Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Vota | Stampa | Notifica email    
Autore

DIO E IL LIBERO ARBITRIO

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2016 19:54
17/03/2016 19:53

Senso e ragione sono individuali...

7. 15. A - Lo farò, ma prima chiedo se il mio senso esterno è il medesimo del tuo o al contrario il mio è soltanto mio e il tuo soltanto tuo. Se così non fosse, io non potrei vedere un oggetto senza che anche tu lo veda.
E. - Ritengo che, quantunque identici come forma, noi abbiamo distinti i sensi della vista, dell'udito e gli altri. Un individuo può non soltanto vedere, ma anche udire ciò che un altro non ode, e percepire col proprio senso qualsiasi oggetto che un altro non percepisce. È chiaro dunque che il tuo senso è soltanto tuo e che il mio è soltanto mio.
A. - Ed anche del senso interno risponderai così o diversamente?
E. - Non diversamente. Il mio senso interno percepisce il mio senso esterno e il tuo percepisce il tuo. Spesso infatti da qualcuno che vede un determinato oggetto sono richiesto se anche io lo vedo perché io, e non l'interlocutore, percepisco di vedere o non vedere.
A. - Ed anche il pensiero, ciascuno ha il suo? Può avvenire appunto che io sto pensando ad una cosa mentre tu non la pensi e che ti è impossibile sapere se la penso, mentre io lo so.
E. - È evidente anche che ogni individuo ha una propria mente.

...ma non l'oggetto sensibile della vista e udito...

7. 16. A. - Ma puoi dire anche che nel vedere si ha un proprio sole o luna o stella di Venere, sebbene ciascuno li vede col proprio senso personale?
E. - Non lo potrei dire assolutamente.
A. - Si può dunque vedere contemporaneamente in molti un unico oggetto sebbene ognuno ha sensi propri. Ma con essi tuttavia si percepisce un unico oggetto che si vede contemporaneamente. Ne consegue dunque che, sebbene il mio senso sia distinto dal tuo, non sia distinto in mio e tuo l'oggetto che vediamo, ma si rappresenti ad entrambi e da entrambi sia visto contemporaneamente.
E. - Chiarissimo.
A. - Possiamo inoltre udire contemporaneamente un medesimo suono. E sebbene il mio udito è distinto dal tuo, non è distinto in mio e tuo il suono che udiamo o che un suo aspetto è ricevuto dal mio udito e un altro dal tuo, ma tutto il suono nella sua unità e interezza si offre da udirsi contemporaneamente ad entrambi.
E. - Anche questo è chiaro.

...gusto e odorato...

7. 17. A. - Puoi estendere il nostro discorso anche agli altri sensi esterni. Per quanto attiene all'argomento, essi si comportano in maniera non del tutto eguale e non del tutto diversa dagli altri due della vista e dell'udito. Infatti tu e io possiamo riempire le vie respiratorie della medesima aria e percepire come odore la condizione fisica dell'aria respirata. Così entrambi possiamo gustare di un medesimo miele o altro cibo o bevanda e percepire come sapore la loro qualità. E sebbene l'oggetto sia uno solo e i nostri sensi distinti, a te il tuo e a me il mio, entrambi percepiamo un solo odore e un solo sapore. Tuttavia tu non lo percepisci col mio senso né io col tuo oppure con un altro determinato senso che sia comune ad entrambi, ma per me v'è il mio senso e per te il tuo, sebbene dall'uno e dall'altro si percepisca un solo odore o sapore. Da quanto detto si mostra dunque che questi sensi hanno una tale caratteristica in comune quale gli altri due nel vedere e nell'udire. Ma si differenziano per quanto attiene a ciò che stiamo per dire. Sebbene entrambi aspiriamo attraverso le narici la medesima aria e gustiamo il medesimo cibo, tuttavia io non aspiro la medesima parte d'aria che aspiri tu e non prendo la medesima parte di cibo che prendi tu, ma una io e un'altra tu. Dunque mentre respiro di tutta una massa d'aria, non ne aspiro se non quella parte che mi basta e tu ugualmente di tutta la massa ne aspiri quanto ti basta. Anche il cibo, quantunque sia il medesimo e sia consumato tutto da me e da te insieme, non può tuttavia esser preso tutto da me e tutto da te al modo che io odo tutta una parola e tu la puoi udire tutta nel medesimo tempo. Così tu puoi vedere di una determinata figura tanto quanto ne veggo io. Al contrario è necessario che del cibo e della bevanda una parte passi in me e l'altra in te. Non capisci molto queste cose?
E. - Ammetto anzi che sono molto chiare ed evidenti.

