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IL CONSENSO DEGLI EVANGELISTI

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2016 20:22
17/03/2016 20:21

L'unzione di Betania.


79. 154. Continuando il racconto dal punto dove l'avevamo interrotto per un esame più approfondito, Matteo scrive: Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. Ma dicevano: " Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo ". Mentre Gesù si trovava a Betania, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa 669 ecc., fino alle parole: Sarà detto anche ciò che essa ha fatto in ricordo di lei 670. Prendiamo in esame i fatti di Betania soffermandoci particolarmente sulla donna e sull'unguento prezioso. Un avvenimento simile a questo è ricordato anche da Luca 671, e troviamo che identico è il nome del fariseo presso il quale il Signore pranzava. Si chiamava infatti Simone, com'è detto anche dagli altri evangelisti. Dobbiamo però a questo riguardo notare che, se non è innaturale né insolito che un uomo abbia due nomi, tanto meno lo è il fatto che due diverse persone abbiano lo stesso nome, per cui è assai verosimile che il Simone non lebbroso, di cui Luca, sia differente da quell'altro in casa del quale avvenne l'episodio che Matteo situa in Betania. In realtà Luca non dice che quanto da lui narrato accadde a Betania: di modo che, non avendo egli precisato né la città né il villaggio, sembra preferibile concludere che non si tratta della medesima località. Riguardo invece alla donna io sarei dell'avviso che Luca si riferisca alla stessa Maria di cui ci parlano gli altri evangelisti, e non ad un'altra. È sempre la stessa peccatrice: la quale si gettò ai piedi di Gesù e li baciò, li lavò con le lacrime, li asciugò con i capelli e li unse con l'unguento; e a lei il Signore, mediante la parabola dei due debitori, disse che erano stati rimessi molti peccati perché aveva molto amato. Da ciò segue che la stessa Maria ripeté due volte il suo gesto, e di queste due volte Luca ci narra la prima, quando cioè la donna si presentò a Gesù la prima volta e ottenne il perdono dei peccati mediante l'umiltà e le lacrime. Di quanto raccontato da Luca, sebbene non scenda nei particolari dell'episodio, si occupa anche Giovanni, presentandoci la stessa Maria quando si accinge a narrare la risurrezione di Lazzaro, prima che Gesù entri in Betania. Egli scrive: Era allora malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato 672. Con tali parole Giovanni conferma il racconto di Luca che colloca l'episodio in casa di un certo Simone fariseo 673. Maria dunque aveva già una prima volta compiuto quel gesto. Che se poi un gesto uguale lo compì a Betania, si tratta d'un avvenimento diverso, rimasto fuori dal racconto di Luca ma riportato concordemente dagli altri tre, cioè Giovanni, Matteo e Marco 674.


79. 155. Prendiamo ora in esame gli evangelisti Matteo, Marco e Giovanni e vediamo come sia concorde il loro racconto. Non c'è dubbio che essi narrino la stessa vicenda, cioè quel che accadde a Betania. Basti sottolineare la nota, riferita da tutti e tre, concernente i discepoli che brontolavano contro la donna quasi che avesse sprecato quell'unguento preziosissimo. Se poi Matteo e Marco dicono che con l'unguento fu cosparso il capo del Signore mentre Giovanni i piedi, è facile dimostrare che non esiste opposizione fra i due racconti se si tiene presente quella norma che abbiamo esposta trattando delle folle sfamate con i cinque pani. Narrando quell'episodio un evangelista parla di persone divise cinquanta per cinquanta e cento per cento mentre un altro ricorda la sola divisione per gruppi di cinquanta 675. I due racconti non sono certo contrastanti fra loro, mentre invece lo sarebbero se uno avesse parlato solo della distribuzione per centinaia e l'altro solo di quella per cinquantine: nel quale caso si sarebbe dovuto ugualmente investigare come poterono accadere l'una e l'altra cosa. In quell'occasione, e prendendo proprio lo spunto da quell'esempio, avvisai [il lettore] che con un tal modo di narrare ci si inculca una norma, quella cioè che, se un evangelista dice una cosa e un altro un'altra, le si deve intendere come avvenute tutt'e due 676. Di conseguenza nel nostro caso dobbiamo ritenere che la donna cosparse d'unguento non solo la testa ma anche i piedi. Che se Marco annota che, rotto il vaso di alabastro, fu unta la testa del Signore, bisogna essere proprio accaniti nel calunniare lo scrivente per asserire che nel vaso rotto non ci poté restare una qualche goccia per ungere i piedi. Ora, se uno, lottando contro la verità del Vangelo, si intestardisse nel ritenere che la rottura del vaso fu tale da non consentire che vi restasse una qualsiasi goccia, quanto non fa meglio quell'altro che, lottando con animo pio per sostenere la verità del Vangelo, afferma coraggiosamente che quel vaso non si dové rompere al segno che tutto il liquido ebbe a versarsi? Ma supponiamo che quell'accanito avversario del Vangelo sia talmente cieco che, prendendo lo spunto dalla rottura del vaso, voglia infrangere l'accordo che regna tra i Vangeli. Costui si convinca che l'unzione dei piedi avvenne prima della rottura del vaso, il quale pertanto rimase intatto finché non fu unto anche il capo, quando lo si ruppe e tutto il liquido si versò. Se infatti l'esperienza ci dice che normalmente si inizia con la cura del capo, non è anormale - a quel che ci consta - risalire dalla cura dei piedi a quella della testa.


