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Perdonaci Signore
 
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MEDITAZIONI SULLA PASSIONE

Ultimo Aggiornamento: 05/03/2016 20:17
23/02/2015 19:56

CAPITOLO VI.

Del sudore di sangue ed agonia patita da Gesù nell'orto

1. Ecco come il nostro amorosissimo Salvatore giunto all'orto di Getsemani volle da se stesso dar principio alla sua amara Passione con dar libertà alle passioni del timore, del tedio e della mesti­zia che venissero ad affliggerlo con tutti i loro tormenti: Cominciò a sentire paura, tristezza e angoscia (Mc 14, 33; Mt 26, 37). Cominciò dun­que per prima a sentire un gran timor della mor­te e delle pene che dovea tra breve soffrire: Co­minciò a sentire paura. Ma come? non era egli quello che spontaneamente si era offerto a tali patimenti? Si offerse perché egli lo volle (cf Is 53, 7). Non era egli quello che avea tanto desi­derato questo tempo della sua Passione, avendo poc'anzi detto: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi? (Lc 22, 15). E poi allora come apprese tanto timore di sua morte che giunse a pregare suo Padre a liberar­nelo: Padre mio, se è possibile, passi da me que­sto calice? (Mt 26, 39).

Risponde il V. Beda e dice: Prega che passi il calice per manifestare che è veramente uomo. Egli l'amante Signore ben volea morire per noi per dimostrarci colla sua morte l'amore che ci portava; ma acciocché gli uomini non avessero pensato che egli avesse assunto un corpo fantasti­co - come han bestemmiato alcuni eretici - o pu­re che per virtù della sua divinità fosse morto senza provare alcuna pena; perciò egli fece quella preghiera al Padre non già per essere esaudito, ma per dare ad intendere a noi ch'esso moriva come uomo, e moriva afflitto da un gran timor della morte e dei dolori che doveano accompa­gnar la sua morte.

O Gesù amabilissimo, voi voleste prendere per voi la nostra timidezza per dare a noi il vostro coraggio nel soffrire i travagli di questa vita. Siate sempre benedetto di tanta pietà ed amore. V'amino tutti i nostri cuori quanto voi lo deside­rate e quanto lo meritate.

2. Cominciò a sentire angoscia. Cominciò an­che a sentire un gran tedio delle pene che gli erano apparecchiate. Quando v'è tedio anche le delizie riescono penose. Or quali angosce unite a tal tedio dovette recare a Gesù Cristo l'orrido apparato che allora se gli rappresentò alla mente di tutti i tormenti esterni ed interni che in quel resto di vita doveano fieramente cruciare il corpo e l'animia sua benedetta? Allora se gli fe­cero avanti distintamente tutti i dolori che dovea soffrire, tutti i scherni che aveva a ricevere dai Giudei e dai Romani: tutte le ingiustizie che gli doveano fare i giudici della sua causa: e special­mente se gli fece innanzi quella morte desolata che far dovea, abbandonato da tutti, dagli uomi­ni e da Dio, in un mare di dolori e di disprezzi. E ciò fu che gli cagionò un tedio così amaro che l'obbligò a dimandare conforto all'Eterno suo Padre. Ah Gesù mio, vi compatisco, vi ringrazio e v'amo.

3. Gli apparve allora un angelo... a confor­tarlo (Lc (22, 43). Venne il conforto, ma questo, dice Beda, più gli accrebbe che alleggerì la pena. Sì, perché l'angelo lo confortò a più patire per amore dell'uomo e per la gloria del suo Padre.

Oh quanto vi apportò di affanno, amato mio Signore, questo primo combattimento! Nel pro­gresso di vostra Passione i flagelli, le spine, i chio­di vennero divisamente a tormentarvi, ma nel­l'orto i dolori di tutta la vostra Passione vi assa­lirono tutti insieme ad affliggervi. E voi tutto accettaste per mio amore e per mio bene. Ah mio Dio, quanto mi rincresce di non avervi amato per lo passato, e di avere posposta la vostra vo­lontà ai gusti miei maledetti! Li detesto sopra ogni male e me ne pento con tutto il cuore. Ge­sù mio, perdonatemi.

4. Cominciò a sentire tristezza e afflizione. Col timore e col tedio cominciò insieme a sentire Ge­sù una gran malinconia ed afflizione d'animo. Ma, Signor mio, voi non siete quello che ai vostri martiri avete data tanta gioia nel patire che giun­gevano a disprezzare i tormenti e la morte? Di S. Vincenzo, dice S. Agostino, che egli parlava con tanta allegrezza nel suo martirio che pareva che un altro patisse ed un altro parlasse. Di S. Lorenzo narrasi che bruciando sulla graticola era tanta la consolazione che godeva nell'anima che insultava il tiranno dicendogli: Serviti e mangia. E come poi voi stesso, o Gesù mio che donaste un'allegrezza sì grande ai vostri servi nel morire, vi eleggeste morendo una tanta mestizia per voi?

