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DIO L'UOMO E IL LIBERO ARBITRIO

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2016 19:59
17/03/2016 19:56

LIBRO TERZO


LIBRO TERZO

DIO L'UOMO E IL LIBERO ARBITRIO

La prescienza divina e il libero arbitrio (1, 1 - 4, 11)

Necessità libertà colpa.

1. 1. E. - Mi è stato apoditticamente dimostrato che la libera volontà è da includere fra i beni, e certamente non infimi. Perciò siamo costretti anche ad ammettere che ci è stata data da Dio e che doveva esser data. Ora dunque, se lo ritieni opportuno, vorrei conoscere da te da chi proviene quel movimento per cui la volontà si muove in senso opposto al bene universale e non diveniente e si muove verso i beni particolari, estranei o infimi, tutti divenienti.
A. - Che bisogno di saperlo?
E. - Perché se è stata data nella condizione che tale movimento le sia naturale, per necessità si muove verso questi beni e non è possibile rilevar colpa dove domina la necessità naturale.
A. - E ti piace o dispiace questo movimento?
E. - Mi dispiace.
A. - Dunque lo riprovi.
E. - Sì, lo riprovo.
A. - Dunque riprovi un movimento spirituale incolpevole.
E. - Non riprovo un movimento spirituale incolpevole, ma non so se è colpa volgersi ai beni divenienti abbandonando il bene non diveniente.
A. - Dunque riprovi ciò che non sai.
E. - Non cavillare sulle parole. Ho detto: " non so se è colpa ", per far comprendere che è innegabilmente colpa. Col termine " non so ", ho ironizzato il dubbio su di un argomento così evidente.
A. - Cerca di comprendere una verità tanto certa che ti ha costretto a dimenticare così presto il tuo discorso di poco fa. Se il movimento proviene da natura o necessità, non può assolutamente esser colpevole. Tu invece lo ritieni colpevole con tanta certezza che hai ritenuto di dover fare dell'ironia sul dubbio circa un argomento tanto evidente. Perché dunque hai ritenuto di dover affermare innegabilmente o per lo meno opinativamente un tema che tu stesso dimostri innegabilmente falso. Hai detto: " Se la libera volontà è stata data nella condizione che tale movimento le sia naturale, per necessità si volge verso questi beni e non è possibile rilevare colpa dove domina la necessità naturale ". Non avresti dovuto dubitare neanche un po' che non è stata data con questa condizione, dal momento che non dubiti che il movimento stesso è colpevole.
E. - Io ho detto che è colpevole il movimento in sé e che per questo mi dispiace e non posso dubitare che è da riprovarsi. In quanto all'anima, che da tale movimento viene fatta precipitare dal bene non diveniente a quelli divenienti, non dico che è da incolparsi, se la sua condizione è tale che vi si muova per necessità.

Il movimento al peccato è libero...

1. 2. A. - Ma di chi è questo movimento che ritieni certamente colpevole?
E. - Adesso capisco che è nella coscienza, ma non so di chi sia.
A. - Ma affermeresti che la coscienza non si muove con quel movimento?
E. - No.
A. - Diresti allora che non è della pietra il movimento con cui si muove la pietra? E bada che non sto parlando del movimento con cui la muoviamo noi o è mossa da un agente esterno, come nel caso in cui viene lanciata in alto, ma di quello di cui per propria tendenza descrive la parabola e cade.
E. - Non affermo certamente che non è della pietra, ma che le è naturale, il movimento con cui essa, come dici, descrive la parabola e scende al basso. Se l'anima ha anch'essa un tale movimento, esso è certamente naturale e non sarebbe moralmente riprovevole per il fatto che si muove per natura, perché, anche se si muove alla perdizione, vi è spinta dalla condizionatezza della propria natura. Ora, poiché non abbiamo dubbi che questo movimento è colpevole, si deve innegabilmente affermare che non è naturale. Dunque non è assimilabile al movimento con cui la pietra si muove secondo natura.
A. - Abbiamo concluso qualche cosa nelle due dispute precedenti?
E. - Certo.
A. - Suppongo che te lo ricordi. Nella prima è stato accertato che soltanto con la propria volontà la coscienza diviene schiava della passione e conseguentemente che non può subire costrizione a tale stato di abiezione né da un essere superiore oppure eguale perché sarebbe ingiustizia, né da un inferiore perché esso non ne sarebbe capace. Rimane dunque che sia suo personale questo movimento, con cui volge dal Creatore alla creatura la volontà di godere. Quindi tale movimento, se si deve attribuire a colpa, non è naturale ma volontario. A te è sembrato degno di scherno chi ne dubita. Esso dunque è simile al movimento con cui la pietra si muove dall'alto al basso per il fatto che come questo è proprio della pietra, così quello lo è dello spirito. È diverso tuttavia perché la pietra non ha la facoltà di arrestare il movimento con cui discende al basso, mentre lo spirito, purché non lo voglia, non è mosso in maniera che, abbandonate le cose superiori, scelga le inferiori. Pertanto quel movimento è naturale per la pietra, questo volontario per lo spirito. Quindi se qualcuno dicesse che la pietra pecca perché col suo peso tende al basso, non dirò che è più stolto della pietra stessa, ma è certamente giudicato un idiota. Al contrario si giudica di peccato la coscienza quando si può provare che, abbandonati i beni superiori, preferisce nel godimento gli inferiori. Pertanto che bisogno si ha di indagare da chi deriva questo movimento? Con esso appunto la volontà si volge dal bene non diveniente al bene diveniente. Per questo dobbiamo ammettere che è soltanto della coscienza, è volontario e perciò colpevole. Inoltre ogni utile regola in materia ha per scopo che, represso efficacemente questo movimento, volgiamo la nostra volontà dal flusso delle cose temporali al godimento del bene eterno.

