Perdonaci Signore
 
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Meditazioni

Ultimo Aggiornamento: 23/02/2015 18:02
23/02/2015 18:02

Considera. Gesù è innalzato sulla croce, dalla quale chiama ogni creatura a sé. Ascolta la sua voce, avvicinati a Lui e non staccarti mai più.

119. Beffe crudeli


Era circa mezzogiorno quando fu croci­fisso Gesù. Il sole avrebbe dovuto raggiungere il suo massimo splendore; invece, a poco a po­co, il cielo si andò oscurando, con la minaccia di mutare il giorno in notte fonda. I membri del Sinedrio e la folla, avidi di osservare i giustizia­ti, e particolarmente Gesù, inizialmente non diedero importanza all'oscuramento, pensan­do solo a dare libero sfogo al loro odio contro il Salvatore e prorompendo in insulti e beffe. Riportiamo ciò che ci fu trasmesso dagli Evan­gelisti. "Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano... E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: 'Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!'. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: 'Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crede­remo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!'. Anche i ladroni crocifissi con lui lo ol­traggiavano allo stesso modo. Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porger­gli dell'aceto, e dicevano: 'Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso'". Così ai piedi della croce era rappresentato ogni ordine di cit­tadini (il religioso, il militare, il popolano) e ognuno aveva un insulto particolare da lancia­re contro l'agonizzante Signore, che moriva per essi.


Considera. Si uniscono ai nemici di Gesù per insul­tarlo sulla croce tutti coloro che gli negano fede ed obbedienza. Rifletti come tu stesso ti sei comportato, confonditi ed emendati.

 

 

120. "Ciò che ho scritto, ho scritto"


Altre due croci erano state contemporanea­mente erette vicino a quella di Gesù. Vi erano stati inchiodati i due ladroni condannati allo stesso tormento, uno a destra e l'altro a si­nistra del Redentore. Il posto centrale, stimato il più disonorante, era occupato da Gesù, al cui riguardo si compiva la profezia di Isaia che di­ceva: "E’ stato annoverato fra gli empi". Sopra la testa di ciascun crocifisso era stata fis­sata la tavoletta che indicava la causa della con­danna. "Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce... Al di sopra del suo ca­po posero la motivazione scritta della sua con­danna: 'Gesù il nazareno, il re dei Giudei'". I membri del Sinedrio, intenti com'erano ad insultare Gesù, non avevano notato subito quelle parole. Ma, una volta sotto la croce, ne rilevarono il significato umiliante per la loro nazione, si preoccuparono e decisero di far to­gliere quella scritta. "Molti Giudei lessero que­sta iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco". I sommi sacerdoti inviarono allora una delegazione a Pilato: "Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei". Ma il procuratore, ancora angosciato per quello che gli avevano fatto decidere contro coscien­za, rispose seccamente: "Ciò che ho scritto, ho scritto". E non volle sentir parlare di cambia­mento.


Considera. I Giudei non vogliono che si dica che Ge­sù è il loro re, e per questo sono riprovati da Dio. Tu, invece, gloriati di essere suddito di Gesù e di ob­bedire sempre alla sua volontà.

121. Divisione delle vesti


Intanto i soldati si erano fatti in disparte, a sud-est del Calvario, per dividersi gli indu­menti dei condannati, come permetteva l'uso del tempo, o meglio il diritto allora vigente. Di­vise tra loro le vesti dei due ladroni, si accinse­ro a fare lo stesso con quelle di Gesù: la tunica, la veste esterna, la cintura, il mantello, la fascia del capo, i sandali. "I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: 'Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi toc­ca' ". E giocando ai dadi la sorteggiarono. "Così si adempiva la Scrittura: Si son divi­se tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così". Poi il Centurione, seguendo le prescrizioni, raccolse i suoi soldati e ne mise quattro attorno ad ogni croce, con a capo un decurione, perché difen­dessero i crocifissi dagli eccessi della folla. Pre­cauzione non inutile, poiché, se i ladroni ave­vano poco da temere, non era così per il Re­dentore. Infatti su di lui i nemici non cessava­no di scaricare i loro oltraggi e di manifestare il loro odio, che andava crescendo con il cresce­re delle sofferenze di Gesù.


Considera. La fede, simboleggiata dalla veste incon­sutile, non deve mai dividersi. Vedi di custodirla sempre viva ed intatta.

 

 

XI - AGONIA E MORTE

122. Prima parola: Padre, perdona


Fra tanti insulti, la vittima divina taceva sem­pre. Si avveravano le parole del Profeta che nella persona del Salvatore aveva detto: "Ten­de lacci chi attenta alla mia vita, trama insidie chi cerca la mia rovina e tutto il giorno medita inganni. Io, come un sordo, non ascolto e co­me un muto non apro la bocca; sono come un uomo che non sente e non risponde". Ma quando vide che intorno a lui il tumulto si era alquanto placato, il Maestro Divino, dalla sua cattedra di dolore, volle impartire gli ultimi preziosi insegnamenti. Il primo doveva servire da solenne conferma a quanto aveva detto pre­cedentemente ai suoi discepoli: "Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledico­no, pregate per coloro che vi maltrattano". Infatti Gesù, vedendo i suoi nemici dominati dall'odio e udendo le loro bestemmie, non ne mostrò risentimento, anzi li compatì, li scusò e alzando come poté il suo languido sguardo al cielo chiese a suo Padre che li perdonasse: "Gesù diceva: 'Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno'". Parole che avrebbero dovuto muovere al pianto gli stessi nemici, se in essi non si fosse estinto ogni sen­timento di umanità. Fecero certamente piange­re di commozione la Madre divina, il discepolo prediletto e le pie donne, che stavano un po' discoste, non potendo avvicinarsi di più.


