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IL CONSENSO DEGLI EVANGELISTI

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2016 20:22
17/03/2016 20:21

Le nozze del Figlio del Re.


71. 139. Continua Matteo: Udite queste parabole i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo, ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta. Gesù riprese a parlare loro in parabole e disse: Il Regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per il suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze ma questi non vollero venire 597 ecc., fino alle parole: Poiché molti sono i chiamati, pochi gli eletti 598. La parabola degli invitati alle nozze è narrata dal solo Matteo; Luca riferisce qualcosa di simile ma non è lo stesso racconto 599, anche se fra i due brani ci sono delle somiglianze: l'ordine della narrazione sta a indicarne la diversità. Dopo la parabola della vigna e del figlio del padrone di casa ucciso dai coloni Matteo annota che i Giudei, accortisi che tutto il discorso era contro di loro, cominciarono a tramare insidie per farlo morire: particolare, questo, che è riportato anche da Marco e da Luca 600. Qui i due procedono nel medesimo ordine ma poi se ne distaccano per raccontare altre cose, inserendo dopo ciò quel che Matteo, conforme all'ordinamento del suo scritto, aveva narrato al termine della parabola delle nozze, da lui solo raccontata.


Il tributo a Cesare.


72. 140. Così dunque prosegue Matteo: Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: " Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare? " 601 ecc., fino alle parole: Udendo ciò, la folla era sbalordita per la sua dottrina 602. Queste due risposte del Signore, riguardanti e la moneta da pagarsi a Cesare come tributo e la risurrezione dei morti, motivata dal fatto di quella donna che aveva sposato uno dopo l'altro sette fratelli, sono riportate in maniera pressoché uguale da Marco e da Luca, e identico è anche l'ordine della narrazione 603. Il secondo e il terzo evangelista raccontano infatti la parabola dei coloni cui fu affittata la vigna e la applicano ai Giudei, che per questo motivo tendono insidie al Signore, di modo che in questo racconto convergono tutti e tre; e se poi essi omettono la parabola degli invitati alle nozze, riferita dal solo Matteo, nel seguito del racconto si avvicinano di nuovo a lui e riportano gli episodi del tributo a Cesare e della donna sposata a sette uomini consecutivamente. Il loro racconto si snoda esattamente nello stesso ordine, per cui non esiste alcun problema di diversità.


I comandamenti principali della nuova legge.


73. 141. Prosegue Matteo: Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: " Maestro, qual è il più grande comandamento della legge? ". Gli rispose: " Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente 604. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso 605. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti " 606. La stessa cosa riferisce Marco e nello stesso ordine 607. Né deve sorprendere quanto scrive Matteo, e cioè che quel tale che andò a interrogare il Signore lo fece per metterlo alla prova: particolare, questo, su cui Marco sorvola, anzi alla fine quando il dialogo volgeva alla conclusione annota che, avendo lo scriba risposto conforme a sapienza, il Signore gli disse: Non sei lontano dal Regno di Dio 608. Poté infatti accadere che egli, avvicinatosi al Signore con l'intenzione di tentarlo, si sia poi ravveduto udendo la sua risposta. Ovvero, quanto meno, se si trattò realmente di tentazione, non dobbiamo intenderla in senso cattivo, come di uno che volesse trarre in errore un suo nemico, ma piuttosto di una tentazione avanzata da un diffidente che voleva indagare più profondamente su cose sconosciute. Non senza motivo infatti è stato scritto:Chi crede con faciloneria è un uomo superficiale e la sconterà 609.


