noi e le anime del purgatorio.
Anche l'apostolo Giacomo raccomanda la vicendevole carità della preghiera, tra presbiteri, comunità e singoli fedeli (cf. Gc 5, 16).

(101) Vescovo d'Antiochia martirizzato a Roma, Ignazio è autore tra l'altro di un epistolario, breve ma fondamentale documento del cristianesimo antico.

(102) Umiliatosi al di sotto della propria sublime dignità - col subire i più iniqui giudizi umani, soffrendo i patimenti e la morte da cui era esente anche in quanto uomo; sopportando insulti e derisioni; sperimentando la permanenza nel sepolcro e nell'oltretomba -, Cristo ha meritato quattro tipi di esaltazione: la risurrezione gloriosa; l'ascensione al cielo; l'innalzamento alla destra del Padre e il potere di giudicare sull'intero creato (cf. Sum. Theol., III, q. 49, a. 6).

(103) Dt 4, 24. L'alleanza col popolo eletto è concepita da Jahvè in termini nuziali, per cui l'idolatria ha sapore di adulterio e provoca l'ira contro i colpevoli, simile a un incendio dalle fiamme purificatrici.

(104) Sancire è lo stesso che fissare solennemente, rendendo irrevocabile un decreto e inviolabile un impegno. In tal modo, la cosa o la persona diveniva «sanc(i)ta», sancta.

(105) cf. Fil 3, 8. Alla prima tra le sette domande rivolte al Padre, corrisponde la beatitudine evangelica «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3), e il dono del timore.

(106) L'etimologia di sanctus «quasi san [guine tin] ctus» richiama ovviamente lo stile e forse l'ispirazione di Isidoro di Siviglia, per il quale i vocaboli rivelano significati emergenti dalla loro stessa natura oppure, spesso, dalla necessità di trovare dei sostegni per una determinata intuizione, di carattere per lo più apologetico.

(107) I Cor 15, 25. La citazione paolina si rifà al versetto di un salmo messianico (Sal 109, I): «Il Signore [Dio Padre] ha detto al mio Signore [cioè al Verbo incarnato]: 'Siedi alla mia destra fino a che io non avrò sistemato i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi'».

(108) L'inferno non è una vendetta di Dio, bensì la faccia scoperta del peccato, il rifiuto del dialogo, radicalizzato sino al rigetto d'ogni compromesso tra un uomo e la divinità, nonché del Cristo in funzione di mediatore.
Di notevole efficacia, quindi, la formulazione olandese dell'inferno come «peccato eterno»: uno stato d'indurimento morale in un'anima dove Dio e la sua grazia non riescono più a trovare il minimo spiraglio attraverso cui, per così dire, possa filtrare l'azione salvifica. L'inferno è qui rivelato nel definitivo auto isolamento del peccatore.
Si aggiunga che Dio non gode delle pene cui la sua giustizia, stando così le cose, deve lasciare libero corso. Anzi «perfino nella dannazione dei reprobi appare la misericordia, non già sotto forma di indulgenza [del resto rifiutata] ma per una certa clemenza, poiché punisce meno di quanto sarebbe dovuto» (Sum. Theol. I-II, q. 21, a. 4).

(109) Mt 5, 4. «Beati i mansueti, poiché possiederanno la terra». Questa non-violenza evangelica realizza l'opposizione all'orgoglio, all'ira, alla vendetta.

(110) cf. Eb 10, 34. L'apostolo si riferisce a una delle prime persecuzioni subite dai giudei convertitisi al cristianesimo. Seguirono all'arresto l'esposizione degli imputati allo scherno popolare, il sequestro di ogni proprietà, il carcere e, per molti di loro, la morte.

(111) Prv 3, 5. L'uomo che non riconosce altri maestri all'infuori di se stesso - così san Bernardo -, «si pone alla scuola di un discepolo pericolosamente imperito».

(112) cf. Prv 11, 2. Doti dell'uomo sapiente sono prudenza ed equilibrio, matura consapevolezza dei propri limiti ed esperienza delle cose umane.

(113) Il Figlio di Dio ha preso una umana natura perfetta, cui competono le facoltà intellettiva e volitiva; tuttavia, nel Cristo, la natura umana non ha subito alcuna minorazione rispetto agli attributi divini. Egli agì dunque quale strumento libero della personale volontà, che si determinava mediante l'adesione ai disegni del Padre nella pienezza della carità (cf. Sum. theol. III q. 18, a. I).

(114) Questa della salvezza è quasi un luogo comune, tra molti altri che ricorrono nella fraseologia cristiana, e assieme ad altri capisaldi del messaggio rivelato corre i rischi del logoramento, fin quando se ne parli senza una conveniente comprensione. Perciò san Tommaso inquadra l'argomento con notevole incisività; e gli esempi che ognuno poteva facilmente intuire sono di un'evidenza solare, specie se contrarietà o nemici (il mare in tempesta, per i naviganti; un incidente di macchina; una epidemia di germi patogeni) attentano all'integrità di beni essenziali alla vita, o alla conservazione della vita medesima.