Considera. Gesù, con le parole e con l'esempio, inse­gna il perdono dei nemici. Ascoltalo e perdona di cuore a chi ti ha offeso.

 

 

123. Seconda parola: Oggi sarai con me nel Paradiso


Si vide ben presto che la preghiera di Gesù al Padre non era rimasta inascoltata. Fino a quel momento anche i due ladroni crocifissi si erano uniti alla folla nel bestemmiare il Salva­tore: "Anche i ladroni crocifissi con lui lo ol­traggiavano allo stesso modo". Uno ripete­va le invettive del Sinedrio, l'altro gli diceva schernendolo: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Dopo la preghiera del Signore che invocava perdono, uno di essi, quello che stava a destra e si chiamava Disma, fu colpito dalla pazienza e mansuetudine di Gesù e, illuminato dalla grazia, cominciò a ri­flettere sul Redentore e su se stesso. La luce di­vina si fece sempre più viva nel suo spirito ed egli, rivolgendosi al compagno che continuava a bestemmiare, gli disse: "Neanche tu hai ti­more di Dio benché condannato alla stessa pe­na? Noi giustamente, perché riceviamo il giu­sto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". Queste parole contenevano già il riconoscimento delle proprie colpe, l'umile sottomissione al dovuto castigo, e l'ammissio­ne della purissima innocenza del Salvatore. Era già molto, ma non bastava alla giustifica­zione dell'empio; ci voleva l'aperta confessio­ne della divinità del Messia, dopo aver già cre­duto in Lui interiormente. Inondato di luce suprema il buon ladrone vi­de in Gesù il Messia promesso, il Redentore degli uomini, il Re dei re, il Signore dei domi­nanti, il Verbo fatto carne, il Figlio del Dio vi­vente. Le umiliazioni, la croce, le piaghe, l'a­gonia, non lo scandalizzavano, perché erano segno dell'immenso amore di Dio per l'umani­tà. Vide, credette, confessò: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gesù, che non aspettava altro, gli disse: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso". A una confessione fatta in circostanze inaudite, si conveniva una promessa inaudita.


Considera. Una confessione sincera come quella del buon ladrone merita il perdono. Imita questo peni­tente, se vuoi essere perdonato.

 

 

124. La Regina dei Martiri


Prima di considerare la terza parola, che Ge­sù pronuncerà dalla croce e che rivolgerà alla Madre, proprio sulla Madonna dobbiamo fis­sare il nostro sguardo. In quei momenti si ac­quistava per i secoli futuri il titolo di Regina dei Martiri. Essa era là! Dopo il suo incontro con il Figlio lungo il viaggio, l'afflitta Madre non lo aveva più lasciato e lo aveva seguito più da vi­cino che le fosse possibile. Tutto vide, udì, os­servò e sentì ripercuotersi nel suo cuore imma­colato le diverse cadute, il fiele, la spogliazio­ne, la corona di spine riposta sul capo, la con­fittura dei chiodi nelle mani e nei piedi, la croce innalzata, le prime parole di Gesù, gli insulti, le percosse, la divisione delle vesti, le bestem­mie, gli improperi. Tutto questo aveva accu­mulato nel suo cuore di madre una sofferenza che nessuno potrà mai esprimere con le parole o con gli scritti. Maria pativa nell'anima quanto il Redentore nel corpo. "Mentre Gesù veniva crocifisso, anche la Madre di lui era spiritualmente confit­ta in croce". Il cuore della Vergine era di­ventato uno specchio in cui si rifletteva al vivo la Passione di Gesù. Avrebbe patito di me­no se i tormenti del Figlio fossero stati inflitti a lei stessa, al suo corpo. Quando, in quei mo­menti, gli sguardi s'incontravano, la povera Madre veniva mortalmente trafitta. Quel volto rigato di sangue e sfigurato dai colpi, quella bocca divenuta nera e riarsa, quel petto gonfio e lacerato, quelle mani, quei piedi aperti e schiantati dai chiodi, quanto le avevano muta­to il Figlio, il più bello di tutti, la delizia degli angeli! L'afflittissima Madre geme, sospira, si sente morire; non per questo vien meno alla più sublime rassegnazione, e tiene intrepida ai piedi della croce il suo posto di corredentrice dell'umanità.


Considera. Maria, ai piedi della croce, soffre con ras­segnazione eroica. Sta sempre al suo fianco, falle compagnia e imita la sua fortezza.

