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IL CONSENSO DEGLI EVANGELISTI

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2016 20:22
17/03/2016 20:15

Il paralitico risanato.


25. 57. Nel continuare il racconto Matteo, rispettando sempre l'ordine cronologico, soggiunge: Salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse alla sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto 256, ecc. fino alle parole: A quella vista, la folla fu prese da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini 257. Di questo paralitico parlano anche Marco e Luca 258, ma quanto alle parole che secondo Matteo il Signore gli disse - e cioè: Figliolo, abbi fiducia, ti sono rimessi i peccati 259 - Luca non ha Figliolo ma Uomo 260, e questo ha il merito d'inculcarci più efficacemente il pensiero del Signore in quanto era un uomo colui al quale venivano rimessi i peccati. Essendo infatti uomo, per ciò stesso non avrebbe potuto dire d'essere senza peccato; e inoltre ci si lascia comprendere che colui che perdonava all'uomo i peccati doveva essere Dio. Quanto a Marco, dice le stesse cose di Matteo 261, ma omette le parole: Abbi fiducia. In realtà l'espressione originaria poté essere o " Confida, uomo; ti sono rimessi i peccati ", o " Confida, figlio; ti sono rimessi i peccati, o uomo ", o qualsiasi altra formulazione comunque sistemata quanto alle parole.


25. 58. Può creare un certo imbarazzo la localizzazione dell'episodio del paralitico. Scrive infatti Matteo: Salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto 262. Questo episodio, dice Marco che non avvenne nella sua città, cioè a Nazareth, ma a Cafarnao. Egli scrive: Ed entrò di nuovo a Cafàrnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede 263, ecc. Luca non precisa il luogo in cui avvenne il fatto ma scrive così: Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Veduta la loro fede, disse: " Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi " 264, ecc. Il problema si pone dunque nei confronti di Marco e Matteo in quanto Matteo scrive che il fatto avvenne nella città del Signore, mentre Marco lo colloca a Cafarnao. La soluzione sarebbe più difficile se Matteo avesse menzionato espressamente Nazareth; in concreto però l'intera Galilea poté essere denominata città di Cristo dal momento che in essa si trova la città di Nazareth. È quello che facciamo noi quando parliamo della città di Roma estendendo la denominazione a tutto l'Impero, sebbene composto di tante città. Allo stesso modo è composta da moltissime genti la città di cui sta scritto: Cose gloriosissime si dicono di te, città di Dio 265. E di quell'antico popolo di Dio, sparso in così numerose città, si diceva che era un'unica casa: la casa d'Israele 266. Chi potrà quindi mettere in dubbio che Gesù fece il miracolo nella sua città se lo fece a Cafarnao che era una città della Galilea? Dalla regione dei Geraseni egli, traversando il mare, era venuto in Galilea; e pertanto, qualunque fosse la città della Galilea dov'egli si trovava, si poteva sempre dire con esattezza che era nella sua città. Questo a maggior ragione vale per Cafarnao in quanto era il più importante fra i centri della Galilea, tanto che lo si poteva considerare capoluogo della regione. Ma ammettiamo pure che non sia lecito intendere come città di Cristo né l'intera Galilea, in cui era Nazareth, e nemmeno Cafarnao, che aveva sulle altre città una specie di primato per cui poteva essere considerata loro capitale. In questo caso diremo che Matteo tralasciò il racconto delle cose avvenute dopo il ritorno del Signore nella sua città fino al suo arrivo a Cafarnao. Riferì solo la guarigione del paralitico. È un sistema che molti adottano: omettono le vicende intermedie e dànno l'impressione che si siano susseguite immediatamente le cose che raccontano senza lasciar traccia dell'intervallo che le ha separate.


La vocazione di Matteo.