...e tatto.

7. 18. A. - E penseresti che sull'argomento di cui si tratta il senso del tatto sia da paragonarsi ai sensi della vista e dell'udito? In effetti possiamo entrambi percepire col tatto non solo il medesimo corpo, ma tu potresti toccare anche la medesima parte che toccherò io. Così entrambi potremmo percepire col tatto non solo il medesimo corpo, ma anche la medesima parte del corpo. Non è possibile infatti che io prenda tutto un cibo presentato e tu tutto egualmente se entrambi ce ne cibiamo. Ma non così avviene per il toccare, ma a te è possibile toccare un medesimo oggetto e tutto intere che io avrò toccato sicché entrambi lo tocchiamo, non in parti distinte, ma ciascuno di noi tutto intero.
E. - Ammetto che per questo aspetto il senso del tatto è molto simile ai primi due sensi anzidetti. Ma è differente, secondo me, per il fatto che è possibile ad entrambi vedere oppure udire in un medesimo tempo un medesimo oggetto nella sua interezza, ma non è possibile ad entrambi toccare nel medesimo tempo un determinato oggetto nella sua interezza, ma in parti distinte oppure la medesima parte in tempi distinti. Non mi è possibile applicare il tatto a una parte che tu percepisci col tatto se prima tu non avrai rimosso il tuo.

L'alimento è individuale.

7. 19. A. - Hai risposto con accortezza. Ma devi notare anche questo fatto. Di tutti i sensibili alcuni li percepiamo io e tu, altri o io o tu. I nostri sensi al contrario li percepiamo ciascuno per proprio conto sicché io non percepisco il tuo senso e tu non percepisci il mio. E degli oggetti che da noi sono percepiti mediante i sensi, cioè delle qualità sensibili, possiamo percepire, non entrambi insieme ma singolarmente, soltanto ciò che diviene così nostro che lo possiamo assimilare e trasformare in noi. È il caso del cibo e della bevanda. Non ne potrai prendere la medesima parte che prenderò io. È vero che le nutrici offrono ai bimbi gli alimenti già masticati. Ma è assolutamente impossibile che sia restituita come cibo del bimbo quella parte che l'organo di masticazione destinerà per ingurgitamento allo stomaco della nutrice. Quando il palato gusta un alimento con piacere ne reclamerà una parte, sia pur piccola, ma irrestituibile e determina così il fenomeno conveniente alla natura del corpo. Se non fosse così, non rimarrebbe nella bocca alcun sapore dopo che i cibi masticati sono restituiti per rigurgitamento. La stessa cosa si può dire ragionevolmente del volume d'aria che inaliamo attraverso le narici perché, sebbene puoi immettere quell'aria che io emetterò, non potrai certamente immettere anche ciò che di essa si è convertito nel mio sostentamento e perciò non si può ridare. I medici appunto insegnano che si riceve il sostentamento anche dalle narici. Io soltanto posso percepire tale sostentamento respirando e non posso restituirlo emettendo, affinché inalato dalle tue narici sia percepito anche da te. E sebbene percepiamo anche gli altri sensibili, tuttavia percependoli non li trasformiamo nel nostro corpo e tutti e due possiamo percepirli sia contemporaneamente sia in momenti successivi in maniera che sia percepito anche da te il tutto o la parte che io percepisco. Tali sono la luce, il suono e anche insensibili che si percepiscono senza trasformarli.
E. - Capisco.
A. - È evidente dunque che gli oggetti che non si trasformano, eppure si percepiscono con i sensi esterni, non appartengono al modo di essere dei nostri sensi e sono quindi più comuni perché non sono trasformati col mutarsi in oggetto proprio e quasi privato.
E. - Sono proprio d'accordo.
A. - Si deve quindi intendere per proprio e quasi privato ciò che ciascuno di noi ha da solo, che da solo in sé percepisce e che appartiene a titolo particolare al proprio essere. È al contrario comune e quasi pubblico ciò che si percepisce senza sostanziale trasformazione da tutti i soggetti senzienti.
E. - Sì.