125. Terza parola: Ecco il tuo Figlio


Il cielo intanto continuava ad oscurarsi e la folla, temendo qualche cosa di grave per quello strano fenomeno, era in gran parte discesa dal Calvario, dopo aver diretto un ultimo insulto al Crocifisso. Anche i soldati, inquieti per quello che vedevano, s'erano avvicinati al gruppo del Centurione, sul poggio del Calvario, forse per farsi coraggio. Gli amici di Gesù poterono allora avvicinarsi di più alla sua croce per meglio udire le sue parole e attestargli il proprio dolore ed affetto sincero. Il Salvatore gradì che si accostassero a lui e lo dimostrò pronuncian­do la terza parola, piena di profondi e conso­lanti significati. Gli era cara soprattutto la vici­nanza di sua Madre, a cui in particolare si ri­volse. "Gesù allora, vedendo la Madre e lì ac­canto a lei il discepolo che egli amava, disse al­la Madre: 'Donna, ecco il tuo figlio!'. Poi disse al discepolo: 'Ecco la tua madre!'. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa". Udendo tali espressioni, i più vivi senti­menti di dolore e di amore verso Gesù sgorga­rono nel cuore di Maria santissima e di Gio­vanni. Entrambi intesero quale doveva essere in futuro la loro missione per disposizione di Gesù: Maria, mortale in terra, o immortale in cielo, doveva comportarsi da madre verso tutti coloro che avrebbero creduto nel Signore; i cre­denti, nella persona di Giovanni, avrebbero dovuto comportarsi da figli verso questa in­comparabile Madre.


Considera. Dallo stesso Gesù moribondo Maria è stata dichiarata tua madre e tu sei definito suo figlio. Cerca quindi di amarla e di confidare in Lei con filia­le affetto.

 

126. Quarta parola: Dio mio....


Dopo la terza parola seguì un lungo silenzio, durante il quale non si fece che soffrire, da par­te di Gesù che agonizzava sulla croce, come da parte di Maria e delle pie persone che piange­vano sotto di essa. Nel frattempo l'oscuramen­to del cielo era spaventosamente progredito, fi­no a non lasciar vedere quasi più nulla. "Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del po­meriggio". Quasi tutti avevano abbando­nato il Calvario ed erano rimasti soltanto gli amici di Gesù, i soldati e qualche altra persona. Durante questa fitta oscurità Gesù tacque. Nel suo misterioso silenzio pregava ed offriva le sue grandi sofferenze al Padre, per la salvez­za eterna delle nostre anime. Quando le tene­bre accennarono a diradarsi pronunciò la sua quarta parola con angoscioso lamento, alzando al cielo lo sguardo morente. "Verso le tre, Ge­sù gridò a gran voce: 'Eli, Eli, lemà sabactàni?' che significa: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?' ". Tali parole, pronunciate in lingua sirocaldaica, non furono comprese da alcuni circostanti, che dicevano: "Costui chia­ma Elia". Altri aggiunsero: "Lascia, vedia­mo se viene Elia a salvarlo". Uno di loro, infatti, era corso a prendere una spugna, imbe­vuta di aceto, l'aveva fissata su una canna e tentava di dar da bere al Signore. La loro curio­sità, fondata sull'ignoranza, rimase delusa. Gesù continuò sottovoce la recita del salmo 21 che inizia appunto con le parole che abbiamo riportato.


Considera. La preghiera confidente, anche se gridata come un lamento, è accetta a Dio. Nei momenti di angoscia unisciti a Gesù e prega con le sue parole.

 

127. Quinta parola: Ho sete


Un momento dopo, Gesù fece udire di nuo­vo la sua voce. Tutti i condannati alla morte di croce sentivano, in modo speciale e sensibilis­simo, il tormento della sete. Le sofferenze fisi­che, la perdita progressiva di sangue, la tensio­ne del corpo, erano le cause principali che la producevano. Alle volte era così viva che da sola poteva provocare la morte; in confronto ad essa sembravano piccoli gli altri tormenti. Per Gesù la sete doveva essere terribile a causa della notte passata insonne, degli strapazzi ri­cevuti, dei viaggi da un tribunale all'altro, del copioso sudore sparso, delle lacrime e del san­gue versato nell'orto, nella flagellazione, nel­l'incoronazione di spine e nel faticosissimo viaggio al Calvario. Doveva quindi provare un'arsura indicibile e chiese infine refrigerio, dicendo con flebile vo­ce: Ho sete. I soldati avevano accanto un vaso di aceto. Udito il lamento del moribondo, in­zupparono una spugna, vi avvolsero attorno dell'issopo (pianticella legnosa e aromatica da cui si estrae un olio impiegato in liquoreria e in farmacia), la posero in cima ad una canna e gli diedero da bere. Si adempiva così un'altra profezia riguardante il Salvatore: "Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto".


Ma la sete di Gesù, più che naturale era so­prannaturale: non si sarebbe mai lamentato dell'arsura del suo palato, se non fosse stato divorato dalla cocente sete della nostra eterna salvezza. Sembra che con quella parola ci vo­glia dire: La causa della mia sete è la vostra sal­vezza.

Considera. Gesù ha sete dell'anima tua. Con uno slancio d'amore offriti a Lui ed estingui la sua sete.

