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PREGHIERA PER I SACERDOTI

O Signore, dacci sacerdoti santi;
Tu stesso conservali nella santità!
O Divino e Sommo Sacerdote,
la potenza della tua Misericordia li accompagni ovunque
e li difenda dalle insidie e dai lacci del diavolo,
che egli tende continuamente alle anime dei sacerdoti!
La potenza della tua Misericordia, o Signore,
spezzi ed annienti tutto ciò che può oscurare la santità dei sacerdoti,
poiché Tu puoi tutto.

(Santa Faustina Kowalska)
 
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ESORTAZIONE APOSTOLICA EVANGELII GAUDIUM

Ultimo Aggiornamento: 01/02/2015 17:02
25/12/2013 18:52



L’accompagnamento personale dei processi di crescita

169. In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana.

170. Benché suoni ovvio, l’accompagnamento spirituale deve condurre sempre più verso Dio, in cui possiamo raggiungere la vera libertà. Alcuni si credono liberi quando camminano in disparte dal Signore, senza accorgersi che rimangono esistenzialmente orfani, senza un riparo, senza una dimora dove fare sempre ritorno. Cessano di essere pellegrini e si trasformano in erranti, che ruotano sempre intorno a sé stessi senza arrivare da nessuna parte. L’accompagnamento sarebbe controproducente se diventasse una specie di terapia che rafforzi questa chiusura delle persone nella loro immanenza e cessi di essere un pellegrinaggio con Cristo verso il Padre.

171. Più che mai abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere tutti insieme le pecore che si affidano a noi dai lupi che tentano di disgregare il gregge. Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita. Sempre però con la pazienza di chi conosce quanto insegnava san Tommaso: che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma non esercitare bene nessuna delle virtù «a causa di alcune inclinazioni contrarie»[133]  che persistono. In altri termini, l’organicità delle virtù si dà sempre e necessariamente “in habitu”, benché i condizionamenti possano rendere difficili le attuazioni di quegli abiti virtuosi. Da qui la necessità di «una pedagogia che introduca le persone, passo dopo passo, alla piena appropriazione del mistero».[134] Per giungere ad un punto di maturità, cioè perché le persone siano capaci di decisioni veramente libere e responsabili, è indispensabile dare tempo, con una immensa pazienza. Come diceva il beato Pietro Fabro: «Il tempo è il messaggero di Dio».

172. Chi accompagna sa riconoscere che la situazione di ogni soggetto davanti a Dio e alla sua vita di grazia è un mistero che nessuno può conoscere pienamente dall’esterno. Il Vangelo ci propone di correggere e aiutare a crescere una persona a partire dal riconoscimento della malvagità oggettiva delle sue azioni (cfr Mt 18,15), ma senza emettere giudizi sulla sua responsabilità e colpevolezza (cfr Mt 7,1; Lc 6,37). In ogni caso un valido accompagnatore non accondiscende ai fatalismi o alla pusillanimità. Invita sempre a volersi curare, a rialzarsi, ad abbracciare la croce, a lasciare tutto, ad uscire sempre di nuovo per annunciare il Vangelo. La personale esperienza di lasciarci accompagnare e curare, riuscendo ad esprimere con piena sincerità la nostra vita davanti a chi ci accompagna, ci insegna ad essere pazienti e comprensivi con gli altri e ci mette in grado di trovare i modi per risvegliarne in loro la fiducia, l’apertura e la disposizione a crescere.

173. L’autentico accompagnamento spirituale si inizia sempre e si porta avanti nell’ambito del servizio alla missione evangelizzatrice. La relazione di Paolo con Timoteo e Tito è esempio di questo accompagnamento e di questa formazione durante l’azione apostolica. Nell’affidare loro la missione di fermarsi in ogni città per “mettere ordine in quello che rimane da fare” (cfr Tt 1,5; cfr 1 Tm 1,3-5), dà loro dei criteri per la vita personale e per l’azione pastorale. Tutto questo si differenzia chiaramente da qualsiasi tipo di accompagnamento intimista, di autorealizzazione isolata. I discepoli missionari accompagnano i discepoli missionari.

