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. Al primo posto mettete la confessione e poi chiedete una direzione spirituale, se lo ritenete necessario. La realtà dei miei peccati deve venire come prima cosa. Per la maggior parte di noi vi è il pericolo di dimenticare di essere peccatori e che come peccatori dobbiamo andare alla confessione. Dobbiamo sentire il bisogno che il sangue prezioso di Cristo lavi i nostri peccati. Dobbiamo andare davanti a Dio e dirgli che siamo addolorati per tutto quello che abbiamo commesso, che può avergli recato offesa. (Beata Madre Teresa di Calcutta)
 
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UTILITÀ DEL CREDERE sant'Agostino

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2012 16:12
14/02/2012 16:10

7. 14. Ma ora, se mi è possibile, vorrei completare ciò che mi sono riproposto: procederò in modo da non renderti manifesta, per ora, la fede cattolica, ma da mostrare a coloro che hanno cura delle proprie anime la speranza del frutto divino e della scoperta della verità, perché cerchino poi di penetrare i grandi misteri di questa fede. Nessuno dubita che chi cerca la vera religione o già crede che l'anima, a cui tale religione giova, sia immortale oppure aspira a trovare questa verità nella stessa vera religione. Ogni religione, pertanto, è per l'anima; la natura del corpo infatti, quale che sia, non suscita né preoccupazione né inquietudine, soprattutto dopo la morte, in colui la cui anima abbia raggiunto ciò che la rende beata. La vera religione dunque, se una ne esiste, è stata istituita soltanto o soprattutto per l'anima. Ma quest'anima (ne esaminerò la ragione e, confesso, è una questione molto oscura) tuttavia erra e, come constatiamo, è stolta fino a che non raggiunge la sapienza e ne viene in possesso, e forse in questo consiste la vera religione. Ti rimando a delle favole? Ti obbligo a credere a qualcosa di sconsiderato? Dico che la nostra anima, prigioniera e immersa nell'errore e nella stoltezza, cerca la via, se c'è, della verità. Se questo in te non avviene, perdonami e rendimi partecipe, di grazia, della tua sapienza: se invece riconosci in te ciò che io dico, ti scongiuro, cerchiamo insieme la verità.

Dovremo cercare coloro che insegnano la vera religione.

7. 15. Supponi che non abbiamo ancora udito nessuno parlare di religione; in tal caso è per noi una cosa nuova della quale ci assumiamo l'impegno. Dovremo cercare, credo, coloro che insegnano questa cosa, se ve ne sono. Supponi che ne abbiamo trovati alcuni di un'opinione ed altri di un'altra e che, data la diversità delle opinioni, ciascuno aspiri a portare gli altri dalla sua parte; e fra di essi alcuni eccellano per la grande fama di cui per ora godono e per la posizione raggiunta presso quasi tutti i popoli. Il grande problema è se essi posseggono il vero; tuttavia, non sono forse essi che devono essere esaminati per primi in modo che, per tutto il tempo che erriamo in quanto siamo uomini, risulti che erriamo insieme a tutto il genere umano?

Contro chi obietta che la verità è di pochi.