 

128. Sesta parola: Tutto è compiuto


L'ultima ora si avvicinava a grandi passi. Ge­sù, dando uno sguardo all'opera da lui svolta fino a quel momento, vide che tutto era com­piuto. Poteva ripetere quello che aveva detto poco prima della sua passione: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre". Con il suo sguardo divino vedeva allora la giustizia del Padre celeste pienamente soddisfatta, il peccato cancellato, l'uomo riconciliato con Dio, chiuso l'inferno, aperto il paradiso a tutte le umane creature di buona volontà. La missione ricevuta era stata assolta fedelmente in tutte le sue parti, secondo quello che avevano predetto i profeti: non rimaneva più nulla da fare, e dal­la bocca stessa del Signore poteva uscire la di­chiarazione solenne del compimento di ogni cosa. Pronunciò pertanto la sua sesta parola: "Consummatum est! Tutto è compiuto!". Era il grido della sua vittoria, poiché in quel momento poteva invitare tutti gli antichi profe­ti a salire il Calvario e a riconoscervi l'esatto adempimento delle loro predizioni. Isaia pote­va vedere l'Agnello divino condotto al macel­lo; Zaccaria poteva contemplarne le molteplici ferite; Davide poteva osservarlo trafitto nelle mani e nei piedi, dissetato con fiele ed aceto. Che cosa gli restava da fare? Nulla. Si raccolse nello spirito, mentre fino a quell'istante aveva pensato solo a noi, suoi diletti figli.


Considera. Alla fine della sua vita Gesù può dire: Tutto è compiuto. Rifletti se, continuando nella tua attuale condotta, potrai ripetere altrettanto in punto di morte, circa l'esecuzione dei tuoi doveri.

 

129. Settima parola: Padre, nelle tue mani...


Nel suo profondo raccoglimento, il Redento­re comprese che gli restava ancora un impegno da svolgere: doveva affidare il suo spirito alle mani del Padre. Prima che il Verbo eterno si fa­cesse carne, in cielo era stata posta questa do­manda: "Chi manderò? Chi andrà per noi?". La Sapienza eterna aveva risposto: "Eccomi, manda me", "per questo è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini". La Sapienza si è incarnata in Cristo, che ha pellegrinato da Na­zareth a Betlemme con la Madre; da Betlemme in Egitto; dall'Egitto di nuovo a Nazareth; e a trent'anni ha iniziato a percorrere la Galilea e la Giudea, predicando il regno di Dio, sanando gli infermi, facendo del bene a tutti. Ma venuta l'ora delle tenebre, donò la vita per la salvezza del mondo, e attrarverso indicibili sofferenze giunse a quella croce sulla quale ora si trova in agonia. Il dolore ha distrutto la sua umanità, ma egli non vuole che lo spirito abbandoni il corpo e lasci il mondo, senza il beneplacito del suo divin Padre. Alza dunque gli occhi al cielo, e come per chiedere il permesso di tornare in seno al Padre, con voce commossa e prodigio­samente forte, esclama: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Poi chiuse defini­tivamente quella bocca, che aveva sempre pro­ferito parole di vita eterna, e attese la morte che non doveva tardare.


Considera. Chi si abitua in vita a mettersi nelle mani di Dio, lo farà facilmente anche in prossimità del­la morte. Se vuoi essere sicuro per quel momento, renditi ora familiari le parole di Gesù.

 

 

130. Gesù muore


Verso le tre quasi tutta la folla aveva ab­bandonato il Calvario; appena possibile si ri­versò nel tempio di Gerusalemme per assistere all'apertura delle feste pasquali. I Leviti sona­vano le sacre trombe per annunciare che l'a­gnello pasquale stava per essere immolato nel tempio. A quel segno, il popolo doveva prepa­rarsi a celebrare la festa della sua liberazione. All'ora fissata le trombe tacquero e, nell'uni­versale silenzio, il sacerdote colpì la vittima e la folla si prostrò a terra per adorare il futuro libe­ratore, di cui l'agnello era una semplice fi­gura. Ma il liberatore non era più futuro: era là sul Calvario, morente, Agnello di Dio, venuto per cancellare i peccati del mondo. La figura non significava più niente, e doveva cedere il posto alla realtà. Mentre si immolava l'agnello, Gesù Cristo, dopo aver pronunciato le ultime parole, chinò il capo, quasi per concedere alla morte il permesso di avvicinarsi, e consegnò la sua anima nelle mani del Padre. La benedetta Madre si sentì schiantare dal dolore e le pietose donne proruppero in amari pianti e forti la­menti. La morte aveva fatto la sua più nobile preda, che segnava il principio della sua scon­fitta. Infatti, col sacrificio di se stesso, Gesù "ha vin­to la morte e ha fatto risplendere la vita e l'im­mortalità....".


Considera. Gesù muore e muore sulla croce! Te feli­ce se un giorno la morte ti troverà su quella croce sulla quale ti ha messo la misericordia e la giustizia di Dio.

 

XII - SEPOLTURA

131. Geme l'universo


Non era conveniente che la morte dell'Uomo-Dio, il Creatore dell'universo, sulla croce, avvenisse senza che le creature dessero un segno di orrore e di spavento. Lo diedero, infatti, con una paurosa armonia, cielo e terra uniti insieme. Il cielo, il sole, la luna e le stelle già avevano pianto nell'agonia del Signore e le tenebre si erano distese, come un im­menso drappo funebre, per invitare tutti al lut­to. Toccava ora alla terra dare i suoi segni di dolore. Li diede appena spirato Gesù: essa tre­mò spaventosamente, i macigni si spezzarono, si aprirono i sepolcri, risorsero alcuni corpi di santi che riposavano nelle tombe e percorsero la città apparendo a molti; le basi del monte Moria crollarono, si aprì da sé la pesantissima porta di Nicanore e il velo del tempio, che na­scondeva il "Sancta Sanctorum", si lacerò da cima a fondo, dividendosi in due. Delle voci misteriose furono udite nel tempio santo ri­petere atterrite: "Usciamo di qua"; e intanto si sentivano i passi di gente invisibile che scap­pava. La folla, presa da terrore, uscì dal tempio. I pochi Giudei, che erano rimasti sul Calvario, fuggirono per la paura. Il Centurione, che era di guardia, smarrito e ansioso, glorificando Dio esclamò: "Veramente quest'uomo era giusto". Anche i soldati che erano con lui dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!". Perfino nella lontana Atene, un dotto pagano nell'A­reopago, vedendo i segni terrificanti e non co­noscendone la causa, affermò: "O è il Creatore che soffre, o è il mondo che va in frantumi".


