Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
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DIO E IL LIBERO ARBITRIO

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2016 19:54
17/03/2016 19:54

Universalità della verità.

12. 33. Perciò non puoi assolutamente affermare che non esiste la verità immutabile che comprende tutti gli oggetti che sono veri immutabilmente e non puoi dire che è tuo o mio o di un altro individuo, ma che è universalmente accessibile e si mostra, come luce mirabilmente esposta e nascosta ad un tempo, a tutti coloro che conoscono gli immutabili veri intelligibili. Ma si può forse dire che l'oggetto accessibile universalmente a tutti coloro che ne hanno puro pensiero appartiene alla particolare condizione di uno di loro? Ricordi, penso, ciò che dianzi è stato detto dei sensi esterni. Gli oggetti che si percepiscono col senso della vista e dell'udito, come colori e suoni, che contemporaneamente io e tu vediamo o udiamo, non appartengono alla nostra particolare esperienza visiva o uditiva ma sono comuni come oggetti sensibili. Allo stesso modo dunque non puoi certo affermare che gli oggetti che io e tu pensiamo con la nostra particolare intelligenza appartengono alla condizione dell'intelligenza di uno di noi. Non potrai affermare appunto che l'oggetto percepito dalla vista di due soggetti è la vista stessa dell'uno o dell'altro, ma un terzo termine, al quale si porta lo sguardo d'entrambi.
E. - È apoditticamente vero.

Verità è superiore a mente.

12. 34. A. - Ed ora, secondo te, l'ideale verità, di cui da tempo stiamo parlando e nella cui unità intuiamo i molti intelligibili è superiore, eguale o anche inferiore alla nostra mente? Ora se fosse inferiore, non esprimeremmo giudizi mediante essa, ma su di essa, come li esprimiamo degli oggetti sensibili perché ci sono inferiori. Affermiamo appunto che hanno questa qualità o non l'hanno, ma anche che dovrebbero averla o non averla. Altrettanto del nostro carattere sappiamo non solo che è in questo modo, ma spesso anche che non dovrebbe esserlo. Ad esempio, si esprimono giudizi sui sensibili quando si dice: " è meno candido di quanto doveva "; ovvero: " è meno quadrato ", e così via; e del carattere: " è meno disposto di quanto dovrebbe ", ovvero: " meno mite ", o: " meno dinamico ", come comporterà appunto la norma del nostro costume. E si esprime il giudizio mediante le regole interiori della ideale verità che universalmente si intuiscono, ma di esse non si giudica assolutamente. Quando qualcuno dice infatti che le cose eterne sono più degne delle temporali e che sette più tre fanno dieci, non dice che così doveva essere, ma conoscendo che così è, non trasforma da arbitro, ma si allieta come scopritore. Se poi l'ideale verità fosse eguale alla nostra mente, anche essa sarebbe nel divenire. La nostra mente ora la intuisce di più ed ora di meno. Palesa così di essere nel divenire. Al contrario l'ideale verità, permanendo in sé, non aumenta quando ci si manifesta di più, non diminuisce quando ci si manifesta di meno, ma integra e immateriale, allieta di luce quelli che ad essa si volgono, punisce con la cecità quelli che si volgono in opposta direzione. E che dire, dal momento che mediante essa giudichiamo della nostra stessa mente mentre non possiamo affatto giudicare di essa? Si dice infatti: " Pensa di meno di quanto deve ", ovvero: " Pensa tanto quanto deve ". La mente deve appunto tanto più pensare quanto più si avvicina all'immutabile verità. Pertanto se essa non è inferiore ed eguale, rimane che sia eminentemente superiore.

Varie opinioni sulla felicità.

13. 35. Avevo promesso, se ricordi, di dimostrarti che v'è un essere più alto dell'atto puro del nostro pensiero. Ed eccoti, è la stessa verità. Abbracciala, se ne sei capace, e godine e prendi diletto nel Signore e ti accorderà le richieste del tuo cuore 7. Che desideri di altro se non esser felice? E quale essere è più felice di chi gode della stabile, non diveniente e altissima verità? Gli uomini si dichiarano felici quando godono nell'amplesso di un bel corpo ardentemente desiderato, sia delle mogli che delle amanti. E noi dubitiamo di esser felici nell'amplesso con la verità? Certi individui dichiarano di esser felici quando con la gola asciutta dall'arsura giungono ad una sorgente che scaturisce limpida, ovvero se affamati trovano un pranzo o cena ben servita e abbondante. E noi diremmo di non esser felici quando siamo dissetati e nutriti dalla verità? Si è soliti udire le voci di coloro che si proclamano felici se possono riposarsi fra rose e altri fiori o anche se fanno uso di unguenti molto profumati. E che cosa di più odoroso e delizioso dell'alito della verità e potremmo dubitare di considerarci felici se ne siamo alitati? Molti pongono la propria felicità nel canto corale e degli strumenti a corda e a fiato e quando loro mancano si considerano infelici e quando ne dispongono si entusiasmano per la gioia. E noi, quando si cala nella nostra intelligenza senza alcun rumore un certo, per così dire, musicale ed eloquente silenzio della verità, potremmo cercare altra felicità e non godere di una tanto vera e interiore? Gli uomini, dilettati dalla luce dell'oro e dell'argento, dalla luce delle gemme e di pietre di altri colori, ovvero dalla chiarezza e splendore della stessa luce visibile, sia essa in sorgenti luminose terrene ovvero nelle stelle, nella luna e nel sole, quando non sono impediti da tale godimento per difetti fisici e privazioni, si ritengono felici e desiderano vivere sempre per tali beni. E noi temeremmo di stabilire la felicità nella luce della verità?.