Circa la Parola di Dio

174. Non solamente l’omelia deve alimentarsi della Parola di Dio. Tutta l’evangelizzazione è fondata su di essa, ascoltata, meditata, vissuta, celebrata e testimoniata. La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la Parola di Dio «diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale».[135] La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. Abbiamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e Sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia.

175. Lo studio della Sacra Scrittura dev’essere una porta aperta a tutti i credenti.[136] È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede.[137] L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria.[138] Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente «Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso».[139] Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata.

CAPITOLO QUARTO
LA DIMENSIONE SOCIALE DELL'EVANGELIZZAZIONE

176. Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio. Ma «nessuna definizione parziale e frammentaria può dare ragione della realtà ricca, complessa e dinamica, quale è quella dell’evangelizzazione, senza correre il rischio di impoverirla e perfino di mutilarla».[140] Ora vorrei condividere le mie preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione precisamente perché, se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice.

I. Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma

177. Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità.

Confessione della fede e impegno sociale

178. Confessare un Padre che ama infinitamente ciascun essere umano implica scoprire che «con ciò stesso gli conferisce una dignità infinita».[141] Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana significa che ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio. Confessare che Gesù ha dato il suo sangue per noi ci impedisce di conservare il minimo dubbio circa l’amore senza limiti che nobilita ogni essere umano. La sua redenzione ha un significato sociale perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini».[142] Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali: «Lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere e sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili».[143]L’evangelizzazione cerca di cooperare anche con tale azione liberatrice dello Spirito. Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice. L’accettazione del primo annuncio, che invita a lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica, provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri.

179. Questo indissolubile legame tra l’accoglienza dell’annuncio salvifico e un effettivo amore fraterno è espressa in alcuni testi della Scrittura che è bene considerare e meditare attentamente per ricavarne tutte le conseguenze. Si tratta di un messaggio al quale frequentemente ci abituiamo, lo ripetiamo quasi meccanicamente, senza però assicurarci che abbia una reale incidenza nella nostra vita e nelle nostre comunità. Com’è pericolosa e dannosa questa assuefazione che ci porta a perdere la meraviglia, il fascino, l’entusiasmo di vivere il Vangelo della fraternità e della giustizia! La Parola di Dio insegna che nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Quanto facciamo per gli altri ha una dimensione trascendente: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi» (Mt7,2); e risponde alla misericordia divina verso di noi: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato […] Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,36-38). Ciò che esprimono questi testi è l’assoluta priorità dell’ «uscita da sé verso il fratello» come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio. Per ciò stesso «anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza».[144] Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove.

Il Regno che ci chiama

180. Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: «Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7).

181. Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto e ci ricorda quel principio del discernimento chePaolo VI proponeva in relazione al vero sviluppo: «ogni uomo e tutto l’uomo».[145] Sappiamo che «l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo».[146] Si tratta del criterio di universalità, proprio della dinamica del Vangelo, dal momento che il Padre desidera che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo (cfr Ef 1,10). Il mandato è: «Andate in tutto il mondo e  proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), perché «l’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19). Tutta la creazione vuol dire anche tutti gli aspetti della natura umana, in modo che «la missione dell’annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo possiede una destinazione universale. Il suo mandato della carità abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza, tutte le persone, tutti gli ambienti della convivenza e tutti i popoli. Nulla di quanto è umano può risultargli estraneo».[147] La vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia.