...perché dipende dalla volontà.

1. 3. E. - Veggo e in certo senso tocco e afferro la verità delle tue parole. Infatti con intima certezza non son tanto cosciente di altro che di avere la volontà e che da essa soli mosso a godere di un qualche cosa. E non trovo altro da dir veramente mio, se non è mia la volontà con cui voglio e non voglio. Dunque se agisco male, a chi attribuirlo se non a me? Mi ha creato un Dio buono e posso compiere una buona azione soltanto mediante la volontà, dunque è evidente che per questo mi è stata data da un Dio buono. Se il movimento con cui la volontà si volge qua e là non fosse volontario e posto in nostro potere, non si dovrebbe approvare l'uomo quando torce verso l'alto il perno, per così dire, del volere e non si dovrebbe riprovare, quando lo torce verso il basso. Anzi non si dovrebbe affatto ammonire a voler col disprezzo delle cose terrene conseguire le eterne, a non voler vivere male e volere vivere bene. Invece chi pensa che l'uomo non ne deve essere ammonito, si deve radiare dal numero degli uomini.

Il problema della libertà umana e prescienza divina.

2. 4. Stando così le cose, mi turba in modo indicibile il problema della compossibilità che Dio abbia la prescienza di tutti i futuri e che noi non pecchiamo per necessità. Chi dicesse che può verificarsi un evento senza che Dio ne abbia prescienza, tenta con folle empietà di demolire la prescienza di Dio. Pertanto Dio ha avuto prescienza che il primo uomo avrebbe peccato. Me lo deve necessariamente concedere chiunque ammette con me che Dio ha prescienza di tutti i futuri. Se dunque è così, non dico che non creerebbe l'uomo dal momento che lo ha creato buono. Così pure non potrebbe nuocere a Dio il peccato di chi ha creato buono. Che anzi se aveva mostrato la sua bontà nel crearlo, mostra la sua giustizia nel punirlo, la sua misericordia nel liberarlo. Non dico dunque che non lo creerebbe, ma dico che dal momento che aveva avuto prescienza del suo peccato, era necessario avvenisse ciò di cui aveva prescienza che sarebbe avvenuto. Quindi come può esser libera la volontà dove si verifica una tanto ineluttabile necessità?

Errori sulla Provvidenza e la vita.