73. 142. Una narrazione simile a questa è collocata da Luca non nel medesimo ordine ma in tutt'altro contesto 610. Se poi si tratti dello stesso episodio, che egli lì ricorda, ovvero sia un altro lo scriba col quale il Signore discusse parimenti dei due precetti della legge, è cosa totalmente incerta. In realtà sembra trattarsi di un'altra persona, e questo non solo per la diversità della collocazione ma anche perché, al dire di Luca, chi diede la risposta al Signore che l'aveva interrogato fu lo stesso scriba, che rispondendo parlò appunto dei due comandamenti. Quando il Signore gli disse: Fa' ciò e vivrai 611 (doveva cioè metter in pratica quel che lui stesso aveva definito importante), allora, al dire di Luca: Egli volendo trovare una scusa replicò: " Ma il mio prossimo chi è? " 612. In risposta il Signore gli raccontò di quel tale che scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti. Tirando le somme, di lui si afferma all'inizio che andò dal Signore per tentarlo, successivamente che fu lui stesso a dare la risposta dei due comandamenti e che alla fine dovette udire il richiamo del Signore: Fa' questo e vivrai. Tali rilievi inducono a pensarlo come un poco di buono, anche perché di lui si dice che cercava un appiglio per giustificare la propria condotta. Molto diverso è dunque quell'altro di cui parlano concordemente Matteo e Marco, i quali lo presentano in così buona luce che il Signore stesso ebbe a dirgli: Non sei lontano dal Regno di Dio 613. Ragion per cui con molta probabilità lo si ritiene un personaggio diverso, e non lo stesso di Luca.


Gesù figlio di Davide.


74. 143. Prosegue Matteo: Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: " Che ne pensate del Cristo? Di chi è figlio? ". Gli risposero: " Di Davide ". Ed egli a loro: " Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio? ". Nessuno era in grado di rispondere nulla; e nessuno da quel giorno osò interrogarlo 614. La stessa cosa riferisce Marco e nello stesso ordine 615. Luca si differenzia dagli altri due solo perché non parla di quel tale che chiese al Signore quale fosse il primo comandamento della legge ma, a parte questa omissione, si adegua allo stesso ordine e narra in modo analogo la domanda posta dal Signore ai Giudei nei riguardi del Cristo e com'egli sia da ritenersi figlio di Davide 616. Le differenze esistenti nei singoli evangelisti non toccano dunque l'essenza dei fatti. Questo diciamo di Matteo, il quale ci presenta Gesù che interroga [i farisei] su cosa pensino del Cristo e di chi sia figlio. Alla sua domanda essi risposero: Di Davide, meritandosi il richiamo: Come mai Davide lo chiama Signore? Se si sta invece al racconto degli altri due, Marco e Luca, non troviamo cenno né della domanda né della risposta. Dobbiamo pertanto ritenere che, data dai farisei la propria risposta, i due evangelisti sottolineano l'insegnamento che diede il Signore e dicono anche in quale maniera lo presentò agli uditori. La sua intenzione era di illuminarli a salvezza mediante il suo insegnamento e distoglierli dalle idee propagandate dagli scribi. Costoro infatti ammettevano soltanto che il Cristo nella sua umanità discendeva dalla stirpe di Davide ma non lo riconoscevano Dio e, come tale, Signore dello stesso Davide. In tal modo il Signore parlava riferendosi ai dottori della legge, che erano in errore nei suoi riguardi, ma il discorso era direttamente rivolto ai discepoli che desiderava fossero liberati da tale errore. Così è riferito dagli evangelisti Marco e Luca, per cui le parole di Matteo:Come potete dire non si debbono intendere rivolte ai Giudei ma, attraverso loro e prendendo lo spunto da loro, dette a coloro cui era rivolto l'ammaestramento.


La cattedra di Mosè occupata dai Farisei.