Il numero puro universale...

8. 20. A. - Ed ora sta attento. Dimmi se si dà un oggetto che tutti i soggetti pensanti universalmente vedano con l'atto puro del proprio pensiero. L'oggetto visto sarebbe rappresentabile a tutti, non si trasforma in possesso di coloro che se lo rappresentano, come il cibo e la bevanda, ma rimane totalmente inalterato, tanto se i pensanti lo vedono come se non lo vedono. Ma forse tu ritieni che non v'è un tale oggetto?
E. - Anzi veggo che ve ne sono molti. Basta ricordarne uno. L'ideale verità del numero è così rappresentabile a tutti i soggetti pensanti che ogni studioso di matematica tenta di raggiungerla con un proprio atto di puro pensiero. Ma uno lo può più facilmente, un altro più difficilmente e un altro non lo può affatto, sebbene essa si offre ugualmente a tutti coloro che hanno la capacità di comprenderla. E quando qualcuno la conosce nella sua verità, non si trasforma divenendo un quasi cibo di chi la conosce, e quando qualcuno la esprime erroneamente, essa non viene a mancare, ma rimanendo vera e indefettibile, quegli è tanto più in errore quanto meno la comprende.

...non si conosce col senso.

8. 21. A. - Bene. Osservo però che hai imbroccato subito la risposta come competente in materia. Ma se ti si dicesse che i numeri non in virtù della loro proprietà ma degli oggetti sensibili sono rappresentati al nostro pensiero come immagini determinate di cose visibili, che risponderesti? La pensi anche tu così?
E. - Non potrei certamente pensarlo. Se ho conosciuto secondo verità i numeri con un senso, mi sarebbe stato possibile conoscere col senso anche le regole della divisione o addizione. Infatti con la luce dell'intelligenza disapprovo colui che mentre fa i calcoli nell'addizionare o sottrarre ottiene un risultato erroneo. E non so per quanto tempo rimangano ancora gli oggetti che tocco col senso, come questa atmosfera e questa terra e gli altri corpi che percepisco esistenti in essi. Ma sette e tre fanno dieci, e non solo ora ma sempre, e non v'è mai stato un tempo in cui non abbiano fatto dieci e mai vi sarà tempo in cui sette e tre non faranno dieci. E ho già detto che l'indefettibile verità del numero è universale per me e per ogni soggetto pensante.

L'uno è sempre intelligibile.

8. 22. A. - Non ti faccio obiezioni perché affermi nella risposta verità innegabili. Ma potrai anche facilmente notare che i numeri stessi non sono derivati dalla esperienza sensibile se penserai che ogni numero varia il nome ogni volta che aumenta dell'uno. Ad esempio, se si ha due volte l'uno, il numero si chiama due; se tre, tre; e se si ha l'uno dieci volte, si denomina dieci ed ogni numero in genere si considera di tanto di quante volte ha l'uno. Ora se si ha la vera nozione dell'uno, si trova certamente che non può essere percepito dai sensi. Si ha certezza infatti che l'oggetto sensibile universalmente non è uno ma molteplice perché è corpo ed ha quindi innumerevoli parti. Un corpuscolo, per non parlare delle sue parti ridottissime e meno differenziate, ha per lo meno una parte a destra e una a sinistra, una di sopra e una di sotto, oppure una di qua e una di là o anche alcune alla periferia e una al centro. Dobbiamo per logica necessità riconoscere che esse sono presenti in ogni particella del corpo per quanto piccola. Pertanto non si ammette che alcun corpo sia uno da un punto di vista ideale. Ma soltanto mediante la distinta conoscenza dell'uno ideale si possono in esso suddividere tante parti. Quando dunque cerco l'uno nel corpo e non dubito di non trovarvelo, so ciò che cerco, ciò che non vi trovo e che non potrò trovarvi, anzi che non v'è affatto. Se dunque so che il corpo non è uno, so che cos'è l'uno. Se infatti non conoscessi l'uno non potrei distinguere i molti nel corpo. In tutti gli esseri infatti in cui apprenderò l'uno, non lo apprendo mediante il senso. Mediante il senso conosco soltanto il corpo che, ne siamo certi, da un punto di vista ideale non è uno. Inoltre se non si ha pura conoscenza dell'uno col senso, non si ha col senso conoscenza di alcun numero, ovviamente di quelli intelligibili. Di essi appunto non ve n'è alcuno che non si denomini dalle volte che contiene l'uno e la conoscenza pura dell'uno non si ottiene col senso. Infatti una mezza parte di un corpo per quanto piccolo, sebbene il tutto risulti di due parti, ha anche essa la sua metà. Quindi le due parti sono in quel corpo ma non nel senso che siano due indivisibilmente. E il numero che ha il nome di due, poiché contiene due volte quello che è indivisibilmente l'uno, non lo può la sua metà, cioè quello che è indivisibilmente l'uno non può a sua volta contenere la mezza, la terza o un'ulteriore parte perché è indivisibile e idealmente uno.