7. 16. Ma tu mi dirai che sono pochi gli uomini che possiedono la verità. Pertanto, se sai chi la possiede, tu sai già in cosa essa consista. Non avevo forse detto poco fa che l'avremmo ricercata come persone che nulla sanno di essa? Ma se tu presumi che pochi posseggano la verità, data la sua natura, non sai però chi essi siano; e cosa penseresti se i pochi che possiedono il vero sono tali da imporre la loro autorità ad una moltitudine, dalla quale un piccolo numero potrebbe trarsi fuori per dedicarsi a questi misteri e, per così dire, far luce? Non vediamo forse quanto pochi sono coloro che raggiungono le vette dell'eloquenza, quantunque per tutto il mondo le scuole di retori strepitino per le schiere dei giovani? È forse per caso che tutti coloro che vogliono diventare buoni oratori, spaventati dal gran numero degli incompetenti, ritengono di dover conseguire quest'obiettivo con i discorsi di Cecilio e di Ermio piuttosto che di Cicerone? Tutti mirano a ciò che è garantito dall'autorità degli antichi. Masse di incompetenti cercano di imparare le medesime cose che pochi dotti hanno riconosciuto degne di essere imparate; molto pochi però sono coloro che vi pervengono, meno ancora quelli che le mettono in pratica e pochissimi coloro che vi diventano illustri. E che dire se qualcosa di simile avvenisse per la vera religione? E se la moltitudine degli incompetenti frequentasse le chiese, anche se non vi sono prove che qualcuno sia stato reso perfetto da quei misteri? E tuttavia, se a studiare l'eloquenza fossero tanto pochi quanti sono i buoni oratori, mai i nostri genitori avrebbero pensato di affidarci ai maestri di quest'arte. Dal momento dunque che fu una moltitudine, composta in prevalenza di incompetenti, a spingerci verso questi studi e a farci amare ciò che pochi sono capaci di raggiungere, perché non vogliamo ammettere che per noi è simile la causa in materia di religione e che forse la disprezziamo con grande rischio per l'anima? Se infatti il culto più vero e più puro di Dio, benché sia di pochi, tuttavia è di coloro dei quali la moltitudine, per quanto immersa nelle passioni e lontana dalla purezza dell'intelligenza, condivide l'opinione (e chi dubiterebbe che ciò sia possibile?), ti chiedo: che cosa possiamo rispondere a chi ci accusa di sconsideratezza e di incongruenza per il fatto che non ricerchiamo con diligenza, presso i loro maestri, la religione che ci sta molto a cuore di scoprire? Che la moltitudine ce ne ha distolti? Ma perché dallo studio delle arti liberali, che a malapena portano qualche beneficio alla vita presente, perché dal cercare denaro, dall'ottenere onori, dal procurare e conservare la buona salute e, infine, perché dalla brama stessa della vita beata, cose nelle quali tutti sono impegnati ma pochi eccellono, nessuna moltitudine ci ha mai distolto?

Ad Onorato è sembrato che nelle Scritture si dicessero cose assurde.

7. 17. Ma sembrava che lì si dicessero cose assurde. Chi le diceva? Dei nemici, naturalmente; per un motivo qualsiasi, per una ragione qualsiasi: non è questo infatti che ora si cerca. Tuttavia dei nemici. Leggendo, me ne sono reso conto da solo. Proprio così? Del tutto incompetente nella disciplina poetica, non oseresti affrontare Terenziano Mauro senza un maestro. Bisogna ricorrere ad Aspro, Cerruto, Donato e moltissimi altri per comprendere un poeta, quale che sia, i cui versi sembra anche che vogliano ottenere gli applausi del teatro. Tu invece ti getti senza alcuna guida su quei Libri che, quali che siano, sono conosciuti come santi e pieni di cose divine, per ammissione di quasi tutto il genere umano e, senza precettore, osi esprimere su di essi un giudizio. E, se ti capitano passi che sembrano assurdi, non accusi l'ottusità del tuo intelletto e il tuo spirito putrefatto dalla melma di questo mondo, come è quello di tutti gli stolti, ma piuttosto i Libri che per tali uomini forse sono incomprensibili. Avresti dovuto cercare un uomo ad un tempo pio e sapiente, o che molti concordano nel reputare tale: con i suoi precetti saresti divenuto migliore e con la sua dottrina più esperto. Non era facile trovarlo? Bisognava cercarlo con ogni sforzo. Non c'era nella terra in cui abitavi? Quale motivo più conveniente per costringerti a viaggiare? Era sconosciuto o non esisteva affatto nel continente? Bisognava mettersi in mare. E se, al di là del mare, non si trovava in una località vicina, dovevi andare in quelle regioni nelle quali si dice che si sono svolti gli avvenimenti contenuti in quei Libri. Che cosa abbiamo fatto di tal genere, Onorato? E tuttavia noi, da fanciulli sciagurati, secondo il nostro arbitrario giudizio, abbiamo condannato forse la più santa delle religioni (ne parlo come se si dovesse ancora dubitarne), la cui fama ormai si è impadronita di tutta la terra. E se quei passi, che sembrano urtare alcuni incompetenti, fossero stati posti nelle stesse Scritture per far sì che, leggendo cose che discordano col modo di sentire di qualsiasi uomo e, ancor più, di chi è saggio e santo, ne cerchiamo con molto più zelo il significato nascosto? Non vedi come gli uomini tentino di interpretare il Catamito delle Bucoliche, per il quale il rude pastore perdette la testa, e come affermino che il giovane Alessi, per il quale si dice che Platone abbia composto anche un carme amatorio, significhi non so che di grande, ma che sfugge al giudizio degli incompetenti, mentre si potrebbe pensare, senza alcun sacrilegio, che un poeta assai facondo abbia composto piccoli componimenti libidinosi?