Considera. Tutto l'universo piange in qualche modo la morte di Gesù. Osserva se il tuo cuore rimane in­sensibile e duro dinanzi a questo spettacolo.

132. Lanciata al costato


Dopo questi segni, che non furono di lunga durata, le tenebre si dissolsero e il sole ricom­parve all'occidente, illuminando con i suoi rag­gi la croce insanguinata e il corpo esangue del Salvatore. Allora i Giudei si riebbero dal pani­co e pensarono che non era opportuno lasciare degli esseri umani appesi al patibolo nell'im­minenza della Pasqua. Pregarono dunque Pila­to che facesse spezzare le gambe dei tre croci­fissi, per accelerarne la morte e dare la pos­sibilità di toglierli alla vista del pubblico. Pro­babilmente non sapevano ancora che Gesù era già morto. Anche gli ultimi rimasti sul Calvario erano scappati prima di constatarne il decesso, e il Centurione non aveva ancora potuto darne a Pilato l'annuncio ufficiale. I soldati vennero per eseguire l'ordine ricevuto, e spezzarono le gambe anzitutto ai due ladroni, che evidente­mente apparivano ancora vivi; quando s'avvi­cinarono a Gesù capirono che era già spirato. Allora non gli spezzarono le gambe (per cui il condannato, col corpo completamente afflo­sciato, non avrebbe più potuto sollevarsi ogni tanto con lo sforzo delle braccia per respirare agevolmente), ma uno di essi, chiamato Longi­no, per assicurarsi della sua morte reale, vibrò la sua lancia contro il lato destro del costato di Gesù, con tanto impeto che arrivò al cuore e glielo aprì. "E subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testi­monianza è vera ed egli sa che dice il vero, per­ché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E una altro passo della Scrit­tura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto".


Considera. Dal costato aperto di Gesù vien formata la Chiesa, come Eva da Adamo. Rifletti se ami que­sta tua madre spirituale e se ti comporti da figlio.

 

 

133. Giuseppe d'Arimatea

Tanto gli amici quanto i nemici avevano fret­ta di togliere alla vista del pubblico i cadaveri dei giustiziati. Sarebbe stata però una disgrazia se a questo pietoso compito avessero posto mano i persecutori di Gesù. Gli amici lo capiro­no e, disprezzando ogni timore umano, si fece­ro coraggio e si misero all'opera. Fu soprattutto Giuseppe d'Arimatea, uomo buono e giusto, nobile giudeo, molto ricco, membro del Sinedrio (nel quale non aveva dato il suo consenso per la condanna di Gesù), di­scepolo dello stesso Salvatore, ma occulto per timore dei Giudei, a comprendere che doveva ormai vincere i suoi eccessivi timori e mostrarsi seguace del Signore. Servendosi della sua auto­rità e posizione sociale, si presentò arditamente a Pilato e chiese il permesso di rimuovere dalla croce e di seppellire il corpo di Gesù. A Pila­to non era stata ancora annunciata la morte del Redentore, e si meravigliò che fosse giunta così presto. Chiamò il Centurione, lo interrogò e ne ebbe la conferma. Allora comandò che il corpo di Gesù fosse consegnato a Giuseppe. "L'uo­mo buono e giusto" diveniva, con quell'ordine, il padrone della salma, e poteva autorevolmen­te disporne come voleva.

Considera. Giuseppe domanda coraggiosamente il corpo di Gesù e l'ottiene. Impara a superare sempre ogni difficoltà per possedere Gesù.

134. Giuseppe e Nicodemo al Calvario

Non c'era tempo da perdere, se si voleva ter­minare la sepoltura prima che calassero le te­nebre della notte. Perciò Giuseppe uscì in fret­ta dal pretorio e, accompagnato dai servi, in un vicino negozio comperò lenzuola di finissimo lino per avvolgere il corpo del Salvatore, fasce per fermarle, e sudario speciale per il capo, se­condo il costume dei Giudei. Poi acquistò tutti gli arnesi necessari alla schiodatura e alla sepoltura del cadavere, e si avviò al Calvario. Nel frattempo un altro uomo importante, ami­co di Giuseppe e da lui avvertito, faceva prov­vista di cento libbre (poco più di trenta chilo­grammi) di un profumo speciale composto di mirra e àloe, per collaborare al pietoso incarico della sepoltura. Era Nicodemo, dottore della legge, uno dei principali fra i Giudei, quello stesso che nel primo anno della predicazio­ne di Gesù, nottetempo, era andato dal Mae­stro impegnandosi in un lungo dialogo e ricevendone i più sublimi insegnamenti. Ter­minati gli acquisti, giunse ben presto al Calva­rio, dove Giuseppe già lo attendeva.