75. 144. Matteo prosegue descrivendo i fatti in questa successione: Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: " Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno " 617 ecc., fino alle parole: Non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! 618 Anche Luca parla di un discorso simile tenuto dal Signore contro i farisei, gli scribi e i dottori della legge, ma lo colloca in casa di un fariseo che aveva invitato a pranzo Gesù 619. Per narrare questo episodio si era allontanato da Matteo dopo aver riportato, in comune con lui, le parole del Signore sul segno di Giona con i suoi tre giorni e tre notti, sulla regina del Mezzogiorno, sui Niniviti e lo spirito immondo che tornando trova la casa ripulita 620. Al termine di questo discorso Matteo dice: Stava ancora parlando alle turbe quando sua madre e i suoi fratelli, giunti sul posto, cercavano di parlargli 621. Anche Luca riporta questo discorso del Signore, anzi vi inserisce alcuni detti del Signore omessi da Matteo 622, ma poi si stacca dall'ordine che in comune con Matteo aveva fin lì seguito, e scrive: Dopo che ebbe finito di parlare un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: " Voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità " 623. Continuando su questo tono, riferisce le altre invettive contro i farisei, gli scribi e i dottori della legge che Matteo colloca nel contesto che avevamo preso in esame 624. Nel riferire tali cose Matteo non fa menzione della casa del fariseo ma nemmeno indica, per tale discorso, un luogo che contrasti in qualche modo con la casa di cui Luca. Egli tuttavia ci ha presentato già prima il Signore come entrato in Gerusalemme, dopo che aveva lasciato la Galilea; e tutto quello che precede il nostro discorso lo colloca dopo il suo arrivo in città, a differenza di Luca, che racconta il fatto come avvenuto durante il cammino del Signore verso Gerusalemme. Da tutto ciò io propenderei per concludere trattarsi di due discorsi, simili fra loro e narrati l'uno da un evangelista e l'altro dall'altro.


75. 145. Occorre vagliare bene come mai Matteo collochi qui le parole: Non mi vedrete più fino al giorno in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore 625, quando egli stesso le ha fatte dire alla gente molto tempo prima 626. Quanto a Luca, egli le presenta come una risposta data dal Signore a coloro che l'avevano avvertito di lasciare quei luoghi perché Erode lo voleva uccidere. Egli ricorda ancora come in quell'occasione il Signore pronunziò contro Gerusalemme le stesse parole che Matteo colloca in questo contesto. Ecco il racconto di Luca: In quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: " Parti e vattene via di qua, perché Erode ti vuole uccidere ". Egli rispose: " Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i Profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per essere lasciata! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! 627 Con tale racconto, Luca non sembra essere in contrasto con quel che dissero le folle mentre Gesù entrava in Gerusalemme e cioè: Benedetto colui che viene nel nome del Signore 628. È vero invece che nella successione dei fatti riferita da Luca il Signore non era ancora giunto in città quando tali parole furono pronunziate e, stando sempre a Luca, egli mai lasciò la città per rientrarvi quando gli vennero rivolte tali parole. Vediamo infatti il Signore continuare il suo viaggio finché non arriva a Gerusalemme: per cui le sue parole: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito629, debbono essere interpretate come da lui dette in senso spirituale e figurato. In realtà egli non affrontò la passione tre giorni dopo di allora, mentre nel seguito immediato del discorso dice: Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada 630. Una tale conclusione ci spinge a interpretare in senso spirituale anche le parole: Non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore 631, e a riferirle alla sua venuta nella gloria. Ciò vorrebbe dire che anche le altre: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò finito, debbono riferirsi al suo corpo che è la Chiesa. I demoni infatti vengono cacciati ogni volta che le genti abbandonando le superstizioni dei padri credono in lui, e le guarigioni si operano quando si inizia a vivere secondo i suoi precetti, dopo che si è rinunziato al diavolo e al mondo. Alla fine poi ci sarà la risurrezione; e allora la Chiesa, giunta al terzo giorno otterrà il suo fine, cioè la sua perfezione, in quanto anche il corpo divenuto immortale possederà la pienezza propria degli angeli. Concludendo, dovremo ritenere che la successione dei fatti seguita da Matteo non registra digressioni, mentre per Luca si possono proporre diverse spiegazioni. Egli, potrebbe aver anticipato i fatti accaduti in Gerusalemme, inserendoli nella sua narrazione in un contesto che precede l'ingresso del Signore in città; ovvero la risposta che Gesù diede a quei che l'avvertivano di stare in guardia da Erode poté essere data quando si trovava nelle vicinanze della città, mentre Matteo presenta le stesse cose come dette alle turbe dopo il suo ingresso in Gerusalemme e dopo che ebbe compiuto tutte le gesta di cui s'è parlato sopra.