Verità e sommo bene.

13. 36. Anzi, poiché nella verità si conosce e raggiunge il sommo bene e la verità è sapienza, sforziamoci di vedere e raggiungere in essa il sommo bene e goderne. È felice infatti chi gode del sommo bene. La verità svela appunto tutti i beni che sono intelligibili e che gli individui, avendone puro pensiero secondo la propria capacità, si scelgono, o uno o più, per goderne. Alcuni individui, nella luce del sole, scelgono l'oggetto da guardare con maggiore soddisfazione e al vederlo ricevono piacere. E se fra di essi ve ne sono alcuni dotati di vista più resistente per salute e più acuta, nient'altro osservano con maggior piacere che il sole stesso, il quale illumina anche gli altri oggetti, da cui riceve piacere anche una vista più debole. Allo stesso modo una resistente e acuta intuitività mentale, quando conoscerà con distinto atto di pensiero molti oggetti intelligibili e non divenienti, si eleverà alla stessa verità, da cui tutti essi sono resi intuibili e ad essa unita, è come se tutti li dimentichi e in essa di tutti goda. Tutto ciò che è appunto sorgente di godimento nei diversi veri intelligibili, lo è mediante la verità.

La verità ci libera.

13. 37. Questo è il nostro riscatto: esser soggetti alla verità, ed è il nostro stesso Dio che ci riscatta dalla morte, cioè dalla soggezione al peccato. La stessa Verità, che è anche uomo in dialogo con gli uomini, ha detto a coloro che lo credono: Se rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi libererà 8. L'anima. infatti non gode di un bene con libertà, se non ne gode con sicurezza.

14. 37. Ora non si è sicuri di quei beni che si possono perdere indipendentemente dalla volontà. Ma la verità e la sapienza non si perdono indipendentemente dalla volontà. Infatti non è possibile separarsene secondo lo spazio. Quella che si chiama separazione dalla verità e dalla sapienza è la volontà perversa con cui si amano le cose inferiori. E non si vuole una cosa senza volerlo. Si ha dunque la verità, di cui si può godere tutti universalmente in egual misura perché in essa non esistono limiti, non esistono carenze. Certamente non accoglie i suoi amatori rivali l'uno dell'altro. È comune a tutti e casta con tutti. Non si dice all'altro: " Vattene perché mi appressi anche io, allontana le mani perché anche io l'abbracci ". Tutti le sono uniti, tutti toccano il medesimo oggetto. Il suo cibo certamente non si spezza in bocconi, non puoi bere di essa senza che anche io lo possa. Partecipandone non trasformi qualche cosa in un tuo oggetto particolare, ma ciò che di essa tu prendi, rimane un tutto anche per me. Non devo attendere che ciò che ti dà il respiro sia restituito da te perché faccia respirare anche me. Non v'è un qualche cosa di lei che diviene particolare di uno o alcuni, ma è universale contemporaneamente tutta a tutti.

La verità è per tutti.