26. 59. Continua Matteo: Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: " Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì 267. Marco procede nello stesso ordine e colloca il fatto dopo la guarigione del paralitico. Scrive: Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: " Seguimi ". Egli, alzatosi, lo seguì 268. Nessun contrasto fra i due, poiché Matteo e Levi sono la stessa persona. Anche Luca racconta il fatto ponendolo dopo la guarigione del paralitico. Dopo ciò - dice - egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: " Seguimi! ". Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì 269. A questo proposito sembra essere più probabile che Matteo racconti i fatti come uno che rammenti cose avvenute antecedentemente, se è da ritenersi che la vocazione di Matteo accadde prima del discorso della montagna. Luca infatti riferisce che su quel monte erano vicino a Gesù tutti i Dodici che egli aveva scelti fra la moltitudine dei discepoli e chiamati Apostoli 270.


Il convito in casa di Levi.


27. 60. Prosegue Matteo: Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli, fino alle parole: Ma il vino nuovo lo si mette in otri nuovi e così si conservano e l'uno e gli altri 271. Nel suo racconto Matteo non specifica in quale casa si trovasse Gesù a mangiare con i pubblicani e i peccatori e potrebbe anche dare l'impressione che nella sua narrazione non abbia proceduto secondo l'ordine dei fatti ma abbia qui inserito, ricordandolo a memoria, un episodio accaduto in altro tempo. Ma ecco intervenire al riguardo Marco e Luca, i quali, raccontando il fatto con tratti del tutto simili 272, precisano con chiarezza che Gesù era seduto a mensa in casa di Levi, cioè di Matteo, e lì disse tutte le parole riportate nei Vangeli. Marco riferisce la cosa rispettando anche l'ordine nella descrizione: Ora avvenne che mentre stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù 273. Dicendo: Nella casa di lui, certo intende riferirsi al personaggio di cui aveva parlato prima, cioè a Levi. Così anche Luca. Dopo aver detto che Gesù lo invitò a seguirlo e che Matteo, lasciando tutto, si alzò e lo seguì, aggiunge immediatamente:Levi gli fece un gran banchetto in casa suaC'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con loro a tavola 274. È pertanto indiscusso a chi appartenesse la casa in cui accadde l'episodio.


27. 61. Ora diamo uno sguardo alle parole che, secondo quanto riferiscono tutti e tre i nostri evangelisti, furono rivolte al Signore dai presenti e alle risposte che egli diede loro. Scrive Matteo: Al vedere ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: " Perché mai il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori? " 275. Su per giù con le stesse parole si esprime Marco: Perché mai il vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori? 276 L'aggiunta di Marco: E beve è omessa da Matteo; ma cosa rappresenta questa omissione, se nulla toglie alla completezza della frase, dove si presenta il gruppo radunato per il pranzo? Quanto a Luca, sembrerebbe che la sua descrizione sia alquanto diversa. Scrive: I farisei e i loro scribi mormoravano dicendo ai discepoli di lui: " Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori? " 277. Non voleva certo escludere il loro maestro, ma lascia sufficientemente intendere che l'osservazione fu rivolta a tutti i presenti, cioè a Gesù e ai discepoli; solo che le parole, da riferirsi al maestro e ai discepoli, non furono direttamente rivolte a lui ma a questi ultimi. Riportandoci infatti la risposta che diede loro il Signore, Luca attesta: Io non sono venuto a chiamare alla conversione i giusti ma i peccatori 278. La quale risposta non sarebbe pertinente se le parole: Perché mangiate e bevete non fossero state rivolte principalmente a lui. In vista di ciò, si comprende anche perché Matteo e Marco raccontino che fu rivolta ai discepoli l'obiezione che riguardava Cristo. Facendo infatti una rimostranza contro i discepoli, la si faceva a maggior ragione contro il maestro che essi seguivano e imitavano. Identico dunque il senso della frase: il quale senso poi risulta tanto più efficacemente espresso quanto più, nella differenziazione di alcuni termini, resta immutata l'identica verità. Lo stesso principio vale anche per la risposta che secondo quanto riferisce Matteo diede loro il Signore: Non i sani hanno bisogno del medico ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: "Misericordia io voglio e non sacrificio" 279. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori 280. Questa frase è riportata da Marco e da Luca più o meno con le stesse parole 281, con la sola differenza che essi non citano la testimonianza desunta dal Profeta: Voglio la misericordia piuttosto che il sacrificio 282. Luca, inoltre, dopo le parole: Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori, aggiunge:alla conversione 283, frase che tende a chiarificare le precedenti parole, in modo che nessuno abbia a pensare che Cristo ama i peccatori per il fatto che sono peccatori. Del resto il paragone dei malati sottolinea bene cosa si attenda Dio quando chiama i peccatori: egli agisce come il medico nei confronti dei malati: vuole cioè liberarli dalla loro cattiveria, che in fondo è una grave malattia. Ora tale guarigione si consegue con ravvedimento.