79. 156. Per il resto penso che l'episodio di cui ci occupiamo non presenti alcun problema. Ci sarebbe, è vero, il particolare della mormorazione sull'unguento prezioso che gli evangelisti attribuiscono ai discepoli mentre Giovanni al solo Giuda, aggiungendovi anche il motivo, e cioè che egli era un ladro 677. A quanto mi è dato supporre, ritengo con certezza che col nome " discepoli " si sia voluto indicare il solo Giuda, per quella figura grammaticale che consente l'uso del plurale in luogo del singolare, come accennammo nell'episodio dei cinque pani dove Giovanni menziona solamente Filippo 678. Il testo si potrebbe anche intendere nel senso che la stessa cosa pensarono o dissero anche gli altri discepoli o magari che tutti si lasciarono convincere dalle parole di Giuda, e questa convinzione, comune a tutti, secondo Matteo e Marco l'avrebbero espressa tutti anche a parole: solo che Giuda ne parlò perché era ladro, mentre gli altri perché avevano a cuore i bisogni dei poveri. Quanto a Giovanni, se egli volle ricordare il solo Giuda, lo fece perché, approfittando di quanto allora accaduto, si credette in dovere di segnalarci che egli a rubare c'era abituato.


I preparativi per la Pasqua.


80. 157. Matteo prosegue: Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: " Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni? ". E quelli gli fissarono trenta monete d'argento 679 ecc., fino alle parole: I discepoli fecero come aveva ordinato Gesù e prepararono la Pasqua 680. In questo brano nulla è da ritenersi contrario al racconto di Marco e di Luca, che narrano le stesse cose e in maniera su per giù uguale 681. Se infatti dice Matteo: Andate in città da un tale e ditegli: " Il Maestro dice: Il mio tempo si avvicina, presso di te celebro la Pasqua con i miei discepoli " 682, si riferisce a quell'uomo che Marco e Luca qualificano come padre di famiglia o padrone della casa in cui, stando alle indicazioni ricevute, era il cenacolo dove avrebbero dovuto preparare la Pasqua. Che se Matteo ce lo presenta come un tale, ciò fa come parlando in persona propria e volendo menzionarlo in maniera brachilogica, come cioè chi si preoccupa della brevità. Se infatti avesse scritto che il Signore disse ai discepoli di recarsi in città e di dire non si sa a chi: " Ecco cosa ti dice il Maestro: Il mio tempo è vicino, io voglio fare da te la mia Pasqua ", tali parole qualcuno le avrebbe potute intendere come rivolte alla città stessa. Per evitare ciò l'evangelista sottolinea che il Signore comandò ai discepoli di recarsi da un tale, non mette però il nome con cui venne designato in bocca al Signore, del quale riferisce il comando, ma come parlando lui personalmente. In tal modo lo scrivente non ha bisogno di raccontare ogni cosa, ritenendo l'espressione usata sufficiente perché si comprenda il pensiero di colui che aveva impartito il comando. Chi infatti non sa che nessuno, avendo voglia di farsi capire, dice: Andate da vattelappesca? Se invece si dicesse: Andate da uno qualunque, o: Andate da chi vi pare, la frase in se stessa sarebbe completa, pur rimanendo imprecisata la persona dalla quale li si manda. Nel nostro caso tuttavia non esiste imprecisione poiché Marco e Luca, pur tacendone il nome, dicono trattarsi di una persona ben determinata 683. Il Signore infatti sapeva da chi li mandava e, affinché anche gli inviati lo potessero identificare li preavvertì d'un segno dal quale l'avrebbero dovuto riconoscere. Si trattava di un uomo che portava una brocca, o anfora, d'acqua. Costui avrebbero dovuto seguire per giungere alla casa prescelta dal Maestro. Non si poteva pertanto, nel nostro caso, dire: " Andate da chi vi pare ", che