Legge fondamentale dell'addizione.

8. 23. Inoltre seguendo la serie dei numeri dopo l'uno si incontra il due. Esso rapportato all'uno è il doppio. Il doppio di due non viene successivamente ma, interposto il tre, segue il quattro che è il doppio di due. Questa norma si estende con legge fissa e immutabile a tutti gli altri numeri. Così dopo l'uno, cioè il primo di tutti i numeri, con lo scarto che esso indica, è primo quello che contiene il suo doppio; infatti segue il due. Dopo il secondo, cioè dopo il due, con lo scarto che esso indica è secondo quello che contiene il suo doppio; dopo il due infatti primo è il tre, secondo il quattro che è il doppio del secondo. Dopo il terzo, cioè il tre, con lo scarto che esso indica, è terzo quello che è il suo doppio; infatti dopo il terzo, cioè il tre, primo è il quattro, secondo il cinque, terzo è il sei che è il doppio del terzo. Così dopo il quarto con lo scarto corrispondente il quarto contiene il suo doppio; infatti dopo il quarto, cioè il quattro, primo è il cinque, secondo il sei, terzo il sette, quarto l'otto che è il doppio del quarto. Così in tutti gli altri numeri scoprirai la norma che si verifica nella prima coppia di numeri, cioè nell'uno e nel due, e cioè di quante unità è un determinato numero inizialmente, di tante dopo di esso è il suo doppio. Ma da quale facoltà si apprende questa norma che si conosce come immutabile, fissa e indefettibile attraverso tutti i numeri? Non si raggiungono certamente col senso tutti i numeri. Sono innumerevoli. In quale facoltà dunque si conosce che questa legge si verifica in tutti i numeri ovvero in quale rappresentazione o rappresentabile sensibile si conosce con tanta certezza una verità tanto inderogabile nell'infinita serie dei numeri se non nella luce interiore che il senso ignora?

Obiettività della legge dei numeri.

8. 24. Con queste e molte altre dimostrazioni evincenti, coloro, ai quali Dio ha dato capacità alla teoresi e che l'eccessiva polemica non avvolge di foschia, sono convinti ad ammettere che l'intelligibile verità dei numeri non è di pertinenza del senso, permane idealmente immutabile ed è universale nella conoscenza per tutti i soggetti pensanti. Molte altre nozioni possono presentarsi che universalmente e quasi di pubblico diritto si rendono accessibili ai soggetti pensanti e sono intuite con atto di puro pensiero da tutti coloro che sanno intuirle, sebbene esse permangano inderogabili e fuori del divenire. Tuttavia non posso accettare malvolentieri il fatto che, quando hai inteso rispondere alla mia domanda, ti si è presentata a preferenza l'intelligibile verità del numero. Non a caso nella Bibbia il numero è stato associato alla sapienza nel testo seguente: Io ho scrutato perfino il mio cuore per conoscere, valutare e ricercare la sapienza e il numero 5.

Diverse opinioni sulla sapienza.