27. 62. Vediamo un istante le successive parole di Matteo: Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: " Perché noi e i farisei digiuniamo frequentemente? " 284. L'episodio è narrato da Marco con uguali parole: Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: " Perché i discepoli di Giovanni e dei farisei digiunano? " 285. Se Marco aggiunge la menzione dei farisei, si potrebbe pensare che a porre la domanda furono, insieme con i discepoli di Giovanni, anche i farisei, sebbene Matteo ci abbia tramandato che a dire ciò furono soltanto i discepoli di Giovanni. Tuttavia, le parole che nel testo di Marco si leggono dette da quegli interlocutori indicano che a dirle furono piuttosto degli estranei. E cioè: i discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare; mossi da questo fatto, alcuni dei commensali di Gesù vennero da lui e gli posero la domanda su questo loro comportamento. Il verbo vengono non ha come soggetto coloro di cui aveva affermato: I discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare, ma a venire da lui furono certuni che, sorpresi del fatto che quei tali digiunavano, andarono a dirgli: Come mai i tuoi discepoli non digiunano mentre digiunano i discepoli di Giovanni e dei farisei? La cosa è esposta in forma più chiara da Luca, il quale, volendo sottolineare il dettaglio, dopo aver riferito la risposta che il Signore diede a proposito dei peccatori, da lui chiamati in quanto erano gente malata, si esprime così: Ora quelli gli dissero: " I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono! " 286. Anche Luca dunque narra, alla pari di Marco, che le parole furono dette da altri che non gli interessati. Ma allora come fa Matteo a dire: Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: " Perché noi e i farisei digiuniamo "? 287. Ovviamente erano lì presenti anche costoro e tutti insieme alla rinfusa gli mossero la stessa obiezione com'era in grado di fare ciascuno. La loro obiezione è presentata dai tre evangelisti in termini fra loro diversi, senza però che abbiano a discostarsi dalla verità.


27. 63. L'accenno ai figli dello sposo i quali non digiuneranno finché è con loro lo sposo 288, l'hanno riferito in maniera somigliante Matteo e Marco: con la sola differenza che Marco chiama " figli delle nozze " quelli che Matteo chiama " figli dello sposo ", differenza, questa, che non intacca in nulla la sostanza delle cose se " figli delle nozze " l'intendiamo come una precisazione per dirci che erano figli non soltanto dello sposo ma anche della sposa. Si tratta dunque della stessa affermazione espressa in termini più chiari, non di un'altra di significato opposto. Luca non scrive: " Possono forse digiunare i figli della sposo? ", ma: Potete voi forse costringere al digiuno i figli dello sposo mentre questo sposo è con loro? 289 Con questa variante egli, riferendoci la stessa frase, ce la chiarifica elegantemente facendoci intravedere una nuova idea. Dal suo racconto ci si fa comprendere che proprio quei tali che l'interrogavano avrebbero fatto piangere e digiunare i figli dello sposo, essendo gli stessi che più tardi avrebbero ucciso lo sposo. Che se Matteo parla di piangere, mentre Marco e Luca di digiunare, la sostanza delle cose non cambia, anche perché proseguendo Matteo dice: Allora digiuneranno, e non: "Piangeranno ". Usando il termine digiuno l'evangelista volle significarci che il Signore parlava di quel digiuno che riveste le note dell'umiliazione e della tribolazione. Dell'altro digiuno, che consiste nel godimento dello spirito quando si eleva al possesso dei beni spirituali e conseguentemente diventa, per così dire, estraneo al cibo materiale, parlerà il Signore nelle similitudini che dirà più tardi. In tal senso pertanto dovremo interpretare le immagini del vestito nuovo e del vino nuovo 290: immagini con cui voleva significare che questo secondo genere di digiuno non si addice ad uomini dalla vita animalesca e carnale, a gente cioè immersa nelle realtà corporee, che quindi si trascina dietro l'antica sensualità. Sono, questi, paragoni che anche gli altri due evangelisti riferiscono con termini press'a poco identici. È stato infatti ormai abbastanza ribadito il concetto che, se un'evangelista riporta parole o cose omesse dagli altri, non esiste fra loro contrapposizione; basta che non ci siano differenze di contenuto e, se in uno di loro ci sono delle diversità, basta che gli altri non dicano l'opposto.