5. O allegrezza del paradiso, voi col vostro gaudio rallegrate il cielo e la terra, ed ora per­ché vi miro così afflitto e mesto? e vi sento dire che la tristezza che v'affligge è valevole a darvi

la morte? La mia anima è triste fino alla morte (Mc 14, 34). Mio Redentore, e perché? Ah già v'intendo! No, che non tanto furono i dolori della vostra Passione quanto i peccati degli uomini e fra questi i peccati miei che allora vi apportarono quella gran pena di morte.

6. Egli l'Eterno Verbo quanto amava il suo Padre, tanto odiava il peccato, di cui ben cono­scea la malizia: onde per togliere il peccato dal mondo e per non vedere più offeso il suo amato Padre, egli era venuto in terra e si era fatto uo­mo, ed aveva intrapreso a soffrire una Passione ed una morte così dolorosa. Ma vedendo poi che con tutte le sue pene pure s'aveano da commet­tere tanti peccati nel mondo, questo dolore, dice S. Tommaso, superò il dolore che qualsivoglia penitente ha sentito mai per le sue proprie colpe e superò qualunque pena che possa affliggere un cuore umano. La ragione è, perché tutte le pene degli uomini sempre sono mescolate con qualche sollievo, ma il dolore di Gesù fu puro dolore sen­za sollievo.

Ah se io v'amassi, o Gesù mio, al mirare quan­to voi avete patito per me mi diventerebbero dol­ci tutti i dolori, tutti gli obbrobri e le molestie del mondo. Deh, concedetemi voi il vostro amore, ac­ciocché io patisca con gusto o almeno con pazien­za quel poco che mi date a soffrire. Non mi fate morire così sconoscente a tante finezze del vostro amore. Propongo nelle tribolazioni che mi occor­reranno dir sempre: Gesù mio, abbraccio questa pena per amor vostro; la voglio soffrire per dar gusto a voi.

7. Nelle istorie si legge che molti penitenti es­sendo illuminati dalla divina luce a vedere la ma­lizia dei loro peccati sono arrivati a morirne di puro dolore. Or quale tormento poi doveva esse­re al Cuore di Gesù la vista di tutti i peccati del mondo, di tutte le bestemmie, sacrilegi, disonestà e di tutte l'altre colpe che s'aveano a commet­tere dagli uomini dopo la sua morte, ciascuna delle quali venne allora come una fiera crudele a leccargli il Cuore colla sua propria malizia?

Onde diceva allora il nostro afflitto Signore colà agonizzando nell'orto: Dunque, o uomini, questa è la ricompensa che voi avete a rendere al­l'immenso amor mio? Ah se io vedessi che voi grati al mio affetto lasciaste di peccare e mi co­minciaste ad amare, oh con quanta mia gioia an­derei ora a morire per voi! Ma il vedere dopo tante mie pene tanti peccati, dopo tanto mio amo­re tanta ingratitudine, questo è quello che più mi affligge, mi fa mesto sino alla morte e mi fa sudar vivo sangue. E il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra (Lc 22, 44). Sicché al dir del Vangelista questo sudore san­guigno fu così copioso che prima bagnò tutte le vesti del Redentore e poi scorse in copia a ba­gnar la terra.

8. Ah mio innamorato Gesù, io non vedo in quest'orto nè flagelli nè spine nè chiodi che vi feriscano; e come vi miro tutto bagnato di san­gue da capo a piedi? Dunque i peccati miei fu­rono il torchio crudele, che allora a forza di af­flizione e di mestizia spremettero tanto sangue dal vostro Cuore? Dunque io ancora fui allora uno dei vostri più crudeli carnefici, che mi ag­giunsi a maggiormente cruciarvi coi peccati miei? E' certo, che se io meno avessi peccato, meno al­lora voi, Gesù mio, avreste patito. Quanto dun­que più di piacere io m'ho preso in offendervi, tanto più d'affanno io allora accrebbi al vostro Cuore addolorato.

E come questo pensiero ora non mi fa morir di dolore, in intendere che io ho pagato l'amore

che mi avete dimostrato nella vostra Passione, con aggiungervi tristezza e pena? Io dunque ho tormentato quel Cuore così amabile ed amoroso, che mi ha tanto amato? Signore, giacché ora non ho altro mezzo da consolarvi che col dolermi di avervi offeso, sì, Gesù mio, che me ne doglio, e me ne dispiace con tutto il cuore. Datemi voi un dolor sì forte, che mi faccia piangere continua­mente sino all'ultimo fiato di mia vita i disgusti che ho dato a voi, mio Dio, mio amore, mio tutto.

9. Si prostrò con la faccia a terra (Mt 26, 39). Gesù vedendosi addossato il peso di soddisfare per tutti i peccati del mondo, si buttò colla fac­cia a terra a pregare per gli uomini, come si ver­gognasse di alzare gli occhi in cielo, nel vedersi carico di tante scelleraggini.

Ah mio Redentore, io vi miro tutto affannato ed impallidito per la pena! Voi state in agonia di morte, e pregate! Entrato in agonia, pregava più intensamente (Lc 22, 43). Ditemi, per chi pre­gate? Ah che allora non tanto pregavate per voi, quanto per me, offerendo all'Eterno Padre le vo­stre potenti preghiere unite alle vostre pene, per ottenere a me misero il perdono delle mie colpe!

Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghie­re e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà (Eb 5, 7).