La distruzione del tempio.


76. 146. Matteo continua: Mentre Gesù uscito dal tempio se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Gesù disse loro: " Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata " 632. Marco ricorda questi particolari con una successione più o meno identica. Se ne allontana solo per ricordare quella vedova che gettò due spiccioli nel tesoro: cosa riferita non solo da lui ma anche da Luca 633. Stando dunque a Marco, egli ci presenta il Signore che discute con i Giudei sul Cristo e in che senso essi lo ritenessero figlio di Davide; quindi riferisce quanto detto dal Signore sulla necessità di guardarsi dai farisei e dalla loro ipocrisia 634. Su tale argomento Matteo si dilunga parecchio riferendo come detti in quell'occasione molti altri discorsi. Ne risulta che, dopo quell'identico fatto narrato brevemente da Marco e presentato in maniera diffusa da Matteo, Marco, come ho già detto, non aggiunge altro di proprio all'infuori dell'episodio di quella vedova poverissima e generosissima. Subito dopo si congiunge con quanto narrato da Matteo sull'imminente distruzione del tempio. Quanto a Luca, terminata la controversia sul Cristo figlio di Davide, egli riporta poche parole sull'obbligo di guardarsi dall'ipocrisia dei farisei; quindi, come Marco, volge l'attenzione alla vedova che versò i due spiccioli nel tesoro e, alla fine, come Matteo e Marco, fa menzione dell'imminente distruzione del tempio 635.


Il discorso escatologico nei tre Sinottici.


77. 147. Prosegue Matteo: Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e in disparte gli dissero: " Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo ". Gesù rispose: Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno 636ecc., fino alle parole: E se ne andranno questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna 637. Esaminiamo questo lungo discorso del Signore e vediamo com'è riferito dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca: noteremo subito che la loro narrazione è stilata in maniera simile e secondo un identico ordine. Ciascuno aggiunge, è vero, dei particolari propri, ma in questo non c'è da temere o supporre contrasti. Riguardo invece alle cose riferite in comune bisogna discuterle perché non si pensi che ci siano contrapposizioni fra l'uno e l'altro. Qui infatti, se ci sono delle divergenze, non si può dire che si tratti d'un altro discorso del Signore, cioè di un discorso simile ma pronunciato in circostanze differenti. I particolari del racconto che leggiamo nei tre, e per i fatti narrati e per la loro cronologia obbligano a collocarli in uno stesso ambiente. Che se nel riportare gli stessi detti del Signore gli evangelisti non seguono lo stesso ordine, ciò non intacca in alcun modo la retta comprensione del racconto né lo si può prendere come semplice orientamento. L'importante è che nelle cose narrate e attribuite al Cristo non ci sia contrapposizione fra l'una e l'altra.


77. 148. Ecco, ad esempio, una frase di Matteo. Dice: Questo Vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine 638. Lo riferisce anche Marco, che procede nello stesso ordine, ma in questo modo: Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le genti 639. Non dice:Allora verrà la fine, ma questo concetto è contenuto nella parola prima, che è appunto da intendersi così: Ma prima è necessario che il Vangelo sia predicato a tutte le genti. In effetti quei tali lo avevano interrogato sulla fine, per cui la frase: Ma prima è necessario che il Vangelo sia predicato a tutte le genti, ponendo l'accento su quel prima, vuol dire "prima che giunga la fine ".


77. 149. Inoltre dice Matteo: Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo, chi legge comprenda 640. La stessa cosa intende dire Marco con le parole: Quando vedrete l'abominio della desolazione stare là dove non conviene, chi legge comprenda 641. Egli cambia solo il verbo, lasciando invariato il concetto. Dice infatti: Là dove non conviene, perché quella cosa abominevole non deve stare nel luogo santo. Quanto a Luca, egli non dice né: Quando vedrete l'abominio della desolazione stare nel luogo santo, né parla di luogo dove non dovrebbe, ma afferma: Quando vedrete Gerusalemme circondata da esercitisappiate allora che la sua devastazione è vicina 642. Vuol dire che proprio in quel tempo l'abominio della desolazione starà nel luogo santo.