14. 38. Dunque gli oggetti che si toccano, gustano e odorano sono meno simili alla verità, ma di più gli oggetti che si odono e vedono. La parola che si ode da alcuni, si ode da tutti costoro, e tutta da ciascuno insieme, e della figura che si rappresenta alla vista quanto se ne vede dall'uno tanto dall'altro insieme. Tuttavia questi oggetti sono simili ma con una notevole differenza. La voce in generale non suona tutta nell'istante perché si tende e prolunga nel tempo e una parte suona prima, l'altra dopo. La figura visibile invece si estende in genere come volume nello spazio e non è tutta in ogni spazio. E certamente tutti questi oggetti possono essere sottratti anche a chi non lo vuole e si può essere impediti dal goderne da determinati limiti. Ad esempio, se il canto dolce di un tale individuo potesse durare in eterno e gli amatori venissero a gara per ascoltarlo, si comprimerebbero e si contenderebbero il posto quanto più numerosi sono per essere ciascuno più vicino al cantante. Nell'udire comunque non otterrebbero che qualche cosa rimanga con loro, ma sarebbero impressionati da tutti suoni fuggevoli. Così se volessi fissare il sole e lo potessi di continuo, esso mi abbandonerebbe al tramonto, sarebbe velato dalle nubi e perderei contro il mio volere il piacere di vederlo per molti altri ostacoli. E infine, anche se fosse permanente la bellezza della luce, quando vedo, e della voce, quando ascolto, che cosa di degno me ne verrebbe, dal momento che mi è comune con le bestie? Ma la bellezza della verità e della sapienza, purché si abbia una continua volontà di goderne, non esclude i nuovi arrivati anche se assediata da una moltitudine di uditori, non si estende nel tempo, non si muove nello spazio, non s'interrompe con la notte, non è intercettata dall'ombra, non soggiace ai sensi. Ed è vicinissima a tutti coloro che da tutto il mondo a lei si volgono perché la amano, per tutti è supertemporale. Non è nello spazio e non manca in alcuno spazio; avverte dall'esterno, insegna nell'interno; cambia in meglio tutti quelli che la scorgono, da nessuno è cambiata in peggio; nessuno può giudicarla, nessuno senza di essa giudica bene. E per questo è chiaro che è innegabilmente superiore alla nostra intelligenza, che soltanto per la sua mediazione diviene sapiente, perché non di essa puoi giudicare, ma mediante essa di ogni altro oggetto.

Dio esiste perché è verità.

15. 39. Tu avevi ammesso che se avessi dimostrato l'esistenza di un essere sopra alla nostra intelligenza, avresti riconosciuto che è Dio, se non ve n'è un altro superiore. Accogliendo questa tua dichiarazione, avevo affermato che potevo dimostrarlo per apodissi. Se infatti v'è un essere superiore, questi è Dio, se non v'è, la stessa verità è Dio. Dunque tanto se v'è, come se non v'è, non potrai negare che Dio esiste. Questo era il problema propostoci da discutere e sciogliere. E se ti turba il tema da noi accettato per fede nel divino insegnamento di Cristo, che v'è un padre della sapienza, ricordati che per fede abbiamo accettato anche che all'Eterno Padre è eguale la Sapienza da lui generata. E su questo tema ora non si deve discutere, ma si deve ammetterlo per fede incrollabile. Esiste infatti Dio ed esiste in un ordine sommamente intelligibile. E riteniamo per fede tale verità non solo innegabile, come suppongo, ma la raggiungiamo anche con una ben definita, per quanto assai tenue, forma della conoscenza. Ma basta al problema preso in considerazione, affinché possiamo svolgere gli altri temi attinenti all'argomento, a meno che non hai da obiettare in contrario.
E. - Accolgo queste conclusioni, invaso da indicibile gioia che non potrei spiegarti a parole e proclamo che sono assolutamente certe. Proclamo poi con la voce interiore, con cui desidero essere ascoltato dalla stessa verità e a lei unirmi, la mia convinzione che essa non è soltanto un bene, ma il sommo bene beatificante.

La sapienza è immediata nel pensiero.

15. 40. A. - Proprio bene, anche io ne godo assai. Ma, prego, siamo forse già sapienti e felici o vi tendiamo affinché questo fine sia da noi raggiunto?
E. - Penso che vi tendiamo piuttosto.
A. - Da dove dunque hai la certezza di questi principi, della cui verità ed evidenza dici di godere e perché affermi che essi appartengono alla sapienza? Ovvero anche un insipiente può raggiungere la sapienza?
E. - Finché è insipiente, non lo può.
A. - Tu dunque o sei già sapiente o ancora non conosci la sapienza.
E. - Certamente non sono ancora sapiente, ma non potrei dire di essere insipiente nei limiti con cui conosco la sapienza poiché i principi che conosco sono certi e debbo affermare che sono attinenti alla sapienza.
A. - Ma dimmi, scusa; non devi ammettere che chi non è giusto è ingiusto, che chi non è prudente è imprudente e che chi non è temperante è intemperante. Se ne può forse dubitare?
E. - Ammetto che un individuo, finché non è giusto, è ingiusto e lo direi anche del prudente e del temperante.
A. - Perché dunque, finché non è sapiente, non sarebbe insipiente?
E. - Ammetto anche questo, che finché non è sapiente è insipiente.
A. - E tu dei due che sei?
E. - Comunque mi vorrai considerare, non oso ancora dichiararmi sapiente e da quanto ho concesso veggo che ne consegue di dovermi dichiarare insipiente.
A. - Dunque l'insipiente conosce la sapienza. Al contrario, come è stato detto, non sarebbe certo di voler esser sapiente e che è necessario esserlo, se non fosse presente nella sua intelligenza la nozione della sapienza, come pure dei concetti, su cui, singolarmente richiesto, hai risposto. Anche essi sono attinenti alla stessa sapienza e tu hai perfino goduto della loro conoscenza.
E. - È come tu dici.

