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CAPITOLO SESTO ALCUNE PROSPETTIVE PASTORALI

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2016 17:52
10/04/2016 16:37


Rischiarare crisi, angosce e difficoltà

231. Una parola vada a coloro che nell’amore hanno già invecchiato il vino nuovo del fidanzamento. Quando il vino si invecchia con questa esperienza del cammino, lì appare, fiorisce in tutta la sua pienezza, la fedeltà dei piccoli momenti della vita. È la fedeltà dell’attesa e della pazienza. Questa fedeltà piena di sacrifici e di gioie va come fiorendo nell’età in cui tutto diventa “stagionato” e gli occhi diventano scintillanti in contemplazione dei figli dei propri figli. Così era fin dal principio, ma ormai si è fatto consapevole, sedimentato, maturato nella sorpresa quotidiana della riscoperta giorno dopo giorno, anno dopo anno. Come insegnava san Giovanni della Croce, «gli amanti vecchi [sono] quelli già esercitati e provati». Essi sono privi «dei fervori sensibili, delle ebollizioni e dei fuochi esterni di fervore. Essi gustano ormai la soavità del vino di amore nella sostanza, già fermentato e posato dentro l’anima».[253] Questo suppone l’essere stati capaci di superare uniti le crisi e i tempi di angoscia, senza sfuggire dalle sfide e senza nascondere le difficoltà.

La sfida delle crisi

232. La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Bisogna aiutare a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione. Non si vive insieme per essere sempre meno felici, ma per imparare ad essere felici in modo nuovo, a partire dalle possibilità aperte da una nuova tappa. Ogni crisi implica un apprendistato che permette di incrementare l’intensità della vita condivisa, o almeno di trovare un nuovo senso all’esperienza matrimoniale. In nessun modo bisogna rassegnarsi a una curva discendente, a un deterioramento inevitabile, a una mediocrità da sopportare. Al contrario, quando il matrimonio si assume come un compito, che implica anche superare ostacoli, ogni crisi si percepisce come l’occasione per arrivare a bere insieme il vino migliore. È bene accompagnare i coniugi perché siano in grado di accettare le crisi che possono arrivare, raccogliere il guanto e assegnare ad esse un posto nella vita familiare. I coniugi esperti e formati devono essere disposti ad accompagnare altri in questa scoperta, in modo che le crisi non li spaventino né li portino a prendere decisioni affrettate. Ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore.

233. La reazione immediata è fare resistenza davanti alla sfida di una crisi, mettersi sulla difensiva sentendo che sfugge al proprio controllo, perché mostra l’insufficienza del proprio modo di vivere, e questo dà fastidio. Allora si usa il metodo di negare i problemi, nasconderli, relativizzare la loro importanza, puntare solo sul passare del tempo. Ma ciò ritarda la soluzione e porta a consumare molta energia in un occultamento inutile che complicherà ancora di più le cose. I vincoli si vanno deteriorando e si va consolidando un isolamento che danneggia l’intimità. In una crisi non affrontata, quello che più si compromette è la comunicazione. In tal modo, a poco a poco, quella che era “la persona che amo” passa ad essere “chi mi accompagna sempre nella vita”, poi solo “il padre o la madre dei miei figli”, e alla fine un estraneo.

234. Per affrontare una crisi bisogna essere presenti. È difficile, perché a volte le persone si isolano per non mostrare quello che sentono, si fanno da parte in un silenzio meschino e ingannatore. In questi momenti occorre creare spazi per comunicare da cuore a cuore. Il problema è che diventa più difficile comunicare così in un momento di crisi se non si è mai imparato a farlo. È una vera arte che si impara in tempi di calma, per metterla in pratica nei tempi duri. Bisogna aiutare a scoprire le cause più nascoste nei cuori dei coniugi, e ad affrontarle come un parto che passerà e lascerà un nuovo tesoro. Ma le risposte alle consultazioni realizzate rilevano che in situazioni difficili o critiche la maggioranza non ricorre all’accompagnamento pastorale, perché non lo sente comprensivo, vicino, realistico, incarnato. Per questo, cerchiamo ora di accostarci alle crisi matrimoniali con uno sguardo che non ignori il loro carico di dolore e di angoscia.