Ah mio Redentore, come avete potuto tanta amare chi tanto vi offese? Come avete potuto ab­bracciare tante pene per me, vedendo già voi sin d'allora l'ingratitudine ch'io dovea usarvi?

10. Deh fatemi parte, afflitto mio Signore, di quel dolore che voi aveste allora dei peccati miei. Ilo gli abborrisco al presente ed unisco questo mio abborrimento all'abborrimento che voi ne sentiste nell'orto. Ah mio Salvatore, non guarda­te i peccati miei, perché non mi basterebbe l'in­ferno; guardate le pene che avete patite per me!

O amore del mio Gesù, tu sei l'amore e la speranza mia. Signore, io v'amo con tutta l'anima mia e voglio sempre amarvi. Deh per i meriti di quel tedio e mestizia che patiste nell'orto datemi fervore e coraggio nelle opere di vostra gloria. Per li meriti della vostra agonia datemi conforto per resistere a tutte le tentazioni della carne e del­l'inferno. Donatemi la grazia di sempre racco­mandarmi a voi e di sempre replicarvi con Gesù Cristo: Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu (Mc 14, 36). Non si faccia la mia ma sempre la vostra divina volontà. Amen.

 

CAPITOLO VII.

Dell'amore di Gesù in soffrire tanti disprezzi nella sua Passione

1. Dice il Bellarmino che maggior pena recano agli spiriti nobili i disprezzi che i dolori del cor­po. Poiché se questi affliggono la carne, quelli af­fliggono l'anima, la quale quanto è più nobile del corpo, tanto più sente la pena. Ma chi mai avreb­be potuto immaginarsi che il personaggio più no­bile del cielo e della terra, il Figliuolo di Dio, venendo nel mondo a farsi uomo per amore degli uomini avesse avuto ad esser trattato da essi con tanti vituperi ed ingiurie, come se fosse stato l'ul­timo ed il più vile di tutti gli uomini? (cf Is 53, 2-3). Asserisce S. Anselmo che Gesù Cristo volle soffrire tali e tanti disonori che non potè essere più umiliato di quel che fu nella sua Passione.

O Signore del mondo, voi siete il più grande di tutti i Re, ma avete voluto esser disprezzato

più di tutti gli uomini per insegnare a me l'amore ai disprezzi. Giacché dunque avete voi sacrificato il vostro onore per amor mio, io voglio soffrire per amor vostro ogni affronto che mi sarà fatto.

2. E qual sorta di affronti non soffrì il Reden­tore nella sua Passione? Egli si vide affrontato dagli stessi suoi discepoli. Uno di essi lo tradisce e lo vende per trenta danari. Un altro lo rinnega più volte protestando pubblicamente che non lo conosce ed attestando con ciò di vergognarsi d'averlo conosciuto per lo passato. Gli altri di­scepoli poi al vederlo preso e legato tutti fuggo­no e l'abbandonano: Tutti allora (i suoi discepo­li), abbandonandolo, fuggirono (Mc 14, 50).

O abbandonato mio Gesù, e chi mai prenderà le vostre difese, se al principio della vostra cat­tura i vostri più cari si partono e v'abbandonano? Ma oh Dio che questo disonore non finì colla vostra Passione. Quante anime dopo essersi de­dicate alla vostra sequela e dopo essere state da voi favorite con molte grazie e segni speciali d'amore, spinte poi da qualche passione di vile interesse o di rispetto umano o di sozzo piacere, ingrate vi lasciano? Chi si ritrova nel numero di questi ingrati, pianga e dica: Ah mio caro Gesù, perdonatemi, che io non voglio più lasciarvi; prima voglio perder la vita e mille vite che per­dere la vostra grazia, o mio Dio mio amore, mio tutto.

3. Ecco come Giuda giungendo nell'orto insie­me coi soldati si fa avanti, abbraccia il suo Mae­stro e lo bacia. Gesù permette che lo baci; ma conoscendo già il suo animo iniquo, non può trat­tenersi di non lagnarsi con esso di quel troppo ingiusto tradimento, con dirgli: Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo? (Lc 22, 48). Indi si affollano d'intorno a Gesù quegl'insolen­ti ministri, gli pongono le mani sopra e lo legano come un ribaldo: Le guardie dei Giudei afferra­rono Gesù e lo legarono (Gv 18, 12).

Oimè, che vedo! Un Dio legato! Da chi? Da­gli uomini! da vermi da lui stesso creati! Angeli del Paradiso, che ne dite? E voi mio Gesù, co­me vi fate legare? Che han che fare, dice S. Ber­nardo, i legami degli schiavi e dei rei con voi che siete il santo dei santi, il Re dei regi e il Si­gnor dei signori?

Ma se gli uomini vi legano, voi perché non vi sciogliete e vi liberate dai tormenti e dalla morte che questi v'apparecchiano? Ma già intendo: non sono già, o mio Signore, queste funi che vi strin­gono; è solo l'amore che vi tiene legato e vi co­stringe a patire e morire per noi. O carità, escla­ma S. Lorenzo Giustiniani, quanto è grande la tua forza, la sola che potè legare il Signore! O amore divino, tu solo hai potuto legare un Dio, e condurlo a morire per amore degli uomini!

