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Catechesi di Giovanni Paolo II

Ultimo Aggiornamento: 19/02/2013 13:16
19/02/2013 13:14

Catechesi Sull'Eucarestia
di Giovanni Paolo II









 


L’Eucaristia, memoriale dei “mirabilia Dei”
1. Tra i molteplici aspetti dell’Eucaristia spicca quello di “memoriale”, che sta in rapporto con un tema biblico di primaria importanza. Leggiamo, ad esempio, nel libro dell’Esodo: “Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe” (Es 2,24). Nel Deuteronomio invece è detto: “Ricordati del Signore tuo Dio” (8,18). “Ricordati di quello che il Signore tuo Dio fece…” (7,18). Nella Bibbia il ricordo di Dio e il ricordo dell’uomo s’intrecciano e costituiscono una componente fondamentale della vita del popolo di Dio. Non si tratta, però, della pura commemorazione di un passato ormai estinto, bensì di uno zikkarôn, cioè un “memoriale”. Questo “non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. La celebrazione liturgica di questi eventi, li rende in certo modo presenti e attuali” (CCC 1363). Il memoriale richiama un legame di alleanza che non viene mai meno: “Il Signore si ricorda di noi e ci benedice” (Sal 115,12). La fede biblica implica quindi il ricordo efficace delle opere meravigliose di salvezza. Esse sono professate nel “Grande Hallel”, il Salmo 136, che - dopo aver proclamato la creazione e la salvezza offerta a Israele nell’Esodo - conclude: «Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi perché eterno è il suo amore (…). Ci ha liberati (…), ha dato il cibo a ogni vivente, perché eterno è il suo amore» (Sal 136,23-25). Simili parole troveremo nel Vangelo sulle labbra di Maria e Zaccaria: “Egli ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia (…). Egli si è ricordato della sua santa alleanza” (Lc 1,54.72).

2. Nell’Antico Testamento il “memoriale” per eccellenza delle opere di Dio nella storia era la liturgia pasquale dell’Esodo: ogni volta che il popolo di Israele celebrava la Pasqua, Dio gli offriva in modo efficace il dono della libertà e della salvezza. Nel rito pasquale, si incrociavano pertanto i due ricordi, quello divino e quello umano, cioè la grazia salvifica e la fede riconoscente: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore (…). Sarà per te segno sulla tua mano e ricordo fra i tuoi occhi, perché la legge del Signore sia sulla tua bocca. Con mano potente infatti il Signore ti ha fatto uscire dall’Egitto» (Es 12,14; 13,9). In forza di questo evento, come affermava un filosofo ebreo, Israele sarà sempre «una comunità basata sul ricordo» (M. Buber).

3. L’intreccio tra il ricordo di Dio e quello dell’uomo è al centro anche dell’Eucaristia che è il “memoriale” per eccellenza della Pasqua cristiana. L’“anamnesi”, cioè l’atto di ricordare, è infatti il cuore della celebrazione: il sacrificio di Cristo, evento unico, compiuto ef’hapax, cioè “una volta per tutte” (Eb 7,27; 9,12.26; 10,12), diffonde la sua presenza salvifica nel tempo e nello spazio della storia umana. Ciò è espresso nell’imperativo finale che Luca e Paolo riportano nella narrazione dell’Ultima Cena: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me… Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me” (1Cor 11,24-25; cfr Lc 22,19). Il passato del “corpo dato per noi” sulla croce si presenta vivo nell’oggi e, come dichiara Paolo, si apre al futuro della redenzione finale: “Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11,26). L’Eucaristia è, dunque, memoriale della morte di Cristo, ma è anche presenza del suo sacrificio e anticipazione della sua venuta gloriosa. È il sacramento della continua vicinanza salvatrice del Signore risorto nella storia. Si comprende pertanto l’esortazione di Paolo a Timoteo: “Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti” (2 Tm 2,8). Questo ricordo vive e opera in modo speciale nell’Eucaristia.

4. L’evangelista Giovanni ci spiega il senso profondo del “ricordo” delle parole e degli eventi di Cristo. Di fronte al gesto di Gesù che purifica il tempio dai mercanti e annunzia che esso sarà distrutto e fatto risorgere in tre giorni, egli annota: “Quando fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù” (Gv 2,22). Questa memoria che genera e alimenta la fede è opera dello Spirito Santo “che il Padre manderà nel nome” di Cristo: “Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). C’è, quindi, un ricordo efficace: quello interiore che conduce alla comprensione della Parola di Dio e quello sacramentale che si realizza nell’Eucaristia. Sono le due realtà di salvezza che Luca ha unito nello splendido racconto dei discepoli di Emmaus, scandito dalla spiegazione delle Scritture e dallo “spezzare il pane” (cfr Lc 24,13-35).