235. Ci sono crisi comuni che accadono solitamente in tutti i matrimoni, come la crisi degli inizi, quando bisogna imparare a rendere compatibili le differenze e a distaccarsi dai genitori; o la crisi dell’arrivo del figlio, con le sue nuove sfide emotive; la crisi di allevare un bambino, che cambia le abitudini dei genitori; la crisi dell’adolescenza del figlio, che esige molte energie, destabilizza i genitori e a volte li oppone tra loro; la crisi del “nido vuoto”, che obbliga la coppia a guardare nuovamente a sé stessa; la crisi causata dalla vecchiaia dei genitori dei coniugi, che richiedono più presenza, più attenzioni e decisioni difficili. Sono situazioni esigenti, che provocano paure, sensi di colpa, depressioni o stanchezze che possono intaccare gravemente l’unione.

236. A queste si sommano le crisi personali che incidono sulla coppia, legate alle difficoltà economiche, di lavoro, affettive, sociali, spirituali. E si aggiungono circostanze inaspettate che possono alterare la vita familiare e che esigono un cammino di perdono e riconciliazione. Nel momento stesso in cui cerca di fare il passo del perdono, ciascuno deve domandarsi con serena umiltà se non ha creato le condizioni per esporre l’altro a commettere certi errori. Alcune famiglie soccombono quando i coniugi si accusano a vicenda, ma «l’esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali si supera in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare».[254] «La faticosa arte della riconciliazione, che necessita del sostegno della grazia, ha bisogno della generosa collaborazione di parenti ed amici, e talvolta anche di un aiuto esterno e professionale».[255]

237. È diventato frequente che, quando uno sente di non ricevere quello che desidera, o che non si realizza quello che sognava, ciò sembra essere sufficiente per mettere fine a un matrimonio. Così non ci sarà matrimonio che duri. A volte, per decidere che tutto è finito basta una delusione, un’assenza in un momento in cui si aveva bisogno dell’altro, un orgoglio ferito o un timore indefinito. Ci sono situazioni proprie dell’inevitabile fragilità umana, alle quali si attribuisce un peso emotivo troppo grande. Per esempio, la sensazione di non essere completamente corrisposto, le gelosie, le differenze che possono emergere tra i due, l’attrazione suscitata da altre persone, i nuovi interessi che tendono a impossessarsi del cuore, i cambiamenti fisici del coniuge, e tante altre cose che, più che attentati contro l’amore, sono opportunità che invitano a ricrearlo una volta di più.

238. In queste circostanze, alcuni hanno la maturità necessaria per scegliere nuovamente l’altro come compagno di strada, al di là dei limiti della relazione, e accettano con realismo che non possa soddisfare tutti i sogni accarezzati. Evitano di considerarsi gli unici martiri, apprezzano le piccole e limitate possibilità che offre loro la vita in famiglia e puntano a rafforzare il vincolo in una costruzione che richiederà tempo e sforzo. Perché in fondo riconoscono che ogni crisi è come un nuovo “sì” che rende possibile che l’amore rinasca rafforzato, trasfigurato, maturato, illuminato. A partire da una crisi si ha il coraggio di ricercare le radici profonde di quello che sta succedendo, di negoziare di nuovo gli accordi fondamentali, di trovare un nuovo equilibrio e di percorrere insieme una nuova tappa. Con questo atteggiamento di costante apertura si possono affrontare tante situazioni difficili! In ogni caso, riconoscendo che la riconciliazione è possibile, oggi scopriamo che «un ministero dedicato a coloro la cui relazione matrimoniale si è infranta appare particolarmente urgente».[256]