9. 25. E a proposito, scusa, che cosa si deve pensare, secondo te, della stessa sapienza? Ritieni che ogni individuo abbia una certa personale sapienza, ovvero è una, universalmente accessibile a tutti e quanto più se ne partecipa, tanto più si è sapienti?
E. - Non so ancora di quale sapienza intendi parlare. Osservo che gli individui hanno varie opinioni nei confronti dell'azione e del discorso sapiente. Coloro che scelgono la milizia, a sentir loro, agiscono con sapienza e coloro che, abbandonata la milizia, impiegano un premuroso lavoro nel coltivare il campo, vantano quest'attività e la attribuiscono a sapienza. Coloro che sono accorti nell'escogitare maniere per accumulare ricchezze si ritengono sapienti e coloro che trascurano o anche rifiutano questi e tutti gli altri interessi temporali e trasferiscono interamente l'impegno nella ricerca della verità per conoscere se stessi e Dio, giudicano che proprio questo è il grande compito della sapienza. Coloro al contrario che non vogliono dedicarsi al libero esercizio della ricerca e contemplazione del vero, ma vivono in incombenze e incarichi molto faticosi per tutelare gli interessi dei propri simili e si occupano della legislazione. e governo delle cose umane, ritengono di esser loro i sapienti. Quelli infine che fanno l'uno e l'altro e in parte vivono nella contemplazione della verità e in parte nelle attività pubbliche, che ritengono dovute alla associazione umana, pensano di avere in mano la palma della sapienza. Non parlo poi delle innumerevoli sette. Ognuna di esse, vantando i propri proseliti sugli altri, li ritiene gli unici sapienti. Ora nell'argomento che trattiamo si deve rispondere non in merito a quel che accettiamo per opinione, ma a ciò che comprendiamo con illuminata intelligenza. Dunque non potrò affatto rispondere alla tua domanda, se non conoscerò per intuizione e visione del pensiero ciò che ritengo per opinione, e cioè che cos'è sapienza in sé.

Sapienza, felicità e sommo bene.

9. 26. A. - Ma, secondo te, la sapienza non è verità, in cui si conosce e possiede il sommo bene? Tutti coloro di varie opinioni che hai ricordato desiderano il bene e fuggono il male, ma hanno diverse opinioni perché ciascuno considera il bene diversamente dall'altro. Se dunque si desidera ciò che non si doveva desiderare, sebbene non si desidererebbe senza l'opinione che sia un bene, si erra comunque. Ma è impossibile errare se non si desidera nulla e se si desidera ciò che si deve desiderare. Non si ha errore dunque nel senso che tutti gli uomini desiderano la felicità. Si ha errore al contrario in quanto non tutti seguono la via che conduce alla felicità, sebbene esplicitamente si professi che non si vuole altro che raggiungere la felicità. L'errore si ha appunto quando si segue una via, la quale non conduce alla meta che si intende raggiungere. E quanto più si erra nella via della vita, tanto meno si è sapiente perché si è più lontani dalla verità, in cui si conosce e si possiede il sommo bene. Ma si diviene felici soltanto col conseguimento e possesso del sommo bene. E tutti concordemente lo vogliamo. Come dunque è evidente che vogliamo esser felici, è evidente anche che vogliamo esser sapienti perché felici non si può esser senza sapienza. Non si è felici infatti senza il sommo bene che si conosce e possiede nella verità che denominiamo saggezza. Ora l'idea di felicità è impressa nel nostro spirito prima ancora di esser felici. È mediante essa infatti che siamo coscienti e innegabilmente affermiamo, senza alcun dubbio, di voler essere felici. Quindi, ancor prima di esser sapienti, abbiamo innata nello spirito l'idea di sapienza e mediante essa, ciascun individuo, richiesto se vuole esser sapiente, senza ombra di dubbio risponde di volerlo.

Una è la sapienza.