La risurrezione della figlia dell'arcisinagogo.


28. 64. Ecco ora come prosegue la narrazione di Matteo che, rispettando come al solito l'ordine cronologico, scrive: Mentre diceva loro tali cosegiunse uno dei capi che gli si prostrò innanzi e gli disse: " Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà " 291, fino alle parole: E la fanciulla si alzò. E se ne divulgò la fama in tutta quella regione 292. Le stesse cose riferiscono Marco e Luca, ma con ordine diverso. Riferiscono infatti l'episodio collocandolo in altro contesto: lo ricollegano cioè col ritorno di lui in barca dalla regione dei Geraseni, dopo che aveva cacciato i demoni permettendo loro di entrare nei porci. Così Marco: al racconto di ciò che era avvenuto nel paese dei Geraseni ricollega l'episodio di cui ci stiamo occupando e scrive: Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 293. Con ciò ci si lascia intendere che l'episodio della figlia dell'arcisinagogo accadde, sì, dopo che Gesù in barca ebbe traversato il lago ma non ci si dice quanto tempo dopo. Ora, se non ci fosse stato alcun intervallo, non ci sarebbe spazio per collocarvi ciò che in intima connessione racconta Matteo, e cioè il banchetto in casa sua 294. In effetti egli, secondo il costume degli evangelisti, racconta come se riguardasse un altro ciò che invece accadde in casa sua e riguardava lui direttamente e poi, senza alcun'altra aggiunta, prosegue con il racconto della figlia dell'arcisinagogo. Si tratta di un racconto continuativo in cui l'autore intenzionalmente ci fa capire, mediante il passaggio stesso, che gli avvenimenti si susseguirono l'un l'altro senza interruzione. Dopo aver infatti riportato le parole di Gesù a proposito del panno nuovo e del vino nuovo, prosegue immediatamente: Mentre diceva queste cose, ecco avvicinarglisi un uomo ragguardevole 295. Se quel tale gli si avvicinò mentre egli stava ancora dicendo tali parole, non è consentito interporre fra i due episodi un altro fatto o detto del Signore. Quanto poi al racconto di Marco, ci si indica chiaramente il punto dove gli altri avvenimenti possono essere collocati, come abbiamo indicato sopra. Allo stesso modo è da leggersi Luca. Egli narra il miracolo compiuto nel territorio dei Geraseni e poi quello della figlia dell'arcisinagogo, ma il passaggio fra i due episodi è da supporsi avvenuto in un modo che non sia in contrasto con quanto scrive Matteo, che colloca il fatto subito dopo le narrazioni paraboliche del panno e del vino, e ciò sottolinea affermando: Mentre egli diceva queste cose. Luca al contrario, dopo il racconto di quel che era avvenuto nel territorio dei Geraseni, passa al racconto seguente in questa maniera: Al suo ritorno Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa di lui. Ed ecco venne un uomo di nome Giairo, che era capo della sinagoga; e si gettò ai piedi di Gesù 296. In tal modo ci si lascia intendere che le folle subito dopo l'accaduto si misero ad aspettare il Signore, convinte del suo prossimo ritorno; ma non altrettanto è da supporsi riguardo a quel che segue: Ed ecco venne un uomo di nome Giairo. Questo fatto non lo si deve immaginare come avvenuto subito dopo, in quanto, prima che ciò avvenisse, ci fu il banchetto in compagnia dei pubblicani raccontato da Matteo 297. Questi infatti narra i due episodi come avvenuti l'uno dopo l'altro in modo tale da farci comprendere che nulla poté accadere frammezzo.