2. 5. A. - Hai picchiato con ardore. La bontà di Dio ci assista ed apra a noi che picchiamo. Tuttavia sono portato a credere che la maggior parte degli uomini sono tormentati dal problema perché indagano non religiosamente e sono più facili alla scusa che alla confessione dei propri peccati. Alcuni per leggerezza ritengono che non v'è una divina provvidenza a reggere le cose umane e mentre affidano il proprio essere spirituale e fisico alle sorti del caso, si abbandonano alle passioni per esserne feriti e dilaniati. Negando i giudizi di Dio e imbrogliando quelli dell'uomo, presumono di ribattere col patrocinio della fortuna i loro accusatori. Ma nelle pitture son soliti rappresentarla bendata per apparire migliori di lei, da cui, a sentir loro, sono governati, ovvero per confessare che anche essi con la medesima cecità pensano e sostengono tali teorie. E forse si può anche concedere loro non illogicamente che passano tutta la vita in balia dei casi perché nel passarla cadono. Ma contro questa opinione piena di un errore assai sciocco e insensato è stato discusso sufficientemente, secondo me, nel nostro secondo discorso. Altri invece non osano negare che la Provvidenza regge la vita umana, ma preferiscono ritenerla con esecrando errore o impotente o ingiusta o perversa piuttosto che confessare i propri peccati con un implorante atto di pietà. Ma si supponga che costoro, nel pensare all'ottimo, giustissimo e potentissimo, si lascino indurre a credere che la bontà, giustizia e potenza di Dio è infinitamente più grande e perfetta di qualsiasi oggetto del loro pensiero. Riflettendo poi su se stessi, comprendano di dover ringraziare Dio, anche se avesse deciso che fossero un essere inferiore a quel che sono e dall'intimo della coscienza gridino: Ho detto: Signore, abbi pietà di me, guarisci la mia anima perché ho peccato contro di te 1. Allora attraverso il sicuro sentiero della divina misericordia sarebbero introdotti nella sapienza, in maniera che non s'insuperbiscano di aver trovato, non si agitino per non aver trovato, diventino più esercitati nella intuizione, se conseguono scienza, e se non la conseguono più umili nella ricerca. Tu che, ne son certo, hai già questa convinzione, osserva con quanta facilità posso rispondere su un problema tanto importante, quando tu per primo avrai risposto un po' alle mie domande.

Prescienza non è determinismo.

3. 6. Certamente ti turba, e te ne stupisci, come non siano opposti e contrastanti i temi che Dio sia presciente di tutti i futuri e che noi pecchiamo non per necessità ma per volontà. Se Dio, tu dici, è presciente, che un individuo peccherà, è necessario che pecchi; se poi è necessario, non si ha nel peccare l'arbitrio della volontà ma una ineluttabile e determinata necessità. Temi, cioè, che con questo argomento si tragga la conclusione: O blasfemamente si afferma che Dio non è presciente di tutti i futuri ovvero, se questo non si può affermare, si deve ammettere che non si pecca per volontà ma per necessità. O c'è altro che ti turba?
E. - Per ora no.
A. - Dunque, secondo te, tutti gli avvenimenti, di cui Dio è presciente, non avvengono per volontà ma per necessità?
E. - Sì, proprio.
A. - Svegliati finalmente, rifletti un po' su te stesso e dimmi, se ti è possibile, quale volontà avrai domani, di peccare o di agire rettamente?
E. - Non lo so.
A. - E pensi che neanche Dio lo sappia?
E. - Non potrei pensarlo proprio.
A. - Se dunque conosce la tua volontà di domani ed ha prescienza dei voleri futuri di tutti gli uomini che sono e che saranno, a più forte ragione ha prescienza di come agirà con i giusti e gli empi.
E. - Certamente, se affermo che Dio è presciente delle mie azioni, con molto maggior sicurezza posso dire che è presciente delle proprie e che prevederà con assoluta certezza ciò che farà.
A. - E allora non ti preoccupi della obiezione che egli farà tutto ciò che farà non per volontà ma per necessità, se tutto ciò di cui Dio è presciente avviene per necessità e non per volontà?
E. - Quando affermavo che per necessità si verificano tutti gli eventi, di cui Dio è presciente, intendevo parlare di quelli che avvengono nella sua creatura e non di quelli che avvengono in lui perché questi non avvengono, ma sono eterni.
A. - Dunque Dio non agisce nella sua creatura.
E. - Ha stabilito una volta per sempre come si deve svolgere l'ordine dell'universo che ha creato poiché non governa con un nuovo atto del volere.
A. - E non rende felice nessuno?
E. - Ma sì.
A. - Ma ve lo rende nel momento in cui quegli diviene felice.
E. - Sì.
A. - Dunque, ad esempio, se fra un anno diverrai felice, fra un anno ti renderà felice.
E. - Sì.
A. - Quindi sa oggi ciò che farà fra un anno.
E. - Ma sempre l'ha saputo ed io son d'accordo che anche ora lo prevede, se così avverrà.

Il volere è volere anche se prescito.