Tutte le leggi divine ed umane autorizzano a ricercare la fede cattolica.

7. 18. Ma era davvero la sanzione di qualche legge o l'autorevolezza degli avversari o la bassa condizione degli iniziati o la loro cattiva reputazione o la novità della dottrina o la sua segreta professione che ci distoglieva e ci vietava la ricerca? Niente di tutto ciò. Tutte le leggi divine ed umane autorizzano a ricercare la fede cattolica; abbracciarla e praticarla invece, mentre è indubbiamente lecito per la legge umana, non è certo che lo sia, finché erriamo allontanandoci da quella divina. Nessuno dei nemici spaventa la nostra debolezza (d'altro canto la verità e la salvezza dell'anima, se non sono state trovate, benché diligentemente cercate in condizioni di assoluta sicurezza, debbono essere cercate a qualsiasi rischio). Le autorità e le magistrature di ogni grado attendono con zelo a questo culto divino. Il nome di questa religione è il più rispettato e illustre. In conclusione, che cosa impedisce di cercare e discutere, mediante un'indagine onesta e assidua, se qui vi è ciò che inevitabilmente pochi uomini possono conoscere e custodire in modo ben chiaro, malgrado vi aspirino tutti i popoli con buona intenzione e disposizione d'animo?

Senza alcun dubbio bisogna cominciare dalla Chiesa cattolica.

7. 19. Stando così le cose, supponi che, come ti ho detto, ora, per la prima volta, cerchiamo a quale religione affidare la purificazione e il rinnovamento delle nostre anime. Senza alcun dubbio bisogna cominciare dalla Chiesa cattolica. I cristiani infatti sono ormai più numerosi dei Giudei uniti agli adoratori di idoli. D'altro canto, come tutti riconoscono, una sola è la Chiesa degli stessi cristiani, sebbene vi siano tra loro parecchi eretici e tutti vogliano presentarsi come cattolici chiamando eretici gli altri. Questa Chiesa, se consideri il mondo intero, ha non solo più seguito di tutte quanto a moltitudine di persone, ma è anche, come affermano coloro che la conoscono, più pura di tutte quanto a verità. Senza dubbio, in merito alla verità, la questione è un'altra; invece, ai fini della nostra ricerca, è sufficiente sapere che una sola è la Chiesa cattolica. Le diverse sette eretiche le impongono nomi diversi, mentre esse hanno ciascuna una propria denominazione che non osano rifiutare. Da ciò si può capire, se a giudicare sono uomini liberi da qualsiasi influenza, a chi sia da attribuire il nome di " cattolica ", al quale tutti ricorrono. Ma perché nessuno ritenga che se ne debba discutere molto a lungo o inutilmente, di certo ne esiste una sola, nella quale le leggi stesse in qualche modo anche umane sono cristiane. Da ciò non voglio che scaturisca alcun pregiudizio; ritengo però che sia un punto di partenza assai opportuno per la ricerca. Non si deve, infatti, temere che il vero culto di Dio, del tutto sprovvisto di forza propria, appaia bisognoso del sostegno di coloro che esso deve sostenere. Indubbiamente, la soluzione migliore sarebbe di poter trovare la verità lì dove la sua ricerca e il suo possesso sono assolutamente sicuri; ma se ciò non è possibile, allora ci si dovrà rivolgere altrove e cercarla a prezzo di qualsiasi rischio.

L'itinerario personale di Agostino: dal manicheismo al cristianesimo.