Considera. I profumi sono un simbolo delle preghiere e delle buone opere. Procura di rendere con esse il debito onore a Gesù.

135. La deposizione

I due personaggi dovettero rimanere quasi inorriditi nel vedere quello strazio sul corpo del Signore. Forse, non avendo assistito alla sua passione, non supponevano che si fossero usate tante crudeltà, e piansero di commozio­ne e di dolore. Poi si avvicinarono all'addolora­ta Madre, la cui vista e il cui dolore erano suffi­cienti a spezzare il cuore umano, e le chiesero il permesso di deporre Gesù. L'ottennero facil­mente più coi cenni che con le parole, e comin­ciarono il loro lavoro, quasi in silenzio, versan­do lacrime. La Madre assisteva e non distoglie­va mai lo sguardo dal Figlio amato. Tolsero pri­ma la corona di spine dal capo ripiegato sul petto, per evitare di pungersi durante l'opera­zione. Poi, con mille riguardi e non senza gravi difficoltà, levarono i chiodi dalle mani, usando una particolare attenzione per non allargare maggiormente le piaghe. Era necessario far reggere il corpo dell'estinto perché non cades­se, prima di cavare i chiodi dai piedi. A ciò si prestarono volentieri Giuseppe, Nicodemo e Giovanni, che forse si servivano di lenzuola piegate e passate sotto le ascelle; intanto i servi estraevano i chiodi. Terminata la schioda­tura, posarono a terra il corpo del Redentore.

Considera. Quali sentimenti dovettero provare i di­scepoli nel toccare quel sacro corpo del Signore! Uni­sciti ai loro sentimenti e mischia insieme le tue la­crime.


136. In braccio alla Madre

Era giunto il momento in cui Maria santissi­ma avrebbe potuto dare sfogo al suo dolore e all'affetto materno, stringendo al seno e al cuo­re l'adorato Figlio. Poiché questo le era stato impedito durante la passione e perfino nell'a­gonia del Getsemani, le sia concesso almeno ora che questo Figlio estinto viene deposto dal­la croce. Ne ha pieno diritto. La tradizione che ci mostra la Madonna con in braccio il defunto Figliolo, non fa che assicurarci di un fatto basa­to sull'istinto della natura umana, specialmen­te materna. Maria fece capire a quegli uomini caritatevoli che desiderava riabbracciare suo Fi­glio; ed essi, ben conoscendo la fortezza mora­le sovrumana di quell'ammirabile donna, finita la deposizione, glielo adagiarono delicatamen­te in grembo. Impossibile descrivere i pensieri, gli affetti, i baci, le lacrime della Madre in quel­la dolorosa circostanza. Nessuna penna, nes­sun pennello, nessuno scalpello ha mai potuto descrivere, dipingere, scolpire adeguatamente questa scena di dolore. Solo le anime sante, ammesse nell'intimità dei cuori di Gesù e Ma­ria, poterono formarsi, nelle loro contempla­zioni, un'idea esatta di quello strazio materno. Davanti a questo spettacolo di dolore, noi non possiamo far altro che ammutolire, ammi­rare, compatire.

Considera. Vedendo la desolata Madre stringere a sé il Figlio deceduto, domandale di partecipare ai suoi dolori e di saper piangere le tue colpe, che ne furono la causa.

 

 

137. "La pietra dell'unzione"

Dopo la Madre, anche i discepoli e le pie donne vollero esprimere il proprio dolore ba­ciando e bagnando di lacrime il corpo del Sal­vatore. Ma era necessario affrettarsi, perché il tempo stringeva e la notte non era lontana. Av­volsero in un lenzuolo il corpo di Gesù e, di­scendendo alquanto, lo sistemarono sopra un sasso, che esiste tuttora e viene chiamato "la pietra dell'unzione", per lavarlo e purificar­lo. I discepoli, con ogni precauzione, cancella­rono ogni sozzura dalle benedette carni, men­tre Maria santissima gli puliva il volto e gli or­dinava i capelli. Non ci dobbiamo meravigliare se l'asprezza del dolore le faceva interrompere più volte l'atto pietoso. Finita la pulizia, il cor­po fu avvolto in una sindone monda, in modo che del trapassato si vedesse solo il viso, che veniva baciato l'ultima volta da tutti i pre­senti. Era l'usanza che lo richiedeva, ma la Vergine santa, i discepoli e le donne avrebbero compiuto ugualmente quest'atto di devozione verso la venerata salma, guidati dal proprio sentimento interiore. Legarono infine le fasce attorno al corpo per te­nere insieme le lenzuola e la Madonna di sua mano coprì l'amato volto col sudario.

Considera. Assistendo spiritualmente al misericor­dioso ufficio che viene svolto sul corpo di Gesù dalla Madre e dai discepoli, vedi di partecipare al loro do­lore e di baciare con affetto le sacre spoglie del Si­gnore.