Da Dio tutte le cose buone (16, 41 - 17, 46)

L'opera della sapienza in noi.

16. 41. A. - Che cosa facciamo dunque quando ci impegniamo ad esser sapienti? Non altro che con la maggiore alacrità possibile congiungere tutta la nostra anima all'oggetto che raggiungiamo con l'intelligenza e stabilirvela e fissarvela durevolmente. Così non potrà più godere della propria individualità che ha condizionato alle cose caduche, ma spogliata da ogni soggezione al tempo e allo spazio consegue l'oggetto che è sempre uno e medesimo. E come tutta la vita del corpo è l'anima, così la vita felice dell'anima è Dio. E fintantoché compiamo quest'opera, fino a che non la completiamo, siamo in viaggio. E ci è dato di godere di questi beni ideali e stabili, sebbene essi splendano in questo cammino di tenebre. E perciò considera se è questo appunto che è stato scritto della sapienza riguardo al comportamento con i suoi amatori, quando vengono da lei e la cercano. È stato scritto: Si mostrerà loro affabilmente sul cammino e andrà loro incontro con ogni provvidenza 9. Infatti in qualsiasi direzione ti volgerai, ti parla con le orme che ha impresso nelle sue opere. Se ti ributti verso le cose esteriori, ti richiama dentro con le forme stesse delle cose esteriori. Dovrai così riflettere che quanto ti diletta nel corpo e ti avvince con i sensi è soggetto al numero, ricercar da dove proviene, ritornare in te stesso e comprendere che non puoi giudicare né bello né deforme l'oggetto sensibile senza avere determinati criteri estetici, a cui rapportare le immagini belle che percepisci al di fuori.

La presenza del numero del mondo.

16. 42. Osserva il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi splendono nella sfera superiore o nella inferiore si muovono camminando, volano oppure nuotano. Hanno una forma perché partecipano ai numeri. Toglieli loro, non saranno più. Da chi hanno l'essere dunque se non da chi lo ha il numero poiché in tanto hanno l'essere in quanto sono partecipanti del numero? Anche gli uomini artefici di opere corporee nella loro arte adoperano il numero per rapportarvi le proprie opere e nel costruire muovono mani e strumenti fino a quando l'opera, che riceve la forma dal di fuori, rapportata all'interiore luce dei numeri, riceve, per, quanto è possibile, la compiutezza e piace, mediante il senso, al critico che intuisce i numeri ideali. Cerca inoltre chi muove le membra dello stesso artefice. Sarà il numero perché anche esse si muovono secondo una misura numerica. E se sottrai dalle mani l'opera da produrre e dalla coscienza l'intenzione di produrla e il movimento delle membra è rapportato all'estetica, si chiamerà danza. Chiedi dunque che cosa è estetico nella danza, il numero ti risponderà: " Eccomi, sono io ". Ed osserva ormai la bellezza di un sensibile dato dall'arte, i numeri sono inclusi nello spazio; osserva la bellezza del movimento nel sensibile, i numeri si svolgono nel tempo. Avvicinati all'arte da cui procedono, cerca in essa lo spazio e il tempo. Non è in nessun tempo, in nessuno spazio, eppure in essa ha vita il numero, ma la sua non è una dimora fatta di spazio, non è una esistenza fatta di giorni. Tuttavia coloro che scelgono di divenire artisti, quando si dispongono ad apprendere l'arte, muovono il proprio corpo secondo spazio e tempo, lo spirito invece soltanto secondo tempo perché col succedere del tempo divengono più esperti. Trascendi dunque anche la coscienza dell'artista per vedere il numero supertemporale. Allora la sapienza splenderà per te dalla sede interiore e dallo stesso santuario della verità. E se abbaglia il tuo sguardo ancor debole, torna a volgere l'occhio su quella via, dove si mostrava affabilmente. Ricordati però che hai rimandato la visione. Quando sarai più forte e sano, devi ritentare.

Le orme della sapienza nel mondo...