8. 20. Stabilite queste premesse che, come credo, sono così giuste che presso di te dovrei vincere la disputa con qualsiasi avversario, ti indicherò, per quanto posso, il tipo di strada che ho seguito quando cercavo la vera religione con quella disposizione d'animo con la quale ho appena esposto che deve essere cercata. Dunque, non appena me ne andai da voi al di là del mare, mi ritrovai indeciso ed esitante su che cosa dovessi tenere e che cosa abbandonare - indecisione che di giorno in giorno aumentava, da quando ho udito quell'uomo che, come tu sai, ci era stato promesso che sarebbe venuto quasi dal cielo a chiarirci tutto ciò che ci rendeva inquieti e nel quale invece, a parte una certa eloquenza, ho riconosciuto un uomo come tutti gli altri. Una volta stabilitomi in Italia, mi misi a riflettere dentro di me e ad esaminare seriamente non già se restare in quella setta nella quale mi pentivo di essere capitato, ma in quale modo si dovesse cercare il vero, per il cui amore i miei sospiri a nessuno meglio che a te sono noti. Spesso mi sembrava che fosse impossibile trovarlo e le grandi onde dei miei pensieri mi inducevano a favorire gli accademici. Spesso invece, vedendo, per quanto potevo, la mente umana così vivace, così sagace, così perspicace, ritenevo che la verità le rimaneva nascosta soltanto perché non conosceva il modo secondo cui cercarla e che questo stesso modo doveva riceverlo da qualche autorità divina. Restava da cercare quale mai fosse questa autorità, dal momento che, pur tra tanti dissensi, ciascuno prometteva di darla. Dinanzi a me, dunque, si apriva un'inestricabile selva in cui appunto mi dispiaceva molto di essermi cacciato; e la mia anima si agitava senza alcuna quiete in mezzo a queste cose, spinta dal desiderio di trovare il vero. Tuttavia, mi distaccavo sempre più da costoro che mi ero ormai proposto di abbandonare. In mezzo a tanti pericoli non mi restava altro che implorare l'aiuto della divina Provvidenza con parole accompagnate da lacrime e lamenti, e lo facevo assiduamente. Già alcune prediche del vescovo di Milano mi avevano indotto a desiderare, con qualche speranza, di fare ricerche su molte cose dello stesso Vecchio Testamento, nei confronti delle quali, come sai, avevamo forte avversione, essendoci state male presentate. Avevo deciso di restare catecumeno nella Chiesa a cui i miei genitori mi avevano affidato fino a che non avessi trovato ciò che desideravo oppure non mi fossi convinto che non andava cercato. Se ci fosse stato qualcuno capace di insegnarmi, allora mi avrebbe potuto trovare assai ben disposto e molto docile. Se, dunque, scopri che anche tu da tempo ti trovi in questa condizione e provi la stessa sollecitudine per la tua anima, e se ti sembra di essere stato ormai abbastanza sbattuto qua e là e vuoi porre fine a questo genere di fatiche, segui la via dell'insegnamento cattolico, che da Cristo stesso, per mezzo degli Apostoli, si è diffusa fino a noi e da qui si estenderà alle generazioni future.

La ragionevolezza del credere.

9. 21. È ridicolo, tu dirai, che tutti pretendono di possedere questo insegnamento e di trasmetterlo. Lo pretendono tutti gli eretici, non posso negarlo, e con la promessa, a coloro che cercano di attrarre, di dar ragione delle cose più oscure. Perciò lanciano accuse soprattutto contro la Chiesa cattolica, perché prescrive che credano coloro che vengono da lei; essi, invece, si vantano di non imporre il giogo della fede ma di aprire la fonte del sapere. Ebbene, tu osserverai, che cosa si sarebbe potuto dire di più pertinente a loro lode? Ma non è così. Essi, infatti, fanno ciò non perché siano provvisti di qualche forza, ma per tirare dalla loro parte una moltitudine di persone in nome della ragione. Di questa promessa naturalmente l'anima umana gode e, senza tenere conto delle proprie forze e del proprio stato di salute, col desiderare i cibi dei sani che mal si adattano a chi non sta bene, precipita nei veleni dei suoi ingannatori. In nessun modo, infatti, si può correttamente aderire alla vera religione senza credere a quelle cose che ciascuno poi, se si sarà ben comportato e ne sarà stato degno, raggiungerà e comprenderà, e senza sottomettersi al saldo potere di un'autorità.

Enorme è la differenza fra chi è desideroso di apprendere e chi è studioso; enorme è anche la differenza fra il credente e il credulo.