Vecchie ferite

239. È comprensibile che nelle famiglie ci siano molte difficoltà quando qualcuno dei suoi membri non ha maturato il suo modo di relazionarsi, perché non ha guarito ferite di qualche fase della sua vita. La propria infanzia e la propria adolescenza vissute male sono terreno fertile per crisi personali che finiscono per danneggiare il matrimonio. Se tutti fossero persone maturate normalmente, le crisi sarebbero meno frequenti e meno dolorose. Ma il fatto è che a volte le persone hanno bisogno di realizzare a quarant’anni una maturazione arretrata che avrebbero dovuto raggiungere alla fine dell’adolescenza. A volte si ama con un amore egocentrico proprio del bambino, fissato in una fase in cui la realtà si distorce e si vive il capriccio che tutto debba girare intorno al proprio io. È un amore insaziabile, che grida e piange quando non ottiene quello che desidera. Altre volte si ama con un amore fissato ad una fase adolescenziale, segnato dal contrasto, dalla critica acida, dall’abitudine di incolpare gli altri, dalla logica del sentimento e della fantasia, dove gli altri devono riempire i nostri vuoti o sostenere i nostri capricci.

240. Molti terminano la propria infanzia senza aver mai sperimentato di essere amati incondizionatamente, e questo ferisce la loro capacità di aver fiducia e di donarsi. Una relazione mal vissuta con i propri genitori e fratelli, che non è mai stata sanata, riappare, e danneggia la vita coniugale. Dunque bisogna fare un percorso di liberazione che non si è mai affrontato. Quando la relazione tra i coniugi non funziona bene, prima di prendere decisioni importanti, conviene assicurarsi che ognuno abbia fatto questo cammino di cura della propria storia. Ciò esige di riconoscere la necessità di guarire, di chiedere con insistenza la grazia di perdonare e di perdonarsi, di accettare aiuto, di cercare motivazioni positive e di ritornare a provare sempre di nuovo. Ciascuno dev’essere molto sincero con sé stesso per riconoscere che il suo modo di vivere l’amore ha queste immaturità. Per quanto possa sembrare evidente che tutta la colpa sia dell’altro, non è mai possibile superare una crisi aspettando che solo l’altro cambi. Occorre anche interrogarsi sulle cose che uno potrebbe personalmente maturare o sanare per favorire il superamento del conflitto.


Accompagnare dopo le rotture e i divorzi

241. In alcuni casi, la considerazione della propria dignità e del bene dei figli impone di porre un limite fermo alle pretese eccessive dell’altro, a una grande ingiustizia, alla violenza o a una mancanza di rispetto diventata cronica. Bisogna riconoscere che «ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza».[257] Comunque «deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano».[258]

242. I Padri hanno indicato che «un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità di una pastorale della riconciliazione e della mediazione attraverso anche centri di ascolto specializzati da stabilire nelle diocesi».[259] Nello stesso tempo, «le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà».[260] Un fallimento matrimoniale diventa molto più traumatico e doloroso quando c’è povertà, perché si hanno molte meno risorse per riorientare l’esistenza. Una persona povera che perde l’ambiente protettivo della famiglia resta doppiamente esposta all’abbandono e a ogni tipo di rischi per la sua integrità.

243. Ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale.[261] Queste situazioni «esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità».[262]

244. D’altra parte, un gran numero di Padri «ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità».[263] La lentezza dei processi crea disagio e stanca le persone. I miei due recenti Documenti su tale materia[264] hanno portato ad una semplificazione delle procedure per una eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Attraverso di essi ho anche voluto «rendere evidente che lo stesso Vescovo nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati».[265] Perciò, «l’attuazione di questi documenti costituisce una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli alla giustizia. Ciò implica la preparazione di un personale sufficiente, composto di chierici e laici, che si consacri in modo prioritario a questo servizio ecclesiale. Sarà pertanto necessario mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale (cfr Mitis Iudex, art. 2-3)».[266]