77. 150. Matteo fa dire a Gesù: Allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello 643. Il passo è riportato da Marco e press'a poco con le stesse parole 644. Luca al contrario, riferite in accordo con gli altri le parole: Allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti 645, per il resto se ne differenzia notevolmente. Egli scrive: Coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città. Saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia 646. Si avverte subito la diversità fra quel che dicono i primi, e cioè: Chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa 647, e quel che dice lui: Coloro che sono dentro la città se ne allontanino, a meno che non ci si voglia riferire al grande turbamento provocato dall'imminenza di quello spaventoso pericolo. In questa ipotesi le parole: Coloro che sono dentro la città, si riferirebbero a quanti erano bloccati dall'assedio, i quali se ne resterebbero sopra i tetti sbigottiti e desiderosi di veder meglio cosa sta loro per succedere e per quale via possano sfuggire [alla morte]. Ma come può dire: Siallontanino, se prima ha detto: Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti? In effetti le parole dette subito dopo, e cioè: Coloro che sono in campagna non tornino in città, sembrano collegarsi bene con questo avvertimento, appropriato alla situazione; ed ha senso l'annotazione che chi sta fuori non deve entrare in essa, mentre invece, se si tratta di chi sta dentro le mura, come si può allontanare quando la città è circondata da eserciti? Che non sia, allora, il caso di prendere le parole: Coloro che sono dentro la città come dette in riferimento a un pericolo così pressante che, nell'ordine temporale, non se ne possa uscire da vivi, conservando cioè la vita presente? Di fronte a un tale pericolo l'anima dev'esser pronta e libera; non dev'essere ingombra e appesantita da desideri carnali. Questa stessa esortazione sarebbe contenuta nella frase riferita dai primi due evangelisti, e cioè: Sul terrazzo o: Sopra il tetto, e in quanto scrive Luca, cioè: Si allontani. Ci si direbbe insomma di non lasciarci intrappolare dai desideri della vita presente ma essere pronti ad emigrare nell'altra vita. Questo dicono Matteo e Marco con le parole: Non scendano a prendere la roba da casa, non nutrano cioè inclinazioni o affetti carnali come se ne avessero a conseguire chi sa quali vantaggi; e lo stesso dice Luca affermando: Quei che sono nella campagna non entrino in città. E vuol dire. " Coloro che con la retta intenzione del cuore sono usciti dalle bramosie della carne non vogliano nutrire ancora tali desideri ". Così le parole: Coloro che sono nel campo non tornino indietro a prendere il mantello, non potrebbero suggerire l'idea di non lasciarsi invischiare di nuovo dalle preoccupazioni di cui ci si era spogliati?