9. 22. Ma forse anche di ciò cerchi di avere qualche motivo dal quale tu sia convinto che non devi essere istruito dalla ragione prima che dalla fede. E può essere cosa facile, purché tu ti dimostri retto. Ma perché avvenga in modo proficuo, voglio che tu risponda, per così dire, ad alcune mie domande. In primo luogo, vorrei che mi dicessi perché ti sembra che non si debba credere. Perché, tu dirai, la stessa credulità, dalla quale prendono nome i creduli, mi sembra che sia un vizio, altrimenti non avremmo l'abitudine di gettare in faccia questo nome come un oltraggio. Se, infatti, il sospettoso è in difetto perché sospetta di ciò che non conosce con certezza, quanto più lo è il credulo che, a differenza del sospettoso, non ha dubbi sulle cose che non conosce, mentre il sospettoso ne ha. Per ora accetto questa opinione e questa distinzione. Tu sai, però, che abbiamo l'abitudine di chiamare " curioso " qualcuno con senso di biasimo, invece di chiamare " studioso " qualcuno con senso di approvazione. Perciò, fai attenzione, se lo ritieni opportuno, a quale differenza ti sembra che ci sia fra queste due persone. Di certo risponderai che, sebbene siano tutti e due mossi da un grande desiderio di conoscere, tuttavia il curioso ricerca le cose che non lo riguardano, invece lo studioso ricerca le cose che lo riguardano. Ma poiché tutti ammettiamo che all'uomo interessano la moglie, i figli e la loro salute, se un marito, che sta lontano da casa, chiedesse con zelo a tutti quelli che incontra come stiano e come si comportino sua moglie e i suoi figli, certamente diremmo che è indotto a far ciò da un gran desiderio di conoscere; tuttavia non lo chiamiamo studioso, nonostante sia forte la sua voglia di sapere e concerna cose che lo riguardano massimamente. Così ti rendi conto come la definizione data di studioso vacilli, perché, se è indubbio che ogni studioso vuole conoscere le cose che lo riguardano, non per questo ogni persona che agisce così deve essere chiamata studiosa, ma solo chi ricerca senza risparmio di energie le cose adatte per nutrire convenientemente l'animo ed ornarlo. Ed allora il nome corretto è " desideroso di apprendere ", soprattutto se aggiungiamo che cosa aspira ad apprendere. Lo possiamo chiamare anche " studioso dei suoi ", se ama soltanto i suoi: tuttavia, in mancanza di aggiunte, non lo riteniamo degno del nome comune di studioso. Non chiamerei invece studioso di ascoltare chi è desideroso di ascoltare come stanno i suoi, a meno che, godendo di buona fama, non volesse ascoltare spesso la stessa cosa. In verità, lo chiamerei desideroso di apprendere, anche se ascoltasse ciò una sola volta. Ritorna ora con la mente al curioso e dimmi: se uno ascoltasse volentieri una storiella che non gli sarà affatto utile, ossia relativa a cose che non lo riguardano, e se il fatto accadesse non in maniera spiacevole e di frequente ma molto raramente e con grande discrezione, o in un banchetto o in qualche riunione o consesso, ti sembrerebbe forse un curioso? Non credo; ma, di certo, lo sembrerebbe se si prendesse cura di ciò che ascolta volentieri. Perciò, anche la definizione di curioso deve esser corretta secondo il criterio adottato per quella di studioso. E, quindi, considera se non si devono correggere anche le definizioni precedenti: perché, infatti, dovrebbe meritare il nome di sospettoso chi sospetta talvolta qualcosa e il nome di credulo chi crede talvolta a qualcosa? Dunque, come è enorme la differenza fra chi è desideroso di apprendere qualche cosa e chi è studioso in senso pieno e, ancora, fra chi ha cura di qualcosa e il curioso, così è enorme la differenza fra il credente e il credulo.

La fede precede la riflessione critica.