3. 7. A. - Ma, scusa, tu non sei una sua creatura o la tua felicità non avverrà in te?
E. - Certo, sono sua creatura e in me avverrà che sarò felice.
A. - Dunque non per volontà ma per necessità avverrà in te con l'azione di Dio la felicità.
E. - La sua volontà per me è necessità.
A. - Dunque sarai felice contro la tua volontà.
E. - Se fosse in mio potere esser felice, già lo sarei di certo; lo voglio anche ora e non lo sono perché non io ma egli mi rende felice.
A. - Assai bene dal tuo intimo grida la verità. Puoi infatti avere coscienza che è in nostro potere soltanto quello che possiamo realizzare quando lo vogliamo. Pertanto nulla è così in nostro potere che la volontà stessa. Senza alcun intervallo essa è disponibile nell'atto che si vuole. Si può perciò ben dire: " S'invecchia non per volontà ma per necessità, ci si ammala non per volontà ma per necessità, si muore non per volontà ma per necessità ", e così via per casi del genere. Ma chi, anche se pazzo, oserebbe dire: " Non si vuole con la volontà "? Pertanto anche se Dio ha prescienza dei nostri voleri futuri, non ne segue che vogliamo qualche cosa senza volontà. Quando hai detto, riguardo alla felicità, che non divieni felice da te, l'hai detto come se io lo negassi. Ma io dico che, quando diverrai felice, lo diverrai perché lo vuoi e non perché non lo vuoi. Dunque Dio è presciente della futura tua felicità e può verificarsi soltanto l'evento, di cui egli è presciente, altrimenti non sarebbe prescienza. Tuttavia non siamo per questo fatto condizionati a pensare che diverrai felice senza volerlo. Sarebbe proprio assurdo e lontano dalla verità. Come poi la prescienza di Dio, che anche oggi è certa della tua futura felicità, non ti toglie il volere della felicità, così ugualmente un volere colpevole, se qualcuno in futuro si verificherà in te, è ugualmente volere, anche se Dio è stato presciente che si sarebbe verificato.

Volere è in nostro potere.

3. 8. Pensa, ti prego, con quanta cecità si dica: " Se Dio ha avuto prescienza di un futuro mio volere, è ineluttabile che io voglia ciò di cui, ha avuto prescienza perché non può avvenire se non quello di cui ha avuto prescienza. Se dunque è ineluttabile, si deve ammettere che io lo voglio non per volontà ma per necessità ". O singolare stoltezza! Come dunque è possibile che avvenga soltanto l'evento, di cui Dio ha avuto prescienza, se non si dà il volere che egli ha preveduto avvenisse? Tralascio l'altro pregiudizio, egualmente mostruoso, che, come ho detto, il medesimo tizio potrebbe esprimere così: " È necessario che io voglia così ". Egli tenta in effetti di demolire la volontà sostituendole la necessità. Se infatti è necessità che voglia, con che cosa vorrà se non v'è volontà? E se non dicesse così, ma che egli non ha in potere la volontà perché è necessità che voglia, gli si può rispondere col tema che hai esposto, quando ho chiesto se puoi esser felice contro volontà. Hai risposto che saresti già felice se tu ne avessi il potere. Hai detto appunto che lo volevi, ma ancora non potevi. Ed io ho soggiunto che la verità gridava dal tuo intimo. Infatti possiamo dire di non avere il potere soltanto se non è presente in noi l'atto del volere; nell'atto poi che vogliamo, se ci manca la volontà, evidentemente non vogliamo. E se è assurdo che non vogliamo quando vogliamo, è evidentemente presente in chi vuole la volontà ed è in potere soltanto l'atto che è presente in chi vuole. Dunque la nostra volontà non sarebbe volontà se non fosse in nostro potere. Effettivamente perché è in nostro potere, è per noi libera. Non è appunto per noi libero ciò che non abbiamo in nostro potere e non può non esserlo ciò che abbiamo in potere. Conseguentemente noi non possiamo negare che Dio è presciente di tutti i futuri e tuttavia che noi vogliamo ciò che vogliamo. Se egli è presciente di un atto del nostro volere, esso sarà quello di cui è presciente. Sarà dunque un atto del volere perché di un atto del volere è presciente. Tuttavia non sarebbe atto del volere se non fosse in potere. Quindi è presciente anche del potere. Dunque non mi si sottrae il potere a causa della sua prescienza, anzi esso sarà più sicuro perché egli, la cui prescienza non s'inganna, ha avuto prescienza che l'avrò.
E. - A questo punto non nego più che necessariamente avvengono tutti gli eventi di cui Dio ha prescienza e che ha prescienza dei nostri peccati in maniera che rimanga libera la nostra volontà e posta in nostro potere.

Obiezione su prescienza non determinante.

4. 9. A. - Che cosa ti angustia dunque? Ma forse, dimentico del risultato della nostra prima indagine, vorrai affermare che non si pecca per costrizione di altro essere, sia superiore che inferiore o eguale, ma per volontà?
E. - Non oso affermare qualche cosa di simile. Tuttavia, lo confesso, non veggo ancora in che modo non si escludano questi due termini, la prescienza divina dei nostri peccati e il nostro libero arbitrio nel peccare. Dobbiamo infatti innegabilmente ammettere che Dio è giusto e previdente. Ma vorrei sapere con quale giustizia punisca peccati che si commettono per necessità, o come non per necessità si verifichino eventi, di cui ha prescienza che avvengano, o come non si debba imputare al Creatore tutto ciò che nella sua creatura avviene per necessità.