28. 65. Nel contesto del racconto che ora abbiamo cominciato a trattare s'inserisce l'episodio della donna che pativa emorragie; ma in esso vanno d'accordo tutti e tre gli evangelisti e non ci sono problemi. Non tocca infatti la sostanziale verità del fatto se uno narra qualche particolare omesso dagli altri, e così pure se Marco dice: Chi mi ha toccato le vesti? 298, mentre Luca: Chi mi ha toccato? 299 L'uno ha usato il modo ordinario di esprimersi mentre l'altro un linguaggio più proprio, ma entrambi hanno detto la stessa cosa. Anche noi infatti diciamo ordinariamente: " Tu mi stracci " piuttosto che "Tu mi stracci le vesti ", ma è noto a tutti cosa intendiamo dire con tali parole.


28. 66. Proseguiamo esaminando l'espressione di Matteo, il quale narra che l'arcisinagogo riferì al Signore non che la sua figlia stava per morire 300 o era moribonda o era agli estremi, ma addirittura che aveva cessato di vivere 301, mentre gli altri due evangelisti affermano che era, non morta, ma sul punto di morire. Precisano inoltre che solo più tardi arrivò della gente con la notizia che la ragazza era morta e per questo non si doveva più importunare il Maestro: il quale sarebbe dovuto venire affinché con l'imposizione delle mani ne impedisse la morte e non per risuscitare una che era già morta. Occorre un'indagine accurata per eliminare ogni contraddizione; e per comprendere bene la cosa, è da ritenere che Matteo, per amore di brevità, preferì asserire che al Signore fu chiesto di fare ciò che realmente fece (e la cosa risulta all'evidenza dopo il miracolo): cioè di risuscitare colei che era già morta. L'evangelista quindi non si curò molto di tramandare ciò che il padre disse parlando di sua figlia ma ciò che egli voleva (ed era la cosa più importante), sicché usò le parole che rispecchiavano meglio questo suo desiderio. Egli infatti disperava e desiderava che tornasse in vita colei che aveva lasciata già moribonda, mai pensando che avrebbe potuto trovarla ancora viva. Gli altri due evangelisti espongono dunque le reali parole di Giairo, Matteo al contrario ne riferisce il desiderio e il pensiero. Al Signore pertanto fu richiesta e l'una e l'altra cosa: che salvasse la moribonda e che risuscitasse la morta; ma essendosi Matteo proposto di raccontare il tutto in maniera compendiosa, sottolineò che il padre nella sua richiesta espose quello che evidentemente era nella sua volontà e che Cristo realmente fece. In realtà, se gli altri due, o uno di loro, avessero affermato che fu il padre stesso a dire quello che dissero i suoi familiari venuti da casa - e cioè che Gesù non doveva essere ulteriormente infastidito essendo la fanciulla già morta -, le sue parole come le riferisce Matteo sarebbero in contrasto con il suo pensiero. Se invece furono i familiari a recare questa notizia e a suggerire che non occorreva più far venire il Maestro, non si dice con questo che il padre fu dello stesso avviso e, anche se il Signore gli disse: Non temere; credi e sarà salvata 302, le parole non vanno prese come un rimprovero a uno che diffidava ma come una conferma nella fede, che doveva essere più forte. C'era effettivamente in lui la fede, ma era simile a quella di colui che disse al Maestro: Credo, Signore, ma tu soccorrimi nella mia incredulità 303.


28. 67. Stando così le cose, dall'esame delle locuzioni usate dagli evangelisti - diverse ma non contrarie fra loro - ricaviamo un insegnamento quanto mai utile, anzi più che necessario. Ed è questo: nelle parole adoperate dagli scrittori sacri noi non dobbiamo ricercare altro all'infuori della loro intenzione, di cui le parole debbono essere al servizio. Non dobbiamo pertanto supporre menzogne nell'uno o nell'altro degli evangelisti se con parole differenti riferiscono la richiesta voluta da quel padre senza dire come effettivamente la espresse. Esigendo questo litteralismo, saremmo quei meschini cacciatori di vocaboli i quali ritengono che la verità debba stare, diciamo così, aggiogata a dei segni grafici. In effetti e nelle parole e in tutti gli altri segni con cui si esprime l'anima non si deve ricercare altro se non l'anima stessa.