5. “Ricordare” è pertanto “riportare al cuore” nella memoria e nell’affetto, ma è anche celebrare una presenza. “L’Eucaristia, vero memoriale del mistero pasquale di Cristo, è capace di tenere desta in noi la memoria del suo amore. Essa è, perciò, il segreto della vigilanza della Chiesa: le sarebbe troppo facile, altrimenti, senza la divina efficacia di questo richiamo continuo e dolcissimo, senza la forza penetrante di questo sguardo del suo Sposo fissato su di lei, cadere nell’oblio, nell’insensibilità, nell’infedeltà” (Lettera Apostolica Patres Ecclesiae, III: Ench. Vat., 7, 33). Questo richiamo alla vigilanza rende le nostre liturgie eucaristiche aperte alla venuta piena del Signore, all’apparire della Gerusalemme celeste. Nell’Eucaristia il cristiano alimenta la speranza dell’incontro definitivo con il suo Signore.





Giovanni Paolo II
UDIENZA GENERALE - Mercoledì, 4 ottobre 2000

Catechesi Sull'Eucarestia di
Giovanni Paolo II








 


L’Eucaristia “sacrificium laudis”
1. “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria”. Questa proclamazione di lode trinitaria suggella in ogni celebrazione eucaristica la preghiera del Canone. L’Eucaristia, infatti, è il perfetto “sacrificio di lode”, la glorificazione più alta che dalla terra sale al cielo, “la fonte e l’apice di tutta la vita cristiana in cui (i figli di Dio) offrono (al Padre) la vittima divina e se stessi con essa” (LG n.11). Nel Nuovo Testamento la Lettera agli Ebrei ci insegna che la liturgia cristiana è offerta da un “sommo sacerdote santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli”, che ha compiuto una volta per sempre un unico sacrificio “offrendo se stesso” (cfr Eb 7,26-27). “Per mezzo di Lui, dice la Lettera, offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode” (Eb 13,15). Vogliamo oggi evocare brevemente i due temi del sacrificio e della lode che si incontrano nell’Eucaristia, sacrificium laudis.

2. Nell’Eucaristia si attualizza innanzitutto il sacrificio di Cristo. Gesù è realmente presente sotto le specie del pane e del vino, come egli stesso ci assicura: “Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue” (Mt 26,27-28). Ma il Cristo presente nell’Eucaristia è il Cristo ormai glorificato, che nel Venerdì Santo offrì se stesso sulla croce. È ciò che sottolineano le parole da lui pronunziate sul calice del vino: “Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per molti” (Mt 26,28; cfr Mc 14,24; Lc 22,20). Se si esaminano queste parole alla luce della loro filigrana biblica, affiorano due rimandi significativi. Il primo è costituito dalla locuzione “sangue versato” che, come attesta il linguaggio biblico (cfr Gen 9,6), è sinonimo di morte violenta. Il secondo consiste nella precisazione “per molti” riguardante i destinatari di questo sangue versato. L’allusione qui ci riporta a un testo fondamentale per la rilettura cristiana delle Scritture, il quarto canto di Isaia: col suo sacrificio, “consegnando se stesso alla morte”, il Servo del Signore “portava il peccato di molti” (Is 53,12; Eb 9,28; 1Pt 2,24).

3. La stessa dimensione sacrificale e redentrice dell’Eucaristia è espressa dalle parole di Gesù sul pane nell’Ultima Cena, così come sono riferite dalla tradizione di Luca e di Paolo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi” (Lc 22,19; cfr 1 Cor 11,24). Anche in questo caso si ha un rimando alla donazione sacrificale del Servo del Signore secondo il passo già evocato di Isaia (53,12): “Egli ha consegnato se stesso alla morte…; egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori”. “L’Eucaristia è, dunque, un sacrificio: sacrificio della redenzione e, al tempo stesso, della nuova alleanza, come crediamo e come chiaramente professano anche le Chiese d’Oriente. Il sacrificio odierno - ha affermato, secoli fa, la Chiesa greca (nel Sinodo Costantinopolitano contro Soterico del 1156-57) - è come quello che un giorno offrì l’unigenito incarnato Verbo di Dio, viene da lui offerto oggi come allora, essendo l’identico e unico sacrificio” (Lettera Apostolica Dominicae Cenae n. 9).