10. 23. Ma ora vedi, tu dirai, se dobbiamo credere quando si tratta di religione. In effetti, se ammettiamo che sono cose diverse il credere e l'essere credulo, non ne segue che non ci sia nessuna colpa a credere quando si tratta di religioni. E che diresti se tanto il credere quanto l'esser credulo fossero viziosi, come lo sono l'essere ubriaco e l'essere ubriacone? Chi ritiene ciò per certo mi sembra che non possa avere alcun amico. Se, infatti, è turpe credere qualcosa, allora o credere ad un amico è un atto turpe, oppure non vedo come chi, non credendo affatto all'amico, possa ancora chiamare costui, o se stesso, amico. A questo punto tu dirai: " Ammetto che talvolta si deve credere qualcosa; ma spiegami ora in che modo, in fatto di religione, non sia turpe credere prima di sapere ". Lo farò, se potrò. Ti chiedo perciò: cosa ritieni più grave, in fatto di colpa, trasmettere la religione a un indegno oppure credere a ciò che dicono coloro che la trasmettono? Se non ti è chiaro chi io chiami indegno, dico che è colui che si fa avanti con il cuore insincero. Tu ammetti, io penso, che è colpa più grave svelare i santi misteri, se ve ne sono, a un tale uomo che credere a uomini religiosi che affermano qualcosa della religione stessa. Di certo, non sarebbe stato degno di te rispondere diversamente. Perciò immagina ora di avere davanti a te colui che sta per trasmetterti la religione: come riuscirai a rassicurarlo che ti fai avanti con animo sincero e che in te, per quanto attiene a questa cosa, non c'è nessun inganno e nessuna simulazione? Dirai che, in tutta coscienza, tu non fingi nulla, sostenendolo con quante più parole potrai, ma pur sempre con parole! Come uomo, infatti, non saresti in grado di aprire all'uomo i segreti del tuo cuore così da farti conoscere interiormente. Ma se quello ti dicesse, "Ecco, ti credo; ma non è forse più giusto che anche tu creda a me, poiché, se possiedo qualcosa di vero, sei tu che stai per riceverne il beneficio, mentre io sto per dartelo?"; che cosa risponderai, se non che gli si deve credere?

La fede è la via più salutare per esser capaci di comprendere la verità.

10. 24. Ma dirai: "Non era forse meglio che me ne avessi data la ragione, perché io la seguissi senza alcuna temerità dovunque essa mi conducesse?". Forse lo era; ma poiché è una questione tanto grande per te conoscere Dio per via razionale, ritieni forse che tutti siano capaci di comprendere le ragioni mediante le quali la mente è condotta all'intelligenza di Dio, oppure un buon numero o pochi soltanto? "Ritengo che sono pochi", tu affermerai. "E pensi forse di far parte di costoro?". "Non spetta a me rispondere", dirai. Tu, dunque, ritieni che spetti all'altro crederti anche su questo; cosa, appunto, che egli fa. Ricordati soltanto che già per due volte egli ha creduto a te che dici cose incerte, mentre tu neppure per una volta sei disposto a credere a lui che pure ti ammonisce con grande diligenza. Ma supponi che la cosa stia così: che tu ti faccia avanti con animo sincero per accogliere la religione e che faccia parte di quei pochi uomini, di modo che tu sia in grado di afferrare le ragioni mediante le quali la natura divina è conosciuta in modo certo. E che? Ritieni che la religione debba essere preclusa agli altri uomini che sono privi di un'intelligenza così limpida? Oppure che costoro debbano esser condotti passo dopo passo, come per gradi, a quei sommi misteri? Tu vedi senza difficoltà quale atteggiamento sia più conforme alla religione, poiché è impossibile che tu pensi che un uomo, chiunque egli sia, in qualche modo venga lasciato nel desiderio di una cosa tanto grande oppure venga respinto. Ma sei del parere che costui non riuscirà a possedere in altro modo le cose che sono assolutamente vere, se prima non crede che raggiungerà quanto si è proposto, se non presenta una mente supplice e se non si purifica con una ben determinata condotta di vita, sottomesso a certi precetti grandi e necessari? Indubbiamente sei di questo parere. E che, dunque, forse ne ricaveranno qualche danno coloro - dei quali credo che ormai faccia parte anche tu - che possono molto facilmente afferrare i misteri divini con sicura ragione, se vi arrivano per la stessa via di coloro che cominciano con il credere? Non penso. Tuttavia, tu replichi, che bisogno c'è di farli attendere? Perché, anche se di fatto non nuoceranno a se stessi, tuttavia nuoceranno agli altri con l'esempio. È difficile trovare chi conosce esattamente le proprie capacità: ma chi si sottovaluta deve essere incoraggiato e chi si sopravvaluta deve essere moderato, in modo che l'uno non si abbatta per la disperazione e l'altro non vada in rovina per l'audacia. Ciò può facilmente accadere se anche coloro che sono capaci di volare sono costretti a camminare per un po' su una strada sicura pure per gli altri, per evitare che siano un pericoloso allettamento per qualcuno. È questa la provvidenza della vera religione; e questo è ciò che è stato comandato da Dio, tramandato dai felici antenati, conservato fino a noi: volerlo turbare o sconvolgere equivale a cercare la via sacrilega alla vera religione. Coloro che si comportano così, neppure se si concede loro ciò che vogliono, possono arrivare dove si propongono di giungere. Quale che sia l'ingegno per cui eccellono, essi strisciano per terra, se Dio non è con loro. Ma Dio è con loro se, nel tendere a Lui, hanno a cuore la società umana: non si può trovare nulla di più sicuro di questo gradino per ascendere al cielo. Da parte mia, invero, non ho alcunché da opporre a questo ragionamento; infatti, come posso pretendere che non si debba credere niente di cui non si ha conoscenza, quando l'amicizia non esisterebbe affatto se non si credesse qualcosa che è impossibile dimostrare con ragione sicura e dal momento che spesso si dà credito ai servi addetti alle dispense, senza colpa alcuna dei padroni? In materia di religione, poi, che cosa si può compiere di più iniquo del fatto che i sacerdoti credono a noi che promettiamo loro l'animo sincero e ci rifiutiamo di credere a loro che ci insegnano? Da ultimo, quale via può essere più salutare di quella di divenire prima di tutto capaci di comprendere la verità, confidando in quelle cose che Dio ha istituito per preparare e predisporre l'animo? O, se ne avessi già la piena capacità, non sarebbe meglio per te fare un piccolo giro per trovare l'entrata più sicura, anziché metterti da solo in una situazione di pericolo ed essere esempio di temerità per gli altri?