28. 68. Alcuni codici di Matteo leggono: Non è morta, la donna, ma dorme 304, mentre Marco e Luca ci attestano che la morta era una ragazza di dodici anni 305. Intendi l'espressione di Matteo secondo il consueto modo di parlare degli Ebrei. Si trova infatti anche in altri passi della Scrittura che il nome " donna " viene dato non solo a persone maritate ma anche a ragazze intatte e vergini. Così di Eva è scritto: Dio formò la donna 306; e nel libro dei Numeri è comandata una custodia speciale per le donne che non sono state a letto con uomini, cioè che sono vergini 307, affinché non vengano uccise. Usando un'identica espressione, Paolo dice che Cristo fu fatto da donna 308. Questa interpretazione è più comprensibile dell'altra che c'indurrebbe a credere che una ragazzina di dodici anni fosse già sposata o avesse avuto rapporti con qualche uomo.


I due ciechi e il demonio muto.


29. 69. Continua Matteo: Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: " Figlio di Davide, abbi pietà di noi! " 309, ecc. fino alle parole: Ma i farisei dicevano: "Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni " 310. Questo racconto dei due ciechi e del demonio muto lo ha solo Matteo. Difatti quei due ciechi di cui parlano anche gli altri evangelisti 311 non sono gli stessi ciechi: è un fatto a questo somigliante che lo stesso Matteo riporta altrove 312. Se non lo avesse precisato l'evangelista si sarebbe potuto pensare che quanto ora da lui narrato fosse lo stesso episodio di cui parlano gli altri due. Dobbiamo in realtà metterci bene in testa che ci sono più fatti che si somigliano fra loro: la qual cosa appare chiaramente quando tutti e due vengono riportati dallo stesso evangelista. Se quindi presso i singoli scrittori troviamo episodi narrati esclusivamente da uno di loro e contenenti difficoltà insolubili, dobbiamo pensare non trattarsi dello stesso fatto ma di un altro simile avvenuto con simili modalità.


La missione degli Apostoli.


30. 70. Da qui in avanti non appare con chiarezza in che ordine si siano susseguiti i fatti. Matteo, dopo i due avvenimenti - dei ciechi e del demonio muto - prosegue: Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: " La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe! ". Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi 313, ecc. fino alle parole: In verità vi dico: Non perderà la sua ricompensa 314. In tutto il brano ora ricordato il Signore dà molti ammaestramenti ai discepoli, ma, come prima è stato notato, non risulta con evidenza se Matteo abbia seguito l'ordine reale dei fatti ovvero li abbia ordinati così come li ricordava. Quanto a Marco, egli dà l'impressione d'aver voluto abbreviare e restringere la serie degli avvenimenti. Inizia infatti dicendo: Gesù percorreva i villaggi insegnando. Allora chiamò i Dodici ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi 315, ecc. fino alle parole: Scuotete la polvere dai vostri piedi in testimonianza contro di loro 316. Prima però di narrare questi fatti, appena cioè terminato il racconto della risurrezione della figlia dell'arcisinagogo, egli racconta del Signore che, recatosi nella sua città natale, vi suscitò una grande ammirazione in quanto, conoscendo la gente il suo parentado, non sapevano spiegarsi l'origine di una così eccezionale sapienza 317 e dei suoi straordinari poteri. Questo episodio è ricordato anche da Matteo 318, ma dopo l'istruzione che in quel tempo il Signore stava impartendo ai discepoli e numerosi altri avvenimenti. Si rimane quindi nell'incertezza riguardo a quel che avvenne nella sua città; né è chiaro se Matteo richiami alla mente, in un secondo tempo, ciò che prima aveva omesso, ovvero se sia stato Marco ad anticipare il fatto in base a quanto conforme egli ricordava. Rimane incerto, dico, chi dei due abbia seguito l'ordine reale dei fatti e chi si sia uniformato al ricordo che ne aveva conservato. Ed eccoci ora a Luca. Subito dopo la risurrezione della figlia di Giairo colloca l'episodio del potere dato ai discepoli e l'ammonizione loro rivolta 319. Il suo racconto è breve come quello di Marco, ma dalle sue parole non appare se abbia seguito o meno l'ordine in cui avvennero i fatti. Riguardo ai nomi degli Apostoli, Luca ce li fornisce anche con un altro nome, e cioè quando furono scelti là sul monte, e qui non si differenzia da Matteo se non riguardo al nome di Giuda di Giacomo, che Matteo chiama anche Taddeo 320 o, come recano alcuni codici, Lebbeo. Chi mai infatti potrebbe impedire a una persona di chiamarsi con due o anche tre nomi?