Prescienza non è costrizione.

4. 10. A. - Per quale motivo ti sembra che il nostro libero arbitrio sia opposto alla prescienza di Dio? Perché è prescienza ovvero perché è prescienza di Dio?
E. - Perché è di Dio piuttosto.
A. - Dunque se tu avessi prescienza che un tizio peccherà, non sarebbe necessario che pecchi?
E. - Anzi sarebbe necessario che pecchi. La mia non sarebbe prescienza se non avessi prescienza di eventi certi.
A. - Dunque non perché è prescienza di Dio, è necessario che avvengano gli eventi, di cui è presciente, ma perché è prescienza e tale non sarebbe se non preconosce eventi certi.
E. - D'accordo; ma a che scopo questo discorso?
A. - Perché, salvo errore, tu non costringeresti ineluttabilmente a peccare quel tizio, del quale prevedi che peccherà e la tua prescienza non lo costringe a peccare, sebbene senza dubbio peccherà. Altrimenti non avresti prescienza che peccherà. Come dunque non sono opposti questi due termini, che tu per tua prescienza sai ciò che un altro compirà con la propria volontà, così Dio, sebbene non costringe nessuno a peccare, prevede però coloro che per propria volontà peccheranno.

Prescienza e giustizia di Dio.

4. 11. Perché dunque non dovrebbe punire con la giustizia le azioni che con la prescienza non condiziona a verificarsi? Come tu infatti con la tua memoria non determini che si siano avverati gli avvenimenti passati, così Dio con la sua prescienza non determina che si debbano avverare gli eventi futuri. E come tu ricordi alcune azioni che hai compiute e tuttavia non tutte le cose che ricordi sono azioni che hai compiute, così Dio ha prescienza di tutte le cose, di cui è autore, ma non è autore di tutte le cose, di cui ha prescienza. È poi giusto punitore di tutte le azioni, di cui non è ingiusto autore. Dunque dal momento che Dio non effettua gli eventi futuri che conosce, cerca di comprendere con quale giustizia Dio punisce i peccati. Se pertanto non dovesse retribuire la pena a coloro che peccano perché prevede che peccheranno, non dovrebbe neanche retribuire il premio a coloro che agiscono bene perché prevede egualmente che agiranno bene. Ammettiamo piuttosto che è di pertinenza della sua prescienza che non gli sfugga un qualsiasi evento futuro e della sua giustizia che il peccato, poiché si commette mediante la volontà, non avvenga senza esser punito dal suo giudizio, come non è determinato ad avvenire dalla sua prescienza.

Il libero arbitrio è un bene medio (5, 12 - 14, 41)

Dio è sempre da lodarsi.

5. 12. Quello poi che hai ricordato al terzo posto, come si possa non imputare al Creatore tutto ciò che nella sua creatura avviene per necessità, non scuoterà facilmente la norma di religione, di cui è opportuno ricordarci, che cioè dobbiamo render grazie al nostro Creatore. Certamente la sua munifica bontà dovrebbe esser lodata, anche se ci avesse posto in un grado inferiore del creato. Infatti quantunque la nostra anima sia stata contaminata dal peccato, è sempre più alta e buona che se fosse convertita in questa luce visibile. E puoi facilmente constatare quanto onorino Dio per l'eccellenza della luce corporea le anime anche se dedite ai piaceri sensibili. Non ti turbi pertanto il fatto che sono biasimate le anime peccatrici al punto da farti dire nella tua coscienza che sarebbe meglio non esistessero. Sono biasimate nel confronto con se stesse se si pensa quali sarebbero se non avessero voluto peccare. Ma Dio ordinatore si deve altamente lodare secondo l'umana capacità, non solo perché le ordina con giustizia se hanno peccato, ma anche perché le regola così che anche macchiate di peccato non possono assolutamente esser superate dall'eccellenza della luce visibile. Eppure anche di essa è lodato.

Due prospettive: ideale ed empirica...