4. Mira o uomo, dice S. Bonaventura, quei ca­ni che lo trascinano e l'agnello che li segue, vitti­ma mansueta, senza opporre resistenza. Chi lo afferra, chi lo lega, chi lo strattona, chi lo per­cuote. Portano già legato il nostro dolce Salvato­re prima alla casa d'Anna, poi a quella di Caifas, dove Gesù, interrogato dei suoi discepoli e della sua dottrina da quel maligno, rispose che egli non avea parlato in segreto ma in pubblico, e che que­gli stessi che gli stavano d'intorno ben sapeano ciò che avea insegnato. Io ho parlato apertamen­te... ecco essi sanno che cosa ho detto (Gv 18, 20-21). Ma a tal risposta uno di quei ministri, trattandolo da temerario, gli diede una forte sguanciata: Una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: cosi rispondi al sommo sacerdote? (ivi, 22). Qui esclama S. Grisostomo: Angeli, perché tacete? O restate attoniti di fron­te a tanta pazienza?

Ah Gesù mio, come una risposta sì giusta e sì modesta meritava un affronto sì grande alla pre­senza di tanta gente?

L'indegno pontefice in vece di riprendere l'in­solenza di quell'audace, lo loda o almeno coi se­gni l'approva. E voi, Signore mio, tutto soffrite per pagare gli affronti che io misero ho fatto alla divina maestà coi miei peccati. Gesù mio, ve ne ringrazio. Eterno Padre, perdonatemi per li me­riti di Gesù.

5. Indi l'iniquo pontefice l'interrogò, se vera­mente egli era il Figliuolo di Dio: Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cri­sto, il Figlio di Dio (Mt 26, 63). Gesù per rispet­to del nome di Dio affermò esser ciò vero; ed al­lora Caifas si lacerò le vesti dicendo che egli avea bestemmiato; e tutti allora gridarono che merita­va la morte: E quelli risposero: E' reo di morte! (ivi, 66).

Sì, con ragione, o mio Gesù, costoro vi dichia­rano reo di morte, mentre voi avete voluto addos­sarvi il soddisfare per me che meritava la morte eterna. Ma se colla vostra morte voi mi acquista­te la vita, è giusto che la mia vita io la spenda tutta ed anche, se bisogna, la perda per voi. Sì, mio Gesù, non voglio vivere più a me, ma solo a voi ed al vostro amore. Soccorretemi voi colla vostra grazia.

6. Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeg­giarono (ivi, 67). Dopo averlo pubblicato reo di morte, come uomo già addetto al suplicio e di­chiarato infame, si pose quella canaglia a mal­trattarlo per tutta la notte con percosse, con schiaffi, calci, con pelargli la barba ed anche con isputargli in faccia, burlandolo da falso pro­feta e dicendogli: Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso? (ivi, 68). Tutto predisse il nostro Redentore per Isaia: Ho presentato il dorso ai flagellatori, la faccia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi (Is 50, 6).

Riferisce il divoto Taulero, esser sentenza di S. Girolamo, che tutte le pene ed ingiurie che sof­frì Gesù quella notte solamente nel giorno del giudizio finale si faranno note. S. Agostino, par­lando delle ignominie patite da Gesù Cristo, dice: Se non riesce a curare la superbia questa medicina, non so cosa possa curarla. Ah Gesù mio, co­me voi così umile, ed io così superbo? Signore, datemi luce, fatemi conoscere chi siete voi e chi son io.

Allora gli sputarono in faccia. - Sputarono! Oh Dio, e qual maggiore affronto che l'essere ingiuria­to cogli sputi? Essere sputati è tra le ingiurie più gravi, dice Origene. Dove suole sputarsi, se non nel luogo più sordido? E voi, Gesù mio, soffrite di farvi sputare in faccia? Ecco come questi iniqui vi maltrattano coi schiaffi e coi calci, vi ingiu­riano, vi sputano in faccia, ne fanno di voi quel che vogliono: e voi non li minacciate, non li rim­proverate? Oltraggiato non rispondeva con ol­traggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia (I Pt 2, 23). No, ma come un agnello innocente, umile e mansueto, tutto soffrite sen­za neppur lamentarvi, tutto offerendo al Padre, per ottenere a noi il perdono dei peccati nostri: Era come pecora muta di fronte a suoi tosatori, e non aprì la sua bocca (Is 53, 7).

Meditando un giorno S. Geltrude le ingiurie fatte a Gesù nella sua Passione, prese a lodarlo

e benedirlo; e il Signore talmente di ciò si com­piacque, che amorosamente ne la ringraziò.

Ah mio vituperato Signore, voi siete il Re del cielo, il Figlio dell'Altissimo; non meritate già d'essere maltrattato e vilipeso, ma di essere ado­rato ed amato da tutte le creature. Io vi adoro, vi benedico, e ve ne ringrazio. V'amo con tutto il mio cuore. Mi pento d'avervi offeso. Aiutatemi voi, abbiate pietà di me.