(115) Tra le tante, riportiamo questa di Isaia (48, 17): «Io, il Signore Dio tuo, t'insegno quel che ti giova e ti dirigo per la strada che vai percorrendo».

(116) Si avverte quasi un oscuro legame con la maledizione pronunziata nel paradiso terrestre: perduto il privilegio preternaturale che lo sottraeva alla morte, Adamo (e dopo di lui, ognuno dei suoi discendenti) torna a essere una fragile creatura, quanto al corpo: polvere modellata, che tende a disfarsi in un pugno di polvere.

(117) Celebre pensiero di sant'Agostino.

(118) Ne richiamiamo il senso generico: passione intemperante è, spesso, predominio della materia sullo spirito. Vedi nota 189.

(119) Nella Summa, Tommaso osserva che il peccato d'origine eliminò interamente il dono della originale giustizia e diminuì l'inclinazione naturale alla virtù (quest'ultima resta addirittura perfino nei dannati, altrimenti in essi non ci sarebbe il rimorso - ormai sterile ¬ della coscienza).
Tra le piaghe inferte dal primo peccato alla nostra natura c'è dunque la fragilità, l'ignoranza, la malizia e la concupiscenza; sopravvenne la morte, preceduta a sua volta da altre miserie corporali. Vi si aggiunta infine, per inciso, la diminuzione dei beni «metafisici» della misura, bellezza e ordine (cf. Sum. theol. I-II q. 85, a. I).

(120) La restituzione è assolutamente necessaria - in re vel in voto, cioè in effetti o almeno come sincero proposito - per quanti abbiano leso gravemente uno stretto diritto altrui.

(121) Si avverte qui un impercettibile barlume di buon umore, connaturale del resto con la tipologia di Tommaso e tutt'altro che sconveniente in un incontro didattico che aveva numerose anime semplici e giovani studenti tra gli uditori.

(122) D'un tratto gli «errori», da cinque che erano stati enunziati, divengono sei... Questo inatteso passo indietro per desiderio di sviluppare l'argomento già trattato al n. 3 (p. 147) è un'ulteriore riprova che la expositio in questione nacque come un autentico predicabile, tanto risente della viva sensibilità di un predicatore capace d'avvertire i quesiti che la stessa semina dottrinale poteva suscitare nell'intelligenza dei presenti.

(123) Quest'ultima servirà a temperare l'eventuale eccesso di prostrazione o di angoscia che può derivare all'uomo dalla consapevolezza della fragilità umana.

(124) Nei testi evangelici lo Spirito è continuamente messo in relazione col Cristo poiché «le loro attività sono unite e i loro scopi coincidono» (G. GHIBERTI) come si può rilevare dall'inizio della vita di Gesù e lungo l'intero arco della sua missione salvifica. Cf. Gv 6, 38.

(125) Quantunque la lezione dei codici greci sia preferibile («privi, cioè, di ogni senso [morale]»), rimane vero che essere senza speranza e idolatrare l'immoralità sono i due volti di un'unica realtà. Lo conferma san Paolo, scrivendo sempre agli Efesini (2, 12): «Voi pagani [...] eravate un tempo senza Messia [...], estranei alla speranza della promessa e senza Dio in questo mondo».

(126) I seguaci del vescovo Novaziano si autodesignavano col nome di «puri», in opposizione ai membri della Chiesa cattolica macchiata (secondo la loro accusa) dalla comunione coi peccatori recidivi.

(127) È stoltezza e rischio estremo il rimandare, di giorno in giorno, la conversione «a domani»: un domani che, in pratica, è mera utopia.

(128) Deciso atto della volontà attraverso cui l'uomo determina d'interrompere un rapporto futuro, intenzionale, col peccato. Pur non essendo una vera e propria promessa, è più che un semplice desiderio vago e irresoluto di emendarsi. Se ne può dedurre la consistenza della contrizione.

(129) La potestà con cui Cristo, la sera stessa della risurrezione (Gv. 20, 22-23), conferisce agli apostoli il potere di riconciliare (riaprendo loro il regno dei cieli) i peccatori con Dio, mediante il sacramento della penitenza.

(130) Teoricamente è possibile, quantunque la condizione stessa dell'uomo viatore lo porti a ricadere per lo meno in colpe veniali. Particolare importanza acquista perciò la grazia di poter fruire, nell'atto di presentarci al giudizio particolare, del sacramento della penitenza o degli effetti derivanti dall'unzione degli infermi.

(131) L'acquisto progressivo della perfezione cristiana importa un addestramento sia riguardo alla repressione di ciò che ostacola il progresso spirituale (ascesi negativa), sia «quegli esercizi che mirano direttamente allo sviluppo della vita soprannaturale (ascesi positiva) ... Rafforzando l'energia fatti va del cristiano ..., l'ascesi ha sempre un contenuto costruttivo» (D. MANISE, in: Dizionario di teologia morale, a cura di F. ROBERTI-P. PALAZZINI, Roma, 1968, p. 104.
Il testo critico elimina, come interpolazione successiva, le parole «ut ad ieiunandum el huiusmodi». Perciò spostiamo qui in nota questo riferimento al digiuno e ad altri esercizi di ascetica, riportata dalle edizioni correnti.