30. 71. Si è soliti porre anche il problema di come mai Matteo e Luca riferiscano che il Signore disse ai discepoli di non prendere il bastone 321, mentre al dire di Marco, egli comandò loro di non prendere per il viaggio nient'altro se non il bastone, proseguendo poi: Né bisaccia, né pane, né denaro nella borsa 322. Con tali parole manifesta che il suo racconto verte sullo stesso episodio riportato dagli altri Vangeli, dove si dice che il bastone non bisogna prenderlo. Tale problema si risolve intendendo il bastone che, secondo Marco, occorre prendere in un senso diverso da quello di cui Matteo e Luca dicono che non lo si deve prendere. Non diversamente ci si regola a proposito di "tentazione ", che intendiamo in una maniera quando leggiamo: Dio non tenta nessuno 323 e in un' altra quando leggiamo: Il Signore vostro Dio vi tenta per sapere se lo amate324. Nel primo caso tentazione vuol dire seduzione, nel secondo prova. Lo stesso è della parola " giudizio ". In un senso è da intenderlo nel passo: Coloro che agirono bene a risurrezione di vita, coloro che agirono male a risurrezione di giudizio 325; in senso diverso nell'altro: Giudicami, o Dio, e distingui la mia causa contro gente non santa 326. Nel primo caso significa condanna, nel secondo distinzione.


30. 72. Sono molte le parole che non hanno un solo significato ma, debitamente collocate in diversi contesti, debbono intendersi in maniera diversa, e non di rado così vengono interpretate. Tale è il passo: Non siate bambini nei sensi, ma siate bambini quanto alla malizia pur essendo perfetti nei sensi 327. Con una frase più succinta la stessa cosa poteva dirsi in questa maniera: Non siate dei bambini ma siate bambini. Ancora: Se uno di voi crede di esser sapiente in questo mondo, divenga stolto per essere sapiente328. Cosa dicono queste parole se non: " Voi non dovete essere sapienti se volete essere sapienti "? A volte i vari significati sono espressi in maniera ingarbugliata, per cui il ricercatore è messo alla prova. Tale il passo della Lettera ai GalatiPortate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora solo in se stesso e non negli altri troverà motivo di vanto; ciascuno infatti porterà il proprio peso329. Se non prendi il termine peso in significati diversi, sarai costretto a dire che l'Apostolo nel suo parlare si contraddice, e si contraddice in parole poste assai vicine l'una all'altra, trovandosi in una stessa frase. Poco prima infatti dice: Portate i pesi l'uno dell'altro, e subito dopo: Ciascuno porterà il suo peso. Ma una cosa sono i pesi della fragilità, che occorre portare insieme, un altro i pesi delle proprie azioni di cui si dovrà rendere conto a Dio. Nei primi si deve solidarizzare con i fratelli per sostenerli; quanto agli altri invece, ciascuno deve portare i propri. Così è del bastone. Lo si può intendere in senso spirituale, come quando diceva l'Apostolo: Dovrò venire a voi con la verga? 330, ma anche in senso materiale, come quando parliamo della verga usata per spronare il cavallo e in altre circostanze, per sorvolare su altri sensi figurati che ha questa parola.



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