245. I Padri Sinodali hanno anche messo in evidenza «le conseguenze della separazione o del divorzio sui figli, in ogni caso vittime innocenti della situazione».[267] Al di sopra di tutte le considerazioni che si vogliano fare, essi sono la prima preoccupazione, che non deve essere offuscata da nessun altro interesse o obiettivo. Ai genitori separati rivolgo questa preghiera: «Mai, mai, mai prendere il figlio come ostaggio! Vi siete separati per tante difficoltà e motivi, la vita vi ha dato questa prova, ma i figli non siano quelli che portano il peso di questa separazione, non siano usati come ostaggi contro l’altro coniuge, crescano sentendo che la mamma parla bene del papà, benché non siano insieme, e che il papà parla bene della mamma».[268] È irresponsabile rovinare l’immagine del padre o della madre con l’obiettivo di accaparrarsi l’affetto del figlio, per vendicarsi o per difendersi, perché questo danneggerà la vita interiore di quel bambino e provocherà ferite difficili da guarire.

246. La Chiesa, sebbene comprenda le situazioni conflittuali che i coniugi devono attraversare, non può cessare di essere voce dei più fragili, che sono i figli che soffrono, spesso in silenzio. Oggi, «nonostante la nostra sensibilità apparentemente evoluta, e tutte le nostre raffinate analisi psicologiche, mi domando se non ci siamo anestetizzati anche rispetto alle ferite dell’anima dei bambini. […] Sentiamo il peso della montagna che schiaccia l’anima di un bambino, nelle famiglie in cui ci si tratta male e ci si fa del male, fino a spezzare il legame della fedeltà coniugale?».[269] Queste brutte esperienze non sono di aiuto affinché quei bambini maturino per essere capaci di impegni definitivi. Per questo, le comunità cristiane non devono lasciare soli i genitori divorziati che vivono una nuova unione. Al contrario, devono includerli e accompagnarli nella loro funzione educativa. Infatti, «come potremmo raccomandare a questi genitori di fare di tutto per educare i figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata, se li tenessimo a distanza dalla vita della comunità, come se fossero scomunicati? Si deve fare in modo di non aggiungere altri pesi oltre a quelli che i figli, in queste situazioni, già si trovano a dover portare!».[270] Aiutare a guarire le ferite dei genitori e accoglierli spiritualmente, è un bene anche per i figli, i quali hanno bisogno del volto familiare della Chiesa che li accolga in questa esperienza traumatica. Il divorzio è un male, ed è molto preoccupante la crescita del numero dei divorzi. Per questo, senza dubbio, il nostro compito pastorale più importante riguardo alle famiglie, è rafforzare l’amore e aiutare a sanare le ferite, in modo che possiamo prevenire l’estendersi di questo dramma della nostra epoca.

Alcune situazioni complesse

247. «Le problematiche relative ai matrimoni misti richiedono una specifica attenzione. I matrimoni tra cattolici e altri battezzati “presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico”. A tal fine “va ricercata […] una cordiale collaborazione tra il ministro cattolico e quello non cattolico, fin dal tempo della preparazione al matrimonio e delle nozze” (Familiaris consortio, 78). Circa la condivisione eucaristica si ricorda che “la decisione di ammettere o no la parte non cattolica del matrimonio alla comunione eucaristica va presa in conformità alle norme generali esistenti in materia, tanto per i cristiani orientali quanto per gli altri cristiani, e tenendo conto di questa situazione particolare, che cioè ricevono il sacramento del matrimonio cristiano due cristiani battezzati. Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’Eucaristia non può essere che eccezionale e, in ogni caso, vanno osservate le disposizioni indicate” (Pont. Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’Applicazione dei Principi e delle Norme sull’Ecumenismo, 25 marzo 1993, 159-160)».[271]