In che modo si debbano evitare coloro che promettono di condurci con la ragione.

11. 25. Perciò ci resta ormai da considerare in che modo si debbano evitare coloro che promettono di condurci con la ragione. Si è già detto, infatti, come sia possibile seguire senza colpa coloro che ordinano di credere. Quanto però al fatto di rivolgersi a coloro che si fanno garanti della ragione, alcuni pensano non solo che non sia da biasimare, ma addirittura che meriti qualche lode; ma non è così. In materia di religione, infatti, meritano la lode due tipi di persone: quelle che hanno già trovato, che bisogna giudicare anche le più felici e quelle che cercano con il più grande ardore e con la massima rettitudine. Le prime sono già nel pieno possesso, le altre sono sulla strada per la quale vi si giunge con assoluta certezza. Vi sono poi altri tre generi di uomini, che sono indubbiamente da censurare e da detestare. Il primo genere è di coloro che si affidano a congetture, cioè che ritengono di sapere ciò che non sanno; il secondo è quello di coloro che, pur sapendo per certo di non sapere, non cercano in modo da trovare; il terzo è quello di coloro che né ritengono di non sapere né vogliono cercare. In modo analogo nell'animo umano vi sono tre attitudini, che sono, per così dire, confinanti tra loro, ma che però meritano di essere ben distinte: il comprendere, il credere, l'opinare. Considerate per se stesse, la prima non è mai in difetto, la seconda lo è talvolta, la terza sempre. Infatti comprendere ciò che è grande e nobile, o addirittura ciò che è divino, è il colmo della felicità; comprendere, invece, ciò che è superfluo non nuoce affatto, ma forse nuoce insegnarlo perché sottrae tempo a ciò che è necessario. Quanto alle cose dannose, male non è comprenderle, ma farle o subirle. Se, infatti, qualcuno comprende come il nemico possa essere ucciso senza che egli corra alcun pericolo, non è colpevole perché lo comprende ma perché ha la cupidigia di farlo. Se questa cupidigia manca, cosa si può dire di più innocente? Quanto al credere, esso merita biasimo quando si crede qualcosa di indegno o riguardo a Dio o, piuttosto facilmente, riguardo all'uomo. In tutti gli altri casi non c'è nessuna colpa se qualcuno crede qualcosa, sapendo di non saperla. Credo infatti che, grazie al coraggio di Cicerone, un tempo furono uccisi dei congiurati senza scrupoli; eppure non solo ignoro questo fatto, ma so anche per certo che in nessun modo lo posso sapere. Opinare, invece, è molto turpe per questi due motivi: sia perché chi è persuaso che già sa non può imparare, posto che sia possibile imparare la cosa in questione; sia perché la temerità per se stessa non è il segno di un animo ben disposto. Prendiamo il caso di qualcuno che reputi di sapere ciò che ho detto di Cicerone: sebbene nulla gli impedisca di apprenderlo, perché il fatto di per sé non può essere materia di nessuna scienza, tuttavia, in quanto non si rende conto della grande differenza che c'è tra il sapere qualcosa con la certezza che deriva da un ragionamento della mente - ciò che noi chiamiamo comprendere - e il trovarlo affidato alla fama o agli scritti per essere utilmente creduto dai posteri, di certo sbaglia, e nessun errore è senza vergogna. Ciò che comprendiamo, dunque, lo dobbiamo alla ragione; ciò che crediamo all'autorità; ciò che opiniamo all'errore. Ma chiunque comprende, crede anche; e pure chi opina crede; ma non chiunque crede, comprende, e nessuno che opina, comprende. Se, dunque, queste tre attitudini le riferiamo ai cinque generi di uomini che abbiamo menzionato poco fa, ossia i due che sono da elogiare e che ho posto per primi, e gli altri tre che invece sono riprovevoli, troviamo che il primo genere, che comprende uomini felici, crede alla verità stessa; mentre il secondo, che comprende uomini che ricercano e amano la verità, crede all'autorità. In questi due generi il credere è degno di lode; invece nel primo genere di uomini riprovevoli, cioè di uomini che congetturano di sapere ciò che non sanno, vi è di certo una perversa credulità. Coloro che fanno parte degli altri due generi meritevoli di riprovazione, non credono nulla: tanto quelli che cercano il vero senza speranza di trovarlo, quanto quelli che non lo cercano affatto. Questa attitudine comunque è possibile solo nelle cose che appartengono a qualche disciplina; infatti, nella vita pratica non so proprio come un uomo possa non credere a nulla. Del resto, anche quanti affermano che nella pratica seguono ciò che è probabile, preferiscono apparire come coloro che non possono sapere nulla piuttosto che come coloro che non credono a nulla. Chi infatti non crede ciò che sperimenta? O come è probabile ciò che seguono, se non è sottoposto a prova? Perciò vi possono essere due generi di avversari della verità: uno costituito da coloro che combattono solo contro la scienza, ma non contro la fede; l'altro da coloro che condannano tutte e due; tuttavia, ancora una volta non so se nelle vicende umane si possano trovare persone di questo genere. Queste cose sono state dette per farci capire che noi, poiché abbiamo conservato la fede anche relativamente a quelle cose che ancora non comprendiamo, siamo al riparo dalla temerità di coloro che solo opinano. Quanti infatti dicono che non si deve credere nulla al di fuori di ciò che sappiamo, si guardano soltanto dal nome di opinione, nome che, occorre riconoscerlo, è turpe e molto misero. Ma se prestassero la dovuta attenzione alla profonda differenza che c'è fra chi ritiene di sapere e chi crede sull'autorità di qualcuno, poiché comprende che non sa, di certo eviterebbero l'accusa di errore, di grossolanità e di presunzione.