9. 27. Dal nostro dialogo perciò risulterebbe già il concetto di sapienza che forse non riuscivi a spiegare a parole. Se infatti non ne avessi l'idea nello spirito, non saresti affatto cosciente di voler essere sapiente e di doverlo volere. Suppongo che non oserai negarlo. Ed ora devi dirmi se, a tuo avviso, la sapienza si manifesta come universale a tutti i soggetti pensanti allo stesso modo della ideale legge del numero, o piuttosto, dal momento che tante sono le intelligenze umane quanti gli uomini, sicché io non conosco nulla della tua intelligenza e tu nulla della mia, se, secondo te, si danno tante sapienze quanti potrebbero essere i sapienti.
E. - Se il sommo bene è uno per tutti, necessariamente anche la verità, in cui si conosce e possiede, cioè la sapienza è universale.
A. - Ma tu hai dei dubbi che il sommo bene, qualunque cosa sia, è uno per tutti gli uomini?
E. - Naturalmente, perché osservo che qualcuno gode di una cosa come suo sommo bene ed altri di altre.
A. - Vorrei veramente che non si dubitasse del sommo bene come non si dubita, qualunque cosa sia, che soltanto conseguendolo si diventa felici. Ma è un grosso problema e richiede un lungo discorso. Supponiamo dunque addirittura che tanti siano i sommi beni, quante sono le varie cose che sono desiderate come sommo bene dai vari individui. Ne conseguirebbe forse che anche la sapienza non è una e universale perché sono molti e vari i beni che mediante essa gli individui conoscono e scelgono? Se lo pensi, potresti aver dubbi anche sull'unità della luce del sole perché sono molti e vari gli oggetti che si scorgono per la sua mediazione. In questa moltitudine ciascuno sceglie a piacere l'oggetto, di cui può godere mediante la vista. Un tale osserva volentieri l'altezza d'una montagna e gode nel guardarla, un altro il campo pianeggiante, un altro il fondo delle valli, un altro il verde dei boschi, un altro l'increspata superficie del mare, un altro infine di tutte queste cose o di alcune di esse ne raccoglie molte insieme per la gioia del vedere. Dunque sono molti e vari gli oggetti che si vedono nella luce del sole e che si preferiscono per il godimento, eppure è una la luce, in cui lo sguardo di ciascuno vede e sceglie l'oggetto di cui gioire. Così quantunque molti e vari siano i beni, fra cui ciascuno può scegliere quello che preferirà e che, conoscendo e possedendo per goderne, può considerare rettamente e veramente il proprio sommo bene, è possibile tuttavia che la luce stessa della sapienza, in cui si possono conoscere e possedere questi beni, sia una e comune a tutti i sapienti.
E. - È possibile, lo ammetto, e nulla impedisce che la sapienza sia universalmente una per tutti, anche se molti e diversi sono i sommi beni. Ma vorrei sapere se è così in realtà. Nell'ammettere la possibilità che una certa cosa sia così, non necessariamente ammettiamo che è così in realtà.
A. - Frattanto riteniamo per certo che la sapienza è una realtà. Non riteniamo ancora se sia universalmente una, ovvero se ciascun sapiente ne abbia una propria come l'anima e l'intelligenza.
E. - Sì.

Universalità di certe verità.

10. 28. A. - Ma dove conosciamo che esistono sapienza e sapienti e che tutti gli uomini vogliono essere felici? Non potrei proprio dubitare che ne hai conoscenza e che è vero. Lo conosci dunque come una tua particolare rappresentazione che io non conosco affatto se non me la manifesti, ovvero di questo vero hai una pura conoscenza così che possa esser conosciuto da me anche se da te non viene espresso?
E. - Non dubiterei anzi che possa essere conosciuto da te, anche se io non voglio.
A. - E dunque un solo vero che conosciamo, ciascuno con la propria intelligenza, è comune a ciascuno di noi due?
E. - Chiarissimo.
A. - Inoltre, suppongo, non puoi negare che ci si deve applicare alla sapienza e devi ammettere che anche questo è vero.
E. - Non ne dubito affatto.
A. - Inoltre questo vero è uno e universale nella conoscenza per tutti quelli che ne hanno scienza, sebbene ciascuno lo intuisca con la propria intelligenza, e non con la mia, la tua o di un altro. L'oggetto intuito infatti è universalmente accessibile a tutti quelli che lo intuiscono. Lo possiamo negare forse?
E. - No, assolutamente.
A. - Così non dovrai ammettere come assolutamente vero e accessibile a me, a te e a tutti quelli i quali sono capaci di intuire, che si deve vivere con giustizia, che le cose meno perfette si devono subordinare alle più perfette, che fra le cose eguali è valido il criterio dell'equità, che si deve dare a ciascuno il suo?
E. - D'accordo.
A. - E potresti dire che l'essere immateriale non è più perfetto del materiale, l'eterno del temporale, il non diveniente del diveniente?
E. - Ma chi lo potrebbe?
A. - Dunque questo vero può forse esser considerato particolare, dal momento che si presenta invariabilmente oggetto di pura conoscenza per tutti coloro che sono capaci di averla?
E. - Non si può assolutamente considerarlo particolare perché è tanto uno e universale quanto è vero.
A. - E si può forse negare che si deve volgere lo spirito in direzione opposta al mondo materiale e volgerlo allo spirituale, cioè all'immateriale e che il mondo spirituale si deve amare?. E se si ammette che questo è vero, non si deve forse anche comprendere che è immutabile e conoscere che è universalmente accessibile a tutti quelli che sono capaci di averne puro pensiero?
E. - Assolutamente vero.
A. - E si potrà dubitare che la vita, la quale non si distoglie a causa delle avversità da una solida concezione morale, è più perfetta di quella che a causa dei disagi del mondo facilmente rovina in frantumi?
E. - Chi ne può dubitare?