248. «I matrimoni con disparità di culto rappresentano un luogo privilegiato di dialogo interreligioso […] comportano alcune speciali difficoltà sia riguardo alla identità cristiana della famiglia, sia all’educazione religiosa dei figli. […] Il numero delle famiglie composte da unioni coniugali con disparità di culto, in crescita nei territori di missione e anche nei Paesi di lunga tradizione cristiana, sollecita l’urgenza di provvedere ad una cura pastorale differenziata secondo i diversi contesti sociali e culturali. In alcuni Paesi, dove la libertà di religione non esiste, il coniuge cristiano è obbligato a passare ad un’altra religione per potersi sposare, e non può celebrare il matrimonio canonico in disparità di culto né battezzare i figli. Dobbiamo ribadire pertanto la necessità che la libertà religiosa sia rispettata nei confronti di tutti».[272] «È necessario rivolgere un’attenzione particolare alle persone che si uniscono in tali matrimoni, non solo nel periodo precedente alle nozze. Sfide peculiari affrontano le coppie e le famiglie nelle quali un partner è cattolico e l’altro non credente. In tali casi è necessario testimoniare la capacità del Vangelo di calarsi in queste situazioni così da rendere possibile l’educazione alla fede cristiana dei figli».[273]

249. «Particolare difficoltà presentano le situazioni che riguardano l’accesso al battesimo di persone che si trovano in una condizione matrimoniale complessa. Si tratta di persone che hanno contratto un’unione matrimoniale stabile in un tempo in cui ancora almeno una di esse non conosceva la fede cristiana. I Vescovi sono chiamati a esercitare, in questi casi, un discernimento pastorale commisurato al loro bene spirituale».[274]

250. La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni.[275] Con i Padri sinodali ho preso in considerazione la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, esperienza non facile né per i genitori né per i figli. Perciò desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione»[276] e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita.[277]

251. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».[278]

252. Le famiglie monoparentali hanno origine spesso a partire da «madri o padri biologici che non hanno voluto mai integrarsi nella vita familiare, situazioni di violenza da cui un genitore è dovuto fuggire con i figli, morte di uno dei genitori, abbandono della famiglia da parte di uno dei genitori, e altre situazioni. Qualunque sia la causa, il genitore che abita con il bambino deve trovare sostegno e conforto presso le altre famiglie che formano la comunità cristiana, così come presso gli organismi pastorali parrocchiali. Queste famiglie sono spesso ulteriormente afflitte dalla gravità dei problemi economici, dall’incertezza di un lavoro precario, dalla difficoltà per il mantenimento dei figli, dalla mancanza di una casa».[279]


Quando la morte pianta il suo pungiglione

253. A volte la vita familiare si vede interpellata dalla morte di una persona cara. Non possiamo tralasciare di offrire la luce della fede per accompagnare le famiglie che soffrono in questi momenti.[280] Abbandonare una famiglia quando una morte la ferisce sarebbe una mancanza di misericordia, perdere un’opportunità pastorale, e questo atteggiamento può chiuderci le porte per qualsiasi altra azione evangelizzatrice.

254. Comprendo l’angoscia di chi ha perso una persona molto amata, un coniuge con cui ha condiviso tante cose. Gesù stesso si è commosso e ha pianto alla veglia funebre di un amico (cfr Gv 11,33.35). E come non comprendere il lamento di chi ha perso un figlio? Infatti, «è come se si fermasse il tempo: si apre un abisso che ingoia il passato e anche il futuro. […] E a volte si arriva anche ad accusare Dio. Quanta gente – li capisco – si arrabbia con Dio».[281] «La vedovanza è un’esperienza particolarmente difficile […] alcuni mostrano di saper riversare le proprie energie con ancor più dedizione sui figli e i nipoti, trovando in questa espressione di amore una nuova missione educativa. […] Coloro che non possono contare sulla presenza di familiari a cui dedicarsi e dai quali ricevere affetto e vicinanza devono essere sostenuti dalla comunità cristiana con particolare attenzione e disponibilità, soprattutto se si trovano in condizioni di indigenza».[282]