Grave danno è credere solo a quello che si sa.

12. 26. Se, dunque, non si deve credere a ciò che non si sa, chiedo come i figli possano sottomettersi ai loro genitori e come possano amare con reciproco affetto coloro che non credono essere i loro genitori. In nessun modo, infatti, è possibile conoscere il padre con la ragione, ma lo si crede tale per l'interposta autorità della madre; e neppure per quanto riguarda la madre stessa, invero, si crede alla madre, ma alle ostetriche, alle nutrici, alle ancelle. Infatti colei a cui il figlio può essere sottratto e sostituito con un altro, non può forse ingannare, dal momento che è stata ingannata? Pur tuttavia noi crediamo, e lo crediamo fermamente, ciò che riconosciamo di non poter sapere. Chi non vedrebbe infatti che, se così non fosse, l'amore, che è il più sacro dei legami del genere umano, sarebbe profanato dalla più insolente delle malvagità? Chi dunque, anche se insensato, considererebbe colpevole colui che avesse reso le dovute dimostrazioni di affetto a coloro che credeva essere i suoi genitori, anche se non lo erano? Chi, al contrario, non avrebbe giudicato meritevole di essere scacciato colui che avesse amato pochissimo quelli che forse erano i suoi veri genitori, temendo di amare quelli falsi? Sono molti gli argomenti che si possono portare per mostrare che non c'è assolutamente nulla dell'umana società che non ne risulterebbe danneggiato, qualora avessimo deciso di non credere a niente che non possiamo considerare come percepito.


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