Sapienza e universalità delle leggi morali.

10. 29. A. - Non esaminerò altri temi in proposito. Mi basta che assieme a me conosci e ammetti la innegabile certezza che queste quasi norme generali e certi luminosi concetti morali sono veri e non divenienti e che o l'uno o l'altro o tutti sono universalmente accessibili alla conoscenza di coloro che sono capaci di intuirli, ciascuno con un proprio atto di puro pensiero. Ma mi sia concesso chiederti se, secondo te, essi sono di competenza della sapienza. Dovresti ritenere appunto, suppongo, che è sapiente chi ha conseguito la sapienza.
E. - Certo che lo ritengo.
A. - E chi vive secondo giustizia, potrebbe vivere così, se non conosce quali azioni meno perfette deve subordinare alle più perfette, quali azioni eguali deve associare in una medesima valutazione e quali le cose di ciascuno che a ciascuno deve distribuire?
E. - No.
A. - E potrai dire che chi conosce queste norme, non le conosce secondo sapienza?
E. - No.
A. - E chi vive secondo prudenza non sceglie forse l'immunità dal male e stabilisce di preferirla alla soggezione?
E. - Chiarissimo.
A. - E si può dire che non sceglie secondo sapienza quando sceglie l'oggetto cui convertire lo spirito, dato che nessuno mette in dubbio che si deve scegliere?
E. - Io non potrei certo dirlo.
A. - Quando dunque converte lo spirito all'oggetto che sceglie con sapienza lo fa con sapienza.
E. - Pienamente evidente.
A. - E chi a causa di timori e sofferenze non si allontana dall'oggetto che sceglie con sapienza e al quale con sapienza si converte, senza dubbio agisce con sapienza.
E. - Senza alcun dubbio.
A. - È dunque pienamente evidente che quelle che abbiamo chiamato norme e luminosi concetti morali sono di competenza della sapienza. Infatti quanto più se ne usa per realizzare la vita e secondo esse si realizza, tanto più si vive e si agisce con sapienza. Ma tutto ciò che si fa con sapienza non si può ragionevolmente dire che sia separato dalla sapienza.
E. - È proprio così.
A. - Come dunque sono invariabilmente vere le leggi dei numeri, dei quali hai detto che la loro ideale verità è invariabilmente e universalmente accessibile a tutti coloro che la intuiscono, così sono invariabilmente vere le leggi della sapienza. Ora, interrogato particolarmente su alcune di esse, hai risposto che sono evidentemente vere e ammetti che esse si presentano universalmente per la conoscenza a tutti coloro che sono capaci di intuire tali oggetti.

Sapienza e numero.