7. Fatto giorno, i Giudei conducono Gesù a Pi­lato, per farlo condannare a morte, ma Pilato lo dichiara innocente: Non trovo nessuna colpa in quest'uomo (Lc 23, 4). E per liberarsi dagl'insul­ti dei Giudei che seguivano a chieder la morte del Salvatore, lo mandò ad Erode. Molto gradì Erode di vedersi condotto avanti Gesù Cristo, sperando che alla sua presenza, per liberarsi dal­la morte, esso avrebbe fatto alcun prodigio di quei tanti che ne aveva inteso narrare; onde l'in­terrogò con più dimande.

Ma Gesù, perché non volea esser liberato dalla morte, e perché quel malvagio non era degno di sue risposte, tacque e non gli risposse. Allora il re superbo gli fe' molti dispregi colla sua corte, e facendolo coprire d'una veste bianca, dichia­randolo così qual uomo ignorante e stolido, lo rimandò a Pilato. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una veste bianca e lo rimandò a Pilato (ivi, 11). Commen­ta Ugon Cardinale: Schernendolo come se fosse scemo, lo rivestì di una veste bianca. E S. Bona­ventura: Lo insultò come impotente, perché non fece un miracolo; come ignorante, perché non ri­spose una parola, come imbecille, perché non si difese.

O Sapienza eterna, o Verbo divino, quest'altra ignominia vi mancava, d'esser trattato da pazzo privo di senno! Tanto dunque vi premè la nostra salute, che voleste per amor nostro esser non solo vituperato, ma saziato di vituperi, come di voi già profetizzò Geremia: Porgerà a chi lo percuote la guancia, verrà saziato di umiliazioni (cf Lam 3, 30). E come poteste avere tanto amore per gli uomini dai quali non riceveste che ingratitudini e disprezzi? Oimè che di costoro uno son io che peggio di Erode vi ho oltraggiato.

Deh Gesù mio, non mi castigate come Erode con privarmi delle vostre voci. Erode non vi ri­conosceva per quello che siete, io vi confesso per mio Dio; Erode non vi amava, io vi amo più di me stesso. Deh non mi negate le voci delle vostre ispirazioni, come io meriterei, per le offese che vi ho fatte. Dite quel che volete da me, che io colla vostra grazia tutto lo voglio fare.

8. Ricondotto che fu Gesù a Pilato, il preside lo propose al popolo per intendere chi volessero liberato in quella Pasqua, Gesù o Barabba omi­cida. Ma il popolo gridò: Non costui, ma Barab­ba! (Gv 18, 40). Allora disse Pilato: Che farò dunque di Gesù? Risposero: Sia crocifisso! (Mt 27, 22). Ma che male ha fatto questo innocente? Pilato ripigliò. E quelli replicarono: Sia crocifis­so! Ma oh Dio, che anche al presente la maggior parte degli uomini seguitano a dire: Non costui, ma Barabba! Preferendo a Gesù Cristo un piacere di senso, un punto di onore, uno sfogo di sdegno.

Ah mio Signore, ben sapete voi che un tempo vi ho fatto la stessa ingiuria, quando vi ho po­sposto ai miei gusti maledetti! Gesù mio, perdo­natemi, che io mi pento del passato, e da oggi avanti voglio preferirvi ad ogni cosa. Io vi sti­mo, io v'amo più d'ogni bene; e voglio prima mille volte morire, che lasciarvi. Datemi la san­ta perseveranza, datemi il vostro amore.

9. Appresso si parlerà degli altri obbrobri che ricevè Gesù Cristo, sino a morire finalmente in una croce: Si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia (Eb 12, 2). Ma intanto consideriamo che del nostro Redentore ben si avverò ciò che ne predisse il Salmista, che egli nella sua Passio­ne dovea divenire l'obbrobrio degli uomini e il rifiuto della plebe: lo sono verme, non uomo, in­famia degli uomini e rifiuto del mio popolo (Sal 21, 7). Sino a morire svergognato, giustiziato per mano di carnefice in un patibolo, come un mal­fattore in mezzo a due malfattori: E' stato anno­verato tra gli empi (Is 53, 12).

O Signore il più alto, esclama S. Bernardo, di­ventato il più basso tra gli uomini! O eccelso di­ventato vile! O gloria degli angeli diventato l'ob­brobrio degli uomini.

10. O grazia! o forza dell'amore di un Dio! siegue a dire S. Bernardo. Così dunque il som­mo Signore di tutti è diventato il più vilipeso di tutti! E chi mai, soggiunge il santo, ha ciò ope­rato? Tutto l'ha fatto l'amore che Dio porta agli uomini, per dimostrare quanto egli ci ama, e per insegnarci col suo esempio a soffrire con pace i disprezzi e le ingiurie. Cristo patì per voi, scrisse S. Pietro, lasciandovi un esempio, perché ne se­guiate le orme (1 Pt 2, 21). S. Eleazaro richiesto dalla sua sposa, come fa­cesse a sopportare con tanta pace le tante ingiurie che gli erano fatte, rispose: « Io mi rivolgo a mi­rare Gesù disprezzato, e dico che i miei affronti son niente a rispetto di quelli ch'egli, essendo mio Dio, ha voluto tollerare per me ».

Ah Gesù mio, ed io come a vista di un Dio così disonorato per amor mio non so soffrire un minimo disprezzo per vostro amore? Peccatore e superbo! E donde, mio Signore, può venirmi questa superbia? Deh per li meriti dei vostri di­sprezzi sofferti, datemi la grazia di soffrire con pazienza e con allegrezza gli affronti e le ingiurie.