77. 151. Le parole di Matteo: Pregate perché la vostra fuga non avvenga d'inverno o di sabato 648, sono da Marco in parte riportate, in parte omesse. Egli scrive: Pregate perchénon accadano d'inverno 649. Quanto a Luca, egli non riporta queste parole ma contiene, lui solo, delle note che a mio avviso giovano a chiarire il senso dell'espressione riportata dagli altri, che è in sé piuttosto oscura. Egli scrive: State ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere 650. Così deve intendersi la fuga ricordata da Matteo: quella fuga che non deve avvenire d'inverno o di sabato. Con l'inverno infatti dicono riferimento gli affanni per la vita presente espressamente ricordati da Luca, mentre al sabato si riferiscono le crapule e le ubriachezze. Ciò perché gli affanni contengono una nota di tristezza come l'inverno, mentre le crapule e le ubriachezze affogano il cuore in godimenti carnali e specialmente nella lussuria: i quali disordini son qui chiamati col nome di sabato. Il motivo d'una tale denominazione è da collocarsi nella pessima costumanza in voga fra i Giudei di allora, come del resto in quelli di oggi, di immergersi proprio in giorno di sabato - non conoscendo il sabato spirituale - in godimenti carnali. Inoltre, può anche ammettersi che nelle parole riportate da Matteo e da Marco sia da intendersi una qualche altra cosa e un'altra ancora in quelle riportate da Luca. L'importante per noi è che non ne sorgano problemi di contrapposizione, poiché questo è il compito che ci siamo proposti in quest'opera: difendere i Vangeli dalle calunnie di falsità o di errori, non quello di farne un commento esauriente. Tornando dunque al nostro tema, osserviamo che le altre cose riferite da Matteo e, insieme, da Marco nel contesto di questo discorso, non pongono alcun problema. Ci sono poi particolari che Matteo ha in comune con Luca ma non sono riportati nel contesto di questo discorso, dove Luca si adegua all'ordine di Matteo, ma altrove. Vuol dire che in tal caso egli, ricordando delle parole del Signore, o le descrive in anticipo, cioè prima che il Signore le abbia effettivamente proferite; o si può anche supporre che il Signore ripeté due volte le stesse cose, una volta conforme narra qui Matteo, un'altra - anteriore - come narra Luca.


L'approssimarsi della Pasqua.


78. 152. Continua Matteo: Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: " Voi sapete che tra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso " 651. Concordano con lui Marco e Luca che seguono lo stesso ordine; tuttavia non sottolineano che tali parole furono dette dal Signore - una precisazione di questo genere è da loro omessa - ma le espongono parlando in persona propria. Così Marco: Dopo due giorni era la Pasqua e gli azzimi 652; e Luca: Si avvicinava intanto la festa degli azzimi, chiamata Pasqua 653Si avvicinava nel senso che sarebbe stata fra due giorni, come affermano concordemente gli altri due evangelisti. Quanto a Giovanni, egli ricorda l'avvicinarsi della festa in tre passi, due dei quali si collocano in tempi antecedenti, cioè durante il racconto di altri fatti. La terza volta invece da tutto il racconto traspare che ci si trova nelle stesse circostanze di tempo di cui si occupano gli altri tre, cioè quando la passione del Signore era ormai vicina 654.