L'insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali

182. Gli insegnamenti della Chiesa sulle situazioni contingenti sono soggetti a maggiori o nuovi sviluppi e possono essere oggetto di discussione, però non possiamo evitare di essere concreti – senza pretendere di entrare in dettagli – perché i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. Bisogna ricavarne le conseguenze pratiche perché «possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne».[148] I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare «specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune».[149]

183. Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene «il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica», la Chiesa «non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia».[150] Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo. Al tempo stesso, unisce «il proprio impegno a quello profuso nel campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico».[151]

184. Non è il momento qui per sviluppare tutte le gravi questioni sociali che segnano il mondo attuale, alcune delle quali ho commentato nel secondo capitolo. Questo non è un documento sociale, e per riflettere su quelle varie tematiche disponiamo di uno strumento molto adeguato nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il cui uso e studio raccomando vivamente. Inoltre, né il Papa né la Chiesa posseggono il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale o della proposta di soluzioni per i problemi contemporanei. Posso ripetere qui ciò che lucidamente indicava Paolo VI: «Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese».[152]

185. Nel seguito cercherò di concentrarmi su due grandi questioni che mi sembrano fondamentali in questo momento della storia. Le svilupperò con una certa ampiezza perché considero che determineranno il futuro dell’umanità. Si tratta, in primo luogo, della inclusione sociale dei poveri e, inoltre, della pace e del dialogo sociale.

II. L’inclusione sociale dei poveri

186. Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società.

Uniti a Dio ascoltiamo un grido

187. Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo. È sufficiente scorrere le Scritture per scoprire come il Padre buono desidera ascoltare il grido dei poveri: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo … Perciò va’! Io ti mando» (Es 3,7-8.10), e si mostra sollecito verso le sue necessità: «Poi [gli israeliti] gridarono al Signore ed egli fece sorgere per loro un salvatore» (Gdc 3,15). Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto, perché quel povero «griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te» (Dt 15,9). E la mancanza di solidarietà verso le sue necessità influisce direttamente sul nostro rapporto con Dio: «Se egli ti maledice nell’amarezza del cuore, il suo creatore ne esaudirà la preghiera» (Sir 4,6). Ritorna sempre la vecchia domanda: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1 Gv 3,17). Ricordiamo anche con quanta convinzione l’Apostolo Giacomo riprendeva l’immagine del grido degli oppressi: «Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente» (5,4).

188. La Chiesa ha riconosciuto che l’esigenza di ascoltare questo grido deriva dalla stessa opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi, per cui non si tratta di una missione riservata solo ad alcuni: «La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore all’essere umano, ascolta il grido per la giustizia e desidera rispondervi con tutte le sue forze».[153] In questo quadro si comprende la richiesta di Gesù ai suoi discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc6,37), e ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni.

189. La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. Queste convinzioni e pratiche di solidarietà, quando si fanno carne, aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono possibili. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci.

190. A volte si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra, perché «la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell’uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli».[154] Deplorevolmente, persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi. Rispettando l’indipendenza e la cultura di ciascuna Nazione, bisogna ricordare sempre che il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità, e che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità. Bisogna ripetere che «i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri».[155] Per parlare in modo appropriato dei nostri diritti dobbiamo ampliare maggiormente lo sguardo e aprire le orecchie al grido di altri popoli o di altre regioni del nostro Paese. Abbiamo bisogno di crescere in una solidarietà che «deve permettere a tutti i popoli di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino»,[156] così come «ciascun essere umano è chiamato a svilupparsi».[157]

191. In ogni luogo e circostanza i cristiani, incoraggiati dai loro Pastori, sono chiamati ad ascoltare il grido dei poveri, come hanno affermato così bene i Vescovi del Brasile: «Desideriamo assumere, ogni giorno, le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze del popolo brasiliano, specialmente delle popolazioni delle periferie urbane e delle zone rurali – senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute – violate nei loro diritti. Vedendo le loro miserie, ascoltando le loro grida e conoscendo la loro sofferenza, ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco».[158]

192. Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un «decoroso sostentamento», ma che possano avere «prosperità nei suoi molteplici aspetti».[159] Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune.


[Modificato da MARIOCAPALBO 27/12/2013 12:20]

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