Propongo da ogg'innanzi col vostro aiuto di non più risentirmi, e di ricevere con gioia tutti gli obbrobri che mi saran fatti. Altri disprezzi me­riterei io che ho disprezzata la vostra maestà di­vina, e m'ho meritati i disprezzi dell'inferno. E troppo voi, amato mio Redentore, dolci ed ama­bili mi avete renduti gli affronti, con avere ab­bracciati tanti dispregi per mio amore. Propon­go di più per darvi gusto di beneficar quanto pos­so chi mi disprezza; almeno di dirne bene e pregare per esso. E da ora vi prego a colmare di grazie tutti coloro dai quali io ho ricevuta qual­che ingiuria. V'amo bontà infinita e voglio sem­pre amarvi quanto posso Amen.

 

CAPITOLO VIII.

Sopra la flagellazione di Gesù Cristo

1. Entriamo nel pretorio di Pilato fatto un giorno orrendo teatro dell'ignominie e dei dolori di Gesù; vediamo quanto fu ingiusto, ignominio­so e crudele il supplicio ivi dato al Salvatore del mondo. - Vedendo Pilato che i Giudei continua­vano a tumultuare contro Gesù, egli, l'ingiustis­simo giudice, lo condannò ad esser flagellato: Al­lora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare (Gv 19, 1). Pensò l'iniquo giudice con questo bar­baro modo di guadagnarsi la compassione dei ne­mici e così liberarlo dalla morte: Lo castigherò severamente, disse, e poi lo rilascerò (Lc 23, 22). Era la flagellazione castigo solo degli schiavi. Dunque, dice S. Bernardo, il nostro amoroso Re­dentore volle prender la forma non solamente di servo per soggettarsi all'altrui volontà, ma anche di servo malvagio per esser castigato coi flagelli e così pagare la pena meritata dall'uomo fatto già servo del peccato.

O Figliuolo di Dio, o grande amante dell'ani­ma mia, come voi Signore d'infinita maestà avete potuto tanto amare un oggetto sì vile ed ingrato come sono io, che vi siate sottoposto a tante pe­ne per liberare me dalla pena dovuta? Un Dio flagellato! Fa più maraviglia un Dio soffrire una minima percossa, che se fossero distrutti tutti gli uomini e tutti gli angeli. Ah Gesù mio, perdona­temi le offese che vi ho fatte e poi castigatemi come vi piace. Ma basta solo che io vi ami e voi mi amiate, e poi mi contento di patire tutte le pene che volete.

2. Giunto che fu al pretorio l'amabile nostro Salvatore, come fu rivelato a S. Brigida al co­mando dei ministri egli stesso si spogliò delle ve­sti, abbracciò la colonna, e poi vi applicò le ma­ni per esservi legato. Oh Dio, già si dà principio al crudele tormento! O angeli del cielo, venite ad assistere a questo doloroso spettacolo; e se non vi è permesso di liberare il vostro re dal barbaro strazio che gli preparano gli uomini, al­meno venite a piangere per compassione.

E tu, anima mia, immaginati di trovarti pre­sente a questa orrenda carneficina del tuo amato Redentore. Guardalo come sta egli, il tuo afflitto Gesù, col capo dimesso, guardando la terra e tutto verecondo per lo rossore aspetta quel gran tormento. Ecco che quei barbari come tanti cani arrabbiati già si avventano coi flagelli sopra l'in­nocente agnello. Vedi là chi batte il petto, chi percuote le spalle, chi ferisce i fianchi e chi le gambe; anche la sacra testa e la sua bella faccia non vanno esenti dalle percosse. Oimè già scorre quel sangue divino da tutte le parti; già di san­gue sono pieni i flagelli, le mani dei carnefici, la colonna e la terra. Piange S. Pier Damiani: Viene ferito e dilaniato per tutto il corpo dai flagelli: ora colpiscono le spalle, ora le gambe: alle ferite aggiungono ferite e piaghe alle piaghe appena aperte.

Ah crudeli, con chi ve la pigliate? Fermate, fermate: sappiate che avete errato. Quest'uomo che voi tormentate egli è innocente, è santo: io sono il reo; a me, a me che ho peccato toccano i flagelli ed i tormenti. Ma voi non mi sentite. - Eterno Padre, e come voi potete soffrire questa grande ingiustizia? come potete vedere il vostro Figlio diletto così patire e non soccorrerlo? che delitto egli ha mai commesso che meriti un ca­stigo così vergognoso e così fiero?

3. Per l'iniquità del mio popolo lo percossi (cf Is 53, 8). Io ben so, dice l'Eterno Padre, che questo mio Figlio è innocente, ma poiché egli si è offerto a soddisfare la mia giustizia per tutti i peccati degli uomini, conviene che io così l'ab­bandoni al furore dei suoi nemici. Dunque, o ado­rato mio Salvatore, voi per pagare i nostri de­litti, e specialmente i peccati d'impurità - che è il peccato più comune degli uomini - avete volu­to che fossero lacerate le vostre carni purissime? E chi non esclamerà con S. Bernardo: O ineffa­bile amore del Figlio di Dio per i peccatori!