16. 43. Guai a coloro che abbandonano te come guida e si pervertono nelle tue orme, che amano i tuoi cenni invece di te e dimenticano l'oggetto, cui accenni, o sapienza, soavissima luce di una intelligenza purificata. Non desisti infatti di accennarci che cosa sei e quanto sei grande, e i tuoi cenni sono in genere la bellezza delle creature. Anche l'artista accenna in qualche modo a chi osserva la sua opera alla stessa bellezza dell'opera affinché non si arresti ad essa, ma in tale maniera osservi l'immagine da riportarsi col sentimento a chi l'ha costruita. Coloro che invece di te amano le cose che fai sono simili alle persone che, nell'udire un oratore colto, sono troppo presi dalla dolcezza del timbro della voce e dalle strutture della prosa numerosa. Così trascurano la rilevanza del pensiero, di cui le parole proferite sono segni. Guai a coloro che si distolgono dalla tua luce e si abbandonano dolcemente alle proprie tenebre. È come se voltandoti il dorso si volgano alla terrenità nell'ombra che proiettano ma hanno pur sempre dall'irrompere intorno della tua luce quella soddisfazione che li diletta anche in quello stato. Ma l'ombra, finché si ama, rende l'occhio spirituale più debole e più disadatto a sostenere lo sguardo. E per questo l'uomo si adatta gradualmente alle tenebre fintanto che sceglie quella condizione che gli rende più tollerabile l'esser più debole. Ne consegue che non è più capace di vedere il mondo ideale e ritenere un male ciò che gli sfugge perché imprevidente o lo attrae perché bisognoso o lo tormenta perché reso schiavo. Al contrario egli deve sopportare queste cose meritatamente in cambio del suo essersi distolto. Ed è impossibile che ciò che è giusto sia un male.

...come forma spazio-temporale.

16. 44. Puoi dunque rappresentarti tanto con la sensazione quanto col pensiero qualsiasi oggetto diveniente che conoscerai, solamente se rientra in una qualche forma numerica. E se essa viene eliminata, l'essere finisce nel nulla. Non dubitare quindi che esiste una forma eterna e non diveniente affinché gli esseri divenienti non si interrompano, ma pongano nella successione con movimenti misurati e con distinta varietà di forme quasi delle ritmiche cadenze di tempi. Ed essa non è contenuta e quasi estesa nello spazio, non si moltiplica per successione nel tempo affinché mediante essa possano avere la forma tutti gli esseri divenienti e nel proprio ordine colmino nel movimento i numeri dello spazio-tempo.

Forma degli esseri e provvidenza.

17. 45. È universalmente necessario che l'essere diveniente sia formabile. Come appunto si dice diveniente l'essere che può divenire, così direi formabile l'essere che può avere la forma. Ma nessun essere può darsi la forma perché nessun essere può darsi quel che non ha. E appunto perché abbia la forma, un essere è formato. Pertanto qualsiasi essere che ha una sua forma non ha bisogno di ricevere quel che ha, e se non ha la forma non può ricevere da sé ciò che non ha. Dunque è impossibile, come abbiamo detto, che un essere si dia la forma. Che cosa dunque dovremmo dire ancora del divenire del corpo e dello spirito? Dianzi ne è stato detto abbastanza. Ne segue dunque che corpo e spirito abbiano la forma da forma non diveniente e sempre permanente. Ad essa è stato detto: Li porrai nel divenire e saranno nel divenire; tu invece sei sempre il medesimo e i tuoi anni non si esauriranno 10. La parola del Profeta ha detto anni senza esaurimento per dire eternità. E di questa forma è stato detto cherimanendo in se stessa rinnova tutto 11. Ne consegue anche che tutto è ordinato dalla Provvidenza. Tutti gli esseri non sarebbero, se la forma fosse sottratta loro del tutto. E la forma non diveniente, per cui sussistono tutti gli esseri divenienti perché raggiungano pienezza svolgendosi secondo i numeri delle rispettive forme, essa ne è la provvidenza. Gli esseri non esisterebbero se essa non esistesse. Chi dunque compie il cammino verso la sapienza, considerando e riflettendo sull'universo, avverte che la sapienza durante il cammino gli si mostra affabilmente e che gli viene incontro in ogni manifestazione della provvidenza. Aspira dunque a continuare tanto più alacremente questo cammino, quanto esso è più bello per lei, cui brama arrivare.

Ogni bene è da Dio.

17. 46. E se tu troverai che oltre l'essere che è e non vive e l'essere che è e vive e non pensa e l'essere che è, vive e pensa, esiste un altro genere di creature, potrai allora osare di dire che v'è un bene che non è da Dio. Le tre categorie possono anche essere espresse con due termini se sono chiamati corpo e vita perché giustamente si considera vita tanto quella che vive e non pensa, come nei bruti, e quella che pensa, come negli uomini. I due principi, cioè corpo e vita, sono attinenti alla creatura poiché anche del creatore stesso si dice la vita ed è la somma vita. Questi due principi dunque, poiché sono formabili, come i temi testé espressi hanno provato, e poiché perduta del tutto la forma tornano nel nulla, mostrano sufficientemente che sussistono da quella forma che è sempre la medesima. Pertanto tutti i beni, siano essi grandi o piccoli, possono essere soltanto da Dio. Che cosa di più alto nelle creature della vita pensante e che cosa di più basso del corpo. Eppure sebbene deperiscano e tendano al non essere, tuttavia in essi rimane qualche cosa della forma affinché siano comunque. E il qualche cosa che rimane della forma a un essere, che deperisce, è da quella forma, la quale non può deperire e non permette che le mutazioni degli esseri che hanno deperimento o crescita oltrepassino le leggi dei loro numeri. Dunque quanto di lodevole si avverte nel mondo, sia esso giudicato degno di piccola ovvero di grande lode, si deve riferire all'altissima e ineffabile lode del creatore. Hai qualche cosa da dire in contrario?