5. 13. Ti avverto inoltre dal guardarti di dire di tali cose che sarebbe stato meglio non fossero. Devi dire che avrebbero potuto esser prodotte diversamente. Qualunque sia l'essere che ti si presenterà mediante ideale ragione, sappi che l'ha prodotto Dio in quanto creatore di tutte le cose. Non è invece ideale ragione ma astiosa debolezza pretendere che non fosse prodotto un essere meno perfetto perché tu hai pensato che se ne poteva produrre uno più perfetto. È come se, visto il cielo, non volessi che fosse fatta la terra. Del tutto irragionevolmente. Biasimeresti ragionevolmente se, non essendo stato fatto il cielo, tu vedessi che è stata fatta la terra. Potresti infatti dire che avrebbe dovuto essere formata secondo l'idea che hai del cielo. Ma puoi osservare che è stata prodotta anche quella realtà, alla cui perfezione volevi far giungere la terra e che esso non si chiama terra ma cielo. Credo dunque che, non privato della realtà migliore, non dovresti affatto esser contrario a che fosse prodotta anche l'inferiore e fosse terra. E nella terra a sua volta, in riferimento alle sue parti, v'è tanta varietà che non si può presentare idealmente un oggetto della sfera della terra che Dio creatore di tutte le cose non abbia realmente prodotto, tenuto conto di tutta la massa terrestre. Infatti dalla terra molto produttiva e amena si giunge gradualmente attraverso le terre medie fino alla terra deserta e sterile. E tu non potrai biasimarne alcuna se non in confronto con la migliore. E così salirai per tutti i gradini dell'approvazione in maniera da non volere che sia sola quella che hai scoperto come la più nobile manifestazione della terra. E intanto fra la terra nella sua totalità e il cielo quanta distanza! S'interpongono i corpi umidi e aerei e da questi quattro elementi è data una molteplicità di altre forme e perfezioni, innumerevoli per noi, ben note nel numero a Dio. Vi può essere quindi in natura un oggetto che tu non ti rappresenti con la tua ragione empirica. Ma non è possibile che non vi sia quello che tu puoi rappresentarti con l'ideale ragione. Non potresti rappresentarti nel creato qualche cosa di più perfetto che sia sfuggito all'artefice del creato. E l'anima umana, quando in considerazione di ragioni trascendenti, da cui deriva per partecipazione, dice: " Questo sarebbe meglio di quello ", se parla del mondo ideale e ha intelligenza di quel che dice, ne ha intelligenza in quelle ragioni, di cui partecipa. Creda dunque che Dio ha fatto ciò che doveva esser fatto, poiché essa lo ha conosciuto con l'ideale ragione, sebbene non lo veda nelle cose create. Anche se non potesse vedere il cielo con la vista e tuttavia con l'ideale ragione concludesse che tale realtà doveva esser prodotta, dovrebbe credere che è stato prodotto, quantunque non lo veda con gli occhi. Col pensiero non potrebbe vedere che doveva esser fatto se non in quelle ideali ragioni, con cui tutto è stato fatto. E di ciò che in esse non è non si può avere intelligenza con l'ideale ragione per il solo motivo che non è intelligibile.

...nei confronti della libertà e peccato.

5. 14. Parecchi uomini errano appunto perché, avendo compreso con la intelligenza gli oggetti più perfetti, non li cercano nei soggetti convenienti, ad esempio se un tizio, rappresentandosi col pensiero la perfetta rotondità, si sdegna perché non la trova in una noce, nell'ipotesi che, eccettuati questi frutti, non abbia mai visto un altro corpo rotondo. Così alcuni con puro pensiero intuiscono che è migliore la creatura che, sempre unita a Dio, mai ha peccato, sebbene abbia la libera volontà. Tuttavia scorgendo i peccati degli uomini, si dolgono non per smettere di peccare ma perché sono stati creati e dicono: " Ci avrebbe dovuto far tali che volessimo sempre godere della sua immutabile verità e mai peccare ". Non strepitino, non vadano in collera. Non li ha costretti a peccare per il fatto che li ha creati, ma ha dato loro il potere di scegliere. Vi sono degli angeli che non hanno mai peccato né mai peccheranno. Pertanto se ammiri una creatura che con perseverante volontà non pecca, non v'è dubbio che con l'ideale ragione la anteponi a quella che pecca. Ma come tu la anteponi col pensiero, così Dio creatore la antepone nell'ordinamento. Abbi fede che ella vive in un mondo superiore e nell'alto dei cieli perché se il Creatore ha manifestato bontà nella creatura di cui prevede i futuri peccati, manifesta in senso assoluto bontà nel creare la creatura, di cui ha previsto che non avrebbe peccato.

Dignità dell'anima anche se pecca...