Ah Signor mio flagellato, vi ringrazio di tanto amore, e mi addoloro che anche io coi miei pec­cati mi sono aggiunto a flagellarvi. Odio, Gesù mio, tutti quei piaceri malvagi che vi han costa­to tanto dolore. Oh da quanti anni dovrei bru­ciar nell'inferno! Ma voi perché mi avete aspet­tato finora con tanta pazienza? Mi avete soppor­tato, acciocch'io vinto finalmente da tante finezze d'amore, mi rendessi ad amarvi con lasciare il peccato.

Amato mio Redentore, non voglio no più resi­stere al vostro affetto; io voglio amarvi quanto posso per l'avvenire. Ma voi già sapete la mia debolezza, sapete i tradimenti che vi ho fatti. Staccatemi voi da tutte le affezioni terrene che mi impediscono l'esser tutto vostro. Ricordatemi spesso l'amore che mi avete portato, e l'obbligo che ho di amarvi. In voi ripongo tutte le mie spe­ranze, mio Dio, mio amore, mio tutto.

4. Piange S. Bonaventura: Scorreva già da per tutto quel sangue divino; già quel sacro corpo era divenuto tutto una piaga; ma quei cani stiz­zati non cessavano di aggiungere ferite a ferite, come predisse il Profeta (cf Sal 68, 27). Sicché le sferze non solo impiagavano tutto il corpo, ma ne portavano seco anche i pezzi per aria, e tal­mente furono aperte quelle sacre carni che si po­teano contare l’ossa. Dice Cornelio a Lapide, che in questo tormento Gesù Cristo naturalmente do­vea morire, ma egli colla sua virtù divina volle riserbarsi in vita, affine di soffrire pene maggiori per nostro amore. E prima lo disse S. Lorenzo Giustiniani: Sarebbe certamente morto, ma volle restare in vita per soffrire dolori più grandi.

Ah! mio Signore amantissimo, voi siete degno di un amore infinito. Voi avete tanto patito, ac­ciocch'io v'amassi. Non permettete che io, invece d'amarvi, abbia da offendervi più e disgustarvi. Deh quale inferno a parte sarebbe per me, se io dopo aver conosciuto l'amore che mi avete porta­to, misero mi dannassi, con disprezzare un Dio vilipeso, schiaffeggiato e flagellato per me! E che inoltre dopo averlo io offeso tante volte mi ha perdonato con tanta pietà! Ah Gesù mio, non lo permettete no. Oh Dio, che l'amore e la pazien­za che avete avuta per me sarebbe colà nell'in­ferno un altro inferno per me più tormentoso.

5. Troppo crudele fu questo tormento della flagellazione al nostro Redentore, poiché per pri­ma molti furono i ministri che lo flagellarono: giusta la rivelazione fatta a S. Maria Maddalena de' Pazzi furono non meno di sessanta. Or que­sti istigati dai demoni e più dai sacerdoti, i quali temevano che Pilato dopo quel castigo volesse li­berare il Signore, come già si era protestato di­cendo: Lo castigherò severamente e poi lo rila­scerò (Lc 23, 22), si posero coi flagelli a privarlo di vita.

Convengono poi gli autori con S. Bonaventura che essi scelsero a questo officio gli stromenti più fieri, in modo che ogni colpo fe' piaga, come as­serisce S. Anselmo, e che le battiture giunsero a più migliaia, flagellando, come scrive il p. Cras­set, non già all'usanza degli Ebrei, per i quali il Signore proibì che si passasse il numero di qua­ranta colpi: Non superino il numero di quaranta colpi, affinché il tuo fratello non resti ignominio­samente ferito davanti ai tuoi occhi (cf Dt 25, 3); ma alla maniera dei Romani, che non avea misura.

Quindi riferisce Giuseppe ebreo - il quale vis­se poco dopo nostro Signore - che Gesù fu lace­rato in tal modo nella flagellazione che giunge­vano ad apparirvi scoperte le ossa delle coste; come fu anche rivelato a S. Brigida dalla SS. Ver­gine, la quale disse: Io, che ero presente, vidi il suo corpo talmente devastato dai flagelli, che si vedevano le ossa delle costole; ma la cosa più crudele era vedere che, ad ogni levata dei flagelli, le carni restavano squarciate.

A S. Teresa apparve Gesù flagellato: onde la santa volle che gli fosse dipinto appunto come l'avea veduto, e disse al pittore che nel gomito si­nistro avesse espresso uno squarcio di carne ap­pesa; ma dimandando poi il pittore in qual forma dovea dipingerlo, egli si rivoltò al quadro e trovò lo squarcio già formato.

Ah mio Gesù amato e adorato, quanto avete patito per amor mio! Deh non sian perduti per me tanti dolori e tanto sangue!

6. Ma dalle sole Scritture ben si argomenta quanto fu spietata la flagellazione di Gesù Cristo. E perché mai Pilato dopo la flagellazione lo dimo­strò al popolo dicendo: Ecce homo, se non per­ché il nostro Salvatore era ridotto ad una figura sì compassionevole che Pilato con solo farlo mi­rare credette di muoverne a compassione gli stes­si suoi nemici, sicché non ne chiedessero più la morte?