4. L’Eucaristia, come sacrificio della nuova alleanza, si pone quale sviluppo e compimento dell’alleanza celebrata sul Sinai quando Mosè ha versato metà del sangue delle vittime sacrificali sull’altare, simbolo di Dio, e metà sull’assemblea dei figli di Israele (cfr Es 24,5-8). Questo “sangue dell’alleanza” univa intimamente Dio e uomo in un legame di solidarietà. Con l’Eucaristia l’intimità diviene totale, l’abbraccio tra Dio e l’uomo raggiunge il suo apice. È il compiersi di quella “nuova alleanza” che aveva predetto Geremia (31,31-34): un patto nello spirito e nel cuore che la Lettera agli Ebrei esalta proprio partendo dall’oracolo del profeta, raccordandolo al sacrificio unico e definitivo di Cristo (cfr Eb 10,14-17).

5. A questo punto possiamo illustrare l’altra affermazione: l’Eucaristia è un sacrificio di lode. Essenzialmente orientato alla comunione piena tra Dio e l’uomo, “il sacrificio eucaristico è la fonte e il culmine di tutto il culto della Chiesa e di tutta la vita cristiana. A questo sacrificio di rendimento di grazie, di propiziazione, di impetrazione e di lode i fedeli partecipano con maggiore pienezza, quando non solo offrono al Padre con tutto il cuore, in unione con il sacerdote, la sacra vittima e, in essa, loro stessi, ma ricevono pure la stessa vittima nel sacramento” (Sacra Congregazione dei Riti, Eucharisticum Mysterium, n. 3 e). Come dice il termine stesso nella sua genesi greca, l’Eucaristia è “ringraziamento”; in essa il Figlio di Dio unisce a sé l’umanità redenta in un canto di azione di grazie e di lode. Ricordiamo che la parola ebraica todah, tradotta “lode”, significa anche “ringraziamento”. Il sacrificio di lode era un sacrificio di rendimento di grazie (crf Sal 50[49], 14.23). Nell’Ultima Cena, per istituire l’Eucaristia, Gesù ha reso grazie a suo Padre (cfr Mt 26,26-27 e paralleli); è questa l’origine del nome di questo sacramento.

6. “Nel Sacrificio eucaristico, tutta la creazione amata da Dio è presentata al Padre attraverso la morte e la risurrezione di Cristo” (CCC 1359). Unendosi al sacrificio di Cristo, la Chiesa nell’Eucaristia dà voce alla lode dell’intera creazione. A ciò deve corrispondere l’impegno di ciascun fedele a offrire la sua esistenza, il suo “corpo” - come dice Paolo - in “sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1), in una comunione piena con Cristo. In questo modo un’unica vita unisce Dio e l’uomo, il Cristo crocifisso e risorto per tutti e il discepolo chiamato a donarsi interamente a Lui. Questa intima comunione d’amore è cantata dal poeta francese Paul Claudel che pone in bocca a Cristo queste parole: “Vieni con me, dove Io Sono, in te stesso, / e io ti darò la chiave dell’esistenza. / Là dove Io Sono, là eternamente / è il segreto della tua origine… / (…). Dove sono le tue mani che non siano le mie? / E i tuoi piedi che non siano confitti alla stessa croce? / Io sono morto e sono risorto una volta per tutte! Noi siamo vicinissimi l’uno all’altro / (…). Come fare per separarti da me / senza che tu mi strappi il cuore?” (La Messe là-bas)

Giovanni Paolo II
UDIENZA GENERALE - Mercoledì, 11 ottobre 2000

Catechesi Sull'Eucarestia di
Giovanni Paolo II







 


L’Eucaristia, banchetto di comunione con Dio
1. “Siamo diventati Cristo. Infatti se egli è il capo e noi le sue membra, l’uomo totale è lui e noi” (Agostino, Tractatus in Jo. 21,8). Queste parole ardite di sant’Agostino esaltano la comunione intima che nel mistero della Chiesa si crea tra Dio e l’uomo, una comunione che, nel nostro cammino storico, trova il suo segno più alto nell’Eucaristia. Gli imperativi: “Prendete e mangiate… Bevetene…” (Mt 26,26-27) che Gesù rivolge ai suoi discepoli in quella sala al piano superiore di una casa di Gerusalemme, l’ultima sera della sua vita terrena (cfr Mc 14,15), sono densi di significato. Già il valore simbolico universale del banchetto offerto nel pane e nel vino (cfr Is 25,6), rimanda alla comunione e all’intimità. Elementi ulteriori più espliciti esaltano l’Eucaristia come convito di amicizia e di alleanza con Dio. Essa infatti - come il Catechismo della Chiesa cattolica ricorda - è “al tempo stesso e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della croce e il sacro banchetto della Comunione al Corpo e al Sangue del Signore” (CCC 1382).