La volontà libera è un bene (18, 47 - 20, 54)

La volontà è un bene...

18. 47. E. - Confesso di essere sufficientemente persuaso, ed anche del modo con cui si dimostra, per quanto è possibile in questa vita e da persone quali noi siamo, che Dio esiste e che da Dio sono tutti i beni. Infatti tutti gli esseri, tanto quelli che pensano, vivono ed esistono, sia quelli che soltanto vivono ed esistono e quelli che soltanto esistono, sono da Dio. Ed ora si può risolvere il terzo problema, che tra i beni è da numerare anche la libera volontà. Dimostrato questo tema, concederò senza esitazione che Dio ce l'ha data ed era opportuno che fosse data.
A. - Ricordi bene i temi proposti ed hai notato accortamente che anche il secondo problema è stato chiarito, ma avresti dovuto accorgerti che anche il terzo è stato risolto. Avevi detto appunto che non doveva essere dato il libero arbitrio della volontà perché con esso si pecca. A questa tua opinione ho replicato che è possibile agire secondo ragione soltanto mediante il libero arbitrio della volontà e affermavo che Dio per questo appunto ce l'ha dato. Hai risposto che la libera volontà doveva esserci data come la giustizia, di cui si può usare soltanto bene. La tua risposta ci ha costretto ad entrare nei molti giri della disputa per dimostrarti che soltanto da Dio possono provenire beni maggiori e minori. Non era facile dimostrarlo con chiarezza. Prima contro le opinioni della blasfema insipienza, per cui dice l'insipiente in cuor suo: Dio non esiste 12, il ragionamento iniziato, di qualunque valore fosse su tanto argomento dato il nostro limite, doveva, con l'aiuto di Dio in un cammino tanto pericoloso, tendere a una determinata evidenza. Tuttavia questi due temi, cioè che Dio esiste e che tutti i beni sono da lui, sebbene fossero accettati con fede ferma anche prima, sono stati tuttavia trattati in maniera da far apparire con grande evidenza anche il terzo tema, che tra i beni è da considerarsi la libera volontà.

...relativo ma...

18. 48. Già infatti dalla precedente disputa è stato evidenziato ed è emerso dal nostro dialogo che la natura del corpo è di grado inferiore alla natura dello spirito e che pertanto lo spirito è un bene maggiore del corpo. Ora fra i beni del corpo ne troviamo alcuni di cui si può usare non razionalmente ma non per questo si può affermare che non dovevano esser dati perché si ammette che sono beni. Che meraviglia dunque se pure nello spirito esistono alcuni beni, di cui anche si può usare non razionalmente, ma dal fatto che son beni, potevano esser dati soltanto da colui, da cui sono tutti i beni? Puoi notare quale bene manca al corpo se gli mancano le mani. Tuttavia usa male le mani chi con esse compie azioni crudeli o turpi. Se tu vedessi un tale senza piedi, diresti che manca all'integrità del corpo un bene grandissimo, ma non potresti negare che chi usa i piedi per nuocere a qualcuno o per andare a bruttarsi usa male dei piedi. Con gli occhi vediamo la luce e le figure sensibili e sono motivo di grande bellezza nel nostro corpo. E per questo tali organi sono, in segno di dignità, collocati nell'alto. L'uso della vista inoltre interessa la difesa della salute e apporta molti altri vantaggi per la vita. Ma molti con gli occhi compiono disonestamente parecchie azioni e li costringono a battersi per la lussuria. E puoi notare quale bene manchi al viso se mancano gli occhi. E quando ci sono, chi li ha dati se non Dio, datore di tutti i beni? Dunque tu li consideri nel corpo e non vedendo coloro che li usano male, lodi chi ha concesso questi beni così grandi. Così devi ammettere che la volontà, senza di cui non si può vivere secondo ragione, è un bene dato da Dio e si devono riprovare coloro che ne usano male, anziché dire che chi l'ha data non doveva darla.

... è sempre bene.