11. 30. E. - Non ne posso dubitare. Ma vorrei proprio sapere se le due idee di sapienza e numero sono contenute in un'unica determinata categoria poiché nella Bibbia, come hai ricordato, si trovano associate, ovvero se l'uno ha l'esistere dall'altro, oppure se uno si fonda sull'altro, ad esempio il numero dalla sapienza o nella sapienza. Non oserei dire appunto che la sapienza ha l'esistere dal numero o il fondamento sul numero. Conosco molti aritmetici o esperti di aritmetica, o comunque si debba denominarli, i quali fanno i calcoli con ammirevole abilità, ma pochissimi sono sapienti e forse nessuno. Non saprei dunque per quale ragione, ma la sapienza mi si presenta di valore molto più alto del numero.
A. - Stai esponendo un concetto, di cui anche io abitualmente mi stupisco. Quando rifletto sulla immutabile intelligibilità del numero e, per così dire, sul suo più intimo recesso o sfera determinata, o altro nome appropriato che si possa trovare con cui denominare, per così dire, il luogo di permanenza e la sede dei numeri, mi sento portare lontano dal mondo sensibile. E incontrandomi per caso con un significato che posso rappresentarmi col pensiero ma che non sono capace d'esprimere a parole, per parlare, torno, come affaticato, nella nostra esperienza e dico, nel linguaggio usuale, le cose che sono poste davanti agli occhi. Il fenomeno mi avviene anche quando con disciplinatissimo vigore dialettico, per quanto ne son capace, penso alla sapienza. Ed ecco perché mi stupisco fortemente. Le due idee sono in una metempirica eppure evidentissima intelligibilità, anche perché vi si aggiunge la testimonianza della Scrittura, con cui le ho ricordate unite insieme. Mi stupisco moltissimo, come ho detto, perché il numero per la massa è di poco pregio e di molto pregio la sapienza. Al contrario non è da stupirsi che siano una sola e medesima cosa. Infatti nella Scrittura è detto della sapienza che congiunge con forza un termine all'altro e dispone tutto con dolcezza 6. Il potere dunque che congiunge con forza un termine all'altro è forse il numero e quello che dispone tutto con dolcezza, con significato appropriato, è la sapienza, sebbene l'uno e l'altro siano di un'unica e medesima sapienza.

Numero come ordine.

11. 31. Ma la sapienza ha concesso una struttura numerica a tutti gli esseri anche ai meno perfetti e posti nel grado più basso della realtà. Perfino i corpi in generale, sebbene siano al livello più basso nella realtà, hanno una propria struttura numerica. Tuttavia non ha concesso l'averne scienza ai corpi e alle anime inferiori, ma soltanto a quelle ragionevoli, come se in esse dovesse stabilire la propria sede, da cui disporre tutti gli esseri, anche i meno perfetti, cui ha concesso una struttura numerica. E poiché dei corpi giudichiamo facilmente come di esseri ordinati sotto di noi e poiché vediamo anche ad essi partecipati i numeri, pensiamo che i numeri siano sotto di noi e perciò li riteniamo di minor pregio. Ma quando cominciamo a salire verso l'alto, troviamo che trascendono anche la nostra intelligenza e che rimangono immutabili nell'ideale verità. E poiché è di pochi avere sapienza, ma far di conto è concesso anche ai non sapienti, si ammira la sapienza e si disprezzano i numeri. Ma i dotti e coloro che si applicano alla dottrina, quanto più si allontanano dalla terrenità, tanto più intuiscono e numero e sapienza nell'ideale verità ed hanno in pregio l'uno e l'altra e, nel confronto con l'ideale verità, per essi non solo sono vili l'oro e l'argento e gli altri oggetti per cui gli uomini lottano, ma anche essi a se stessi.

Numero e intelligibile e verità.

11. 32. E non ti stupire che i numeri sono meno valutati dagli uomini e che la sapienza è pregevole. È più facile per loro far di conto che esser sapienti. Puoi osservare anche che pregiano di più l'oro che il lume della lucerna, al cui paragone l'oro è da schernire. Ma viene apprezzato di più un oggetto di gran lunga inferiore perché anche il mendico si accende la lucerna, pochi invece hanno l'oro. Comunque non avvenga che al confronto col numero la sapienza venga considerata inferiore. È di egual valore, ma richiede un occhio che sia capace di scoprirla. In un unico fuoco si percepiscono consustanziali, per così dire, la luce e il calore e non possono esser separati l'una dall'altro. Tuttavia il calore giunge soltanto agli oggetti posti vicino, la luce invece si diffonde più lontano in ogni direzione. Così mediante il potere dell'intelligenza, che è presente nella sapienza, si riscaldano gli esseri più vicini, come le anime ragionevoli, ma esso non raggiunge col calore della sapienza i più lontani, come i corpi, ma li investe con la luce dei numeri. Per te forse il concetto rimane oscuro perché nessuna immagine visibile si può adattare convenientemente all'oggetto invisibile. Soltanto tieni presente un tema che basterà al problema che abbiamo impostato e che è evidente a modeste intelligenze, quali le nostre. Quantunque non possa esserci chiaro se il numero è nella sapienza o dalla sapienza o viceversa se la sapienza è dal numero o nel numero, è certamente evidente che l'una e l'altro sono veri e immutabilmente veri.



Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 19:18. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com