138. Il sepolcro nuovo


Si procedette presto al trasporto della salma verso il sepolcro. Una legge proibiva di seppel­lire un giustiziato nel sepolcro di famiglia, ma Giuseppe d'Arimatea, divenuto padrone legale del corpo di Gesù, non si riteneva più obbligato a tale legge, e avrebbe portato volen­tieri il defunto al Getsemani, dove stavano i se­polcri di Gioacchino e Anna, genitori di Maria, se non ne fosse stato impedito dalla notte che incombeva e dalla imminente festa di Pasqua. Bisognava rassegnarsi a inumarlo nel se­polcro più vicino. "Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardi­no un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto". Il sepolcro era stato fatto scavare nella pietra dallo stesso Giusep­pe, che fu lietissimo di cederlo al Maestro. Sol­levando il divino cadavere dalla pietra dell'un­zione, lo sistemarono sulla bara, formarono un devoto corteo e, scendendo, presero la via ad occidente del Calvario, attraversando una val­letta. In breve arrivarono al sepolcro nuovo. Era un monolito (grosso masso di pietra) "nel quale si era scavata una cella funebre, precedu­ta da un vestibolo e destinata a ricevere una so­la persona". Intanto erano calate le ombre della sera e alcuni servitori rischiararono con le fiaccole la mesta cerimonia.


Considera. Giuseppe è lieto di poter donare a Gesù il suo sepolcro nuovo. Offri volentieri al Salvatore il tuo cuore rinnovato dalla penitenza.

139. Deposto nel sepolcro

Giunti al sepolcro, adagiarono la bara davan­ti all'ingresso e diedero inizio alle ultime prati­che liturgiche in uso presso gli Ebrei. Cantaro­no il salmo 90 ("Tu che abiti al riparo dell'Al­tissimo") e girando mestamente in bell'ordine attorno al defunto esprimevano piangendo l'intensità del loro dolore. Poi alcuni rialzarono il cadavere, entrarono nel vestibolo e, abbas­sando la testa e le spalle, penetrarono, attra­verso l'angusta porta, nella celletta sepolcrale. A destra c'era la panchina scavata nella parete, a pochi centimetri da terra; su di essa distesero il defunto Signore, componendolo religiosa­mente. Camminando all'indietro, uscirono dalla tom­ba e quindi fecero scorrere verso l'imboccatura la pesante pietra che doveva servire da porta. Le pie donne stavano dirimpetto al sepolcro, seguendo con lo sguardo dove veniva collocato il corpo di Gesù e piangendo amaramente. La più addolorata era sempre la Vergine Madre e qui avrebbe voluto fermarsi sempre per non separarsi dal Figlio adorato. Le convenne cede­re alle preghiere dei discepoli e delle donne, intraprendendo con essi la via del ritorno per ritirarsi a casa.

Considera. Il dolore di Maria, durante la sepoltura di Gesù, fu immenso. Compatisci questa buona Ma­dre e rinnovale i sentimenti della tua fedeltà.

 

 

140. Guardie e sigillo ufficiale

La mattina seguente, cioè il sabato, in cui ri­correva la grande solennità della Pasqua degli

Ebrei, i principi dei sacerdoti e i farisei andaro­no da Pilato e gli dissero: " 'Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dun­que che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!'. Pilato disse loro: 'Ave­te la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete' ". Quelli andarono, si assicurarono della presen­za del cadavere e della consistenza della porta d'ingresso alla cella sepolcrale, vi apposero il sigillo ufficiale e lasciarono delle sentinelle in­torno al sepolcro perché nessuno osasse avvici­narsi. Poi se ne tornarono in città, sicuri che l'odiato seduttore non avrebbe più dato loro al­cun fastidio. Morto e sepolto quanto alla vita corporale, sarebbe ben presto scomparso an­che dalla memoria degli uomini. Nessuno si sarebbe più ricordato di Lui. Così ragionavano quegli sciagurati, accecati dalla loro malizia. Ma non vi è sapienza, non vi è prudenza contro il Signore. Gesù risorgerà e confon­derà i suoi nemici per sempre.


Considera. I nemici vorrebbero rendere inefficaci le parole di Gesù, ma non ci riescono. Credi sempre al­la parola del Signore e non agire mai contro di lui.

141. Anime addolorate

Intanto le anime affezionate a Gesù sono im­merse nel dolore. I nove Apostoli fuggiti qua e là dopo la cattura del Maestro sono ancora spa­ventati per quello che hanno udito, forse anche un po' veduto, circa la morte di Lui. Pietro sta ancora piangendo il suo grave dolore; Giovan­ni ha la mente e il cuore pieni di ricordi delle sofferenze del Redentore; la Maddalena e le al­tre pie donne sono inconsolabili e cercano un po' di sollievo provvedendo i necessari aromi, per ritornare, dopo il sabato, e spargerli nel se­polcro e sulla salma del caro Maestro, ignoran­do il sigillo e le guardie del corpo messe a cu­stodia della tomba. Maria santissima, col cuore trapassato dalla spada del più vivo dolore, si era ritirata con Giovanni in quella casa da cui era uscita quando incontrò il Figlio che saliva al Calvario. Vegliava nel pianto, nella preghiera e in un continuo atto di rassegnazione alla vo­lontà di Dio. Il dolore di questa Vergine d'I­sraele, di questa figlia di Sion, non poteva pa­ragonarsi ad alcun altro. Era immenso come il mare e non ammetteva umano conforto. Il cuore di tutte queste anime era chiuso nella tomba, dove giaceva insanguinata la spoglia mortale di Gesù.