18. 49. E. - Dovresti dimostrarmi prima che la libera volontà è un bene ed io concederci che Dio ce l'ha data perché devo ammettere che da Dio sono tutti i beni.
A. - Ma non te l'ho già provato col vigoroso impegno della precedente discussione? Tu stesso hai dovuto ammettere che dalla forma ideale delle cose, cioè dalla verità, sussiste ogni forma specifica del corpo e concedere che essa è un bene? La stessa Verità infatti dice nel Vangelo che perfino i nostri capelli sono numerati 13. E a te è forse uscito di mente quel che abbiamo detto dell'eccellenza del numero e del suo potere che si estende da un termine all'altro? Che aberrazione è dunque codesta: includere fra i beni, per quanto minuti e vili, i nostri capelli e non trovare altro autore, cui attribuirli, se non Dio, perché i beni più grandi e i più piccoli sono da lui, dal quale è ogni bene, e poi dubitare della libera volontà, dal momento che anche coloro i quali vivono molto male ammettono che senza di essa non si può viver bene? Ed ora, per favore, rispondi quale facoltà è più alta in noi, quella senza di cui si può viver razionalmente, o quella senza di cui non si può vivere razionalmente?
E. - Perdonami, ti prego; mi vergogno del mio accecamento. Chi può dubitare che è molto più eccellente quella senza di cui non esiste razionalità?
A. - Potresti dire che un individuo senza un occhio non può vivere razionalmente?
E. - Non sia mai un'affermazione tanto pazzesca.
A. - Ammetteresti dunque che un occhio nel corpo è un determinato bene, con la cui perdita quel tale non è impedito di vivere secondo ragione e riterresti che non sia un bene la libera volontà, senza di cui non si può assolutamente vivere secondo ragione?

Beni grandi medi infimi.

18. 50. Tu pensi alla giustizia, di cui non si può usar male. Essa è compresa fra i beni più grandi che sono nell'uomo, come pure tutte le virtù, di cui è costituita l'onesta razionalità. Anche della prudenza, della fortezza e della temperanza non si può usar male. In tutte, come anche nella giustizia che tu hai ricordato, domina la ordinata razionalità, senza di cui non si danno le virtù. E della ordinata razionalità non si può usar male.

19. 50. Dunque sono grandi beni questi; ma devi ricordare che non solo i grandi beni, ma anche gli infimi possono essere soltanto da colui, da cui sono tutti i beni, cioè Dio. L'ha provato la precedente dimostrazione, alla quale hai consentito tante volte e con tanta gioia. Dunque le virtù, con cui si vive razionalmente sono grandi beni, le belle forme dei vari corpi, senza di cui si può viver razionalmente, sono beni infimi, le facoltà spirituali, senza di cui non si può viver razionalmente, sono beni medi. Delle virtù non si può usar male, degli altri beni, cioè infimi e medi, si può usar non solo bene ma anche male. E della virtù non si può usar male appunto perché funzione della virtù è il buon uso degli altri beni, di cui si può usar anche non bene. E non si può usar male usando bene. Pertanto la munificenza e la grandezza della bontà di Dio ha concesso che si diano beni non solo grandi, ma anche medi e infimi. La sua bontà si deve lodar di più nei beni grandi che nei medi e di più nei medi che negli infimi, ma di più in tutti che se non li avesse concessi tutti.

La volontà è in sé immediata.

19. 51. E. - Son d'accordo. Però mi turba un pensiero. Giacché il problema riguarda la libera volontà e si può notare che è essa ad usar bene e male delle altre cose, come si può includere fra le cose di cui usiamo?
A. - Allo stesso modo che col pensiero conosciamo tutti gli oggetti che conosciamo per aver scienza e tuttavia il pensiero stesso è incluso fra gli oggetti che conosciamo col pensiero. Ti sei dimenticato forse di aver ammesso, quando discutevamo sugli oggetti conosciuti col pensiero, che anche il pensiero si conosce col pensiero? Non meravigliarti dunque che se si usa di altre cose mediante la libera volontà, si possa usare della libera volontà mediante la stessa volontà. La volontà, che usa di altre cose, usa se stessa, come il pensiero appunto che conosce altri oggetti e conoscesse stesso. Anche la memoria non conserva soltanto tutte le cose che si ricordano, ma per il fatto che ci si ricorda di aver la memoria, anche la memoria stessa si conserva in noi. Essa dunque non ricorda soltanto le altre cose, ma anche se stessa, o meglio siamo noi che ricordiamo le altre cose ed essa mediante essa.

Volontà sapienza felicità.

19. 52. Quando dunque la volontà, che è un bene medio, inerisce al bene non diveniente, comune e non proprio, come la verità, di cui abbiamo molto parlato senza dire di lei niente di degno, l'uomo consegue la felicità. E la felicità, cioè lo stato spirituale di chi si unisce a un bene non diveniente, è il bene proprio e primo dell'uomo. In esso sono comprese tutte le virtù, di cui non si può usar male. Si comprende assai bene che questi valori, sebbene siano grandi e primi nell'uomo, sono particolari di ogni individuo, non universali. Infatti con la verità-sapienza che è a tutti comune, tutti, a lei unendosi, divengono sapienti e felici. Al contrario un individuo non diviene felice con la felicità di un altro. Anche se lo imita per divenir felice, tende a divenir felice da quel valore, da cui, come comprende, l'altro lo è, cioè dalla non diveniente e universale verità. Neanche con la prudenza di un tale un altro diventa prudente; così non si rende forte con la fortezza, temperante con la temperanza o giusto con la giustizia di un altro individuo, ma conformando la coscienza alle ideali non divenienti regole luminose delle virtù che immaterialmente vivono nella stessa verità e sapienza. Ad esse appunto quegli che si considera come modello da imitare, perché ricco di queste virtù, ha immutabilmente conformato la propria coscienza.