sarebbe stata un frase in sé completa ma non in grado d'esprimere la verità del comando loro impartito; e tanto meno: " Andate da un tale comechessia ", espressione che il parlare corretto assolutamente non ammette. È pertanto da ritenersi come scontato che il Signore non inviò i discepoli a una persona qualunque ma a quel tale uomo, cioè a un uomo ben determinato. Parlando di quest'uomo in prima persona l'evangelista può senza alcun dubbio presentarlo a noi, che leggiamo il suo racconto, dicendoci semplicemente: [Il Signore] li mandò da un tale con l'incarico di comunicargli che avrebbe fatto la Pasqua in casa sua. Ovvero: Li mandò da un tale dicendo loro: Andate e ditegli: In casa tua mangerò la Pasqua. Riferito, insomma, l'ordine del Signore di andare in città, di sua iniziativa l'evangelista scrive: Da un tale, non perché il Signore s'era espresso proprio così ma perché allo scrivente stava a cuore farci sapere che nella città ci fu un tizio, di cui tace il nome, dal quale furono inviati i discepoli del Signore per preparare la Pasqua. Dopo questa interruzione di due sole parole, che l'evangelista conia personalmente, egli riprende la narrazione ordinata delle parole dette dal Signore e cioè: Andate a dirgli: Il Maestro dice. Se mi chiedi: A chi dovevano dire quelle parole?, con buone ragioni ti rispondo: A quell'uomo nella cui casa il Signore li aveva mandati e al quale accenna l'evangelista designandolo di sua iniziativa come un tale. È, questo, un modo d'esprimersi non molto frequente ma, inteso così, più che corretto. Che se poi l'ebraico - lingua nella quale, a quanto ci si tramanda, Matteo scrisse il Vangelo - ha delle licenze per cui la frase, anche se proferita tutta intera dal Signore non è priva di completezza, lo lasciamo valutare agli esperti. Anche in latino sarebbe ammessa un'espressione simile, letta però in questa maniera: Andate in città presso un tale che vi verrà mostrato da un uomo il quale vi verrà incontro portando in testa una brocca d'acqua. A un simile comando si sarebbe potuto obbedire senza possibilità di confusioni. Così, se la frase fosse stata specificata ancora con un: "Andate in città presso un tale che risiede in tale o talaltro posto, o in tale o talaltra casa ". Con la precisazione del posto o l'indicazione della casa, la frase era comprensibile e il precetto fattibile. Uno che dice: Andate da un tale e ditegli, ma non precisa queste o altre simili note indicative, non si esprime in modo incomprensibile, perché, se è vero che dicendo: Andate da un tale si riferisce a una persona determinata, a noi mancano gli elementi per identificarla. Preferiamo quindi ritenere quelle parole come espressione personale dell'evangelista che ha voluto collocarle in quel contesto. Con questa interpretazione otteniamo, è vero, una frase piuttosto oscura - e ciò lo si deve alla sua brevità - ma in se stessa completa. Quanto finalmente alla menzione che Marco fa di una brocca, mentre Luca di un'anfora, ci sembra che l'uno abbia voluto sottolineare che si trattava di un vaso, l'altro ne ha descritto la forma, ma l'uno e l'altro raccontano la sostanza della verità.


80. 158. Continua Matteo: Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: " In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà ". Ed essi, addolorati profondamente, cominciarono ciascuno a domandargli: " Sono forse io, Signore? " 684 ecc., fino alle parole: Giuda il traditore disse: " Rabbi, sono forse io? ". Gli rispose: " Tu l'hai detto " 685. Nel racconto che ora prendiamo in esame non ci sono problemi, in quanto anche gli altri evangelisti riferiscono le stesse cose 686.



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