Considera. Maria gradisce avere attorno a sé delle persone che capiscono i suoi dolori e vi partecipano. Sta sempre vicino alla Madre addolorata e sii un suo compagno indivisibile.

142. Andiamoci anche noi!

Uniti a tante anime addolorate, penetriamo con lo spirito in quella cella funebre; leviamo delicatamente quei veli che ricoprono l'insan­guinato corpo del Salvatore, inginocchiamoci, contempliamo e baciamo con viva fede quelle santissime piaghe, bagnandole con le lacrime della nostra compassione e del pentimento. Quanto è bello, quanto è utile, quanto è com­movente prorompere intanto in queste affet­tuose espressioni che la Chiesa mette sulle lab­bra dei suoi figli adunati intorno al sepolcro di Gesù: "O Gesù, mio dolce amore, a Te mi ac­costo con fede, come se ti vedessi coi miei oc­chi, e Ti contemplo con affetto, ricordando de­votamente le tue sante piaghe. In quale stato ti vedo, Gesù mio, avvolto nel funebre lenzuolo, irrigidito, piagato, sformato! Salve, o Capo la­cerato dalle spine, il cui Volto ha perso il suo divino splendore, dinanzi al quale tremano gli angeli! Salve, o sacro Costato del mio Salvato­re, o mite apertura di amore, più rubiconda della stessa rosa, medicina di ogni nostro male. Voi pure, o sante Mani e santi Piedi, trapassati da chiodi crudeli, accettate il mio tributo di af­fetto! O divin Salvatore, possa stare sempre qui in tua compagnia e non allontanarmi mai più!".

 

XIII - CONCLUSIONE

143. Egli risorgerà e trionferà


Gesù non deve rimanere là. Il sepolcro, do­micilio della morte, non dev'essere l'abitazio­ne dell'autore della vita. La corruzione, conse­guenza del peccato, non deve impossessarsi di Colui che è senza peccato ed è venuto al mondo per cancellarlo. Il vincitore del mon­do e del demonio non può essere pascolo dei vermi della terra. Egli risorgerà. Ciò era stato predetto molti secoli prima, e la tradizione doveva avverarsi: "...Non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione". Gesù stesso si era preoccupato di avvisare pri­ma amici e nemici, paragonandosi a Giona profeta, dicendo e ripetendo chiaramente in diverse circostanze: "Il Figlio dell'uomo... il terzo giorno risorgerà". Anche i nemici si sono ricordati di queste parole e le hanno ripe­tute a Pilato, perché venissero prese le più severe misure di sicurezza e si evitasse un inganno peggiore. Facciano pure: ma Gesù Cristo, nonostante tutte le loro astuzie, risorgerà, dopo che l'ani­ma sua avrà visitato gli inferi e la sua carne avrà riposato nella tomba parte del venerdì, tutto il sabato e parte della domenica. Allora, accompagnato dai giusti dell'antica alleanza, riprenderà il suo corpo esangue, lo rivestirà di gloria, uscirà senza ostacoli dal sepolcro, vinci­tore della morte e dell'inferno. Un angelo discenderà dal cielo, rimuoverà la pietra d'ingresso, farà tremare la terra, e dirà a chiunque, guardie, donne, discepoli: È risorto, non è qui. Gesù stesso, per quaranta giorni, starà in compagnia della Madre e dei discepoli, ragio­nerà, converserà, si intratterrà familiarmente con loro, darà ordini precisi sulla formazione della sua Chiesa e la predicazione del Vangelo, salirà al cielo alla vista di tutti e manderà agli Apostoli lo Spirito Santo promesso. A loro volta i dodici di spargeranno su tutta la faccia della terra allora conosciuta, Europa, Asia e Africa, e vi predicheranno Gesù Croci­fisso, unica salvezza del mondo, par­lando tutte le lingue e operando prodigi. Il mondo si convertirà, e le anime rette, amanti del vero, a qualunque classe apparten­gano, si rifugeranno all'ombra della croce, sot­toporranno se stessi al giogo soave del Reden­tore, vivranno per Lui, sapranno morire per Lui. Passeranno i secoli. L'opera di Gesù Cristo, la Chiesa, travagliata dalle persecuzioni più crudeli, dalle eresie, dagli scismi, dai nemici, dai falsi amici, dagli scandali interni, da tutte le malizie umane e diaboliche, continuerà a com­piere la missione ricevuta dal suo divin Fonda­tore, assisterà al sorgere e allo scomparire degli imperi, procederà sempre combattuta dai mal­vagi, ma risulterà sempre vittoriosa e arriverà fino al termine dei secoli. Allora Gesù Cristo, giudice dei vivi e dei morti, sarà visibile a tutta l'umanità aduna­ta, ed apparirà "unico Sovrano, il Re dei re­gnanti e Signore dei signori", il fattore di ogni cosa, il padrone dei secoli che per Lui si aprirono e per Lui solo ora si chiudono, il trionfatore eterno. I giusti, che con Lui perse­verarono nel momento della prova, trion­feranno allora con Lui nella vita eterna. I reprobi, che lo abbandonarono per seguire la via del male, peneranno lontano da lui nel fuo­co eterno.


144. Vieni, o Gesù!

"Vieni, Signore Gesù" e per amore degli eletti abbrevia i giorni della tribolazione e svela presto ad essi le gioie del tuo finale trion­fo. Amen!


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