78. 153. Chi osserva le cose con poca accuratezza potrebbe riscontrare una contraddizione fra il racconto di Matteo e Marco e quello di Giovanni. I primi infatti dicono che fra due giorni sarebbe stata la Pasqua e successivamente raccontano di Gesù che si trovava in Betania dove venne cosparso di unguento prezioso 655. Sono quindi in contrasto con Giovanni che pone l'andata di Gesù a Betania sei giorni prima della Pasqua e lì colloca l'episodio dell'unzione 656. Ci si chiede quindi: Come poteva esser Pasqua fra due giorni - cosa che affermano i primi due - se dopo che hanno riferito questo fatto s'accordano con Giovanni nel dirci che Gesù si recò a Betania, dove fu cosparso d'unguento, cosa che secondo Giovanni avvenne sei giorni prima della Pasqua? Chi si turba di questa difficoltà mostra di non capire come il racconto lasciatoci da Matteo e da Marco sui fatti di Betania, e in particolare sull'unzione, è un racconto riassuntivo e lo si colloca lì non perché avvenuto dopo la predizione dei due giorni ma perché così lo ricordavano, anche se in realtà era avvenuto sei giorni prima della Pasqua. Nessuno dei due evangelisti infatti, dopo aver asserito che mancavano due giorni per la Pasqua, a questa affermazione ricollega i fatti di Betania dicendo che subito dopo Gesù era a Betania; ma Matteo dice: Quando poi Gesù era a Betania 657, e Marco: Quand'era a Betania 658, espressioni da intendersi come riferite a un tempo anteriore ai due giorni precedenti la Pasqua. Stando dunque alla relazione di Giovanni, si ricava che Gesù sei giorni prima della Pasqua venne a Betania, dove durante un pranzo fu unto, come l'evangelista ricorda, con unguento prezioso. Successivamente entrò in Gerusalemme cavalcando un asinello e, dopo questo, accaddero gli altri fatti che gli evangelisti collocano dopo il suo ingresso in città. Ne segue che dal giorno in cui si recò a Betania, dove accadde l'episodio dell'unzione, fino al momento in cui avvennero questi altri fatti e discorsi, se intendiamo a dovere le cose, dovettero passare quattro giorni (non menzionati dagli evangelisti) prima che giungesse quel giorno che, al dire di due di loro, era l'antivigilia della Pasqua. Quanto a Luca, nelle sue parole: Si avvicinava la festa degli azzimi 659 non si fa espressa menzione dei due giorni, ma la vicinanza da lui annotata ben si lascia identificare con l'intervallo di due giorni. Diverso però è il caso di Giovanni. Se egli dice:Era vicina la Pasqua dei Giudei 660, non è possibile che si riferisca ai due famosi giorni in quanto egli asserisce che alla Pasqua mancavano ancora sei giorni. In effetti, dopo quell'affermazione egli ricorda alcuni fatti e, dopo questi fatti, volendo specificare in che senso aveva detto che la Pasqua era vicina, scrive: Sei giorni prima della Pasqua Gesù si recò a Betania, il paese di Lazzaro, il morto che Gesù aveva risuscitato. Lì gli fecero un pranzo 661. È questo l'episodio che in compendio ricordano Matteo e Marco collocandolo dopo la nota cronologica concernente i due giorni antecedenti la Pasqua. Alla maniera di uno che ricapitoli le cose essi tornano al fatto di Betania, accaduto sei giorni prima della Pasqua, e raccontano al pari di Giovanni i particolari della cena e dell'unzione. In seguito Gesù sarebbe entrato in Gerusalemme e, compiuto tutto quello che gli accadde in città, sarebbe arrivato all'antivigilia della Pasqua, e cioè al momento dove gli altri evangelisti, distanziandosi da Giovanni, inseriscono il racconto sunteggiato dei fatti di Betania, unzione compresa. Terminato questo racconto, essi tornano al punto da dove s'erano allontanati riportando il discorso tenuto dal Signore due giorni prima della Pasqua. In questo modo, eliminando cioè il racconto che Matteo e Marco compilarono in base a ciò che ricordavano e in forma riassuntiva sui fatti di Betania senza badare alla loro successione, la struttura della narrazione lasciataci da Matteo sarebbe la seguente: Il Signore disse: Sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso. Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. Ma dicevano: " Non durante la festa, perché non avvengano tumulti tra il popolo " 662. Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti 663. Tra le parole: Perché non avvengano tumulti tra il popolo, e le altre: Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda andò, furono collocati dall'evangelista gli eventi di Betania, riferiti in modo sommario. Omettendo questi fatti, noi abbiamo sistemato il racconto mostrando come non ci sia ripugnanza nella successione cronologica dei fatti riferiti. Quanto poi a Marco, anch'egli omette il racconto del banchetto di Betania e lo inserisce là dove ritiene opportuno procedendo col metodo di chi riassume 664. Pertanto la successione degli eventi secondo Marco si snoderebbe così: Mancavano due giorni alla Pasqua e agli azzimi, e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo d'impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. Dicevano infatti: "Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo " 665. Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici andò dai sommi sacerdoti per consegnarlo 666, ecc. Anche nel suo racconto fra le parole: Perché non succeda un tumulto di popolo, e quanto aggiunge: Giuda Iscariota, uno dei Dodici è da porsi quel che accadde a Betania, narrato sommariamente dai due primi evangelisti, mentre Luca sorvola su tutta la vicenda di Betania 667. Il presente ragionamento l'abbiamo fatto per concordare i sei giorni prima della Pasqua menzionati da Giovanni 668 nel riferire quanto accaduto a Betania e i due giorni di cui parlano Matteo e Marco, collocando dopo questa precisazione cronologica gli stessi avvenimenti di Betania esposti da Giovanni.



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