Avversione della volontà.

19. 53. La volontà dunque, unendosi al bene universale al di là del divenire, ottiene i primari e grandi beni umani, sebbene essa sia un determinato bene medio. La volontà, distolta dal bene non diveniente e universale e volta verso un bene particolare o esterno o inferiore, pecca. Si converte al particolare quando presume di essere di proprio dominio, all'esterno quando si preoccupa di conoscere le cose particolari degli altri oppure una cosa in genere che non le spetta, all'inferiore quando sceglie il piacere sensibile. Così l'individuo, divenuto superbo o dissipato o corrotto è trascinato da una vita a lui estranea che paragonata a una vita superiore è morte. Ma anche essa viene ordinata dal governo della divina provvidenza che dispone ogni cosa nel posto conveniente. e distribuisce secondo i meriti a ciascuno il suo. Avviene così che in senso assoluto non sono mali anche i beni desiderati da coloro che peccano e che non lo sia neanche la libera volontà, la quale si deve includere, come abbiamo scoperto, fra determinati beni medi. Il male consiste invece nel volgersi in senso contrario al bene non diveniente e nel volgersi a beni divenienti. E poiché il distogliersi e il volgersi non sono determinati, ma volontari, li segue una dovuta e giusta pena d'infelicità.

L'imperfezione dipende dalla creatura.

20. 54. Ma poiché la volontà, nel volgersi dal bene non diveniente al diveniente, si muove, tu forse vorrai chiedere da qual principio deriva questo movimento. Esso è cattivo, sebbene la libera volontà si deve includere fra i beni perché senza di essa neanche si può vivere secondo ragione. Se tale movimento, cioè il distogliersi della volontà da Dio Signore, è innegabilmente il peccato, si può forse dire che Dio è autore del peccato? Il movimento in parola non è da Dio. Da chi sarà dunque? Se tu me lo chiedessi ed io ti rispondessi che non lo so, forse tu saresti più triste, ma io ti avrei risposto il vero. Infatti non si può avere scienza di un oggetto che è nulla. Tu però mantieni fermo il tuo sentimento religioso. Così nel sentire o nel pensare o in genere nel rappresentarti l'oggetto, non ti si presenterà un bene che non sia da Dio. Allo stesso modo non ti si presenta fenomeno che non sia da Dio. Non esitare ad attribuire a Dio creatore ogni cosa appunto, in cui osserverai misura, numero e ordine. Se li eliminerai da una cosa, nulla assolutamente ne rimarrà. Potrebbe rimanere una determinata forma imperfetta in un essere in cui non trovassi misura numero e ordine, perché dove sono, la forma è perfetta. Ma allora devi eliminare anche la forma imperfetta che come materia sembra, per raggiungere la perfezione, esser sottoposta ad una causa agente. Se infatti la perfezione della forma è un bene, un certo bene è anche la forma imperfetta. Ma eliminato radicalmente ogni bene, non rimane un qualche cosa, ma il nulla assolutamente. Ma ogni bene è da Dio, non v'è dunque natura che non sia da Dio. Ora noi ammettiamo che quel movimento del volgersi in altro senso è peccato perché è un movimento verso la decrescenza e il decrescere è in ogni senso dal nulla. Puoi quindi comprendere a che cosa conduce e non dubitare che non conduce a Dio. Ma questo decrescere è volontario, è quindi in nostro potere. Se lo temi, devi non volerlo e se non lo vuoi, non sarà. Che cosa dunque di più tranquillo che stabilirti in una vita, in cui non sia possibile che si verifichi per te ciò che non vuoi? Ma l'uomo non è capace di risollevarsi liberamente, come liberamente è caduto. Crediamo dunque con fede, attendiamo con fiduciosa speranza e desideriamo con ardente carità la mano di Dio tesa a noi dall'alto, cioè il nostro Signore Gesù Cristo. Tu pensi forse che si debba fare una ricerca più profonda sull'origine del peccato. Io per conto mio suppongo che non sia affatto necessario. Ma se tu lo pensi, è da rimandarsi ad altra disputa.
E. - Accetto ben di cuore il tuo volere di rimandare ad altro tempo ciò che mi turba sull'argomento. Non posso però accordarti che se ne sia discusso abbastanza.



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