(132) Ancor peggiore della pestilenza che, preannunciata dalle voci del contagio nei dintorni, poteva concedere la possibilità o almeno il tentativo di cercare scampo altrove.

(133) Ef 6, 12. Gli spiriti maligni che, almeno temporaneamente, hanno il proprio campo d'azione sul creato.

(134) cf. 1 Ts 3, 5. Satana («l'avversario, il nemico» come suona in ebraico) è la personificazione del male, l'opposizione irriducibile a Dio.

(135) Gc I, 12. Ai vincitori nella lotta e nella corsa era destinata una corona, di fronde verdi intrecciate e san Paolo, che ricorre volentieri a queste similitudini tratte dai giochi sportivi, se ne serve qui per indicare la vita eterna.

(136) Sal 70, 9. Narra il biografo Guglielmo di Tocco che san Tommaso, specie negli ultimi anni, si commoveva fino alle lacrime quando sulle note del gregoriano il cantore ripeteva, durante la liturgia quaresimale: Ne proicias nos in tempore senectutis.
(137) Carità infatti - e la grazia che rafforza il buon volere ¬ fanno sì che l'uomo ami Dio al di sopra delle creature, e quindi si opponga a tutto ciò che potrebbe offenderlo.

(138) D'ordinario si citano quattro età della vita umana: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. San Tommaso considera anche le fasi intermedie, attraverso le quali l'uomo conduce l'esistenza terrena: dal bambino ancora incapace di parlare o che ha appreso a farlo di recente (quindi fin verso i sei anni) al fanciullo (sulla soglia dei tredici); dall'adolescente al giovane; dall'anziano al vecchio.

(139) 2 Cor I, 8. Potrebbe riferirsi, tra i molti episodi della sua travagliata esperienza apostolica incentrata a Efeso, al tumulto suscitato dall'argentiere Demetrio nel timore che la predicazione paolina potesse recare pregiudizio al fiorente commercio dei tempietti di Diana, assai richiesti da fedeli e curiosi (At 19, 23-40).

(140) Difatti, oggetto della pazienza è tutto ciò che in qualsiasi maniera ci contraria, ci fa soffrire e rattrista.

(141) Dal significato originario della radice ebraica 'mn - equivalente al nostro «certo, davvero, sì» - l'amen ha acquistato quello di approvazione a un comando, o d'augurio per l'adempimento di una preghiera o di una profezia. Nel concludere il Pater, quindi, esso esprime la fiduciosa certezza che ogni singolo desiderio sarà accolto e soddisfatto.

(142) Gb 35, 6-7. Anche se Giobbe non ha inteso dire che la virtù non giova all'uomo dal momento che Dio non gli risparmia le tribolazioni, Elihùd sa che un simile convincimento è assai diffuso. Perciò, dopo aver fatto notare che l'immoralità umana non scalfisce il cielo, soggiunge che non si può supporre che Dio - ben più alto dei cieli ¬ si lasci guidare nei propri giudizi da considerazioni d'interesse personale.
«Il male che fai - osserva DAIN COHENEL - nuoce a te e agli uomini come te; il bene è utile a te e agli altri. Dio nel giudicare non guarda dunque altro che ciò che è strettamente retto e giusto, e non agisce a capriccio ... Egli vuole che, per il bene delle creature, le sue leggi siano osservate... Bisogna vivere alla sua presenza e attendere, poiché non sempre egli manifesta qui in terra la sua giustizia punendo l'iniquità». (La Sacra Bibbia, vol. IX, Napoli 1934).

(143) La misericordia e la verità, quale sinonimo di giustizia, sono presenti in ogni opera di Dio; infatti egli non può far niente che non sia conforme alla sua sapienza e bontà, come pure agisce secondo l'ordine e la misura convenienti. Anche ciò che noi abitualmente chiamiamo «dovuto» a una creatura, Dio lo concede per sua bontà e con maggior larghezza rispetto allo stretto indispensabile. E altrettanto è vero che nell'esercitare la giustizia, Dio si contenta di meno di quanto potrebbe pretendere (cf. Sum. theol. I, q. 21, a. 4). Un simile modo d'agire torna quindi a gloria di Dio, tanto più se si riflette che nulla Dio desidera oltre la sua stessa bontà che s'irradia nell'opera creativa, salvifica, santificante e beatificante. Torna pure a sua gloria il fatto che, nel volere la giustizia, voglia la pena quale mezzo per conservare l'ordine della natura e dei suoi disegni provvidenziali (cf. ib., q. 19,. a. 9).

(144) Come, ad esempio, un giusto benessere e l'assenza o la moderazione degli affanni, delle malattie, dell'angoscia e, in ogni caso, il sollievo in mezzo a queste inevitabili prove dell'esistenza.

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