2. Come nell’Antico Testamento il santuario mobile del deserto era chiamato “tenda del convegno”, cioè dell’incontro tra Dio e il suo popolo e dei fratelli di fede tra loro, l’antica tradizione cristiana ha chiamato “sinassi”, cioè “riunione”, la celebrazione eucaristica. In essa “si svela la natura profonda della Chiesa, comunità dei convocati alla sinassi per celebrare il dono di colui che è offerente e offerta: essi, partecipando ai santi misteri, divengono ‘consanguinei’ di Cristo, anticipando l’esperienza della divinizzazione nell’ormai inseparabile vincolo che lega in Cristo divinità e umanità” (Orientale Lumen n. 10). Se vogliamo approfondire il senso genuino di questo mistero di comunione tra Dio e i fedeli, dobbiamo ritornare alle parole di Gesù nell’ultima Cena. Esse rimandano alla categoria biblica dell’“alleanza”, evocata proprio attraverso la connessione del sangue di Cristo con quello sacrificale versato al Sinai: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza” (Mc 14,24). Mosè aveva dichiarato: “Ecco il sangue dell’alleanza” (Es 24,8). L’alleanza che al Sinai univa Israele al Signore con un vincolo di sangue, preannunciava la nuova alleanza, da cui deriva - per usare un’espressione dei Padri greci - come una consanguineità tra Cristo e il fedele (cf Cirillo Alessandrino, In Johannis Evangelium XI; Giovanni Crisostomo, In Matthaeum hom. LXXXII, 5).

3. Sono soprattutto le teologie giovannea e paolina ad esaltare la comunione del credente con Cristo nell’Eucaristia Nel discorso nella sinagoga di Cafarnao Gesù dice esplicitamente: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51). L’intero testo di quel discorso è proteso a sottolineare la comunione vitale che si stabilisce, nella fede, tra Cristo pane di vita e colui che ne mangia. In particolare appare il verbo greco tipico del quarto vangelo per indicare l’intimità mistica tra Cristo e il discepolo, ménein, “rimanere, dimorare”: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,56; cf. 15,4-9).

4. Il vocabolo greco della “comunione”, koinonìa, emerge poi nella riflessione della Prima Lettera ai Corinzi, dove Paolo parla dei banchetti sacrificali dell’idolatria qualificandoli come “mensa dei demoni” (10,21), ed esprime un principio valido per tutti i sacrifici: “Quelli che mangiano le vittime sacrificali sono in comunione con l’altare” (10,18). Di questo principio l’Apostolo fa un’applicazione positiva e luminosa in rapporto all’Eucaristia: “Il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse comunione (koinonía) con il Sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è forse comunione (koinonía) con il corpo di Cristo? (…). Tutti partecipiamo dell’unico pane” (10,16-17). “La partecipazione all’Eucaristia, sacramento della nuova alleanza, è quindi il vertice dell’assimilazione a Cristo, fonte di vita eterna, principio e forza del dono totale di sé” (Veritatis splendor n. 21).

5. Questa comunione con Cristo genera, pertanto, un’intima trasformazione del fedele. San Cirillo Alessandrino delinea in modo efficace questo evento mostrandone la risonanza nell’esistenza e nella storia: “Cristo ci forma secondo la sua immagine in modo che i lineamenti della sua divina natura risplendano in noi attraverso la santificazione, la giustizia e la vita buona e conforme a virtù. La bellezza di questa immagine risplende in noi che siamo in Cristo, quando ci mostriamo uomini buoni nelle opere” (Tractatus ad Tiberium Diaconum sociosque, II, Responsiones ad Tiberium Diaconum sociosque, in In divi Johannis Evangelium, vol. III, Bruxelles 1965, p. 590). “Partecipando al sacrificio della croce, il cristiano comunica con l’amore di donazione di Cristo ed è abilitato e impegnato a vivere questa stessa carità in tutti i suoi atteggiamenti e comportamenti di vita. Nell’esistenza morale si rivela e si attua il servizio regale cristiano” (Veritatis splendor n. 107). Tale servizio regale ha la sua radice nel battesimo e la sua fioritura nella comunione eucaristica. La via della santità, dell’amore, della verità è, dunque, la rivelazione al mondo della nostra intimità divina, attuata nel banchetto dell’Eucaristia. Lasciamo che il nostro desiderio della vita divina offerta in Cristo si esprima con i caldi accenti di un grande teologo della Chiesa armena, Gregorio di Narek (X sec.): “Non è dei suoi doni, ma del Donatore che ho sempre la nostalgia. Non è la gloria a cui aspiro, ma è il Glorificato che voglio abbracciare… Non è il riposo ciò che cerco, ma è il volto di Colui che dona riposo che io domando supplicando. Non è per il banchetto nuziale, ma per il desiderio dello Sposo che io languisco” (XII Preghiera).





Giovanni Paolo II
UDIENZA GENERALE - Mercoledì, 18 ottobre 2000

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