255. In generale il lutto per i defunti può durare piuttosto a lungo, e quando un pastore vuole accompagnare questo percorso, deve adattarsi alle necessità di ognuna delle sue fasi. Tutto il percorso è solcato da domande: sulle cause della morte, su ciò che si sarebbe potuto fare, su cosa vive una persona nel momento precedente alla morte... Con un cammino sincero e paziente di preghiera e di liberazione interiore, ritorna la pace. A un certo punto del lutto occorre aiutare a scoprire che quanti abbiamo perso una persona cara abbiamo ancora una missione da compiere, e che non ci fa bene voler prolungare la sofferenza, come se questa fosse un atto di ossequio. La persona amata non ha bisogno della nostra sofferenza, né le risulta lusinghiero che roviniamo la nostra vita. Nemmeno è la migliore espressione di amore ricordarla e nominarla in ogni momento, perché significa rimanere attaccati ad un passato che non esiste più, invece di amare la persona reale che ora si trova nell’al di là. La sua presenza fisica non è più possibile, ma, se la morte è qualcosa di potente, «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6). L’amore possiede un’intuizione che gli permette di ascoltare senza suoni e di vedere nell’invisibile. Questo non è immaginare la persona cara così com’era, bensì poterla accettare trasformata, come è ora. Gesù risorto, quando la sua amica Maria volle abbracciarlo con forza, le chiese di non toccarlo (cfr Gv20,17), per condurla a un incontro differente.

256. Ci consola sapere che non esiste la distruzione completa di coloro che muoiono, e la fede ci assicura che il Risorto non ci abbandonerà mai. Così possiamo impedire alla morte «di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio».[283] La Bibbia parla di un Dio che ci ha creato per amore, e che ci ha fatto in modo tale che la nostra vita non finisce con la morte (cfr Sap 3,2-3). San Paolo ci parla di un incontro con Cristo immediatamente dopo la morte: «Ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo» (Fil 1,23). Con Lui, dopo la morte ci aspetta ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano (cfr1 Cor 2,9). Il prefazio della Liturgia dei defunti lo esprime magnificamente: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata». Infatti «i nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio».[284]

257. Un modo di comunicare con i nostri cari che sono morti è pregare per loro.[285] Dice la Bibbia che «pregare per i defunti» è cosa «santa e devota» (2 Mac 12,44-45). Pregare per loro «può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore».[286] L’Apocalisse presenta i martiri mentre intercedono per coloro che soffrono ingiustizia sulla terra (cfr 6,9-11), solidali con questo mondo in cammino. Alcuni santi, prima di morire, consolavano i propri cari promettendo che sarebbero stati loro vicini per aiutarli. Santa Teresa di Lisieux sentiva di voler continuare a fare del bene dal Cielo.[287] San Domenico affermava che «sarebbe stato più utile dopo la morte, […] più potente nell’ottenere grazie».[288] Sono legami di amore,[289] perché «l’unione di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata […], è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali».[290]

258. Se accettiamo la morte possiamo prepararci ad essa. La via è crescere nell’amore verso coloro che camminano con noi, fino al giorno in cui «non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4). In questo modo ci prepareremo anche a ritrovare i nostri cari che sono morti. Come Gesù restituì a sua madre il figlio che era morto (cfr Lc 7,15), similmente farà con noi. Non sprechiamo energie fermandoci anni e anni nel passato. Quanto meglio viviamo su questa terra, tanto maggiore felicità potremo condividere con i nostri cari nel cielo. Quanto più riusciremo a maturare e a crescere, tanto più potremo portare cose belle al banchetto celeste.


[Modificato da MARIOCAPALBO 10/04/2016 17:52]

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