Perché mai nel viaggio che Gesù poi fece al Calvario, le donne giudee lo seguitavano con la­grime e con lamenti? Lo seguiva una grande folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui (Lc 23, 27). Forse per­ché quelle donne l'amavano o lo credevano inno­cente? No, le donne per lo più seguono i senti­menti dei loro mariti, e perciò anch'elle lo stima­vano reo; ma perché Gesù dopo la flagellazione faceva una vista sì orrida e sì pietosa che muo­veva a piangere anche coloro che l'odiavano, perciò le donne piangevano e sospiravano. Perché ancora in questo viaggio i Giudei gli tolsero la croce da sulle spalle e la diedero a portare al Ci­reneo - secondo l'opinione più probabile e come si ricava chiaramente da S. Matteo e da S. Luca: E gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù (Lc 23, 26) - forse perché essi ne aveano pietà e voleano alleggerirgli la pena?

No, che quegl'iniqui l'odiavano e cercavano affligerlo quanto più poteano. Ma, come dice il B. Dionisio Cartusiano Temevano che morisse du­rante il cammino. Vedendo che nostro Signore dopo la flagellazione era rimasto dissanguato e così sfinito di forze che quasi non potea più reg­gersi in piedi ed andava cadendo per via sotto la croce e camminando andava, per dir così, ad ogni passo spirando l'anima; perciò affin di portarlo vivo sul Calvario, e vederlo morto in croce, come essi aveano preteso acciocché restasse per sempre infamato il suo nome: Strappiamolo, essi diceano, come predisse il profeta, dalla terra dei viventi; il suo nome non sia più ricordato (Gr 11, 19): a questo fine costrinsero il Cireneo a portar la croce.

Ah Signore, grande è il mio contento nell'intendere quanto mi avete amato, e che ora voi conservate per me lo stesso amore, che mi por­tavate allora nel tempo della vostra Passione! Ma quanto è il mio dolore in pensare di avere offeso un Dio così buono! Per lo merito della vostra fla­gellazione, Gesù mio, vi cerco il perdono. Mi pen­to sopra ogni male di avervi offeso e propongo prima morire che più offendervi. Perdonatemi tutti i torti che vi ho fatti, e datemi la grazia di amarvi sempre nell'avvenire.

7. Il profeta Isaia più chiaramente di tutti ci rappresentò lo stato compassionevole, in cui pre­vide ridotto il nostro Redentore. Disse egli che la sua santissima carne nella Passione doveva di­venire non solo impiagata, ma tutta franta e stri­tolata: E' stato piagato per le nostre iniquità, stri­tolato per i nostri delitti (cf Is 53, 5). Poiché, siegue a dire il profeta, il suo Eterno Padre per dare alla sua giustizia una maggior soddisfazione e per far comprendere agli uomini la deformità del peccato, non si contentò se non vide il Figlio pestato e consumato dai flagelli: Il Signore volle pestarlo con i dolori (ivi, 10): in modo che il cor­po benedetto di Gesù dovette diventare come un corpo di un lebbroso, tutto piaghe da capo a piedi: Lo giudicammo come un lebbroso, e percosso da Dio (ivi, 4).

Ecco dunque, o mio lacerato Signore, a quale stato vi hanno ridotto le nostre iniquità. O buon Gesù, noi abbiamo peccato e tu paghi? (S. Ber­nardo). Sia sempre benedetta la vostra immensa carità, e siate amato come meritate da tutti i pec­catori, e specialmente da me che più degli altri vi ho disprezzato.

8. Apparve un giorno Gesù flagellato a Suor Vittoria Angelini e dimostrandole il suo corpo tutto ferito: “Queste piaghe, le disse, Vittoria, tutte ti chiedono amore”. Amiamo lo sposo, dice l'innamorato S. Agostino, e quanto più deforme ci viene dato, tanto più bello e amabile è diven­tato per la sposa.

Sì, mio dolce Salvatore, io ti vedo tutto pieno di piaghe: guardo la tua bella faccia, ma oh Dio, che non apparisce più vaga, ma orrida ed anneri­ta dal sangue, dalle lividure e dagli sputi! Non ha apparenza né belleza, lo abbiamo veduto e non aveva sembianza (cf Is 53, 2). Ma quanto più dif­formato vi vedo, o mio Signore, tanto più bello ed amabile mi comparite. E qual'altri son questi, se non segni della tenerezza dell'amore che voi mi portate?

V'amo, Gesù impiagato e lacerato per me. Vor­rei vedermi anche io lacerato per voi, come tanti martiri che hanno avuta questa sorte. Ma se non posso ora offerirvi ferite e sangue, vi offerisco al­meno tutte le pene che mi accaderanno a soffrire. Vi offerisco il mio cuore, con questo voglio amar­vi più teneramente che posso. E chi mai deve amare con più tenerezza l'anima mia, se non un Dio flagellato e dissanguato per me? V'amo, o Dio d'amore; v'amo, bontà infinita; v'amo, amor mio, mio tutto; v'amo e non voglio mai cessar di dire in questa vita e nell'altra, io v'amo, io v'amo, io v'amo. Amen.

 


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