5. 15. Ella, la più alta di tutte, godendo indefettibilmente del suo Creatore, ha la propria indefettibile felicità che merita per l'indefettibile volere di mantenere la giustizia. Ma anche la creatura terrena peccatrice rientra nell'ordine perché, pur avendo smarrito la felicità col peccato, non ha perduto il potere di riconquistarla. Ed essa è certamente superiore a quella che è legata da un'indefettibile volontà di peccare. Fra quest'ultima e quella che persiste nella volontà di giustizia, la seconda manifesta un certo stato di mezzo perché con l'umiltà del pentimento riconquista la propria nobiltà. Infatti neanche da quella creatura, di cui fu presciente che non solo avrebbe peccato ma avrebbe persistito nella volontà di peccare, Dio ha trattenuto, per non crearla, la larghezza della sua bontà. Come infatti è migliore un cavallo, sia pure brado, di una pietra che non è brada appunto perché è priva di movimento proprio e di sensazione, così è più nobile la creatura che pecca per libera volontà di quella che non pecca appunto perché non ha la libera volontà. Allo stesso modo loderei un vino buono nel suo genere, mentre biasimerei l'individuo ubriacato da quel vino, e tuttavia anteporrei l'individuo biasimato e ancora ubriaco al vino lodato, con cui si è ubriacato. Così giustamente si deve apprezzare la creatura fisica, ciascuna nel suo grado, quantunque siano da biasimare coloro, i quali con l'uso immoderato che ne fanno si distolgono dalla conoscenza della verità. Tuttavia essi, a loro volta, ormai pervertiti e in certo senso ubriachi, sono preferiti, non già per merito di vizi ma per dignità di natura alla creatura fisica, nel suo ordine apprezzabile, sebbene si siano perduti nel desiderio smodato di essa.

...rimane superiore al corpo.

5. 16. Dunque l'anima è assolutamente più perfetta del corpo e l'anima peccatrice, in qualunque abisso sia caduta, non può assolutamente per qualche trasformazione divenir corpo, non le si toglie affatto di rimanere anima e non perde assolutamente di esser più nobile del corpo e infine la luce occupa il primo posto fra gli esseri fisici. Ne consegue quindi che l'anima più bassa sia anteposta al corpo più alto. È possibile inoltre che un certo corpo sia anteposto al corpo di una determinata anima ma in nessuna maniera alla stessa anima. Perché dunque non dovrebbe esser lodato Dio con una lode inesprimibile a parole per la ragione che, avendo creato anime, le quali avrebbero perseverato nelle leggi della giustizia, ne creò altre, di cui previde che avrebbero peccato o perfino che avrebbero perseverato nel peccato? Esse sono più nobili di quelle anime che non possono peccare perché non hanno il libero arbitrio fondato sulla ragione. Queste tuttavia sono più perfette della lucentezza per quanto viva di determinati corpi, sia pur quella che alcuni, quantunque con grande errore, venerano come la sostanza dello stesso sommo Dio. Ora nell'ordine delle creature fisiche, dai sistemi stellari fino al numero dei nostri capelli, è gradualmente così coordinata l'armonia delle cose buone che proprio insensatamente si può dire: " Che cosa è questo? A che scopo quest'altro? ". Tutto infatti è stato creato nel proprio ordine: quanto molto più insensatamente si dice in riferimento a qualsiasi anima, la quale, anche se giunta a qualsivoglia diminuzione di perfezione, supererà senza alcun dubbio la perfezione di tutti i corpi?

Ragione ed esperienza nel giudizio pratico.

5. 17. In un senso giudica la ragione, in un altro l'esperienza. La prima giudica alla luce della verità per subordinare le cose meno perfette, alle più perfette, l'esperienza al contrario è spesso mossa dall'abitudine dell'interesse a stimar di più cose che la verità ritiene meno perfette. Il pensiero antepone di gran lunga i corpi celesti ai terrestri. Eppure quale degli uomini sensuali non preferirebbe che mancassero parecchie stelle in cielo anziché un arboscello nel proprio campo o una mucca nel proprio armento? I più anziani disprezzano o per lo meno attendono con pazienza che si correggano certi apprezzamenti dei fanciulli. Costoro infatti preferiscono magari che, esclusi alcuni del cui affetto si rallegrano, muoiano tutti gli altri uomini anziché un loro uccellino, e tanto più se l'uomo è repellente e l'uccellino canterino e grazioso. Allo stesso modo alcuni che mediante avanzamento spirituale hanno raggiunto la sapienza, trovano che certi inesperti apprezzatosi delle cose lodano Dio nelle creature più imperfette perché le usano con maggior vantaggio per la vita sensibile, ma che alcuni non lo lodano affatto o di meno per le creature più alte e perfette, che alcuni perfino tentano di biasimarlo e correggerlo e che altri infine non credono che ne sia il creatore. Ora gli anziani disprezzano del tutto i loro giudizi, se non possono correggerli, o in attesa di correggerli, si abituano a sopportarli pazientemente con animo tranquillo.

A Dio non si attribuisce il peccato.

6. 18. Stando così le cose, è assurdo che si pensi di attribuire al Creatore i peccati delle creature, anche se avvengono per necessità gli eventi che egli ha preveduto dovessero avvenire. Dunque se tu dicessi che non puoi trovare come non si debba attribuire a lui tutto ciò che per necessità avviene nella sua creatura, io al contrario non troverei la misura e affermerei che è impossibile trovarla, che anzi non esiste, per attribuirgli tutto ciò che nella creatura si verifica necessariamente soltanto per volere di chi pecca. Se qualcuno dirà: " Preferirei non essere che essere infelice ", risponderò: " Dici una bugia perché adesso sei infelice e appunto per essere non vuoi morire, quindi quantunque non vuoi essere infelice, vuoi essere tuttavia. Sii grato quindi di ciò che, in corrispondenza al tuo volere, tu sei per liberarti di ciò che sei contro il tuo volere. In corrispondenza al volere sei e contro il volere sei infelice. Che se sei ingrato in quello che desideri essere, giustamente sarai necessitato ad essere ciò che non vuoi essere. Dal fatto dunque che, anche se ingrato, hai ciò che vuoi, lodo la bontà del Creatore, e dal fatto che, perché ingrato, devi sopportare ciò che non desideri, lodo la giustizia dell'ordinatore ".

Volere e felicità dipendono da noi.

6. 19. Se dirà: " Non voglio morire non perché preferisco essere infelice anziché non essere affatto, ma per non essere ancor più infelice dopo morte ", risponderò: " Se questo è ingiusto, non esisterai così, se poi è giusto, lodiamo lui, per le cui leggi così esisterai ". Se dirà: " Da che cosa dovrei presupporre che, se questo è ingiusto, non esisterò così? ", risponderò: " Se sarai in tuo potere, o non sarai infelice, ovvero ordinandoti ingiustamente, sarai giustamente infelice; oppure volendo ma non potendo ordinarti, non sarai in tuo potere e allora o non sarai in potere di un altro o lo sarai. Se non sarai in potere di un altro, non lo sarai o non volendolo o volendolo. Ma se non vuoi, non puoi essere cosa alcuna, a meno che non ti abbia assoggettato una qualche forza; ora non può essere assoggettato da una qualche forza chi non è in potere di altri. Se invece non sarai in potere di un altro perché vuoi, ritorna l'argomento che tu sia in tuo potere e che giustamente sarai infelice se ti ordini ingiustamente, ovvero per il fatto che potrai trovarti in qualsiasi condizione se lo vuoi, hai ancor motivo di esser grato alla bontà del tuo Creatore. Che se non sarai in tuo potere, ti avrà in potere un essere o più potente o più debole. Se più debole, è colpa tua, e meritata infelicità perché potresti assoggettare uno più debole se volessi. Se poi un essere più potente avrà in potere te più debole, non potrai assolutamente pensare con ragione che sia ingiusto un ordinamento tanto razionale. Con verità è stato premesso dunque: Se è cosa ingiusta, non sarai così; se poi è giusta, lodiamo lui, per le cui leggi sarai così ".

Il bene dell'esistenza.

7. 20. Poniamo che dica: " Perciò appunto preferisco essere infelice che non esistere affatto, perché già esisto; se potessi essere richiesto prima di esistere, sceglierei di non essere anziché essere infelice. Attualmente il temere di non esistere, sebbene non infelice, rientra nella stessa infelicità, per cui non voglio ciò che dovrei volere: dovrei infatti desiderare di non esistere, anziché di essere infelice. Attualmente, certo, ammetto che preferisco di essere anche infelice anziché non essere, ma lo desidero tanto più insipientemente quanto più infelicemente e tanto più infelicemente quanto più veramente penso che non avrei dovuto desiderarlo ". Ed io rispondo: " Sta attento piuttosto a non sbagliare proprio in questo, che credi di pensare il vero. Se infatti tu fossi felice, preferiresti essere che non essere; e attualmente, sebbene infelice, preferisci essere, magari infelice, che non essere affatto, quantunque non vuoi essere infelice. Rifletti dunque, nei limiti del possibile, quale grande bene sia lo stesso essere che felici e infelici desiderano. Se rifletterai bene sul tema, ti accorgerai che in tanto sei infelice, in quanto non sei vicino all'essere che sommamente è, che in tanto pensi che è meglio non essere che essere infelici, in quanto non intuisci l'essere che sommamente è e che perciò appunto desideri esistere perché sei da lui che sommamente è ".



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